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CLEMENTE VILLIBRORDO   -  Santo

 

Memoria liturgica 7 Novembre

 

 

MISSIONE A RISCHIO

Stanziati lungo le terre bagnate dal Mare del Nord, tra gli stati attuali di Belgio e Danimarca, i frisoni appartenevano a una delle più fiere tribù germaniche. Gelosi della propria libertà, si opposero tenacemente prima ai romani, poi all’espansione dei franchi. Pagani fino al midollo, rifiutavano ogni tentativo di civilizzazione e cristianizzazione. Cominciarono i missionari franchi a evangelizzarli. alla fine del secolo VI, lasciando a Utrecht una chiesetta in onore di s. Martino. Pochi decenni dopo, riprovarono i santi Eligio e Amando, ma con scarsi risultati: i frisoni non erano disposti ad accettare la croce da chi li voleva soggiogare con la lama della spada. I missionari anglosassoni, affini per stirpe, lingua e cultura, lontani da ambizioni politiche, ebbero migliore accoglienza. Nel 678 il benedettino Vilfrido, vescovo di York, spinto dai venti sulla costa della Frisia mentre era in viaggio verso Roma, fu benvenuto dal re Aldgiso e, durante l’inverno, predicò la fede cristiana, convertendo migliaia di Risoni, a detta del venerabile Beda. Poco dopo, l’abate Egberto, irlandese di Ratmelsigi (oggi Mellifont), con alcuni compagni progettò l’evangelizzazione sistematica della Frisia; ma una violenta tempesta li ributtò in Irlanda. Ritentò Egberto con una impresa solitaria: per due anni percorse la regione sotto lo sguardo sospettoso del pagano re Radbodo, finché dovette tornare a casa. Nel 689 Pipino II Heristall, maggiordomo del regno franco, sottomise la parte occidentale della Frisia: l’abate Egberto colse l’occasione per attuare il suo progetto e organizzò una nuova spedizione missionaria, composta da 12 monaci e guidata da Villibrordo: per quasi 50 anni egli percorse la Frisia, dando un aspetto cristiano alla regione, e passò alla storia come «apostolo dei Paesi Bassi».

 

 

MISSIONARIO PELLEGRINO

Era nato nel 658 in Nortumbria, regno degli Angli, a nord del fiume Humber, da nobile famiglia sassone, convertita al cristianesimo nel 627. Il padre, san Vilgiso, rimasto vedovo quando Villibrordo era ancora in fasce, vegliò sui primi passi del rampollo, finché, a sette anni, lo affidò ai benedettini di Ripon, perché avesse una buona educazione; quindi si ritirò in solitudine su un promontorio del fiume Humber, dove, ben presto circondato da numerosi discepoli, edificò un monastero dedicato a sant’Andrea. Abate di Ripon era san Vìlfrido, tenace difensore dell’universalità romana contro il particolarismo scoto Irlandese. Lo stesso anno in cui il piccolo Viilibrordo entrò a Ripon (664). ebbe luogo la famosa conferenza di Whitby, in cui l’abate convinse il re Osvy ad adottare le tradizioni liturgiche di Roma. Per 14 anni Villibrordo rimase alla scuola di Vìlfrido, ricevendone l’abito benedettino e respirando l’atmosfera della cattolicità romana. Ma quando il maestro, eletto vescovo di York e consacrato in Francia, fu allontanato dalla diocesi (678), il giovane monaco andò a perfezionare gli studi in Irlanda, nel monastero di Ratmelgisi, attratto dalla fama dell’abate Egberto, rinomato maestro di vita spirituale di quei tempi. Villibrordo fu presto contagiato dal fervore missionario che regnava nel monastero, da dove partivano i «pellegrini per Cristo» per predicare il vangelo ai popoli pagani del continente. Si faceva un gran parlare della Frisia, soprattutto, come terra promessa di apostolato e di martirio. Egli ammirava le imprese di Egberto e Vigberto, ma ne vedeva pure i limiti, alla luce della concretezza benedettina succhiata alla scuola di Vilfrido. A 30 anni Villibrordo venne ordinato prete; a 33 fu scelto da Egherto per guidare una nuova spedizione tra i frisoni. Gli 11 compagni, di cui conosciamo pochi nomi, non erano meno focosi di lui: Evaldo il bianco ed Evaldo il nero (dal colore dei capelli) finirono presto martiri per mano dei sassoni in Westfalia; nella stessa regione Suitberto fu trucidato dai boructavi; Adalberto e Verenfrido evangelizzarono varie regioni della Frisia e morirono di morte naturale.

 

 

MISSIONARIO... PAPALINO

Lasciata l’Irlanda nel 690, la spedizione attraversò a piedi l’Inghilterra, navigò verso il continente e approdò alle foci del Reno. Villibrordo si premurò di raggiungere la corte di Pipino, per ossequiare il monarca e chiederne la protezione. Il giovane missionario si guadagnò senza fatica l’ammirazione del sovrano e l’appoggio della nobiltà franca. Per prudenza, i missionari si stabilirono ad Anversa, dentro il regno franco, accettando in dono la chiesa dei S.S. Pietro e Paolo, fondata da S. Amando, e altri benefici ecclesiastici; di qui cominciarono a estendere la loro azione nella regione di Utrecht. Villibrordo capì subito che non poteva presentarsi ai Frisoni nel nome dell’odiato dominatore, ma con le credenziali pontificie. Nel 692 si recò a Roma; papa Sergio i gli conferì di cuore il mandato di predicare il vangelo in Frisia e nelle regioni circostanti, lo benedisse e lo rifornì di reliquie e libri sacri.

Tornato in sede, si rallegrò dei successi ottenuti dai compagni: numerosi battesimi di nobili ,liberi contadini e servi. Si sentì il bisogno di un vescovo che amministrasse anche le cresime: fu scelto Suitberto, il più anziano del gruppo. Ma per mantenere le distanze dalla politica, Villibrordo non scomodò l’episcopato franco, ma inviò il candidato in Inghilterra, perché fosse consacrato da Vilfrido di York. Pipino ci restò male; soprattutto non poteva immaginare un vescovo senza diocesi, fatto solo per distribuire cresime e consacrare altari e chiese. Il vescovo fu bandito dal regno merovingio e, per non perdere la protezione del maggiordomo, Villibrordo dovette cedere. Suitberto se ne andò a evangelizzare la minuscola etnia dei boructavi, in Westfalia, dove lavorò 24 anni, fino a quando i sassoni annientarono i suoi sforzi: gli sopravvisse il monastero di Kaiser­swerth, in un’isola del Reno di fronte a Dusseldorf. Intanto il matrimonio tra Grimoaldo, figlio di Pipino, e Teodolinda, figlia di Radbodo, re dei Frisoni, scongiurava ogni rischio di guerra, almeno per il momento, e apriva la strada per evangelizzare anche la parte settentrionale della Frisia. Il principe merovingio lanciò l’idea di erigere non una diocesi, ma una circoscrizione ecclesiastica che abbracciasse tutta la Frisia e propose lo stesso Villibrordo come arcivescovo.

Villibrordo si recò di nuovo a Roma e sottopose il progetto a papa Sergio, che 1121 novembre 695 lo consacrò vescovo e gli impose il pallium, simbolo dell’autorità metropolitana e di totale comunione con Roma. Inoltre, al bellicoso nome celtico (Villibrordo significa: guerriero) il pontefice prepose quello più mite e pronunciabile di Clemente; dopo quel giorno, però, tale nome non fu quasi mai più menzionato. L’evento segnava il culmine della cattolicità: un papa di origine siriaca nel cuore della cristianità, conferiva la pienezza del sacerdozio a un monaco anglosassone, mandato da un principe franco.

 

 

TENTANDO IL COLPO GROSSO

Nuovamente rifornito di reliquie, libri liturgici e paramenti sacri, Villibrordo lasciò Roma in pieno inverno, raggiunse Utrecht (696), sede della nuova arcidiocesi, e cominciò a organizzare materialmente la sede episcopale: costruì la cattedrale dedicata a san Salvatore e l’episcopio; risollevò dalle macerie il santuarietto di s. Martino; fondò la scuola per l’educazione dei giovani e la formazione del clero locale; organizzò in comunità i suoi collaboratori, mescolando la regola benedettina con le tradizioni irlandesi; avviò la vita liturgica con splendide celebrazioni religiose, alle quali i Frisoni accorrevano meravigliati. Uguale solennità veniva usata anche fuori dei riti sacri. Sapeva che, con gente sensibile al prestigio della forza, il primo impatto era decisivo. Per questo cercava di impressionare i frisoni: si presentava loro come gran signore su una cavalcatura, con una croce d’oro in mano e circondato da scorta ugualmente a cavallo. In tal modo pensava di dimostrare l’inanità e impotenza degli idoli e l’onnipotenza del Dio dei  cristiani. Se tale bardatura aveva sulla gente semplice un certo effetto, i re pagani non facevano una grinza, come Radbodo, re dei frisoril rimasti indipendenti. Villibrordo sperava di fare il colpo grosso: convertire il capo, perché i sudditi lo seguissero in massa alla fonte del battesimo. Era la strategia del tempo e aveva funzionato a meraviglia con i franchi, anglosassoni e altri popoli barbari. Il re accolse il missionario, lo ascoltò, gli promise di non ostacolare il lavoro missionario tra i suoi sudditi, ma di abbracciare la religione dei franchi neppure parlarne. In pratica egli rimase ostile al cristianesimo fino alla sua morte (719). Con la stessa tattica Vìllibrordo tentò, inutilmente, di convertire le popolazioni dello Schleswig e Danimarca: Ongendo, il re dei danesi, era «più crudele di ogni fiera e più duro di ogni pietra» racconta Alcuino. Tuttavia il vescovo fu accolto con rispetto e ottenne che 30 giovani lo seguissero a Utrecht, per ricevere la formazione cristiana e tornare poi in patria ad annunciare il vangelo ai connazionali.

 

 

LOTTA ALL’IDOLATRIA

Contro l’idolatria Villibrordo non si accontentava delle parole, ma passava spesso alla sfida aperta. Ritornando dalla Danimarca, approdò nell’isola di Helgoland, allora sotto il dominio di Radbodo. In attesa di venti propizi per riprendere il viaggio, il vescovo cominciò a predicare il vangelo agli abitanti. C’era nell’isola una fonte dedicata al dio Fosite. Si diceva che, chiunque avesse rotto il silenzio mentre ne attingeva l’acqua o avesse osato toccare il bestiame sacro alla divinità, sarebbe stato fulminato dal dio irritato. Per dimostrare che Fosite era niente, dinanzi ai pagani sbigottiti, Villibrordo battezzò tre giovani danesi nella sorgente sacra, pronunciando ad alta voce la formula battesimale; poi ordinò di preparare un bel festino con le carni arrostite di alcune bestie sacre. Invece dei fulmini di Fosite, arrivarono quelli di Radbodo. Villibrordo fu portato al cospetto del re. Il vescovo ne approfittò per fare una vibrata catechesi sull’unicità di Dio e sulla vita eterna; ma non riuscì a evitare che uno dei battezzati, tirato a sorte, fosse sacrificato all’idolo crudele: fu il primo martire della sua missione tra i frisoni; un martirio che gli spezzò il cuore. Seguendo le istruzioni date un secolo prima da Gregorio Magno a s. Agostino, apostolo degli anglosassoni, Villibrordo era implacabile contro gli idoli, ma risparmiava i luoghi sacri, trasformandoli in edifici di culto cristiano. E quanto fece nell’isola di Walacria: scoperto un tempietto con la statua di Nehalennia, dea protettrice dei marinai, il vescovo frantumò l’idolo, sfidando le ire del custode, che gli assestò un colpo di spada in testa. Rimasto miracolosamente illeso, Vihibrordo usò il tempio per celebrarvi la messa. Uguale trattamento fu riservato alle sorgenti, che i frisoni, come altre popolazioni germaniche, circondavano di particolare venerazione, come simboli di vita e fecondità: le credevano inabitate da spiriti vitali che assumevano forma umana al momento della nascita. Partendo da tale credenza, Villibrordo spiegava ai pagani che le fonti da essi venerate potevano dare loro la vita vera, nel tempo e nell’eternità, mediante la rigenerazione battesimale: e usava quelle stesse sorgenti per amministrare il battesimo.

 

 

MISSIONE SENZA FRONTIERE

Fallita la conversione in massa, i missionari continuarono di nascosto a seminare il vangelo nel regno di Radbodo, con la speranza di tempi migliori per fondarvi nuove diocesi. Da parte sua, data l’impossibilità di estendere a nord la sua azione missionaria, Villibrordo percorse senza un attimo di sosta le regioni orientali del regno franco: Fiandra, Campine, Lussemburgo, Turingia, Zelandia, nord della Francia. Nel 698 egli si recò a Treviri, dove Irmina, suocera di Pipino, gli aveva fatto dono di una chiesa e un piccolo convento da lei fondato e diretto a Echternach (Lussemburgo). Il vescovo vi passò l’inverno e ricevette in dono dai nipoti della badessa ville, campi e vigne per future fondazioni ecclesiastiche. Nel 703-704, accompagnando l’amico Vilfrido in viaggio verso Roma, raggiunse la Turingia, dove il duca Heden lo accolse con onore. Al ritorno, passò a trovare Irmina e la mise al corrente di un suo disegno: la costruzione a Echternach di un monastero maschile sotto la regola di s. Benedetto. Il progetto andò in porto: il monastero fu inaugurato nel 706 e divenne un centro di irradiazione cristiana, procurando cooperatori e risorse, di accoglienza per i missionari stanchi e costretti ad abbandonare temporaneamente il campo dalle epidemiche rivolte. Dovunque passasse, Villibrordo predicava, istruiva, conveniva, battezzava e costruiva cappelle, chiese e monasteri. E faceva anche miracoli. A Treviri liberò dalla peste una comunità di monache. In un’altra città spense il fuoco, appiccato dagli spiriti maligni alla casa di un amico, con abbondanti aspersioni di acqua benedetta. Numerose furono le sorgenti scaturite al suo comando per dissetare i compagni o reperire l’acqua per il battesimo. Si narra pure di fiaschi di vino quasi a secco che, dopo una sua benedizione, si riempivano per dissetare mendicanti infreddoliti o rallegrare amici e monaci, rimanendo ancora pieni.

 

COLLABORAZIONE INDIGENA

Saranno leggende, ma mettono in luce un aspetto della sua personalità. Piccolo di statura, come lo descrivono i suoi contemporanei, capelli neri, delicata costituzione, occhi vivi e profondi, Villibrordo aveva una volontà incrollabile, mai soggetto a scoramenti; tempra non comune di rude pioniere, prudente e leale, metodico organizzatore e austero con se stesso, possedeva il senso del comando e l’equilibrio della regola benedettina: grande attenzione alle necessità degli altri, anche a quelle a prima vista irrilevanti. Uomo di preghiera e divorato dallo zelo, egli possedeva una brillante intelligenza che gli accattivò simpatia e collaborazione di principi e nobili dell’epoca. A nessun altro missionario di quei tempi furono fatte con tanta abbondanza donazioni di ville, tenute, boschi, prati, acque, mulini case, cappelle e monasteri come a Villibrordo. Nel solo Brabante, 17 benefattori gli lasciarono vasti terreni e relative dipendenze, dislocati in 25 zone diverse. Tali donazioni assicurarono l’avvenire della missione in Frisia e delle numerose opere erette da Villibrordo nelle province vicine, le chiese rurali soprattutto. Infatti, appena aveva raccolto attorno a sé un modesto gruppo di neofiti, Villibrordo costruiva una cappella di legno, che egli stesso consacrava e vi riponeva le reliquie ricevute a Roma, poi affidava la comunità a un sacerdote, provvedendo a tutte le sue necessità con i proventi di tali donazioni. Senza sottovalutare l’aiuto ricevuto dai suoi connazionali, che seguivano la sua attività con la preghiera e gesti di solidarietà, è soprattutto tra i frisoni che Villibrordo trovò collaboratori devoti, laici e chierici. La formazione del clero locale fu una delle priorità missionarie, scegliendo i candidati con prudenza. A lui si deve l’introduzione in occidente dei vescovi ausiliari, di cui si serviva in modo regolare e costante.

 

 

TUTTO DA RIFARE

Alla morte di Pipino Heristal, preceduta dal figlio Grimoaldo (714), Radbodo si ribellò ai franchi e scorrazzò nel loro regno, innescando un violento rigurgito di paganesimo che distrusse chiese e cappelle, costringendo monaci e preti a cercare scampo nel monastero di Echtemach, compreso l’arcivescovo. Continuando a guidare da lontano la ripresa del suo arcivescovado, Villibrordo concentrò il suo apostolato lungo le rive della Sure e preparò l’invio di alcuni monaci in Turingia per aprirvi un altro fronte missionario; ma il progetto andò in fumo per la morte del duca Heden II. Finalmente, con la vittoria di Carlo Martello (718), figlio naturale di Pipino,e la morte di Radbodo (719), Villibrordo poté rientrare a Utrecht, ma dovette praticamente rievangelizzare frisoni e danesi, con la collaborazione di molti frisoni rimastigli fedeli. Così, a 60 anni suonati, riprese a viaggiare, predicare, firmare l’accettazione di donazioni e organizzare nuove fondazioni di chiese e monasteri. Per tre anni (719-721) ebbe come collaboratore un altro grande anglosassone, Bonifacio, anche lui innamorato dei frisoni. Egli aveva ricevuto da Gregorio II il mandato di evangelizzare la Germania, ma prima volle addestrarsi all’azione missionaria alla scuola di Villibrordo, che lo avrebbe visto volentieri come suo successore.

 

 

FINE DEL PELLEGRINAGGIO

Nel 731, testimonia un contemporaneo, il venerabile Beda, tutti i compagni di Villibrordo erano passati a miglior vita. L’arcivescovo continuava il suo «pellegrinaggio per Cristo», ma cominciava a tirare i remi in barca: malattia e vecchiaia ne rallentavano l’attività, tanto da doversi ritirare sempre più spesso a Echtemaeh, dove morì nel 739. Aveva 81 anni. Alla sua morte la sognata circoscrizione della Frisia contava ancora la sola diocesi di Utrecht. Il testimone passava ai suoi discepoli, che potevano contare sulle solide basi gettate dal grande missionario, la cui vita è sintetizzata egregiamente dal suo antico compagno di missione, Bonifacio, nella lettera scritta a papa Stefano II nel 733: «Prima dell’arrivo di Villibrordo, i frisoni erano pagani. Con 50 anni di predicazione, egli ne ha convertito la maggior parte alla fede di Cristo e li ha evangelizzati fino all’estrema vecchiaia»

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