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LEOPOLDO MANDIC  -  Santo, Cappuccino,

memoria liturgica al 12 maggio

 

Nacque il 12 maggio 1866 a Castelnuovo (Herzegnovi), alle Bocche di Cattaro, terra  turca dal 1538, poi veneziana dal 1687, allora austriaca dal 1814 e poi jugoslava dal 1918. La sua famiglia era povera, ma  ricca di vita (dodici figli, e lui era l’ultimo) e di virtù cristiana. Proprio di qui egli erediterà un cuore grande attento soprattutto ai poveri. Fin dalla nascita fu esile e mingherlino tant’è che solo dopo un mese poterono portarlo alla chiesa parrocchiale e battezzarlo, con il nome di Bogdan (cioè “dono di Dio”). Fin da ragazzo sentì chiara la chiamata del Signore. Ma non fu così facile realizzare la propria vocazione, anche perché la salute non lo accompagnava. Entrò nel seminario dei Cappuccini di Udine, passò dopo due anni, nel 1884, al noviziato di Bassano del Grappa e giunse così al sacerdozio a Venezia il 20 settembre 1890. Facile sognare, ma difficile realizzare i sogni. Bogdan partì per il seminario cappuccino di Udine e da lì, dopo due anni (1884), al convento di Bassano del Grappa per un noviziato. Una vita che altri, anche più santi e forti di lui, avrebbe pensata insopportabile, pazzesca. Lui, adesso Fra Leopoldo, l’affrontò con coraggio. Dopo il noviziato, riprese gli studi con un impegno che gli poteva venire solo da ideali e propositi speciali. Giunse al sacerdozio il 20 settembre 1890, a Venezia. E proprio a Venezia cominciò il suo ministero, particolarmente quello di confessore, fu poi mandato in diversi conventi della sua provincia religiosa. Passò Zara, Bassano del Grappa, Capodistria. Era alto un metro e trentacinque, aveva un difetto di pronuncia, camminava goffamente, era tormentato da innumerevoli disturbi, dall’artrite al mal di stomaco, eppure confessò per tutta la tutta la vita, fino a quindici ore al giorno. I superiori sapevano di poterne disporre liberamente e lui si lasciava spostare a piacimento, intanto del bene poteva farne sempre e dappertutto: poteva, soprattutto, confessare e far tornare amici, nella grazia, Dio e gli uomini. I suoi penitenti si abituavano presto a considerano più un amico che un giudice. Ne rimpiangevano la partenza e anche dopo anni gli scrivevano, se non potevano andare da lui. E lui rispondeva, rubando ore al sonno o al tanto lavoro. P. Leopoldo attirava penitenti con la sua assiduità e più ancora con la sua bontà. Una bontà esagerata, secondo alcuni, che arrivarono a dirglielo. In quei casi egli indicava il crocifisso e diceva: “E Lui, allora? Lui è arrivato a morire, per le anime!”. E s’incoraggiava ad essere ancor più largo di bontà e di cure per i suoi penitenti "amici", a scapito anche della sua già misera salute. Era poi devotissimo dell’Eucaristia e della Madonna e considerava amici parecchi santi, cominciando da S. Francesco, ai quali si sentiva particolarmente obbligato. Considerava Dio e la Vergine come i suoi “paroni benedeti” Per il “Paron” affrontava tutto. Diceva: “Se lo vuole Lui, allora va bene! “. E ad andar bene erano anche le pene interne ed esterne, le rinunce, la croce che Gesù si degnava di dividere un pochino con lui. E valeva la pena di procurare al “Paron benedeto” tanti amici quanti erano i suoi penitenti, cioè il più possibile. Quanto alla “Parona”, il suo confessionale poteva essere povero e freddo, ma faceva il possibile perché qualche fiore ne ornasse l’immagine. E la pregava senza soste, le affidava i casi più difficili suoi o di penitenti "amici". Per questi arrivava a scriverle Iettere che diremmo di un bambino, se non le sapessimo di un santo; tanto erano candide ed affettuose. Nell’affrontare la vita religiosa e sacerdotale, Bogdan era stato sorretto da un sogno speciale: essere un giorno missionario nella sua terra, ricca di storia ma ancor più di contrasti religiosi. Riportare alla Chiesa cattolica quanti se ne erano separati. Ma quel sogno non si realizzò nella forma ch’egli si era proposta. Come si poteva mandare alla dura vita di missione un “esserino” così agile? Per abbreviargli la vita? L’amore non è meno industrioso dell’intelligenza, e P. Leopoldo trovò il “suo modo” di essere missionario, lui che, come diceva, si sentiva un uccellino in gabbia, con il cuore oltremare. Ogni penitente che entrava da lui era invisibilmente accompagnato: P. Leopoldo avrebbe ascoltato ed assolto lui, ma offrendo il tutto a beneficio di uno dei suoi “orientali”. E per quelli pregava e offriva la messa quando poteva. Arrivò a fare, di questa sua attività nascosta, un voto che rinnovava continuamente. A Padova P. Leopoldo fu mandato nel 1909: vi rimase fino alla morte, salvo un periodo d’internamento durante la grande guerra e la ricordata breve parentesi di Fiume. E Padova gli diede subito molto lavoro, cioè molti amici a cui prestare la sua opera di confessore. Erano persone di ogni classe sociale: ricchi e poveri, dotti e ignoranti, anime buone che avevano solo bisogno d’una spolveratina e anime infangate fino al collo. E lui aveva per ciascuno la parola adatta: usualmente tenera e solo all’occorrenza incisiva. Un esercizio continuo di amore verso Dio e verso le anime. Veramente, lui non era persuaso (salvo il valore deI sacramento, in cui era Dio a dare il perdono) di offrire molto: erano loro piuttosto, gli amici "penitenti", a dargli occasione di fare un pochino di bene a sconto dei suoi peccati e fargli guadagnare, insieme, il pane che mangiava in convento e il posticino che il “Paron” gli avrebbe dato in cielo. Con il tempo sopravvennero a P. Leopoldo malanni vari, ma lui ci badava poco o nulla: le anime dei penitenti "amici" valevano più della sua pelle. Anche ridotto a stare in una cella dell’infermeria, continuava a riceverne. Ne confessò una cinquantina anche la vigilia della morte. A chiamare “salotto” il confessionale di P. Leopoldo fu uno dei suoi penitenti. Lo chiamò anzi “salotto della cortesia”. “Venga, signore, venga!”, diceva il confessore se vedeva qualche titubanza nei meno abituati. spaesati che nemmeno sapevano come comportarsi: “Venga, signore, si accomodi!”. Successe che uno si accomodò sulla poItroncina, anziché all’inginocchiatoio. E lui, per non umiliarlo, ne ascoltò la confessione inginocchiato. La gentilezza continuava fino al termine del colloquio. Spesso allora  egli lanciava l’invito: “Torni, signore, torni: saremo buoni amici”. P. Leopoldo morì il 30 luglio 1942, alle sette del mattino. Si stava vestendo per la messa, alla quale non rinunciava neanche in quelle condizioni. Un malore lo colse e si ripeté a breve distanza. Spirò pronunciando le ultime parole della Salve Regina: estremo saluto alla “Parona”. La notizia si sparse subito e moltissimi poterono visitarne la salma, I funerali furono un trionfo. La sua tomba, al cimitero civico, fu meta di molte visite e di molta venerazione, finché la salma fu trasportata in un’apposita cappella funebre, eretta presso la sua celletta-confessionale. Neanche il suo confessionale è andato distrutto: com’egli aveva previsto e predetto, esso è rimasto, incolume fra le rovine di un furioso bombardamento (14 maggio 1944), a ricordo dell’immensa bontà che il Signore aveva lì dimostrato nel perdonare tanti peccati, nel riallacciare amicizia e grazia con tante anime che si erano allontanate da lui.

 

 

NOVENA A SAN LEOPOLDO MANDIC

 

O Dio Padre onnipotente, che hai arricchito San Leopoldo con l’abbondanza della tua grazia, concedi a noi, per sua intercessione, di vivere nell’abbandono alla tua volontà, nella speranza della tua promessa, nell’amore della tua presenza. Gloria al Padre...

 

O Dio, che manifesti la tua onnipotenza soprattutto nella misericordia e nel perdono e hai voluto che San Leopoldo fosse tuo fedele testimonio, per i suoi meriti, concedi a noi di celebrare, nel sacramento della riconciliazione, la grandezza del tuo amore. Gloria al Padre...

 

O Dio nostro Padre, che in Cristo tuo Figlio morto e risorto hai redento ogni nostro dolore e hai voluto San Leopoldo paterna presenza di consolazione, infondi nelle nostre anime la certezza della tua presenza e del tuo aiuto. Gloria al Padre...

 

O Dio, fonte di comunione per tutti i tuoi figli, che hai voluto Cristo unico pastore della tua Chiesa, per l’intercessione di San Leopoldo, silenzioso profeta dell’ecumenismo spirituale, infondi in noi il tuo Spirito, perché sappiamo pregare e donare la vita per l’unità di tutti i credenti in te. Gloria al Padre...

 

O Dio, che hai voluto Maria madre di Cristo e della Chiesa, e hai allietato la vita di San Leopoldo con una tenera devozione alla Madonna, consola la nostra vita con la grazia della sua bontà materna. Gloria al Padre...

 

O Dio, Signore glorioso e Padre della vita, affidiamo al tuo amore le nostre speranze e le nostre preghiere; per l’intercessione di San Leopoldo guarda con benevolenza ai tuoi figli ed esaudisci le nostre umili domande. Per Cristo nostro Signore. Amen.

 

QUALCHE FIORETTO DALLA VITA DI SAN LEOPOLDO

 

AMICO DEGLI UOMINI E AMICO DI DIO

Fin da piccolo Leopoldo mostrò il suo buon cuore e la sua fede. Un giorno egli giocava con amichetti su quella piccola spiaggia davanti a casa sua. Erano in posta dei patacconi e un compagno di gioco, a forza di perdere, ne rimase senza, si arrabbiò e disse una parolaccia. Lui prese di tasca tutti i suoi e li offrì al perdente dicendo: “Son tutti tuoi se prometti di non dir più parolacce”. Le destre stringendosi, fissarono il patto. Un buon inizio: per gli amici bisogna esser disposti a sacrificare qualcosa del proprio.

 

LA VOCAZIONE DI SAN LEOPOLDO MANDIC

Ecco il suo racconto: “Quando ero bambino di otto anni, un giorno commisi una mancanza che non mi sembrava grave, e tale la giudico ancora oggi. Mia sorella mi rimproverò, e poi mi condusse dal parroco perché mi correggesse e mi castigasse. Io confessai al parroco la mia colpa ed egli, dopo avermi aspramente rimproverato, mi mise in ginocchio in mezzo alla chiesa. Io rimasi profondamente addolorato e dicevo tra me stesso: “Ma perché si deve trattare tanto aspramente un bambino per una mancanza così leggera? Quando sarò grande, voglio farmi frate, diventare confessore e usare tanta misericordia e bontà con le anime dei peccatori”.

 

UN CEFFONE E UNA AMICIZIA

Il 14 luglio 1934 il confessore di Padova si trovava in tram per raggiungere un convento di suore per le confessioni. C’era molta calca, e lui, alto meno di 135 centimetri, dovette umilmente sgomitare per raggiungere la porta d’uscita. Urtò un giovane noto come bullo del quartiere, che senza complimenti gli mollò un ceffone. Il santo, sorridendo, gli disse: «Mi faccia bello anche dall’altra parte, perché farei brutta figura andando in giro rosso solo da una parte». Il ragazzo rimase talmente confuso che s’inginocchiò in mezzo alla gente e gli domandò perdono. Il cappuccino gli batté amichevolmente la mano sulla spalla e disse: «Niente, niente! Amici come prima».

 

IL FREDDO E LA STUFA

Soffriva tremendamente il freddo, ma non chiese mai una stufa per il confessionale tanto umido e privo di sole. Un rigidissimo giorno d’inverno, un confidente, trovandolo mezzo intirizzito, gli disse: — Ma, Padre, perché non si fa mettere per un po’ la stufa? — Cosa vuole? — egli rispose — tanti poveri soffrono il freddo ed io avrò il coraggio di riscaldarmi con la stufa? Cosa potrò dir loro quando vengono a confessarsi?

 

ALCUNI PENSIERI DAGLI SCRITTI DI SAN LEOPOLDO

“Abbiate fede e troverete esauriente risposta a tutti i perché. E tutte le prove saranno sopportabili, e il dolore si rivestirà di luce”.

 

“Quando il Padrone Iddio ci tira per la briglia, direttamente o indirettamente, lo fa sempre da Padre, con infinita bontà. Cerchiamo di comprendere questa mano paterna che con infinito amore si degna di prendersi cura di noi”.

 

“Non occorrono penitenze straordinarie. Basta che sopportiamo con pazienza le comuni tribolazioni della nostra misera vita; le incomprensioni, le ingratitudini, le umiliazioni, le sofferenze causate dal mutare delle stagioni e dell’ambiente in cui viviamo. Esse formano la croce che il peccato ci ha caricato sulle spalle e che Dio ha voluto quale mezzo per la nostra redenzione.

 

“Se il Signore mi rimproverasse di troppa larghezza potrei dirgli: Padrone benedetto, questo cattivo esempio me lo avete dato voi, morendo sulla croce per le anime, mosso dalla vostra divina carità”.

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