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S. EFREM

  Diacono e dottore della Chiesa  -  Memoria liturgica al 9 Giugno

 

Efrem nacque a Nisibi (Mesopotamia) verso il 306. Sua madre era cristiana, mentre il padre che era pagano cacciò il figlio da casa quando apprese che era cristiano. Passò la maggior parte della sua vita a Nisibi, dove esercitò il ministero di diacono, avendo per umiltà rifiutato di diventare sacerdote, insegnando, predicando (discorsi ritmici o in prosa) e scrivendo. Lottò con vigore contro le eresie del suo tempo. Nel 367 si ritirò a Edessa dove operò con la parola e organizzando la carità. Pur essendo fondamentalmente un eremita fu anche una persona di azione. Il suo programma di vita fu proprio quello di unire la vita contemplativa con quella apostolica. Nel 372, in occasione d’una carestia che si abbattè su Edessa. Efrem fu incaricato come diacono di organizzare i soccorsi nella città. Morì un anno dopo, il 9 Giugno 373. Ci rimangono nei suoi “Discorsi” alcune bellissime preghiere. Con S. Efrem lodiamo e ringraziamo Dio per il suo disegno spirituale: “Fa risplendere, o Signore, il giorno luminoso della tua scienza e scaccia la notte tenebrosa dalla nostra mente, perché sia illuminata e ti serva nella purezza. Il sorgere del sole segna l’inizio dell’attività dei mortali. Fa, o Signore, che perduri nelle nostre menti il giorno che non conosce la fine. Donaci di vedere in noi stessi la vita della risurrezione e fa’ che nulla distolga il nostro spirito dalle tue gioie. Imprimi in noi, o Signore, il segno di questo giorno che non trae inizio dal sole, infondendoci una costante ricerca di te. Ogni giorno noi ti accogliamo nei tuoi sacramenti e ti riceviamo nel nostro cuore. Facci degni di sperimentare nella nostra persona la risurrezione che speriamo. Con la grazia del battesimo abbiamo nascosto nel nostro essere il tuo tesoro, quel tesoro che si accresce alla mensa dei tuoi sacramenti. Concedici di gioire della tua grazia. Noi possediamo in noi stessi il tuo memoriale che attingiamo alla tua mensa spirituale. Fa’ che lo realizziamo pienamente nella rinascita eterna. Quella bellezza spirituale che la tua immortale volontà suscita anche nella condizione umana, ci faccia comprendere quanto sia grande la nostra dignità. La tua crocifissione, o nostro Salvatore, pose fine alla vita del corpo. Concedici di crocifiggere spiritualmente la nostra anima. La tua risurrezione, o Gesù, faccia crescere in noi l’uomo spirituale. Il contatto con i tuoi misteri sia per noi come uno specchio che ce lo faccia conoscere. Nel tuo piano divino, o nostro Salvatore, è configurato tutto il mondo della nostra salvezza. Concedici di seguirlo come uomini spirituali. Non privare, o Signore, la nostra mente della tua rivelazione divina e non togliere alle nostre membra il calore della tua comprensione. La natura mortale del nostro corpo ci conduce alla morte. Riversa su di noi il tuo amore divino, che cancelli dal nostro cuore gli effetti della mortalità. Concedici, o Signore, di affrettarci verso la nostra patria celeste e, come Mosè sul Sinai, fa’ che la possediamo per mezzo della tua rivelazione.

 

 

PREGHIAMO CON LA LITURGIA

Dona, Signore, alla comunità dei credenti il fuoco del tuo Santo Spirito che ispirò San Efrem, diacono e cantore della tua gloria, a celebrare con inni mirabili i tuoi divini misteri. Per il nostro Signore

 

 

PICCOLA ANTOLOGIA DAGLI SCRITTI DI SAN EFREM

 

Basta la fede

Il mare è grande. Se vuoi scandagliarlo, verrai travolto dall’impeto delle sue onde. Un’onda sola può strapparti via e sbatterti contro uno scoglio. Ti basti, o debole uomo, poter dedicarti ai tuoi commerci su una piccola nave. Ma la fede è meglio, per te, che una nave sul mare. Questa infatti è retta dai remi, tuttavia i flutti la possono far affondare; ma la tua fede non affonda mai, se la tua volontà non lo vuole. Come sarebbe desiderabile per il marinaio regolar il mare a proprio volere! Ma in un modo egli la pensa, e in altro modo agisce l’onda. Solo nostro Signore dominò il mare, tanto che quello tacque e si placò. Ma egli ha dato anche a te il potere di dominare, come lui, un mare, e di rabbonirlo. L’investigare è più amaro del mare, e il questionare è più tempestoso delle onde. Se si abbatte sul tuo spirito il vento della cavillosità, dominala, e appiana le sue onde! Come la burrasca mette sossopra il mare, così i cavilli conturbano il tuo spirito. Nostro Signore domina, il vento cessa e la nave scivola in pace sulle onde. Domina lo spirito capzioso, raffrenalo, e la tua fede sarà in pace. A ciò dovrebbero indurti anche le creature di cui conosci l’uso. Per esempio, tu non sei in grado di chiarire le sorgenti, pur tuttavia non smetti di bere da loro. E per il fatto poi di aver da loro bevuto, tu non pensi certo di averle comprese. Anche di comprendere il sole tu non sei in grado, pur tuttavia non ti sottrai alla sua luce. E per il fatto che questa scende a te (con i suoi raggi) tu non ti cimenti certo di salire verso la sua altezza. L’aria è per te un pegno, ma quanto essa sia estesa, tu non lo sai. Dalle creature tu ricevi un aiuto e un’utilità limitati, e tuttavia lasci che il loro tesoro sconosciuto giaccia nel forziere. Non ti vergogni di ciò che è da meno, e non desideri ciò che è da più. Queste opere del Creatore, dunque, ti insegnano come comportarti col Creatore stesso: che devi, cioè, cercare il suo aiuto, ma devi anche tenerti lontano dal sofisticare sopra di lui. Accogli la vita dalla Maestà, ma non questionare su questa Maestà. Ama la bontà del Padre, ma non indagare la sua essenza. Ama e apprezza la mitezza del Figlio, ma non investigare sulla sua generazione. Ama il soffio dello Spirito Santo, ma non tentare di scandagliarlo. Il Padre, il Figlio, e lo Spirito Santo si sono manifestati col loro nome. Il loro nome pondera, dunque, ma non indagarne le personalità. Se tu vuoi perscrutarne l’essenza, sei perduto; se credi nei nomi, vivrai. Il nome del Padre sia per te una barriera: non oltrepassarla, cercando di scandagliare la sua natura. Il nome del Figlio sia per te una muraglia: non superarla, cercando di scandagliare la sua generazione. Il nome dello Spirito Santo sia per te una siepe: non scervellarti per comprenderlo. Questi nomi siano dunque per te la barriera e con questi nomi allontana ogni investigazione. Hai udito i nomi e la loro realtà: volgiti ai comandamenti. Hai udito la legge e i comandamenti: rivolgiti allora ai tuoi costumi. E quando i tuoi costumi sono perfetti, rivolgiti alle promesse. Non trascurare i comandamenti per applicarti a ciò che non è prescritto. Hai avuto esperienza della verità con realtà manifeste, non perderti per realtà che sono nascoste. La verità è descritta in poche parole, non instaurare su di essa lunghe ricerche. Che il Padre è, ciascuno lo sa; ma come egli è, non lo sa nessuno. Che il Figlio è, noi tutti lo ammettiamo; ma la sua essenza e la sua bontà, non riusciamo a concepirla. Ognuno riconosce lo Spirito Santo, nessuno osa scandagliarlo. Ammetti dunque che il Padre esiste, ma non ammettere che sia comprensibile. Credi che il Figlio esiste, ma non credere che sia investigabile. Ritieni per vero che lo Spirito Santo esiste, ma non ritener per vero che possa esser conosciuto a fondo. Che essi sono uno, credilo e ritienilo vero; non dubitare però che essi siano tre. Credi che il Padre è il primo, ritieni per vero che il Figlio è il secondo; non dubitare che lo Spirito Santo è il terzo. Mai il primogenito domina sul Padre, perché questi è il dominatore. Mai lo Spirito Santo manda il Figlio, perché questi è colui che lo manda. Il Figlio, che siede alla destra, non si arroga mai il posto del Padre, come lo Spirito Santo non si arroga il ruolo del Figlio, da cui viene mandato. Il Figlio gioisce per la sublimità di generato, e lo Spirito Santo gioisce per la sublimità di amato dal Padre. Solo gioia e concordia, unione e ordine dominano lassù. Il Padre conosce la generazione del Figlio, e il Figlio conosce il cenno del Padre; il Padre accenna, il Figlio comprende, lo Spirito Santo esegue. Là non vi è divisione, perché vi è un solo dovere; là non vi è confusione nell’unione, ma l’ordine più sublime. La loro unione non è confusione, la loro distinzione non è separazione. Il modo poi, in cui essi sono distinti e uniti, lo conoscono essi solo. Tu, rifugiati nel silenzio!

Efrem Siro, La fede, 2,3-6

 

 

 

Sublimità e splendore del Creatore

Il Creatore di tutti gli esseri ragionevoli è eccelso al di sopra di ogni ragione. L’uomo non lo può scrutare e neppure l’angelo può comprenderlo. La creatura non è in grado, con la sua perspicacia, di parlare del suo Creatore: anzi non può neppure dire come essa stessa è stata formata. Se dunque non riesce a comprendere la propria origine, come potrebbe essere in grado di comprendere il suo Creatore? La ragione non può raggiungere l’altezza del suo fattore:molto al di sotto di quella altezza resta la ricerca di ogni inquirente. Costoro si sforzano di trovare analogie per colui che si identifica solo con l’uno. Tutti essi vengono meno nella propria conoscenza, egli solo conosce se stesso. La sua origine non è uguale a quella degli esseri creati, tanto che questi lo possano indagare come un loro simile. La sua stirpe non è uguale a quella degli esseri formati dalla terra, tanto che l’uomo lo possa dichiarare della sua essenza. Anche con le stesse sentinelle angeliche non è in qualche modo apparentato, tanto che esse lo possano esaminare come uno di loro. Non è compagno dei cherubini, perché essi lo sorreggono come loro Signore. Non aleggia tra i serafini, perché la sua sede è alla destra (del Padre). Non appartiene agli angeli ministranti, perché essi servono lui, come suo Padre. Tutte le potenze celesti ricevono da lui ordini e non possono guardare il Padre prescindendo dall’impero del Primogenito: senza di lui alla loro creazione non sarebbero neppure stati fatti. L’occhio è in grado di ricevere la luce, e perciò tutto il corpo ne viene illuminato. L’orecchio è idoneo al suono, e perciò tutte le membra ne percepiscono il tono. La bocca gusta i cibi, e con essa, e per mezzo di essa, tutto il corpo se ne nutre. Così le sentinelle angeliche guardano il Padre per mezzo del Figlio, che proviene dal suo grembo. Per mezzo di lui odono la sua voce, e da lui ricevono i suoi doni. Ma non vi è nessun altro intermediario per aiutarli o abituarli a ciò. I sensi hanno bisogno l’uno dell’altro, e dipendono l’uno dall’altro. Anche le creature dipendono le une dalle altre, perché formano quasi un solo corpo. Anche gli esseri più alti ricevono ordini dai loro simili, perché comandano e passano gli ordini secondo il loro grado gerarchico. Ma tutti, quelli di cui ho parlato, come quelli che non ho ricordato, ricevono gli ordini dell’unico Primogenito. Da lui dipendono tutte le creature, ed egli è unito al Padre. Come pretendi dunque di comprendere l’Unigenito, che è unito alla divina paternità? Se tu potessi comprendere il Padre, troveresti in lui e presso di lui anche il Figlio. Questi è nella sua bocca, quando il Padre comanda, ed è nel suo braccio quando il Padre opera. Attraverso il Figlio egli dunque opera e attraverso il Figlio egli comanda. Solo essi due si conoscono a vicenda. Il Figlio è nel seno del Padre, quando il Padre ama, ed è alla sua destra, quando egli splende sul trono. Il Padre lo guarda e lo ama. Lo splendore del Padre è troppo grande per i suoi servi. Le guardie angeliche non sono in grado di fissarlo. Te ne può persuadere Mosè, che ne fu illuminato. Se infatti il popolo non poteva fissare Mosè, semplice uomo (cf. Es 34,29-30), chi può contemplare l’essenza di Dio? Solo l’Uno, che da lui procede, può fissarlo. Super magnifico è lo splendore del Padre. Solo l’Uno guarda l’Uno, solo l’Uno può fissare l’Uno e attraverso l’Uno possono vederlo tutte le creature. Per la sua bontà egli perdona, e per la sua giustizia punisce; per se stesso perdona e per se stesso punisce: egli è la misura della sua ricompensa. La fa col suo sdegno, quando si adira, e con la sua clemenza, quando perdona. Per la sua natura rivela e per la sua conoscenza istruisce. Per se stesso istruisce, e per se stesso arricchisce. La sua sapienza è presso le sue creature. Per se stesso sovviene ai bisognosi con i beni del suo forziere. Per se stesso dà la corona a chi combatte per lui, dopo la risurrezione. E' pienamente nascosto in sé, chi potrebbe scandagliarlo? Gli angeli lo adorano in silenzio, i serafini cantano alto il loro «Santo», i cherubini lo sostengono con timore, le ruote girano nel bagliore di luce. Tutti adorano da lontano, per il tramite del Figlio visibile, il Padre nascosto. Se si trattasse di un’altra natura e il Figlio potesse scandagliarla, non potrebbe conoscerla pienamente da se stesso, perché si conosce solo ciò che è proprio. E se questa natura, quantunque da lui distinta, potesse comprenderlo, sarebbe o a lui uguale, o con lui generata. E se vi fosse un’ulteriore natura, che sola potesse conoscerlo, ciò potrebbe avvenire da lontano, se quella gli fosse estranea, o da vicino, se avesse con lui la stessa origine. Se questa natura dunque fosse uguale a lui, essa sarebbe l’Uno, e solo porterebbe diverso il nome; ma se non fosse uguale a lui, la creazione allora sarebbe troppo debole, i serafini e le guardie angeliche insufficienti. E l’altra natura, se mai ci fosse, sarebbe a lui estranea e più lontana. O piccolo uomo formato dalla polvere, a quale altezza miri? Non solo quanto il cielo, è eccelso al di sopra di te il Signore del cielo. L’altezza del cielo è misurabile, ma il suo creatore non lo è affatto. Ogni cosa creata è misurabile, ma il suo creatore non lo è affatto.Una cosa creata può presentar delle dimensioni maggiori a tutte le altre creature; ma il Creatore si distanzia da tutte le sue creature per un’altezza inaccessibile. Le creature sono compagne tra di loro, anche se immensamente distanti l’una dall’altra; ma il Creatore è per sua natura al di sopra di tutte le sue creature. Solo l’Uno è a lui vicino: per mezzo suo egli tutto ha creato. Nessun servo gli è vicino, mentre suo Figlio gli è vicinissimo. Nessun pari gli siede a lato, solo il suo Unigenito gli è alla destra. (Efrem Siro, La fede, 1,1-5)

 

 

Meraviglie della polvere

Persino la polvere che è sotto i tuoi piedi è troppo alta per la tua ricerca. E se ciò, dunque, che è sotto di te, è troppo alto per te, come vorrai tu raggiungere quello che ti sta sopra? Se la polvere, cui sei pari di nascita, dalla quale sei stato tratto, ti è incomprensibile, come vorrai tu scrutare la divina maestà? E' troppo al di sopra della tua indagine. A vederlo, il suolo è semplice e meschino, eppure si presenta tanto complicato all’indagine. E’ unico, ma non è semplice: è ricco infatti di innumerevoli prodotti. E’ un grembo, umile e insignificante, che produce innumerevoli beni; è un forziere di ben poco valore, che tuttavia porge preziosi, senza numero. Il suolo partorisce e fa figli che sono da lui completamente diversi, e, a guardarli, non sono simili neppure tra di loro. Dal suo interno, tanto insignificante, nascono per noi meraviglie; dal suo interno, tanto meschino, sprizzano per noi ricchi tesori. Tutto proviene da uno, perché dalla terra tutto esce. La polvere della terra è, per sé, nemica di ogni senso: è un danno nel condotto uditivo, è un disturbo negli occhi; intoppa le porte dell’udito, conturba la luce del volto. Non è buona a nessun uso, eppure è la sorgente di ogni bene. Quantunque non sia adatta ai nostri usi, da lei ci viene tutto quello che è utile. E’ ostile a chi ha fame (perché non è commestibile) ed è la tavola degli affamati. La polvere è dannosa nella bocca, è il nutrimento del serpente maledetto; eppure per castigo divenne cibo del serpente,ma per misericordia la tavola di tutti. Non è utile a chi mangia, eppure dispensa ogni alimento. Danneggia chi guarda, eppure ci dona tutte le erbe medicinali. Disturba gli occhi, eppure apre gli occhi dei ciechi (cf.Gv 9,1 ss); né da sé né come nutrimento ha qualche utilità. Orsù, dunque: tu che osservi tutto ciò, ammira i tesori che la terra ci dona. E’ magra, ed è la fonte di ogni grasso; è secca, e fa scaturire per noi le sorgenti. Dal terreno, che per sua natura è debole, ci viene il ferro e il metallo. A guardarlo, è ben povero, eppure sprigiona oro e argento. E’ il tesoriere degli uccelli, la casa della selvaggina, la grande dispensa che nutre tutti: gli animali, i rettili, gli uomini. Eppure vi è una cosa di più mirabile ancora, nel grembo della polvere, cosa che per la sua poca apparenza non la si osserva. Nel terreno crescono in pace, vicine tra di loro, le varie radici: presso quella dolce, quella amara; presso quella salutifera, quella mortale. Dalla terra viene l’amaro del veleno, e dalla terra viene la dolcezza del medicinale. La radice amara raccoglie il suo veleno, senza che penetri in essa nulla di dolce; quella dolce raccoglie la propria soavità, senza comunicarla alle radici che la circondano. Come può dunque questa polvere, tanto sprezzata, operare la crescita di ciascuna? Ai frutti dona il loro sapore, e insieme il loro colore; ai fiori il profumo e lo splendore. Ai frutti procura saporosità, alle radici aroma. Alle infiorescenze dona beltà e riveste i fiori di magnificenza. E’ l’artista dei semi: intreccia il frumento per farne spighe, ne rinforza lo stelo con nodi, quasi come travature di un edificio, perché possa sostenere il frutto e resistere al vento. Quante mammelle ha la terra, e ciascuna ricca di umore! E’ stupendo che ne abbia tante, quante sono le radici, e che nutra quelle amare e quelle dolci, ciascuna a suo modo! E’ stupendo che sia unico il seno da cui tutti i frutti provengono: da esso succhiano le radici e i frutti, quelle amare e questi dolci. Negli uni aumenta così la dolcezza, negli altri invece l’amarezza. Se ciò è notevole nelle cose tra di loro separate, lo è molto di più in quelle che sono tra di loro strettamente connesse. Lo stesso umore nella stessa pianta assume proprietà diverse. Così per esempio i frutti sono dolci, le foglie amare; anzi, il frutto, prima di maturare, è ancora molto amaro. E’ un esempio questo per i penitenti, i quali, alla fine, saranno dolci e accetti. Se dunque la polvere, che tu pesti con i piedi, ti confonde, se ben la consideri, come potrai tu indagare la maestà di colui che ti sconcerta perfino con le sue opere più umili? Nulla ti appare più spregevole della polvere, nulla più povero di un tuo capello. La polvere disprezzata è sotto di te, eppure tu non ne comprendi la grande ricchezza. Così i capelli sul tuo capo ti sconfiggono, perché tu non ne afferri né la natura, né il numero. Del mare e degli abissi, del cielo e degli astri non voglio neppure parlare. Il Creatore ti ha posto in mezzo a due creature tanto spregevoli: quella che ti sta sopra il capo (cioè i capelli) ti flagella, affinché tu non osi scrutare troppo l’Altissimo; quella che ti sta sotto i piedi (cioè la polvere) ti ammonisce di non voler misurare l’altezza eccelsa: con queste due povere creature ti ammaestra il Signore del creato. Frena dunque la tua temerarietà e non osare di affrontare il mistero! (Efrem Siro, La fede, 1,7-10)

 

 

L’ordine della creazione dimostra la potenza del Creatore

Nessuno, pur applicandosi, può comprendere come sia grande la potenza del Creatore, e neppure può misurare ciò che egli ha creato e ciò che è in grado di creare. Queste creature, che egli ha fatto, e queste opere, che ha attuato, non manifestano affatto tutta la sua potenza. E non perché gli mancasse il potere egli non ha creato più di così: la sua volontà non ha confini: se egli lo volesse, potrebbe creare ancora tutti i giorni, solo che ne sorgerebbe un guazzabuglio. Se le creature crescessero giorno per giorno, non potrebbero più, per il loro numero immenso, conoscersi a vicenda. Se dunque egli concedesse loro di accrescersi in questo modo, esse non si accrescerebbero; a che utilità le avrebbe create allora, se dovessero restare straniere le une alle altre? Ciò poi che il Creatore fece, non lo fece per rendere più grande se stesso: egli non era più piccolo prima di creare, né divenne più grande dopo che ebbe creato. Le sue opere egli volle che avessero una data grandezza, perciò le creò in misura. Certo, avrebbe potuto rendere grande all’infinito questo creato, ma avrebbe così gettato nello scompiglio i suoi abitatori, e alla confusione segue il danno. Egli non creò dunque quanto poté. Egli non opera quanto può, ma quanto si conviene. Se avesse continuato a creare e non avesse limitato il suo agire, ne avremmo avuto un parto smisurato, privo certo di saggezza. Lo si sarebbe potuto paragonare a una fonte che scorre continuamente senza interruzione. Il Creatore sarebbe una sorgente che è legata alla propria natura e non può perciò arrestare il proprio corso: egli non avrebbe potere sulla propria volontà. Ora, come egli ci rivela la sua volontà solo lasciando libero corso alla sua opera creatrice, così egli può rivelarcene la potenza solo interrompendo tale opera. Egli comincia a creare per attuare le creature; egli cessa di creare, per realizzare l’ordine. Se egli ogni giorno creasse cielo, terra e altre creature, la sua opera sarebbe un guazzabuglio senza ordine, ed egli non sarebbe grande nel suo agire, per essere in esso privo di saggezza. Anche la bocca che parla deve parlare secondo un certo ordine. Perché può parlare, infatti, non è tenuta forse anche a cessar di parlare? E le parole non escono dalla bocca tanto facilmente come l’opera creatrice esce dal Creatore. Le creature sono molto più facili al Creatore che le parole a chi parla; ma per questo, perché egli può creare, non crea continuamente nuove realtà. Per il discorso dell’uomo c’è un certo ordine; tanto più dunque egli si controlla, quantunque possa creare ogni ora. Perciò cessò di creare, per dare ordine a ciò che aveva creato. Chi sarebbe in grado di riferire quanto egli potrebbe creare? Molto è ciò che ha creato; molto è anche ciò che ha tralasciato di creare. Quello che ha creato, è incommensurabile; quello che non ha creato, è imperscrutabile. Tutto ciò che egli produce al suo cenno, viene dal nulla. E' perciò del tutto nascosto a chi lo indaga, sia esso visibile o invisibile. Tu non puoi sapere quanto egli ha fatto, e neppure quanto egli può fare. Solo l’Unigenito, che è nascosto nel suo seno, conosce il come e il quanto. (Efrem Siro, La fede, 2,4-5)

 

 

La primavera annuncia la magnificenza di Dio

Come dice il Salmista (Sal 147,16ss), Dio manda la neve come lana, sparge la brina come cenere, getta giù il suo ghiaccio come briciole. Chi può resistere al suo gelo? Egli manda la sua parola e lo scioglie; emette il suo alito, e le acque scorrono. Allora la terra si impregna di grati odori, si riveste, al comando di Dio, della sua bellezza e ricrea chi la guarda come fosse un vestito adorno di pietre preziose, intessuto d’oro. Gli uccelli volano qua e là e intonano i loro dolci canti, ricreandosi al sereno splendore dell’aria. I quadrupedi corrono qua e là nella campagna, i pascoli nel deserto rinverdiscono, i pastori si allietano, giubilando per i doni del Signore. L’acqua non scorre più selvaggia e impetuosa, ma i fiumi se ne vanno tranquilli e allietano i prati, mentre i pesci guizzano ai raggi del sole. Gli alberi, prima spogliati delle loro foglie, si rivestono di splendidi fiori, si ammantano di foglie e frutti. I monti, i colli, le valli, tutta la terra piena di fiori, annunciano la magnificenza del Signore, perché il Signore li ha adornati come una sposa. Anche noi uomini deponiamo gli oscuri affanni dell’inverno, gustando l’aria mite e la ricchezza di frutti. Ma perciò, anche noi dobbiamo portare per il Signore ricchi frutti di giustizia, per poter dire con fiducia al Creatore: Il Signore si allieterà delle sue opere (Sal 103,31). (Efrem Siro, La risurrezione dei morti, 2)

 

 

 

Di fronte alla giustizia e alla bontà di Dio

L’occhio si fissa sulla giustizia di Dio, e incontra la sua bontà. L’intelletto contempla la sua misericordia, e gli si fa avanti la sua verga severa. Consolante risuona il grido del perdono, spaventoso il grido della vendetta. Perciò l’intelligenza vaga qua e là, stupita e smarrita, tra la bontà di Dio e la sua giustizia. Chi osserva, resta confuso tra le prove e i rimproveri. Vede che i cattivi sono potenti, e i buoni sono colpiti. La purificazione voluta da Dio prova i fedeli, la sua verga punisce i delitti. La giustizia e la bontà sono strettamente legate, ma non mescolate; sono unite, ma non confuse. Solo per la sua insufficienza l’intelletto non può rendersi conto, perché non può comprendere. Vede la morte dei vecchi, e vede anche la dipartita dei fanciulli. Da una parte vede la giustizia, dall’altra il contrario: infatti un giusto soffre, l’altro è risparmiato. Vede un buono nelle angustie, l’altro nella pace. Ciò sembra contraddittorio. Se poi considera gli iniqui: uno viene colto sul fatto al primo assassinio, l’altro uccide una quantità di uomini e se ne va libero. Come tra le onde le deboli imbarcazioni vanno sotto, così gli spiriti deboli soffrono nella tempesta tra il bene e la giustizia. Qui non domina la chiarezza, perciò la meschinità dell’animo li mette in imbarazzo. Se però non si capisce tutto, si capisce quanto conviene. Basta per noi sapere che il giudice di tutti non può agire ingiustamente. Basta per noi sapere che non possiamo muovergli nessuna obiezione: sarebbe certo temerarietà se il vaso volesse ammaestrare il vasaio. Con che diritto l’uomo potrebbe biasimare colui che dona ogni capacità critica? Come potrebbe l’uomo giudicare senza colui che ne ha fatto un essere ragionevole? Come potrebbe giudicare la sapienza di colui, che tutto sa? (Efrem Siro, La fede, 1,20-21)

 

 

 

La legge non proibisce, ma ordina l’uso delle membra

Chi oltraggia il matrimonio è un frutto maledetto, che maledice la sua stessa radice... E’ una bestemmia grave, se un uomo nega il suo Creatore; è una vergogna grande, se un uomo nega la sua radice. I maestri dell’errore dicono che il matrimonio è impuro, ma nella loro ebbrezza non considerano che le membra e i sensi sono fratelli, sono compagni e parenti. Ma se l’uso di un membro è impuro, è chiaro che tutte le membra sono impure, perché se un membro soffre, tutte con lui soffrono... Dio non ha dichiarato impuro l’uso dei sensi, ha solo comandato che l’uomo non usi peccaminosamente della vista, che l’uomo non usi peccaminosamente dell’udito: la sua legge perfeziona la nostra natura, il suo comando adorna la nostra volontà, il suo insegnamento corona la nostra libertà... In tre forme ci viene proposta la legge: vi è matrimonio, santità e verginità: vi è possesso, rinuncia e perfezione. Dalle azioni cattive essa distoglie ogni uomo allo stesso modo; alle azioni buone essa lascia ogni uomo libero a suo modo, secondo il suo volere. Le leggi, di un tempo e di ora, sono basate sulla giustizia e sulla bontà: infatti non vi è legge che costringa all’adulterio, e non vi è legge che proibisca di esser realmente buoni, casti, onorati. L’abitudine e la volontà portano alla perdizione, la legge e la volontà arrecano l’ordine.

Efrem Siro, Inni contro gli errori, 45,6-11

 

 

Lotta contro le tentazioni

Se ti viene in mente un cattivo pensiero, grida, con lacrime al Signore: “Signore, sii buono con me peccatore! Perdonami, o amico degli uomini. Signore, allontana il male da noi!”. Certo, il Signore conosce i cuori: sa quali pensieri sorgono da un animo cattivo, ma sa anche quali pensieri vengono in noi versati dalla stizza amara dei demoni. Tuttavia sappilo: più tu combatti e resti fedele nel servizio del Signore, più i tuoi sensi e i tuoi pensieri verranno purificati. Infatti, nostro Signore Gesù Cristo ha detto: Ogni ramo che in me porta frutto, io lo purificherò, perché porti frutto maggiore (Gv 15,2). Solo abbi la più sincera volontà di farti santo! Il Signore ama e appoggia col suo aiuto coloro che sono zelanti e lavorano per ottenere la salvezza dell’anima. Senti ora un esempio, che ti illustra i cattivi pensieri. Quando l’uva viene colta dalla vite, gettata nel torchio e pigiata, produce il suo mosto, che viene raccolto in vasi. E questo mosto, all’inizio, fermenta tanto forte, come se bollisse al fuoco più acceso in una caldaia; anche i vasi migliori non riescono a contenerne la forza, ma si rompono per il suo calore. Ciò avviene con i pensieri degli uomini, quando essi si elevano da questo mondo vano, e dalle sue cure, alle realtà celesti. Allora gli spiriti cattivi che non ne possono sopportare il fervore, conturbano in mille modi la mente dell’uomo, cercando di suscitarvi una tetra burrasca, per rovinare e squarciare il vaso, cioè l’anima, riempiendola di dubbi e rendendola infedele.   (Efrem Siro, Ammonimento ai monaci egiziani, 10,2)

 

 

 

Come reprimere i moti carnali

Quando sorge in te la ribellione della carne, non aver paura e non perderti d’animo, perché altrimenti incoraggeresti contro di te il nemico, che instillerebbe in te i suoi pensieri, dicendoti: “Ti è impossibile spegner l’ardore, che ti tormenta, senza soddisfare queste brame”. Se egli in questo modo ti ferisse, presto ti supererebbe e deriderebbe poi la tua debolezza. Ma tu, pieno di fiducia, resta unito al Signore ed effondi dinanzi alla sua bontà le tue lacrime e le tue preghiere; egli ti ascolterà, sollevandoti dalla fossa infelice dei pensieri impuri e dalla palude delle fantasie vergognose, ponendo i tuoi piedi sulla roccia salda della castità. Così vedrai venire a te il suo aiuto. Persevera dunque in pazienza, non addormentarti nei tuoi pensieri, non stancarti di attingere l’acqua abbondante, perché il porto della vita è vicino. Mentre ancora parlerai, Dio ti dirà: “Eccomi, sono qui!”. Egli attende a osservare la tua battaglia, per vedere se tu al peccato sai resistere fino alla morte. Non scoraggiarti, dunque, perché egli non ti abbandona. Ma anche il coro dei santi angeli, e la schiera tetra degli spiriti cattivi osservano la tua battaglia: gli angeli, se vinci, ti porgono una corona; gli spiriti cattivi, se tu vieni travolto, ti coprono di insulti. Gli angeli combattono con zelo per te, ma anche gli spiriti cattivi ce la mettono tutta contro di te, amico di Cristo. Sta’ dunque all’erta, non contrastare i tuoi amici e non farti amico dei tuoi nemici: chiamo amici tuoi i santi angeli; tuoi nemici, invece, gli spiriti impuri. Nessun luogo è celato agli occhi di Dio, ai suoi occhi non vi è tenebra alcuna, o fratello. Non lasciarti perciò ingannare dall’avversario perché tu sei sempre vicino ai piedi del Signore. Non essere indifferente. Sta scritto infatti: Il cielo è il mio trono, e la terra lo sgabello dei miei piedi (Is 66,1). Non essere dunque trascurato nel tuo intimo, ma fatti coraggio, perché chi ti aiuta è vicino. Ascolta come dice il profeta: Tutti i popoli mi avevano circondato, ma nel nome del Signore mi sono difeso da loro. Mi avevano circondato come api il favo, avevano divampato come fuoco tra le spine, ma nel nome del Signore mi sono difeso da loro. Ero stato colpito e urtato, perché cadessi, ma il Signore mi ha sorretto e accolto. Mia forza e mia lode è il Signore, egli è stato la mia salvezza (Sal 117,10-15). Persisti dunque coraggioso nella battaglia, per venir trovato desto e vigilante, e ottenere la corona della vita che il Signore ha promesso a coloro che lo amano.

Efrem Siro, La vigilanza, 3,1

 

 

 

Il veleno dell’ira

Se in un’anima dimora l’ira, essa annulla la vita di un giorno. Non lasciare perciò che duri fino al giorno seguente, ché non annulli in te tutta la vita! A ciascun giorno basta il suo male (Mt 6,34) come ha detto il nostro Salvatore. Basta, dunque, che l’ira annienti la vita di un giorno solo. Essa non pernotti nella tua anima, il sole non tramonti senza che non se ne sia andata. Un ospite sgradito dimora in te: caccialo, allontanalo, non offrirgli dimora. Col tramonto del giorno tramonti anche l’ira e non resti più a lungo nella tua anima. E come le ore non si arrestano, così non si arresti in te l’ira, senza allontanarsi. Non dorma nella tua anima, perché se vi dorme una volta sola è ben difficile poi allontanarla. Non passi in te la notte, non fermenti, non resti, non riposi in te! Se l’ira fermenta nell’anima, la corrompe, la confonde, l’appesta e insudicia, tanto che l’anima non riesce più a emergere dal male. Il lievito cattivo, messo nell’impasto, appesta il tutto; così l’ira, se prende dimora in un’anima, la riempie del suo pessimo odore. Le vipere e i serpenti sono velenosi, ma l’ira è ancor peggio di loro. Abbatte l’anima e la uccide, allontanandola da Dio. Se tu vedi una serpe in casa tua, le dai la caccia e la uccidi; ma l’ira, che uccide te, abita nell’anima tua e tu non la cacci. Quando vedi davanti a te un serpente, ne hai paura, perché potrebbe morderti; ma l’ira, che ha in sé un veleno mortale, tu la lasci dimorare quieta nel tuo intimo. Se una serpe ti scivola in seno, il tremore si impossessa delle tue membra; ma il tuo cuore è un covo pieno di vipere. Se una vipera morde, la carne si ammala e va in rovina; dove abita l’ira vi è un veleno corrompitore. Tu temi di venir morso da un serpente o punto da uno scorpione; ma non temi il morso dell’ira e non hai paura del pungiglione dell’odio. Chi desidera mai che una serpe venga da lui, e da lui si nasconda? Chi ama un serpente, perché si insinui nel suo seno e vi prenda dimora? Ma mentre tu non sopporti questi rettili, ne desideri altri ben peggiori; l’ira, che è più crudele di una vipera, e l’odio, che è più crudele di un serpente. Per una parola detta senza attenzione, suggerita dal demonio, tu apri tutti i battenti all’ira, perché venga nella tua anima, e vi dimori. Perché il tuo prossimo ti contende un misero privilegio, tu chiami l’odio, perché penetri nel tuo petto, e vi si piazzi. Quando l’ira abbaia in te e latra come un cane, scaglia contro di lei il sasso del tuo desiderio di pace, e arresta così il suo latrare. Annientala con la tua letizia, mostrale un viso sorridente, non angustiato. L’ira sarà impedita così di annientare due anime insieme.

O Signore, tu che col sangue sgorgato dal tuo fianco ci hai donato le altezze e le profondità abissali della pace, manda la tua pace ai cuori adirati! Tu che fra i due partiti, quello di sopra e quello di sotto, hai stabilito la pace, concilia nell’amore i cuori divisi e semina tra di loro la tua pace! Signore, tu che sei la nostra pace, come scrive il tuo discepolo, fa che la tua pace custodisca le anime che a te ricorrono! “Vi do la mia pace, vi lascio la mia pace” disse il Signore ai suoi apostoli, poi salì al Padre. Quando tornerà nella sua grande gloria e il terrore si impossesserà del creato; quando la tromba risuonerà lassù, e le fondamenta della terra si scioglieranno; quando le pietre robuste si spaccheranno e le tombe si apriranno e in un istante tutti coloro che dormono risorgeranno incorrotti; quando la polvere di Adamo sarà raccolta, tanto che nessun granello ne resti fuori; quando coloro che stanno in alto e quelli che stanno in basso staranno in grande terrore: ci venga incontro allora il tuo perdono, Signore, e la tua pace ci accompagni!   (Efrem Siro, Su «Tutto è vanità e afflizione di spirito», 6-8)

 

 

I peccati sono la causa delle tribolazioni

E’ certo che colui, il quale è buono, non ha piacere per le tribolazioni che ci visitano in ogni tempo, quantunque egli le mandi. Causa dei nostri dolori sono i nostri peccati. Nessun uomo può accusare il Creatore; è lui che ci può accusare: noi infatti abbiamo peccato, e lo abbiamo costretto ad adirarsi, quantunque egli non lo volesse, quantunque non ne avesse nessun piacere. La terra, la vite e l’ulivo devono venir trattati duramente. Solo se l’ulivo viene bacchiato, ci dà i suoi frutti; solo se la vite viene potata, i suoi frutti si fanno più belli; solo se il terreno viene arato, ciò che produce è buono. Il bronzo, l’argento e l’oro splendono, solo se vengono levigati. L’uomo migliora tutto ciò che tratta con asprezza, mentre tutto intristisce e abbruttisce se egli cessa nel suo impegno; così noi possiamo conoscere, quando Dio tratta qualcuno con asprezza, che egli lo prende in sua cura. Mentre ogni altro che ha cura di qualcosa lo fa per proprio interesse, colui che è buono educa i suoi servi perché essi diventino padroni di se stessi. Le tue tribolazioni potrebbero così diventare per te una cronaca, un promemoria... Perché tu hai stimato troppo poco i due Testamenti non cercando in essi la tua salvezza, perciò egli ti ha scritto tre libri severi (ossia ha lasciato venir su di te tre grosse disgrazie), perché tu possa studiare in essi le tue tribolazioni. Cerchiamo dunque di impedire il futuro, pensando al passato. Cerchiamo di imparare dalla nostra esperienza a evitare ciò che verrà. Riflettiamo a quello che se n’è andato, per andar incontro a quello che verrà. Perché noi abbiamo dimenticato il primo colpo, ci ha colpito un secondo; perché noi non abbiamo riflettuto neppure su questo, ce n’è caduto addosso un terzo. Chi dunque se ne dimenticherà ancora?

(Efrem Siro, Inni nisibeni)

 

 

 

Il miracolo della nascita di Cristo

Un grande stupore si impossessa dell’uomo quando considera il miracolo che Dio scese prendendo dimora in un seno materno, che la sua somma essenza assunse un corpo umano e per nove mesi abitò nell’utero della madre senza contrarietà, e che quel seno di carne fu in grado di portare il fuoco, che la fiamma abitò nel corpo delicato senza bruciarlo. Proprio come il roveto sull’Oreb portava Dio nella fiamma, così Maria portò Cristo nel suo seno verginale. Attraverso l’udito, Dio entrò senza danni nel ventre materno e il Figlio di Dio poi ne uscì con purezza. La vergine concepì Dio e la sterile (Elisabetta) concepì il vergine (Giovanni), anzi il figlio della sterilità spuntò prima del germoglio della verginità. Un miracolo nuovo Dio ha compiuto tra gli abitanti della terra: egli che misura il cielo con la spanna, giace in una mangiatoia d’una spanna; egli che contiene il mare nel cavo della mano conobbe la propria nascita in un antro. Il cielo è pieno della sua gloria e la mangiatoia è piena del suo splendore. Mosè desiderò contemplare la gloria di Dio, ma non gli fu possibile vederla come aveva desiderato. Potrebbe oggi venire a vederla, perché giace nella cuna in una grotta. Allora nessun uomo sperava di vedere Dio e restare in vita; oggi tutti coloro che l’hanno visto sono sorti dalla seconda morte alla vita. Mosè prefigurò il mistero, vedendo un fuoco in un roveto; i magi portarono a compimento il mistero, vedendo la luce in una cuna. A gran voce dal roveto Dio impose a Mosè di togliersi le scarpe dai piedi; la stella invitò tacitamente i magi a giungere al luogo santo. Mosè non poté vedere Dio come realmente è; i magi invece entrarono e videro il Figlio di Dio fatto uomo. Il volto di Mosè splendeva perché Dio gli aveva parlato e un velo ricoprì il suo viso perché il popolo non poteva guardarlo; così nostro Signore si è circondato, nel seno materno, con il velo della carne e ne è uscito e si è mostrato: e i magi lo videro e gli offrirono i loro doni. E’ grande il prodigio che si è compiuto sulla nostra terra: il Signore di tutto è disceso su di essa, Dio si è fatto uomo, l’Antico è diventato fanciullo; il Signore si è fatto uguale al servo, il figlio del re si è reso come un povero errabondo. L’essenza eccelsa si è abbassata ed è nata nella nostra natura, e ciò che era estraneo alla sua natura lo ha assunto per il nostro bene. Chi non contemplerà con gioia il miracolo che Dio si è abbassato assoggettandosi alla nascita? Chi non si meraviglierà vedendo che il Signore degli angeli è stato partorito? Credilo senza dubitarne e sii convinto che tutto in verità si è svolto proprio così!

(Efrem Siro, Inno per la nascita di Cristo, 1)

 

 

 

Gesù ha avuto paura

Quando scende la notte, in cui si consegnerà nelle mani degli accusatori, Gesù distribuisce il suo corpo agli apostoli, dà loro il suo sangue e comanda di ripetere questo gesto in memoria della sua passione. Ha raccomandato ai discepoli di non temere la morte, non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo (Mt 10,28) e ora come può proprio lui temere la morte e chiedere che si allontani da lui il calice?... Padre, se vuoi allontanare da me questo calice (Mt 26,39). Gesù pronuncia queste parole a causa della debolezza che ha fatto propria. L’ha presa realmente su di sé, non in modo fittizio. Si è fatto piccolo e ha assunto realmente la debolezza, per cui non può fare a meno di tremare e di turbarsi. Avendo assunto la carne e rivestito la debolezza, sente lo stimolo della fame, la stanchezza dopo il lavoro, il bisogno di dormire, perciò quando giunge il momento della morte deve compiere tutto quello che ha preso dalla carne. In realtà l’angoscia della morte lo assale, per manifestare la sua natura il figlio d’Adamo su cui la morte regnò (Rm 5,14) secondo la parola dell’Apostolo. Dice anche ai suoi discepoli: “Vegliate e pregate, per non cadere in tentazione. Lo spirito è pronto, ma la carne è debole. (Mt 26,41). Quando la paura vi prende, non è lo spirito che teme dentro di voi, ma la debolezza della carne. Sappiate che anch’io ho temuto la morte per provarvi con questo timore la realtà della carne che avevo assunto”... Sì, Gesù ha avuto paura, come ha avuto fame e sete, come si è stancato e ha dormito. Ha avuto paura perché uomini, nel mondo, non potessero dire: “Ha pagato i nostri debiti senza sofferenza e senza pena”; lo ha fatto anche per impegnare i suoi discepoli ad affidare a Dio la vita e la morte. Se colui che era sapiente della sapienza stessa di Dio ha chiesto ciò che era bene, tanto più bisogna che coloro che non sanno abbandonino le loro volontà a colui che sa tutto. Per confortare con la sua passione i discepoli, Gesù è entrato nei loro sentimenti. Ha preso su di sé la loro paura per mostrare, con la somiglianza della sua anima, che non bisogna vantarsi riguardo alla morte prima di averla subita. Se colui che non teme nulla, infatti, ha avuto paura e ha domandato di essere liberato pur sapendo che ciò era impossibile, quanto più conviene che gli altri perseverino nella preghiera prima della tentazione per esserne liberati quando si presenterà. Nell’ora della tentazione i nostri spiriti sono sospinti qua e là e i nostri pensieri divagano. Per questo Gesù è rimasto in preghiera, per insegnarci che ne abbiamo bisogno di fronte agli inganni e ai tranelli del demonio, per raccogliere con questa preghiera incessante i nostri pensieri dispersi. Per dare coraggio a coloro che temono la morte, non ha nascosto il proprio timore, perché essi sappiano che questa paura non li conduce al peccato, dal momento che non si fermano in essa. “Non sia fatta la mia, ma la tua volontà (Lc 22,42)  dice Gesù - che io muoia per dare la vita a una moltitudine”.

(Efrem Siro Commento sul Diatessaron, 20,3-4.6-7)

 

 

 

La nascita di Cristo da Maria

Volgete lo sguardo a Maria! Quando Gabriele entrò da lei e cominciò con lei a trattare, ella chiese: “Come avverrà ciò?”. E il servo dello Spirito Santo gli rispose dicendo: “E’ facile per Dio, perché tutto è a lui possibile”. E lei, credendo fermamente a ciò che aveva udito, disse: “Ecco la serva del Signore”. E subito il Verbo discese, si librò su di lei come gli piacque, entrò in lei e prese in lei abitazione, senza che nulla ella avvertisse. Così lo concepì, senza nulla soffrire; e nel suo seno egli divenne un bimbo, mentre il mondo intero era pieno di lui. Egli depose la sua figura per rinnovare la figura di Adamo tanto invecchiata. Quando tu dunque senti parlare della nascita di Dio, resta in silenzio: ciò che Gabriele disse resti impresso nel tuo spirito! Nulla vi è di troppo difficile per quell’eccelsa maestà che per noi si è abbassata a nascere tra di noi e da noi. Oggi Maria è per noi un cielo, perché porta Dio. La divinità altissima infatti si è abbassata e in lei ha preso abitazione; in lei si è fatta piccola per far grandi noi, perché, per sua natura, essa non è piccola; in lei ha preso per noi una veste, perché si avverasse così per noi la redenzione. In Maria i detti dei profeti e dei giusti si sono adempiuti. Da lei è sorta per noi la luce e le tenebre del paganesimo sono scomparse. Ha molti nomi, ed è per me una gioia chiamarla con essi. E’ la rocca in cui abita il potente re dei re. Ma non uscì da essa come vi entrò: in essa si rivestì invece di carne e così ne uscì. E’ anche un nuovo cielo, perché vi abita il re dei re. Egli vi entrò e poi ne uscì vestito a somiglianza del mondo esteriore. Essa è una vite che portò come frutto un’uva, ma non secondo natura: ed essendo quest’uva di natura diversa dalla vite, ne assunse il colore e così ne uscì. Essa è la sorgente da cui sgorga l’acqua viva per gli assetati; coloro che hanno gustato questa bevanda portano frutto al cento per uno. Questo giorno non è dunque come il primo giorno della creazione. In quel giorno le creature furono chiamate all’essere; in questo giorno la terra è stata rinnovata e benedetta nei riguardi di Adamo, per il quale era stata maledetta. Eva e Adamo col peccato portarono la morte nel mondo, il Signore del mondo però ci ha dato in Maria una nuova vita. Il Maligno, ad opera del serpente, versò il veleno nell’orecchio di Eva; il Benigno invece si abbassò nella sua misericordia e tramite l’orecchio entrò in Maria. Per la stessa porta da cui era entrata la morte, è entrata anche la vita che ha ucciso la morte. E le braccia di Maria hanno portato proprio colui che viene sorretto dai cherubini; quel Dio che l’universo non può abbracciare, è stato abbracciato e portato da Maria. Il re, davanti a cui tremano gli angeli, creature di fuoco e di spirito, giace nel seno della Vergine, che lo accarezza come un fanciullo. Il cielo è il trono della sua maestà, ed egli siede sulle ginocchia di Maria. La terra è lo sgabello dei suoi piedi, ed egli le saltella intorno infantilmente. La sua mano distesa segna la misura per la polvere, e come un fanciullo sulla polvere egli sgambetta. Felice Adamo, che nella nascita di Cristo hai ritrovato la gloria che avevi perduta! Chi ha mai visto la creta servir da abito al vasaio? Chi ha mai visto il fuoco stesso avvolto in fasce? A tutto ciò si è abbassato Dio per amore dell’uomo. A tutto ciò si è umiliato Dio per amore del suo servo, che si era stoltamente innalzato e, su consiglio del Maligno omicida, aveva calpestato il divino comando. Egli, che aveva dato il comando, si umiliò per innalzarci. Grazie alla divina misericordia che si è abbassata sugli abitanti della terra, affinché il mondo ammalato fosse guarito dal medico su di essa apparso! Sia lode a lui e al Padre che lo ha mandato; e lode allo Spirito Santo, per sempre in tutti i secoli senza fine!   (Efrem Siro, Inno per la nascita di Cristo, 1)

 

 

Non lasciamoci ammaliare dal mondo fugace

Il mondo è simile alla notte e tutte le sue realtà sono sogni. L’anima si sprofonda in essi e si lascia sedurre dalle apparenze. Come il sogno di notte ci inganna, così ci inganna il mondo con le sue promesse. Come il sogno ammalia l’anima con le sue immagini e le sue visioni, così il mondo la ammalia con le sue gioie e i suoi beni. Il sogno inganna di notte, perché con le sue larve ti fa ricco, ti innalza al potere, ti fa ricoprire un posto importante: ti ammanta di panni splendidi, ti pervade di possanza e ti fa vedere perfino, con le sue illusioni, che gli uomini vengono a celebrarti. Ma quando la notte se n’è passata, quando il sogno è svanito, quando ritorna la realtà effettiva, tutti questi sogni, che hai vissuto, mostrano il loro inganno. Parimenti il mondo inganna con i suoi beni e le sue ricchezze, che svaniscono come un sogno notturno ed è come se mai fossero stati. Quando il corpo si addormenta nella morte, allora l’anima si sveglia, ripensa ai sogni del mondo, ne rimane afflitta e abbattuta. Presa da improvviso stupore, resta imbarazzata, sconvolta, rabbrividisce e trema, perché le si manifesta ciò che era celato. Assomiglia all’uomo che, svegliandosi dal sogno, inutilmente si strugge d’affanno, perché il bel tempo se n’è passato. L’afferra l’angoscia, vedendo nei suoi pensieri che le sue colpe la circondano come ombre dense; tutte le sue azioni perverse le si presentano: non sa dove fuggire, dove rifugiarsi e celarsi di fronte ai suoi delitti. Giunge allora il Maligno e comincia a sollecitarla. Le sollecita il chiarimento di tutti i sogni mondani. Le sollecita il rendiconto delle ricchezze che essa ha ammucchiato e che l’hanno privata della gloria. La pone nuda dinanzi a sé, la deride e la disprezza. Le sollecita il rendiconto dei crudeli atti d’ingiustizia che la precipitano nell’inferno; le sollecita il rendiconto delle ruberie, che la cacciano nelle tenebre; le sollecita il rendiconto dell’odio e dell’inganno, che le fanno battere i denti; le sollecita il rendiconto dell’ira e della vendetta, che la trascinano tra le pene. Tutte le sue colpe egli le presenta, gliele espone davanti agli occhi e gliele chiarisce, senza trascurare errore alcuno. Sono ben dolorose le spiegazioni che il Maligno sollecita dall’anima: si è lasciata ammaliare dai sogni e i sogni ora sono il suo strazio. Non lasciamoci ammaliare dal mondo fugace, non lasciamoci infatuare dalle sue parvenze! Non amiamo i suoi inganni, perché se ne vanno come un sogno notturno! Il giorno presto sparisce, le ore si affrettano e non indugiano, perché in breve tratto di tempo il mondo tende alla sua fine. Nessun giorno permette all’altro giorno di accompagnarlo, nessun’ora attende un’altra ora per trascorrere insieme con essa. Come l’acqua non si lascia afferrare con le dita standosene inerte, così fin dal seno materno defluisce la vita di chiunque è nato. E' pesata e misurata la vita di chi entra nel mondo e non vi è possibilità alcuna, non vi è nessuna speranza che egli possa oltrepassare i confini stabiliti. Dio ha stabilito una misura al vivere di ogni uomo, e ogni giorno ne sottrae un pochino. Ogni giorno toglie una particella alla tua vita, senza che te ne accorga; nessun’ora rinuncia alla sua porzione, mentre se ne corre e svanisce sulla sua strada. I giorni divorano la tua vita, le ore ne abbattono l’edificio; così tu ti avvicini alla fine, perché sei un alito solo. Come ladri, come briganti, i giorni rubano e le ore depredano, e così il filo della tua vita a poco a poco se ne passa e giunge al fine. I giorni comandano il tuo vivere, le ore sono tuoi becchini; tra giorni e ore la tua vita svanirà dalla terra. La vita che tu trascorri oggi, se ne va e svanisce con la fine di questo giorno, perché ogni giorno si porta via dalla tua vita ciò che gli compete e lo fa svanire con sé. Ogni giorno seppellisce ciò che gli appartiene, ogni ora dispone di quel che è suo, e se ne vanno nel corso veloce del tempo, svaniscono e più non sono. I giorni esigono e prendono, le ore afferrano e trascinano, così la tua vita si dissecca e si avvicina veloce alla fine. Dio ce l’ha misurata, ponendoci sulla terra; ciascun giorno se ne prende una porzione e il flusso del vivere tuo si esaurisce. Come se ne vanno i giorni, così la tua vita passa veloce, perché non c’è pausa e non vi è possibilità alcuna che si arresti e riposi. Quando il sole si fermerà in cielo e la luna si arresterà nel suo percorso, allora anche la tua vita si arresterà e non si affretterà più alla sua fine. (Efrem Siro, Su «Tutto è vanità e afflizione di spirito», 3-4)

 

 

 

L’anima si svegli dal sonno del peccato

E’ tremendo e spaventoso il passo della sacra Scrittura che, riguardo al peccatore, dice: “Il peccatore sarà portato via, perché non veda la gloria del Signore!”. L’empio dunque sarà trascinato in un posto ove non udirà canti di lode. Ma tutto quanto canta a Dio e annuncia ogni giorno la sua gloria; anche le creature che non hanno lingua non cessano un istante di lodarlo. I cieli narrano la sua gloria e il firmamento l’opera delle sue mani (Sal. 18,2). La terra eleva la sua lode e il mare è un annuncio delle sue meraviglie. Non vi è nulla che non celebri la gloria di Dio suo signore; perfino il moscerino più minuto annuncia la magnificenza di Dio. Dove giungerà dunque il peccatore, per non vedere la gloria del Signore? In qual posto precipiterà, per essere lontano dalla lode a lui rivolta? Se sale al cielo, esso si chiude e non l’accoglie; se vuol restare sulla terra, non gli è permesso. Se precipita in mare, il mare lo rigetta. Per questo, amici miei, io credo che egli debba errare fuori dal mondo in quelle tenebre esteriori che sono piene di paura e di orrore, dove non risuona inno di lode, dove non si annunzia la gloria di Dio, perché egli è molto lontano e non permette che laggiù lo si glorifichi. Le pene e i sospiri, le tribolazioni e le angosce, il verme che rode senza cessare e il fuoco che mai si spegne chiudono la bocca del peccatore a ogni lode e celebrazione. La sua miseria non gli permette né di vedere né di udire, il battito dei denti chiude la sua bocca a ogni lode e la sua lingua può solo ululare i suoi guai, ma non pronunciare sillaba di elogio. Gli occhi pieni di tenebre non vedono la luce della gloria divina. Chi ha il verme attaccato alle viscere, pensa solo al suo strazio; chi è riarso dall’inferno, vede solo il suo fuoco. Orsù dunque, piangiamo qui, perché non ci tocchi piangere là! Venite, diamoci qui alle lacrime e ai dolori, perché non sia allora troppo grande il nostro dolore! Tutti i giusti e i santi sono piaciuti al Signore con il pianto e il dolore, si sono a lui riconciliati con le lacrime... L’anima morta per il peccato ha bisogno di dolore, di gemiti, di lacrime, di pianto e di sospiri per la sua empietà, che l’ha pervertita e perduta. E` lontana da Dio; perciò gemi, piangi e sospira per lei, e la riavvicinerai a Dio. Piangi per lei più che una madre cui la morte strappa il figlio e lo precipita nella fossa, e che grida perché il suo caro gli è strappato. Parimenti il peccato strappa l’uomo a Dio, e la sua bontà se ne addolora, perché la sua immagine, piena di bellezza, va in rovina. Se perdi una bestia tua, ne soffri, anche se la possedevi solo da poco tempo; la sua perdita ti affligge ugualmente. Molto più spiace a Dio la perdita della sua immagine. Un’anima è a lui molto più cara di tutte le altre creature; ma col peccato essa muore e tu, o peccatore, non te ne preoccupi! Affiggiti dunque per Dio, che per te si affligge! Per il peccato la tua anima è morta: versa lacrime ardenti e svegliala così da morte: da a Dio questa gioia, perché egli si rallegra se tu ridesti la tua anima. Vi è un uccello che risuscita i suoi figli: la sua covata se ne muore, egli la ridesta alla vita. Quando gli nascono figli, egli se ne rallegra immensamente e, blandendoli troppo, li soffoca, tanto che quelli muoiono. Ma quando se li vede morti, vede che più non si muovono e non si agitano, se ne sta tre giorni angosciato, affranto dal dolore; non prende né cibo né bevanda, ma non si allontana da essi; sta loro vicino e li custodisce. Alla fine si squarcia il corpo e li bagna col proprio sangue, e allora, per disposizione di Dio, i corpicini morti tornano in vita. Se dunque un uccello riesce in tal modo a svegliare dalla morte i suoi piccoli, anche tu, o peccatore, sveglia alla vita la tua anima morta! E se Dio ha compassione del pellicano, tanto che esso rivivifica i suoi figli, quanta più compassione avrà della tua anima, ma tu non vuoi suscitarla! Quando il pellicano, per lo struggente cordoglio, tenta di uccidersi, muove a compassione il Creatore che gli risuscita i piccoli morti. Ma quando l’anima muore per la sua empietà e si separa da Dio, è Dio stesso che si affligge per la sua immagine che gli viene strappata. Piangi dunque e gemi per la tua anima strappata a Dio; egli stesso è affitto per te, come una madre per il suo figlio unico! Chi ride davanti a un morto, ne odia i genitori; ma se ne prova dolore e afflizione, mostra con le lacrime il suo amore. E chi, nonostante che sia morto per il peccato, mostra gaiezza, odia Dio che per lui prova tristezza e afflizione. Dio si affligge per un’anima morta; chi ne ride e scherza, aumenta l’afflizione di Dio. Chi ride e scherza presso un defunto, aumenta l’afflizione e il dolore di coloro che stanno seppellendo il loro morto. Parimenti aumenta le sofferenze di Dio chi si rallegra nel peccare. Nessun padre, durante i funerali del suo figlio prediletto, soffre tanto, come Dio per l’anima uccisa dal peccato. Rattristati perciò per la tua anima e mostra così amore a Dio, che sente dolore e afflizione per l’anima che ha peccato ed è defunta! Dio si affligge per la morte dell’anima, perché è la sua immagine; chi se ne rallegra e non ne prova dolore, è in tutto simile al demonio. Chi giunge a visitare un morto, vedendo la tristezza che regna ovunque, si sente interiormente commosso e soffre con chi soffre. Ma quando un’anima per il peccato ha perso la vita, il dolore sale, per così dire, sino al cielo: le schiere angeliche si affliggono e Dio stesso ne ha cordoglio. Chi pertanto si rallegra tra gli amici e non piange per la sua anima, è in verità un dannato che non sa neppure di avere un’anima. Piangi dunque sulla tua anima, o peccatore, versa su di lei fiumi di lacrime e risvegliala così alla vita! Ecco: ai tuoi occhi è concesso risvegliarla, al tuo cuore è dato risuscitarla. Tu sei morto, eppure non piangi che la tua anima sia da te separata. Piangi dunque anzitutto per la tua anima, poi potrai piangere per altri motivi! Tu piangi per un corpo morto, perché l’anima si è da lui separata; ma per l’anima, che è morta e separata da Dio, tu non piangi! Le lacrime che cadono sul cadavere, non possono risuscitarlo alla vita; ma se cadono sull’anima, la risvegliano e la fanno nuovamente sorgere. Le lacrime, la tristezza e il dolore non sono per il corpo: Dio li ha creati per l’anima, perché ne possa risuscitare. Piangi perciò con le lacrime di Dio e versa torrenti dai tuoi occhi; con queste tue lacrime e per la sua grazia l’anima morta tornerà in vita. Ecco, il Misericordioso aspetta che tu versi lacrime dai tuoi occhi, per poter purificare e rinnovare l’anima, sua immagine stravolta. Tu hai ucciso la tua anima: svegliala dunque ora dall’empietà! Non è stato qualcun altro che ti ha ucciso e annientato: la tua stessa volontà ti ha ucciso e perduto. Se qualche altro ti avesse assassinato, sarebbe egli a doverti risuscitare; ma siccome la tua stessa volontà ti ha ucciso, è lei stessa che ti deve risvegliare alla vita.

(Efrem Siro, Commento a «I peccatori verranno portati via», 1-6)

 

 

 

Il rifugio dei peccatori

Badate che nessuno dica: “Io non ho peccato”. Chi dice così, è cieco o miope; egli illude se stesso e non vede come Satana lo inganna nei discorsi e nelle opere, con l’udito, il tatto e il pensiero. Chi può gloriarsi di avere il cuore immacolato e tutti i sensi puri? Nessuno è privo di peccato, nessuno è privo di immondizia, nessuno tra gli uomini non ha errato, ad esclusione di quegli solo che per nostro amore si è fatto povero, essendo ricco. Senza peccato è quegli solo che toglie i peccati del mondo, quegli che vuole la beatitudine di tutti gli uomini e non vuole la morte del peccatore: l’amico degli uomini, il mitissimo, il misericordioso, il buono, l’amante delle anime, l’onnipotente, il salvatore di tutti gli uomini, il padre dei sapienti e il giudice delle vedove, il Dio dei penitenti, il medico delle anime e dei corpi, la speranza di chi è privo di speranza, il porto di chi è sbattuto dalla tempesta, l’aiuto di chi non ha aiuto, la strada della vita, che chiama tutti alla penitenza e non rigetta nessuno che si converta. In lui troviamo anche noi il nostro rifugio, perché tutti i peccatori che a lui ricorrono ottengono la salvezza dell’anima. Anche noi, o fratelli, non dobbiamo temere della nostra salvezza. Abbiamo peccato: perciò, convertiamoci! Mille volte abbiamo peccato: perciò convertiamoci mille volte! Per ogni opera buona Dio si rallegra, ma soprattutto per la penitenza dell’anima. Su di questa egli si piega tutto, la solleva con le proprie mani, la chiama e la incoraggia dicendole: “Venite da me voi tutti che siete oppressi da qualche peso; io non rigetto colui che si rifugia in me. Venite da me voi tutti che soffrite e siete aggravati: io vi ristorerò lassù in quella città dove tutti i miei santi riposano in grande pace!”.   (Efrem Siro, La seconda venuta di Nostro Signore, 24-25)

 

 

Preghiera penitenziale della comunità

Cristo, vittima di riconciliazione, immolata sulla vetta del Golgota in sacrificio espiatorio per le colpe di Adamo, accetta il nostro sacrificio e la nostra preghiera, e usa con noi tutti misericordia! Accogli, o Signore, nella tua misericordia, questo sacrificio che ti abbiamo offerto; placati per esso e dona a tutti i peccatori, che a te ricorrono, la remissione delle colpe e dei peccati. Cristo, non distogliere da noi il tuo volto, non allontanarti da chi ti supplica, perché in te è il nostro rifugio! Conducici sulla strada della vita e facci degni, nella tua bontà, dell’indulgenza per le nostre colpe e peccati. Cristo, amico dei penitenti, che sei venuto a chiamare i peccatori, accogli noi tutti che battiamo alla porta della tua misericordia, e facci veri penitenti nelle parole e nelle opere.

(Efrem Siro, Esortazione alla penitenza, 20,1)

 

 

 

Il mare dei peccati e il mare della grazia

Tremo sempre e rabbrividisco quando penso ai miei peccati nascosti, quando soppeso le mie opere. Questo pauroso ricordo delle mie colpe e del giorno del giudizio infonde spavento nelle mie viscere, riempie di angoscia i miei pensieri. Ma è strano come io sappia tutto ciò, come io riconosca chiaramente quel che mi può giovare, e mi abbandoni tuttavia a tanto male. Io so quanto amaramente tutto mi sarà retribuito, e ciò nonostante faccio il male; conosco le opere buone e compio opere cattive. Leggo i libri spirituali scritti dallo Spirito Santo, che annunciano bensì il giudizio e il castigo, ma anche lo splendore delle nozze e il regno dei cieli. Leggo, ma non pratico; insegno, ma non imparo. Sono ben versato nei libri sacri e nella loro lettura, ma sono ben lontano dal mio dovere. Leggo agli altri la Bibbia, ma nulla entra nel mio orecchio. Ammonisco ed esorto gli ignoranti, ma ciò che mi giova non lo attuo. Spesso apro il libro, leggo e gemo; poi lo chiudo e ho già dimenticato tutto ciò che contiene. Quando la Scrittura è lontana dai miei occhi, anche i suoi insegnamenti sono lontani dalla mia mente. Che voglio da questo mondo, in cui sono entrato una volta sola, e da questo corpo pieno di mali, che mi sollecita alle brame perverse? Le sacre Scritture mi spaventano con il giudizio e la retribuzione; le brame perverse invece mi spingono a compiere le opere della carne... Perciò in te, o Signore, io cerco il mio rifugio da questo mondo perverso e da questo corpo pieno di mali, causa di ogni peccato. Per questo io ti grido, come già Paolo apostolo: Quando sarò liberato da questo corpo di morte? (Rm 7,24). Mentre il mio intimo si strugge in queste dolorose riflessioni, sopraggiunge in me un altro stimolo che allontana dal mio cuore la tristezza. Misteriosamente sorge nel mio senso un pensiero consolante, che mi consiglia al bene e mi porge la mano alla speranza. Vedo in spirito la penitenza che mi sta davanti, incoraggiante, e mi sussurra nelle orecchie una promessa consolatrice; rincuorandomi mi dice: “Se tu qual peccatore ti affliggi che il pentimento sia inutile, di che cosa mai ti affliggi, o peccatore?”. “Proprio perché il rincrescimento e le lacrime mi ardono e torturano senza guadagno alcuno, io, guardando l’immensità dei miei peccati, mi sento precipitare nella disperazione”. “Ascolta, o peccatore, - mi sussurra di nuovo la penitenza nell’orecchio - voglio impartirti un insegnamento salutare, voglio darti un consiglio vivificante! Ascoltami: ti mostrerò come tu possa piangere nel modo retto, affinché il tuo dolore ti sia utile e le tue lacrime ti giovino. Non cadere nello scoraggiamento, non abbandonarti alla disperazione, non perder l’animo contemplando i tuoi debiti e non dimenticare i tuoi vantaggi. Il Signore è buono e misericordioso, egli brama di vederti alla sua porta e si rallegra se tu ti converti, riabbracciandoti con gioia. La tua colpa, tanto grande, non può essere neppure paragonata alla goccia più piccola della sua misericordia; egli ti purifica con la sua grazia dai peccati che ti dominano. Il mare dei tuoi peccati non può soffocare l’alito più tenue della sua misericordia, anzi, neppure l’ingiustizia di tutto il mondo può superare il mare della sua grazia”. “Anche se tu incedi oppresso dalla colpa e dai peccati, cessa ora le tue cattive azioni, avvicinati alla sua porta, ed egli ti accoglierà. Non pensare di aver commesso troppi delitti, tanto da non esser più riammesso se ritorni; questo pensiero ti tratterrebbe dal fare penitenza. Non guardare la quantità immensa dei tuoi peccati nascosti, perché tu non finisca per trascurare ciò che ti serve alla vita eterna. Il tuo Signore, infatti, può renderti puro da ogni colpa, può lavarti da ogni macchia. Anche se la sozzura delle colpe fosse tanto penetrata in te come il colore nella lana, egli ti renderà bianco come la neve, secondo quanto sta scritto nel Profeta (Is 1,18). O peccatore, abbandona i tuoi misfatti, pentiti di ciò che hai perpetrato ed egli, nella sua misericordia, ti riaccoglierà. Tralascia le tue macchie e vieni da lui, ed egli ti riaccoglierà”. “Sì, - mi dice la penitenza - io lo garantisco. Fa solo ciò che dico, o peccatore impuro, e il Signore buono ti accoglierà, ti riabbraccerà, come faccio io. O peccatore, se tu piangi e ti rammarichi per i tuoi delitti e poi ricorri fiducioso a lui, egli perdona le tue colpe e riversa su di te la pienezza della sua misericordia; egli infatti desidera e brama la tua conversione e si allieta vedendoti alla sua porta, perché egli per i peccatori e i cattivi ha sopportato la morte e l’ignominia”. “E’ davvero così, come ti dico, o peccatore: amara e dolorosa è la pena che il delinquente si aspetta. I colpevoli saranno puniti nel fuoco orrendo, come dice la Scrittura (cf. Mc 9,47), quando vi sarà il giudizio. Ma sappi anche questo, o peccatore - mi soggiunge la penitenza - che non è in mio potere aiutare in un qualsiasi modo i colpevoli nell’aldilà. Chi non mi ascolta qui e non cerca rifugio sotto le mie ali, io non potrò più aiutarlo là, nell’altro mondo. Allora non mi sarà più concesso intercedere per il peccatore che quaggiù non si sarà affrettato a me per nascondersi sotto le mie ali. Ecco dunque il mio consiglio o peccatore, per la tua salvezza: vieni da me finché sei in questo mondo, e per opera mia tu vivrai! Io supplico per te la sua grazia e il suo perdono e li muovo con le mie lacrime a far sì che la giustizia si volga in indulgenza. Mi presento alla grazia per scongiurarla, per supplicarla con le lacrime agli occhi, che usi misericordia per le tue colpe. Confido in essa: la grazia ascolterà la mia intercessione per te e si prodigherà, a pro tuo, a raddolcire la giustizia. Sì, o peccatore, la grazia stessa ti prenderà, invisibile, per mano e si presenterà supplice alla giustizia, indirizzandole queste parole: O giustizia, tremenda più di ogni altra cosa: riguarda questo peccatore! Certo, ha peccato e si è macchiato, ma ora si è fatto penitente. Guardalo come trema, teme e si vergogna delle sue colpe passate, e con quali gemiti ti supplica di indulgergli. Guarda i suoi sospiri e le sue lacrime, il suo pentimento e il suo intimo dolore, e rimettigli tutti i trascorsi, perché mai più ad essi ritornerà. Osserva come per la tristezza del suo cuore sta quasi per cader nella disperazione! Se non lo si incoraggia, va perduto. Porgigli dunque la mano e fagli udire la parola del perdono, affinché si rialzi subito nella speranza di esser nuovamente accolto, quando tornerà al Signore misericordioso!”.

A tutti coloro che come me sono peccatori, ho detto tutto ciò, per suscitare in loro speranza, consolazione e pentimento. Sia lodato il Misericordiosissimo, il Benignissimo, che si rallegra quando ci convertiamo e ci riaccoglie lieto, con amore, senza esitazione. Sia lodato il Ricco di grazia, le cui porte stanno spalancate per i buoni e per i cattivi, che non chiude l’accesso alla grazia ai cattivi che si convertono. Sia lodato, perché dà a tutti la possibilità di raggiungere il regno: ai giusti con le loro virtù, ai peccatori con la penitenza. Sia lodato, perché per i peccatori ha abbandonato se stesso alla morte e all’ignominia, e ha accettato l’orrenda crocifissione per poter donare loro la vita. Sia lodato, perché per sua grazia ci ha creati, e poi è venuto a liberarci con la croce. Verrà di nuovo nel grande giorno della sua parusia per svegliare noi tutti. E rendici degni, o benigno, per la tua grazia, che in quel giorno del giudizio risplenda a noi la tua misericordia, e ci sia concesso, o Dio, di lodarti, con i tuoi santi per tutta l’eternità!   (Efrem Siro, Commento a «Guai a noi, che abbiamo peccato!», 9-13)

 

 

 

Una lacrima di pentimento cancella ogni capo d’accusa

Senza che l’uomo lo noti, gli sta incessantemente al fianco un annotatore invisibile dei suoi discorsi e delle sue azioni, che appunta per il giorno del giudizio. Chi potrà soddisfare le esigenze severe della giustizia, dato che chiederà conto di ogni battito degli occhi, dato che ogni sguardo non passa inosservato? E tuttavia, venite e incoraggiatevi: per quanto il conto della giustizia sia così severo, quando l’uomo fa penitenza una sola sua lacrima cancella tutto l’elenco delle sue colpe. Ma venite, vedete quest’altro e stupite: anche se dalla misericordia la grazia trabocca come un mare, a colui che non si converte nessuno potrà far giungere la grazia nel giorno del giudizio. (Efrem Siro, Esortazione alla penitenza, 11,5)

 

 

I singoli precetti erano legati al loro tempo

Nota quali precetti dovessero servire solo al loro tempo e ad esso fossero adattati, e non lasciarti sconcertare se odi detti scritturistici contrari l’uno all’altro. Per esempio un detto suona così: “Voglio i sacrifici”, un altro: “Odio i sacrifici”. Un detto dice ancora: “Purifica i cibi da ciò che è impuro”, un altro: “Mescolali e mangiali”. Un altro ancora: “Osserva le feste!”, un altro: “Io profano le feste”. Un detto suona: “Santifica il giorno sacro”, un altro: “Io ho in abbominio i sabati”. Un detto dice: “Circoncidi ogni maschio”, e un altro: “Abbomino la circoncisione”. Quando odi ciò, renditi conto, ragionando, della diversità, e non lasciarti sconvolgere come molti che il demonio avvolge fra le sue spire! Senti dunque: i detti scritturistici sono usciti da una sola bocca, diretti però a generazioni diverse. Un detto si rivolge a una generazione, quella generazione svanisce e il precetto con lei; giunge un’altra generazione, ed ecco un altro detto che gli impone una nuova legge. I detti rivolti a tutte le generazioni si sommano e ammucchiano per l’ultima generazione. Ora si fanno avanti dei pazzi che spiegano la contraddittorietà di questi detti ammettendo diversi dèi, quali loro autori: essi non vedono che le singole generazioni sono diverse l’una dall’altra, e distinte anche nel loro modo di agire. E’ necessario che a tutte le generazioni vengano date le disposizioni corrispondenti, ed ecco perciò a ogni generazione detti stimolanti alla pietà, rivolti ai suoi figli. Ma in tal modo questi detti si sono moltiplicati e ammucchiati; il cumulo di detti sconvolge gli insipienti, tanto che si staccano dall’unico Iddio. Molti furono i detti dei profeti, miranti a curare le infermità; tutte le medicine possibili furono usate contro la malattia della caducità. Vi sono precetti che perdono l’efficacia quando i mali precedenti non sono più attuali; e ve ne sono altri, invece, che sussistono, perché anche i mali sussistono. Gli apostoli e i profeti sono medici delle anime: essi prescrivono i mezzi corrispondenti alla miseria dell’umanità; preparano le medicine per le malattie caratteristiche della loro generazione. Le loro medicine servono sia dopo che prima, perché vi sono malattie che sono proprie di qualche generazione e vi sono malattie comuni a tutte le generazioni. E contro le malattie nuove, essi prescrissero medicine nuove; per le malattie sussistenti in tutte le generazioni, essi porsero sempre le stesso medicine. Così fu dato il precetto: «Non rubare!». E’ una malattia che continua, perciò continua anche il rimedio. Fu dato anche il precetto della circoncisione: quella malattia è svanita, perciò è venuto meno anche il rimedio. Si porse ai circoncisi uno strumento contro malattie che sarebbero sorte; ma tali strumenti, adatti contro malattie precedenti, ora sono diventati inutili, perché queste malattie oggi più non si riscontrano. Non v’è più il danno da esse causato, perciò il rimedio è diventato inutile. Così oggi i precetti del sabato, della circoncisione e della purità levitica sono superflui per noi; agli uomini invece di quei tempi erano senz’altro utili. Ai primi uomini erano inutili, perché essi erano sani per la conoscenza; anche a noi, ultimi uomini, sono inutili, perché siamo sani per la fede. Servirono solo agli uomini del periodo intermedio, perché erano aggravati dal paganesimo.   (Efrem Siro, La fede, 40-42)

 

 

 

La transitorietà della vita

Vedi nell’ombra ciò che ti dico, e da essa impara! Proprio come l’ombra, che mai sta ferma, la tua vita trascorre. Tu resta fermo in un posto e osserva l’ombra del tuo corpo: come essa procede e non sta mai sulla stessa linea, così la tua vita procede e si affretta alla fine. L’ombra del tuo corpo si muove dalla mattina alla sera; la tua vita trascorre dal seno della madre al sepolcro. La tua vita è misurata con una spanna, che non viene superata, e le tue dita rappresentano quasi i cinque gradini della tua misura. La spanna comincia con il mignolo e termina con il pollice; identico è l’inizio della tua vita e la fine della tua vecchiaia. La vita comincia col mignolo, cioè con i primi tempi dell’infanzia. Si giunge poi al secondo dito, cioè alla fanciullezza inesperta. Col medio, si è nella giovinezza, gonfia e superba. Col cosiddetto quarto dito, si diventa uomini maturi, ma la misura comincia a diminuire e resta solamente un dito. Giunge infine la vecchiaia, il pollice, il termine della vita. E’ questa la tua misura, se ti è concesso di riempirla; infatti può avvenire che la morte ti sopraggiunga prima che tu l’abbia adempiuta, perché il Creatore, se vuole, raccorcia la spanna della tua vita, forse anche perché venga tolto il male e non si prolunghi con il tuo vivere. Sulla mano si rivela dunque la misura della vita stabilita per l’uomo e le dita rappresentano i cinque gradini su cui l’uomo avanza. Osserva dunque a quale dito ora ti tocca stare, a quale gradino sei posto; ma tu non sai a quale dito giunga improvvisa la fine. Il giorno del Signore è un ladro che ti ruba senza che tu neppure te ne accorga. Conduci la tua vita nella pace ed equipaggiala di un buon viatico, perché si raccolga in Dio! Là ti troverai dopo la sua fine, quando dovrai rendere conto. Ma se vivi male, la tua vita ti verrà strappata e andrà perduta: la cercherai, ma non la troverai più. L’acqua versata in terra non la puoi più bere; se la versi invece in un bicchiere, ecco, l’hai pronta per berla. Non trascorrere la tua vita nell’ira e nell’odio, non dissiparla nella rapina e nell’ingiustizia; non renderla, con l’impurità e la ladroneria, simile ad acqua fetida, che la terra ingoia e nessun occhio più vede. Non mandare in rovina la tua vita con l’invidia e l’inganno, col cruccio e l’astio, con la cattiveria di qualsiasi specie: saresti altrimenti un morto vero che ha perso la sua vita. Nulla all’uomo è più caro del vivere suo, e per esso darebbe il mondo intero, se gli fosse possibile. Persegui l’impegno migliore, perché ti serva come canale in cui la tua vita, pur trascorrendo, possa giungere alla fine a quietarsi in Dio. Orienta il fiumicello del vivere tuo verso il Signore, affinché, dopo aver vinto quaggiù, tu ti possa trovare lassù nel mare della vita! Vi è un torrentello di vita, in questo mondo transitorio, che tu chiami tuo: conducilo lassù a Dio, perché diventi un oceano di vita. Giorno per giorno la tua vita scorre e se ne va: riversala in Dio, perché tu la possa ritrovare per l’eternità!   (Efrem Siro, Su «Tutto è vanità e afflizione di spirito», 5-6)

 

 

 

Le tappe sulla strada del cielo

Ascolta le parole del consiglio bello e buono e impara ciò che ti dico, mio caro fratello e amico di Cristo! Se vuoi fare un viaggio verso un’altra terra, una terra lontana, verso la tua patria, non puoi lasciarti dietro tutta l’estensione della strada in un istante, ma fai un certo numero di passi, e giungi così, a poco a poco e con fatica, alla terra che brami. Così avviene anche per il regno dei cieli, per il paradiso di delizia. Vi si giunge attraverso il digiuno, l’astinenza e la veglia. L’astinenza, le lacrime e la preghiera, la veglia e l’amore sono le tappe che conducono al cielo. Non temere per un buon inizio della bella strada che conduce alla vita eterna: abbi soltanto la più seria volontà di entrare in tale strada, e sii pronto. Presto essa si spianerà davanti ai tuoi piedi, passerai con gioia e contentezza da una tappa all’altra, e a ciascuna i passi della tua anima si faranno più saldi. Non troverai più difficoltà sulla strada che conduce al cielo, perché il Signore del cielo si farà egli stesso, spontaneamente, strada della vita per quelli che con gioia vogliono giungere al Padre della luce.

(Efrem Siro, Meditazione sulla morte, 6)

     
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