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BEDA  IL  VENERABILE   -  Santo, Monaco benedettino e Dottore della Chiesa

Memoria liturgica il 25 Maggio

 

Il nome “Beda” significa “l’orante, “colui che prega” e quindi ben si addice alla figura del nostro santo che fu un grande uomo di preghiera. La vita di questo santo è semplice e lineare. Nasce nel 672—673 nel territorio del monastero di Jarrow; a circa 7 anni viene affidato, forse perché orfano, all’abate di questo monastero, S. Benedetto Biscop. Beda cresce sotto la guida di santi monaci, ebbe da essi formazione letteraria e religiosa. Fu ammesso per suo volere agli ordini sacri: a 19 anni ricevette il diaconato e a 30 diventò sacerdote. In questo periodo si dedicò allo studio, all’insegnamento e all’apostolato della penna. Durante i suoi 55 anni di vita monastica, Beda non si allontanò mai dal suo monastero. Gli ultimi giorni della vita di Beda ci sono raccontati da un suo discepolo: “Il Santo dottore cadde gravemente malato nella Pasqua del 735. “Quando giunse il martedì prima dell’Ascensione del Signore, Beda cominciò a respirare più affannosamente e gli comparve un po’ di gonfiore nei piedi. Però per tutto quel giorno insegnò e dettò di buon umore. Tra l’altro disse: “Imparate con prontezza, non so fino a quando tirerò avanti e se il Creatore mi prenderà tra poco”. A noi pareva che egli conoscesse bene la sua fine; e così trascorse sveglio la notte nel ringraziamento. Sul far del giorno, cioè il mercoledì, ci ordinò di scrivere con diligenza quanto avevamo cominciato, e così facemmo fino alle nove. Dalle nove poi movemmo in processione con le reliquie dei santi, come richiedeva la consuetudine di quel giorno. Uno di noi però rimase accanto a lui e gli disse: “Maestro amatissimo, manca ancora un capitolo al libro che hai dettato.Ti riesce faticoso essere interrogato?”. Ed egli: “Ma no, facile, disse, prendi la tua penna, temperala e scrivi”. E quello così fece. Alle tre pomeridiane mi disse: “Nel mio piccolo baule ci sono alcune cose preziose, cioè pepe, fazzoletti e incenso. Corri presto e conduci da me i sacerdoti del nostro monastero perché voglio distribuire loro questi piccoli regali che Dio mi ha dato. E in loro presenza parlò a tutti ammonendo ciascuno e scongiurando di celebrare per lui delle Messe e di pregare con insistenza, cosa che quelli volentieri promisero. Piangevano tutti e versavano lacrime soprattutto perché aveva detto di credere che non avrebbero visto più tanto a lungo la sua faccia in questo mondo. Provarono gioia però perché disse: “E’ tempo ormai (se così piace al mio Creatore) di ritornare a Colui che mi ha creato e mi ha fatto dal nulla, quando ancora non esistevo. Ho vissuto molto e il pio Giudice bene ha disposto per me la mia vita; ormai è giunto il momento di sciogliere le vele (2Tim. 4), perché desidero morire ed essere con Cristo (Fil. 1,23); infatti l’anima mia desidera vedere Cristo, mio re, nel suo splendore”. E avendo detto molte altre cose per la nostra edificazione, passò in letizia quel giorno fino a sera. il giovane Wiberth disse ancora: “Caro maestro, ancora una sentenza non è stata trascritta”. Ed egli: “Scrivi, subito”. E dopo un po’ il giovane disse: “Ecco, ora la sentenza e stata scritta”. E lui allora: “Bene, disse, hai detto la verità; tutto è finito. Prendi la mia testa tra le tue mani perché mi piace assai stare seduto di fronte al santo posto, in cui ero solito pregare, perché anch’io, stando seduto, possa invocare il mio Padre”. E così stava sul pavimento della sua cella cantando: “Gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo”. Dopo d’aver nominato lo Spirito Santo, esalò l’ultimo respiro, e per essere stato sempre devotissimo nelle lodi di Dio sulla terra, migrò alle gioie dei desideri celesti.” Lasciava un gran numero di opere scritte sia in prosa che in poesia, tanto in latino quanto in lingua volgare. Tutta l’opera in lingua volgare è andata perduta ma basta un’occhiata alla qualità e quantità dell’opera in latino per rendersi conto della vastità della sua cultura umanistica e religiosa. Si interessò di tutto: abbiamo opere che riguardano grammatica, retorica, aritmetica, geografia, cronologia, astronomia, metereologia, scienze naturali, poesia, storia, esegesi, morale, dogmatica. E’ soprattutto un attento lettore e commentatore della Sacra Scrittura che legge e interpreta attraverso il pensiero dei Padri della Chiesa, cercando di essere semplice e di facile comprensione. Ed è proprio dalla Sacra Scrittura meditata ogni giorno che nasce la santità di Beda: prima di leggerla si purifica, chiede perdono, mentre la legge crea in sé il deserto, da essa la sua anima punta verso Dio non astratto ma concreto e vicino; sovente parla di vita come pellegrinaggio per cui i cristiani per la loro stessa vocazione sono dei “cittadini del cielo in cammino sulla terra verso quella meta”; anche la sua preghiera, specialmente quella liturgica non è che un cominciare a partecipare e pregustare l’eterna liturgia dei cieli.

 

PREGHIAMO CON LA LITURGIA

O Dio, che nel sacerdote e monaco san Beda ci hai dato un insigne maestro di dottrina evangelica, edifica e illumina sempre la tua Chiesa con la sapienza dei padri e la carità dei santi. Per il nostro Signore Gesù Cristo….

 

ANEDDOTO

Domenico Cavalca racconta nella sua storia di S. Beda il venerabile una leggenda: S. Beda era quasi cieco ed un suo assistente per scherzare  lo portò a predicare davanti a un grosso cumulo di pietre facendogli credere che fosse una fola di fedeli. Quando il predicatore si infervorò e dichiarò con forza: "Queste cose che vi dico sono vere", le pietre risposero in coro: "E' veramente così, venerabile padre". Si può proprio dire che la voce della fede commuove anche i cuori di pietra.

 

DAI SUOI SCRITTI

 

STIRPE ELETTA, SACERDOZIO REGALE

Voi siete una stirpe eletta, un sacerdozio regale... (1Pt 2,9). Questa magnifica esaltazione del popolo di Dio, fatta un tempo da Mosé, ora l’apostolo Pietro l’attribuisce giustamente alle nazioni che hanno creduto in Cristo. Egli, come pietra angolare, riunì le genti nella salvezza, che in un primo tempo Israele aveva ricevuto per sé solo. Egli chiama queste nazioni stirpe eletta a motivo della loro fede, per distinguerle da quelle che, rifiutando la pietra viva, si sono condannate da sé. Sacerdozio regale, poi, perché sono unite al corpo di colui che è re supremo e vero sacerdote, il quale come re conferisce ai suoi il regno, e come sacerdote purifica i loro peccati mediante il sacrificio del suo sangue. Li chiama regale sacerdozio perché si ricordino di sperare il regno eterno e di offrire incessantemente a Dio il sacrificio di una vita santa. Sono denominate anche nazione santa e popolo che Dio si è conquista (1Pt 2,9), secondo quanto dice l’apostolo Paolo, commentando la parola del profeta: Il mio giusto, poi, vivrà di fede; ma se viene meno, non porrò in lui la mia compiacenza; noi però, dice, non siamo dalla parte che si sottrae volgendosi alla rovina, ma della schiera dei credenti che vogliono salvarsi l’anima (Eb 10,38-39). E, negli Atti degli apostoli: Lo Spirito Santo vi ha costituiti vescovi per pascere la Chiesa del Signore, che egli si è acquistata col suo proprio sangue (At 20,28). Noi siamo dunque diventati, nel sangue del nostro redentore, popolo di sua conquista, proprio come il popolo di Israele è stato un tempo riscattato dall’Egitto mediante il sangue dell’agnello. Perciò nel versetto che segue ricorda il mistero dell’antica storia e insegna che esso deve trovare il suo compimento nel nuovo popolo di Dio, dicendo: Perché proclamiate le meraviglie di colui che dalle tenebre vi ha chiamati nella sua luce ammirabile (1Pt 2,9). Come, infatti, quelli che furono liberati per mezzo di Mosè dalla schiavitù egiziana innalzarono un canto di trionfo a Dio, dopo il passaggio del Mar Rosso e l’annegamento dell’esercito del faraone, così anche noi, dopo aver ottenuto la remissione dei peccati mediante il battesimo, dobbiamo degnamente rendere grazie per questi benefici divini. Gli egiziani che angariavano il popolo di Dio e il cui nome è interpretato come «tenebre» e «tribolazioni», simboleggiano appunto i peccati che ci perseguitano, ma che sono stati distrutti nel battesimo. Anche la liberazione dei figli di Israele e il cammino verso la patria, da lungo tempo promessa, corrispondono al mistero della nostra redenzione, mediante la quale, illuminati e guidati dalla grazia di Cristo, camminiamo verso la luce della dimora celeste. Questa luce della grazia era prefigurata dalla colonna di nube e di fuoco che protesse gli ebrei dalle tenebre della notte durante tutta la loro marcia e li condusse, attraverso vie straordinarie, alla dimora promessa della loro patria. Beda il Venerabile, Commentò sulla prima lettera di san Pietro, 2

 

LA FEDE DELLA CANANEA

Il Vangelo offre alla nostra considerazione la grande fede, la sapienza, la perseveranza e l’umiltà della Cananea. Questa donna era dotata di una pazienza non comune. Alla sua prima richiesta, il Signore non risponde nulla (Mt 15,23). Ciò nonostante, continua a implorare con insistenza il soccorso della sua bontà... O donna, grande è la tua fede; ti sia fatto come desideri (Mt 15,28). Sì, possiede una grande fede. Pur non conoscendo né gli antichi profeti né i recenti miracoli del Signore, né i suoi comandamenti e le sue promesse, e in più respinta da lui, ella persevera nella sua richiesta, non smette di insistere con colui che la fama gli aveva indicato come il Salvatore. E così la sua preghiera viene esaudita in modo strepitoso. Il Signore le dice: Ti sia fatto come desideri; e in quel momento la figlia della donna guarì. Quando qualcuno ha la coscienza macchiata dall’egoismo, dall’orgoglio, dalla vanagloria, dalla collera, dalla gelosia o da qualche altro vizio, ha, come quella Cananea, una figlia crudelmente tormentata da un demonio (Mt 15,22). Corra perciò a supplicare il Signore di guarirla... e lo faccia con umile sottomissione; non si giudichi degno di partecipare alla sorte delle pecorelle d’Israele, delle anime pure, e si consideri indegno della ricompensa del cielo. La disperazione tuttavia non lo spinga a desistere dalla preghiera, ma abbia una fiducia incrollabile nell’immensa bontà del Signore. Colui che ha potuto trasformare un ladrone in un confessore della fede, un persecutore in apostolo e semplici pietre in figli di Abramo, sarà anche capace di trasformare un cagnolino in una pecorella d’Israele... Vedendo l’ardore della nostra fede e la tenacità della nostra perseveranza nella preghiera, il Signore finirà per aver pietà di noi e ci accorderà quello che desideriamo. Una volta messa da parte l’agitazione dei nostri cattivi sentimenti e sciolti i nodi dei nostri peccati, la serenità di spirito tornerà in noi unitamente alla possibilità di agire correttamente. Se, nell’esempio della Cananea, persevereremo nella preghiera con fede incrollabile, la grazia del nostro Creatore verrà in noi, correggerà in noi tutti gli errori, santificherà tutto ciò che è impuro, pacificherà ogni agitazione. Il Signore infatti è fedele e giusto; egli perdonerà i nostri peccati e ci purificherà da ogni bruttura se grideremo a lui con la voce implorante del nostro cuore.

Beda il Venerabile Omelia, 1,22

 

LA VOCAZIONE DI MATTEO

Gesù vide un uomo chiamato Matteo seduto al banco della gabella e gli disse: «Seguimi» (Mt 9,9). Lo vide non tanto con gli occhi del corpo, quanto con lo sguardo interiore del suo amore... Vide il pubblicano, lo predilesse, lo prescelse e gli disse: «Seguimi»; ossia imitami. Chiedendogli di seguirlo, lo invitava meno a camminare dietro di lui che a vivere come lui; poiché Chi dice di stare in Gesù Cristo deve anche vivere come è vissuto lui (1Gv 2,6)... Matteo si alzò e lo seguì. Nulla di strano che il pubblicano, al primo imperioso invito del Signore, abbia abbandonato la sua avidità di beni terreni e che, trascurando i valori temporali, abbia aderito a Colui ch’egli vedeva libero da ogni ricchezza. Ciò avvenne perché il Signore, che lo chiamava dall’esterno con la sua parola, lo commoveva nei recessi più intimi della sua anima, spandendovi la luce della grazia spirituale perché lo seguisse. E mentre Gesù era a tavola in casa, ecco che molti pubblicani e peccatori vennero a mettersi a tavola con lui e con i suoi discepoli (Mt 9,10). La conversione d’un solo pubblicano spalancò la via della penitenza e del perdono a molti pubblicani e peccatori... Fu davvero un fausto presagio: colui ch’era predestinato a essere in seguito apostolo e dottore tra i pagani, trascina dietro a sé, con la sua conversione, i peccatori nel sentiero di salvezza; e questo ministero della buona novella ch’egli avrebbe dovuto assumere solo dopo aver progredito nella virtù, lo intraprende sin dai primi momenti della sua fede. Cerchiamo di comprendere più profondamente l’avvenimento riferito. Matteo non ha offerto al Signore solo un ristoro corporale nella sua dimora terrena, ma gli ha preparato un convito nel suo cuore con la sua fede e il suo amore, come ne dà testimonianza Colui che ha detto: Ecco ch’io sto alla porta e busso: se uno sente la mia voce e mi apre, io entrerò da lui e cenerò con lui e lui con me (Ap 3,20). Sì, il Signore sta alla porta e bussa allorché rende il nostro cuore intento alla sua volontà, sia mediante la voce di chi insegna, sia con un’ispirazione interiore. Noi schiudiamo la porta all’invito della sua voce allorché diamo il nostro libero consenso ai suoi avvertimenti interiori o esteriori e quando mettiamo in atto ciò che abbiamo capito di dover fare. Ed egli entra per ristorarsi, lui con noi e noi con lui, perché egli dimora nel cuore degli eletti, con la grazia del suo amore, per nutrirli incessantemente con la luce della sua presenza, affinché essi elevino progressivamente le loro aspirazioni e perché egli stesso si ristori con il loro zelo per il cielo, come fosse il cibo più delizioso.

Beda il Venerabile, Omelia sui vangeli, 1,21

 

LA PACE DEL CUORE, PEGNO DEL RIPOSO ETERNO         

Lo Spirito Santo darà ai giusti la pace perfetta nell’eternità. Ma fin da ora, dona loro una pace grandissima quando accende nei loro cuori il fuoco celeste della carità. Infatti l’Apostolo dice: La speranza non inganna, perché l’amore di Dio è stato diffuso in abbondanza nei nostri cuori dallo Spirito Santo che ci è stato dato (Rm 5,5). La vera, o meglio, la sola pace delle anime su questa terra consiste nell’essere ripieni dell’amore divino e animati dalla speranza del cielo, tanto da arrivare a considerare come poca cosa i successi o le disgrazie di questo mondo, a spogliarsi completamente dei desideri terreni, a rinunciare alle bramosie del mondo e a rallegrarsi delle ingiurie e delle persecuzioni subite per Cristo, così che si può dire con l’Apostolo: Noi ci gloriamo nella speranza della gloria di Dio. Non solo, ma ci gloriamo pure delle tribolazioni (Rm 5,2-3). E’ in errore colui che crede di poter trovare la pace nel godimento dei beni della terra e nella ricchezza. Le frequenti tribolazioni di quaggiù e la fine stessa di questo mondo dovrebbero renderlo consapevole d’aver posto le fondamenta della sua pace nella sabbia. Al contrario, tutti coloro che, toccati dal soffio dello Spirito Santo, hanno preso su di sé il giogo soavissimo dell’amore di Dio, e che, seguendo il suo esempio, hanno imparato ad essere dolci e umili di cuore, godono fin d’ora di una pace che è già l’immagine del riposo eterno. Separati, nel profondo del loro cuore, dalla frenesia degli uomini, essi hanno la gioia di riconoscere ovunque il volto del loro creatore, e hanno sete di raggiungere la sua perfetta contemplazione, dicendo con l’apostolo Giovanni: «Noi sappiamo che quando ciò verrà manifestato, saremo simili a lui, perché lo vedremo quale egli è» (1Gv 3,2). Se desideriamo giungere alla ricompensa di questa visione, noi dobbiamo costantemente richiamarci alla memoria il santo Evangelo e mostrarci insensibili alle seduzioni mondane. In tal modo, noi diverremo degni di ricevere la grazia dello Spirito Santo che il mondo non è capace di accogliere. Amiamo il Cristo e osserviamo con perseveranza i suoi comandamenti che abbiamo cominciato a seguire. Più lo ameremo, più ci meriteremo di essere amati dal Padre, ed egli stesso ci accorderà la grazia del suo amore immenso nell’eternità. Ora, ci concede di credere e di sperare; allora noi lo vedremo faccia a faccia e si manifesterà a noi nella gloria che già aveva presso il Padre prima che il mondo fosse.

Beda il Venerabile, Omelia 12 (per la vigilia di Pentecoste)

 

UN PASSERO NELLA SALA

Un capo tribù dell’antica Inghilterra narrò al re Edvino questa parabola per mostrargli che era conveniente convertirsi al cristianesimo. «O re, se io paragono la vita al mistero che la circonda, la vedo così. Tu siedi d’inverno a mensa con il tuo seguito. Nella sala arde un bel fuoco, mentre fuori la pioggia e il nevischio imperversano. Improvvisamente un passero spaurito vola dentro e at­traversa rapidamente la sala. Fintantoché è nella sala, quella bestiola gode luce e calore; ma in un attimo essa sparisce e ritorna nell’inverno, donde è venuta. Così avviene per la vita degli uomini. La vita è un volo: il mistero l’avvolge prima e poi. Se il cristianesimo ci procura una certezza su questo mistero, io penso sia bene seguirlo ».

(S. BEDA, Storia ecclesiastica, 2, 5-13)

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