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GIUSTINO  -  Santo, Filosofo, Martire

                  

Memoria liturgica al 1° Giugno

 

 

Giustino nacque nei primi anni del secolo II a Flavia Neapolis (antica Sichem), nella Siria Palestinese (l’antica Samaria). Suo padre, Prisco, era probabilmente, di origine latina; la famiglia era pagana. Non sembra che Giustino abbia conosciuto bene la cultura e la religione samaritana e giudea, perché la vita dei cittadini di Flavia Neapolis, non offriva molte occasioni di contatto con il popolo giudaico. Si formò culturalmente in ambiente greco e dai suoi scritti risulta ch’egli aveva una preparazione molto vasta (conosceva la retorica, la poesia, la storia e, particolarmente la filosofia). I problemi filosofici attirarono presto la sua attenzione. La sua ricerca filosofica della verità guidò Giustino verso Cristo: egli stesso ci offre una descrizione del suo lungo e difficile itinerario filosofico verso il Cristianesimo attraverso lo storicismo, la filosofia peripatetica e quella pitagorica. Finalmente la filosofia platonica gli offrì una certa soddisfazione perché orientava la sua vita verso la contemplazione di Dio. Dopo una breve iniziazione in questo sistema filosofico, Giustino si ritirò in un luogo solitario, sperando di trovare, nel silenzio e nella solitudine, la vera felicità e la sapienza. La soluzione però non gli venne dal platonismo, ma da un misterioso vegliardo, incontrato durante una passeggiata, il quale gli confidò che la perfetta sapienza non si trova nei libri dei platonici, ma nei testi dei Profeti, ed è il Cristo che come il Verbo incarnato offre agli uomini la perfetta salvezza e la felicità. “Queste cose, racconta Giustino e molte altre mi disse quel vecchio, ma non è questo il momento di riportarle. Poi se ne andò, raccomandandomi di pensarci su. Non lo rividi più; ma la mia anima fu come illuminata a giorno da un fuoco improvviso. Mi trovai innamorato dei profeti e delle persone amiche del Cristo. Pensai e ripensai a tutte quelle parole e capii: capii che questa era la sola, vera e utile filosofia. Ecco com’è e come mai sono filosofo. Vorrei anzi che tutti provassero quello che sento io, e che non si allontanassero dalla dottrina del Salvatore”. Giustino cominciò allora a leggere i libri sacri e trovando in essi la risposta definitiva al suo desiderio di salvezza, si lasciò battezzare. Non conosciamo l’anno e il luogo del suo Battesimo; si suppone che sia avvenuto a Efeso verso l’anno 130. Probabilmente la descrizione del suo itinerario spirituale, narrato nel Dialogo con Trifone, è una costruzione letteraria, piuttosto che una fedele riproduzione della verità storica; in ogni caso, però, essa ci manifesta un aspetto fondamentale della vita e del carattere di Giustino: la sete, la profonda e sincera ricerca della verità e la lealtà del suo cuore disposto a sacrificare per essa ogni cosa. Prima del Battesimo, egli cerca dappertutto con tutto lo slancio della sua nobile anima; dopo dedica la sua vita alla predicazione della verità e la sua morte, infine, ne costituisce la testimonianza più bella. Giustino è arrivato al Cristianesimo attraverso la ricerca filosofica del vero e da cristiano è rimasto filosofo di Cristo. Non si può parlare di una sua conversione nel senso che generalmente si dà a questo termine: accettare il Cristianesimo non significò, per lui, rinnegare il passato, ma concludere felicemente il suo lungo itinerario verso la verità e ricevere una risposta integrale, completa e soddisfacente al suo desiderio di salvezza e di felicità. Il Cristianesimo è, per lui, la sola vera filosofia. Anche dopo il Battesimo, Giustino manifesta la sua stima verso le diverse dottrine filosofiche, perché vede tracce della sapienza cristiana anche nella dottrina di Socrate e di Eraclito, e presenta Socrate come un profeta del Verbo divino. Accettare la dottrina di Cristo significa quindi completare, integrare e concludere la ricerca della sapienza. Giustino però confessa che la sapienza di Cristo non costituì per lui l’unico motivo per accettare il Cristianesimo. Giustino era stato scosso dalla testimonianza dei martiri. “Stavo ancora approfondendomi nella dottrina di Platone quando venni a conoscenza delle accuse lanciate contro i cristiani. Ma vedendoli così intrepidi di fronte alla morte e ai patimenti, cose che ogni altro mettono i brividi, pensavo tra me non era possibile che persone del genere vivessero nel male e nell’attaccamento ai piaceri. In verità, datemi un uomo lussurioso, sfrenato, che mangi avidamente carne umana, il quale voglia poi affrontare la morte privandosi di questi piaceri. Non cercherebbe piuttosto di godersi la vita di quaggiù e di sottrarsi ai magistrati, anziché offrirsi alla morte denunciandosi da solo?...”. Giustino dedicò la sua vita alla diffusione della sapienza di Cristo, particolarmente tra le classi intellettualmente più preparate. Giustino, però, non limita il suo insegnamento a piccoli gruppi di fedeli e di catecumeni, ma rivolgendosi a tutti coloro che cercano sinceramente la verità, diffonde, con l’insegnamento e con gli scritti, la conoscenza della dottrina cristiana e difende il Cristianesimo contro le critiche dei giudei e della filosofia greca. Anche dopo il Battesimo, egli vestì il mantello dei filosofi, visitò i principali centri culturali dell’impero, fondò una scuola sul modello delle q scuole filosofiche ed insegno a “tutti quelli che venivano”. Verso l’anno 135 ad Efeso s’incontrò con un rabbino e lo scambio di idee avuto con questo interprete giudaico della S. Scrittura, è narrato vent’anni più tardi, nel Dialogo con l’ebreo Trifone. Sembra però che il suo contatto con il giudaismo non sia stato molto frequente; preferiva l’ambiente della filosofia greca che gli era molto più familiare. La morte di Giustino, come la sua vita, è una splendida testimonianza alla verità e fu probabilmente la conseguenza del conflitto avuto con il filosofo cinico Crescente. Nella Il Apologia, egli parla degli intrighi di costui che imputava ai cristiani  le solite accuse correnti nel mondo romano, specialmente quella di ateismo, creando a Roma una situazione molto pericolosa per quanti si professassero discepoli di Cristo. Reagendo alle false accuse di Crescente con la pubblicazione della sua Il Apologia, indirizzata al senato romano, Giustino rivelò di aver avuto delle pubbliche dispute con Crescente e di averlo confuso dimostrandogli che le sue asserzioni erano vere e proprie calunnie. Crescente, però, non si arrese e denunciò il suo avversario alle autorità. Giustino fu messo in prigione, insieme con alcuni discepoli. Non conosciamo con esattezza l’anno della sua morte, ma generalmente si suppone che sia il 165, sotto l’imperatore Marco Aurelio. La vita di questo filosofo degli inizi dell’era cristiana ci può far riflettere soprattutto sulla necessità, per incontrare la luce e la vera sapienza di cercarle ove esse si trovano realmente, cioè nella Parola di Dio espressa nella Bibbia. Tanta gente che oggi si definisce in ricerca trascura spesso senza volerlo questa via indispensabile. Se non possiamo svolgere nei loro confronti il ruolo del vecchio di Efeso, possiamo almeno pregare per loro, affinché incontrino al più presto Colui che costituisce lo scopo della loro ricerca.

 

 

GIUSTO, GIUSTINIANO, GIUSTINO

L'origine del nome è latina da Justinianus che a sua volta deriva da Justus  (jus= diritto + sto= ci sto: io sono nel diritto) cioè: uomo giusto, onesto. Il nome ricorda l'imperatore Giustiniano (482-565) che fece grandi opere e riorganizzò il diritto romano. Sono anche molti i santi che portano questi tre nomi: Giusto, Giustino, Giustiniano. Oggi il nome è molto meno usato che nel passato.

 

 

LA RAGIONE CRISTIANA

Giustino, grande filosofo cristiano del II secolo, era nato a Nablus, in Samaria.

Nel 163 d.C., sotto l’imperatore Marco Aurelio, viene arrestato a Roma con altri cristiani, perché nella sua scuola faceva meravigliosa propaganda per il cristianesimo. Ecco le principali battute del dialogo tra lui e il prefetto Rustico, durante il processo.

Rustico: Quale dottrina professi?

Giustino: Per tutta la vita sono andato in cerca della verità. Ho studiato profondamente tutte le filosofie orientali, greche e romane; ma finalmente mi sono incontrato con la dottrina vera!

Rustico: E qual è questa dottrina vera?

Giustino: Quella di Gesù di Nazareth: liberarci cioè dagli idoli vani e adorare l’unico Dio vivo e vero: creatore del cielo e della terra, salvatore dell’umanità.

Rustico: Sei dunque cristiano?

Giustino: SI, lo sono e me ne glorio e con me questi miei amici.

Allora il prefetto, corrucciato, comandò:

Riunitevi qui tutti insieme: prestate ossequio divino all’imperatore e sacrificate agli dei, altrimenti sarete condannati a morte, come atei! Per tutti rispose Giustino: Noi rifiutiamo sì l’idolatria; ma per questo non siamo atei: adoriamo un Dio spirituale, Padre di Gesù! Nessuno che sia sano di mente passerà dalla religione vera a quella falsa! Quando il prefetto ordinò che fossero torturati, tutti risposero: Fa’ pure quello che vuoi: noi siamo cristiani e rimarremo tali ad ogni costo. Piuttosto la morte, che sacrificare agli idoli falsi! Allora il prefetto di Roma pronunziò la sentenza: « Giustino di Nablus di Samaria e quanti con lui non hanno voluto sacrificare agli dei e prestare ossequio divino a Marco Aurelio Imperatore, a norma della legge romana, siano flagellati e decapitati! ». Così Giustino e compagni firmarono con il sangue la loro professione di fede cristiana.

 

 

DAGLI SCRITTI DI GIUSTINO

Il valore del segno della croce . Ponete mente difatti a tutte le cose che sono al mondo e vedete se, senza questa figura, si possano costruire e combinarsi. Il mare, ad esempio, non si fende se questo trofeo, sotto il nome di vela, non stia intero sulla nave; la terra non si ara senza di esso; gli zappatori e i meccanici non compiono il lavoro se non mediante arnesi fatti a questa foggia. La forma umana poi per nessun’altra caratteristica si distingue da quella degli animali irragionevoli, che per essere eretta e possedere l’estensibilità delle mani e presentare sul volto il naso, per il quale si compie la respirazione vitale, così disposto sotto la fronte da formare appunto una croce. Per bocca del Profeta fu detto: Il respiro della nostra faccia è Cristo Signore (Lam 4,20). E ad attestare la potenza di queste figure stanno i vostri stessi emblemi, cioè i vessilli e i trofei, con i quali voi sempre marciate, ostentando, anche se ciò facciate senza porvi mente, in essi appunto il segno del dominio e del potere. E i simulacri, che innalzate, dei vostri Imperatori morti, con iscrizioni che li deificano, non hanno anch’essi questa foggia? E ora che abbiamo cercato, per quanto era in noi, di convincervi, sia con ragionamenti, sia mostrandovi il valore di questo segno, ci sentiamo esonerati d’ogni responsabilità, se voi restate increduli.

Giustino, Prima apologia, 55

 

 

La conversione di un filosofo

Mi sentivo totalmente attratto dal desiderio di comprendere le cose immateriali. La contemplazione delle idee platoniche dava ali al mio pensiero. Ritenevo di essere diventato in poco tempo un saggio e, nella mia sufficienza, speravo di vedere Dio subito, perché tale è infatti l’obiettivo della filosofia di Platone. In questo stato d’animo, presi un giorno la risoluzione di saziarmi di solitudine lontano dal consorzio umano, e partii per una località situata in prossimità del mare. Mi stavo avvicinando a questo luogo in cui contavo di trovarmi solo, quando un vegliardo dall’aspetto venerabile e dall’incedere dolce ma al tempo stesso solenne, si mise a seguirmi a poca distanza. Mi girai verso di lui e mi fermai per rendermi conto chi in realtà egli fosse e che cosa mai volesse. «Mi conosci?» egli mi disse. Io risposi di no... «Sono preoccupato per i miei familiari. Essi mi hanno lasciato per andare all’estero, e vengo a vedere se per caso non stiano per rifarsi vivi da un momento all’altro, da qualche parte. E tu, che ti ha condotto qui?». «A me piace - risposi - andarmene in giro in questo modo, perché così posso, senza impedimento alcuno, dialogare con me stesso; e questi luoghi sono assai adatti alla meditazione filosofica». «E' dunque il ragionamento - riprese il vegliardo e non tanto l’azione e la verità che ti attirano? E pensi di più alla speculazione che non all’azione?». Gli replicai: «E' possibile realizzare un bene più grande di quello di dimostrare che la ragione governa ogni cosa? Se noi la abbracciamo e ci lasciamo trasportare da essa, riusciamo a renderci conto del genere di vita degli altri, dei loro errori, accorgendoci che non fanno nulla di sensato e di gradito a Dio...». «Allora la filosofia dà la felicità?» chiese il vegliardo. «Certamente - risposi - ed essa sola...». «Come è dunque - disse allora - che i filosofi possono farsi un’idea esatta di Dio o parlare di lui con qualche verità, quando non lo conoscono, non avendolo mai visto né mai udito?». «Ma, padre, - risposi - la divinità non è visibile ai nostri occhi come lo sono gli altri esseri viventi; essa è accessibile unicamente alla sola intelligenza, come dice Platone; e io ne condivido l’idea... A quale maestro si potrebbe dunque ricorrere, e dove trovare l’aiuto, se neppure i filosofi non possedessero la verità?». «Vi sono stati, molto tempo fa - continuò il vegliardo - degli uomini più antichi di tutti questi filosofi, degli uomini beati, giusti e amici di Dio. Essi parlavano ispirati dallo Spirito di Dio e predicevano un futuro che ora si è avverato. Essi vengono chiamati: i profeti. Essi soli hanno visto la verità e l’hanno annunciata agli uomini... Hanno glorificato Iddio Padre, creatore dell’universo, e hanno annunciato colui che Dio ha inviato sulla terra: Cristo, suo Figlio... E tu, prima di ogni altra cosa, prega perché le porte della luce ti siano aperte, in quanto nessuno può vedere né capire, se Dio o il Figlio suo non gliene danno la capacità». Dopo avermi detto tutte queste cose e molte altre ancora, di cui non è il momento ora di parlare, il vecchio se ne andò, raccomandandomi di far sì che il mio spirito vi riflettesse. Non l’ho mai più rivisto. Ma, improvvisamente, un fuoco si accese nella mia anima. Fui preso d’amore per i profeti, per quegli uomini che sono amici di Cristo. Riflettendo sulle parole del vegliardo, riconobbi che quella era la sola filosofia sicura e vantaggiosa.

  Giustino, Dialogo con Trifone, 2-4.7-8

 

Confutazione del fatalismo

Siccome qualcuno dall’esposizione da noi premessa potrebbe argomentare che noi affermiamo la fatalità ineluttabile degli eventi che si vanno compiendo, per il fatto stesso d’esser state predette cose precognite, scioglieremo anche questo errore. A ciascuno saranno assegnate pene, tormenti, premi a seconda delle sue opere: questo l’abbiamo appreso dai profeti e ne proviamo la verità. Infatti se così non fosse, se ogni atto si compisse per fatalità, si distruggerebbe il libero arbitrio. Se fosse predestinato uno ad essere buono, l’altro malvagio, né quegli meriterebbe lode, né questi biasimo. E, d’altra parte, se l’umano genere non ha facoltà di fuggire per libera scelta il male e abbracciare il bene, non può essere imputato di qualsiasi azione da esso compiuta. Ma noi dimostriamo che esso per spontanea determinazione tende al bene o al male. Vediamo infatti il medesimo uomo trascorrere da un eccesso all’altro; mentre se fosse predestinato ad essere o perverso o retto non sarebbe mai accessibile a inclinazioni contrarie né muterebbe frequentemente; né ci sarebbe il buono o il malvagio, giacché si dovrebbe riferire la responsabilità tanto del bene quanto del male al fato, che risulterebbe così contraddittorio, o ammettere per vera la teoria accennata secondo cui il bene e il male non sono nulla, e le definizioni di buono o cattivo del tutto convenzionali: e questa, come la sana ragione dimostra, è empietà e iniquità ripugnante. Per noi invece il destino sta in questo, che a chi sceglie il bene è riservato un degno premio, a chi il male un debito castigo. Dio fece l’uomo diversamente dagli altri esseri, come alberi e quadrupedi che non posseggono la capacità di operare a proprio talento. Esso non meriterebbe né ricompensa né lode se, incapace a scegliere da se stesso il bene, vi fosse costretto da natura; né se fosse perverso sarebbe giusto il punirlo, non essendo tale per proprio arbitrio, anzi non potendo essere diverso da quel che è... Ordunque, affermando la predizione del futuro, non diciamo che esso si attui per fatalità; anzi, siccome Dio preconosce le azioni di tutti gli uomini, e ha decretato di compensare ciascuno a seconda dei propri atti, e di punire in misura delle offese contro di lui, appunto mediante lo spirito profetico egli predice, per indurre l’umanità a comprendere e ricordare sempre, mostrando così d’interessarsi e provvedere ad essa.

  Giustino martire, Prima apologia, 43-44

 

 

Il battesimo nel II secolo

A quanti si siano convinti e credano alla verità degli insegnamenti da noi esposti, e promettano di vivere secondo queste massime, viene insegnato a pregare e chiedere con digiuni a Dio la remissione dei peccati commessi; e con loro preghiamo e digiuniamo anche noi. Quindi sono condotti da noi nel luogo dov’è l’acqua e rigenerati nella stessa maniera onde fummo rigenerati noi stessi: nel nome del Padre di tutti e Signore Iddio, del Salvatore nostro Gesù Cristo e dello Spirito Santo, compiono allora il lavacro nell’acqua (cf. Mt 28,19). Giacché Cristo ha detto: Se non sarete rigenerati non entrerete nel regno dei cieli (Gv 3,3). Ora è chiaro a ognuno, che è impossibile, una volta nati, rientrare nel seno materno. Il profeta Isaia spiega, come sopra scrivemmo, in qual maniera si sottrarrà ai peccati chi si penta. Dice: Lavatevi, fatevi puri, togliete il male dalle anime vostre; imparate a operare il bene; difendete l’orfano e rendete giustizia alla vedova. Venite allora e ragioniamo, dice il Signore. Se pur siano i vostri peccati come porpora, al pari di lana li schiarirò; e se siano come cremisi, al pari di neve li sbiancherò. Ma se non mi ascolterete una spada vi divorerà. Queste cose parlò la bocca del Signore (Is 1,16-20). Ed è questa la ragione che ne insegnarono gli apostoli. Dal momento che, senza coscienza della prima nostra generazione, per la legge di necessità nasciamo da umido seme, mediante l’amplesso dei genitori, e siamo procreati con istinti pravi e inclinazioni perverse; onde non restiamo figli di necessità e d’ignoranza, ma di elezione e di scienza, e otteniamo la remissione dei peccati prima commessi, si invoca nell’acqua, su colui che ha deliberato di rigenerarsi e s’è pentito dei peccati, il nome di Dio Padre e Signore universale: e questo solo si proferisce nel condurlo al lavacro per l’abluzione, poiché nessuno è in grado di dare un nome al Dio inesprimibile, e solo un folle incurabile ardirebbe sostenere che ve ne sia. Tale lavacro è denominato illuminazione, perché chi accoglie queste dottrine, è illuminato nello spirito. Nel nome inoltre di Gesù Cristo crocifisso sotto Ponzio Pilato e dello Spirito Santo, che per mezzo dei profeti predisse tutti gli eventi relativi a Gesù, riceve l’abluzione l’illuminato.

  Giustino, Prima Apologia, 61

 

La celebrazione eucaristica della comunità primitiva

Ordunque noi, dopo avere così lavato chi crede e ha aderito, lo conduciamo nell’adunanza dei fratelli, come noi ci chiamiamo, onde pregare in comune fervidamente per noi, per l’illuminato e per tutti gli altri, ovunque siano; per meritare, dopo aver appresa la verità, di riuscire buoni nelle opere della vita, osservanti dei precetti e conseguire così la salvezza eterna. Cessate le preghiere ci abbracciamo con scambievole bacio. Quindi viene recato al preposto dei fratelli un pane e una coppa d’acqua e vino temperato; egli li prende e loda e glorifica il Padre di tutti per il nome del Figlio e dello Spirito Santo; indi fa un lungo ringraziamento [in greco “eucaristia”], per averci fatti meritevoli di questi doni. Terminate le preghiere e il ringraziamento eucaristico, tutto il popolo presente acclama: «Amen!». Amen in lingua ebraica vuol dire «sia». Quando il preposto ha rese le grazie e tutto il popolo in coro ha risposto, quelli che noi chiamiamo diaconi distribuiscono a ciascuno dei presenti il pane, il vino e l’acqua consacrati, e ne portano agli assenti. Questo alimento noi lo chiamiamo eucaristia, e non è dato parteciparne se non a chi crede veri gli insegnamenti nostri, ha ricevuto il lavacro per la remissione dei peccati e la rigenerazione e vive secondo le norme di Cristo. Poiché noi non lo prendiamo come un pane comune e una comune bevanda; ma come Gesù Cristo salvatore nostro, incarnatosi per la parola di Dio, prese carne e sangue per la nostra salvezza, così il nutrimento consacrato con la preghiera di ringraziamento formata dalle parole di Cristo e di cui si nutrono per assimilazione il sangue e le carni nostre, è, secondo la nostra dottrina, carne e sangue di Gesù incarnato. Gli apostoli difatti nelle loro Memorie, dette Evangeli, tramandarono che Gesù Cristo lasciò loro tale legato: preso un pane e rese grazie egli disse loro: Fate ciò in memoria di me; questo è il mio corpo (Lc 22,19-20; 1Cor 11,23-25; Mt 25,28); e preso similmente il calice e rese grazie, disse: Questo è il mio sangue; e a loro soli li offerse. Ora i funesti demoni ricopiarono un tale atto, introducendolo anche nei misteri di Mitra. Difatti nei riti dell’iniziazione con certe formule pongono innanzi un pane e un calice d’acqua e pronunziano delle frasi, come voi sapete o potete informarvi. Da allora sempre rinnoviamo tra noi la memoria di queste cose; e quelli dei nostri che posseggono, soccorrono gli indigenti tutti, e conviviamo sempre uniti. E in tutte le nostre offerte benediciamo il Fattore dell’universo per il Figlio suo Gesù Cristo e per lo Spirito Santo. E nel giorno chiamato del Sole ci raccogliamo in uno stesso luogo, dalla città e dalla campagna, e si fa la lettura delle Memorie degli apostoli e degli scritti dei profeti, sin che il tempo lo permette. Quando il lettore ha terminato, il preposto tiene un discorso per ammonire ed esortare all’imitazione di questi buoni esempi. Di poi tutti insieme ci leviamo e innalziamo preghiere; indi, cessate le preci, si reca, come si è detto, pane e vino e acqua; e il capo della comunità nella stessa maniera eleva preghiere e ringraziamenti con tutte le sue forze, e il popolo acclama, dicendo: «Amen!». Quindi si fa la distribuzione e la spartizione a ciascuno degli alimenti consacrati e se ne manda per mezzo dei diaconi anche ai non presenti. I facoltosi e volonterosi spontaneamente danno ciò che vogliono e il raccolto è consegnato al capo, il quale ne sovviene gli orfani, le vedove, i bisognosi per malattie o altro, i detenuti e i forestieri capitati; egli soccorre, in una parola, chiunque si trovi in bisogno.

Ci aduniamo tutti dunque il giorno del Sole, perché è il primo giorno in cui Dio, cangiate tenebre e materia, plasmò il mondo, e in cui Gesù Cristo, Salvatore nostro, risorse dai morti.  (Giustino, Prima Apologia, 65-67)                                                      

 

La fede nella risurrezione della carne

E a pensarci bene, che cosa potrebbe apparirci più incredibile, se noi non avessimo il corpo, del sentirci dire, che da una piccola stilla dell’umano sperma possano derivare ossa e nervi e carni formate all’immagine che vediamo? Se, in via d'ipotesi, voi non esisteste così fatti né così generati, e uno vi assicurasse categoricamente, mostrandovi da una parte il seme umano e dall’altra una immagine dipinta, che questa può essere prodotta da quello, se non vedeste in atto la cosa, la credereste? No; nessuno ardirebbe contestarlo! Orbene, è per la stessa ragione che, per non averlo ancora visto, non credete al risorgere dei morti. Sennonché, come al principio non avreste creduto possibile che da una piccola stilla originassero creature siffatte e pure le vedete prodotte così dovete ammettere la non impossibilità che i corpi umani andati in dissoluzione e scompostisi a guisa di semi sulla terra, al loro tempo, per ordine di Dio, risorgano e si vestano dell’incorruttibilità (cf. 1Cor 15,53). Di qual possanza degna di Dio intenda, chi afferma il ritorno degli esseri allo stato da cui sorsero e l’impotenza di Dio stesso a trascendere questa legge, non sapremo stabilire; ma questo rileviamo, che costui non avrebbe creduto potersi mai generare esseri, e da tali elementi simili a se stesso e al mondo tutto quale egli lo vede. Meglio credere perciò in cose impossibili agli uomini e alla natura, anziché non credervi al pari degli altri; ricordando l’insegnamento del nostro maestro Gesù Cristo: L’impossibile presso gli uomini è possibile presso Dio (Mt 19,26).

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