prima parte
Passeggiate nel Canavese "Feletto"
La
prima volta che mi portai a Feletto non dimenticherò mai,
quantunque ciò mi sia accaduto in età ben remota.
Da un mese e più era tormentato da un forte mal d'orecchio, che
non mi dava mai tregua.
Tutti i medici dei dintorni erano stati consultati; e tutti
avevano pronunziati grandi paroloni nel definire il mio malore,
ma nessuno aveva poi saputo prescrivere l'opportuno rimedio.
Stanchi i miei parenti di farmi visitare da medici e chirurghi,
tra cui si vedeva nessun vantaggio, finirono per lasciare la
guarigione alla natura stessa del male; tanto più che un medico
aveva sentenziato esserne causa il precoce sviluppo operatosi nel
mio fisico.
Una vecchia governante, che aveva fama di saperla lunga, con la
quale io faceva tutto il giorno, sempre borbottava ad ogni mio
gemito. - Bisogna consultare il prete di Feletto: altrimenti non
guarirà. Ma in famiglia non si voleva sapere altro che di medici
addolorati, riputando tutti i profani alla laurea medica
cerrettani. Intanto io soffriva e dava pena a chi mi assisteva.
Un bel dì, in cui il malore mi faceva gridare più forte delle
altre volte, la vecchia Teresa, mia governante, venuta in
tenerezza più del solito o stufa dei miei piagnistei, disse con
risoluzione: - Avvenga che può, si andare dal prete di Feletto!
Egli è già presso a un mese e più che questo male dura e deve
finirla: a' ripari dunque.
Detto fatto: finse di condurmi a passeggio e mi fece montare in
un calessino: e via per Feletto.
La frescura, il moto, o che so io d'altro, forse operando sul
sistema nervoso, mitigarono il mio male, oppure fisso ad ogni
svolazzo d'augello ed al rapido passarci vicino di altri veicoli
io dimenticai il mio malore: in fatto io più non mi lamentava. E
la Teresa mormorava al conduttore: - Ecco cosa vuol dire aver
fede! Questo ragazzo ne sente già l'influsso: soffre presso che
più.
- E perché non andarci avanti? Rispondeva l'auriga.
- Fa un bel dire andarci avanti quando si dipende da chi è
risoluto a credere che questo santo prete sia un ciarlatano.
- Ed ora perché ci si va ?
- Ci si va perché nessuno lo sa.
- Il ragazzo parlerà.
- Dio me la mandi buona allora!
- Non dirò niente - dissi io che avea inteso tutto, quantunque
parlassero rapidamente e sotto voce - Non dirò nulla purché non
mi faccia male il prete.
- Santa Vergine cara! Il prete di Feletto far del male ai bimbi!
- Esclamava la Teresa, come chi sente di cosa inaudita.
- Lo conosco tanto buono ch'egli ne passa un santo - osservavami
il conduttore. - Va bene allora - dicevo io.
Intanto il vetturino, parente di monna Teresa, diceva tra i denti
ad essa : - Tuttavia, prima di decidervi a questo passo, avreste
fatto bene tastare più volte così dalla lunga suo padre.
- E tu sei mal sordo: non t'ho detto millanta volte, che ciò
feci più e più fiate senza promio e del ragazzo.
- Allora state sulle vostre, se il ragazzo venisse a peggiorare.
- Sei il gran balordo! Il prete guarisce tutti.
- Eh! Dio voglia che tutto riesca bene e che voi abbiate il pien
vostro.
- E volli dire un passo in più in là, che ti caverà ogni sorta
di dubbio. - Sentiamo. E qui la voce di monna Teresa si fece
tanto bassa, che più nulla intesi; ma ora mi pare di indovinare
di che si trattasse. Si trattava certamente di qualche
superstizione, di qualche predestinazione, originata dai suoi
sogni. E non poteva esser altro, poiché ella mi raccontava alle
volte tali strane leggende, che mi restarono lungamente impresse.
Fummo in Feletto ben presto: e ben tosto monna Teresa batté alla
porta del prete medico. Una sua pari, vecchia in cuffia bianca e
grembiule nero, aprì la porticina, accogliendoci cordialmente.
Era conoscente di lunga data di Teresa; tutte due aggrinzite e
tabellone al sommo grado appiccarono così un cicalio, che durò
non so più quanto.
Finalmente la governante del prete ci fece passare al laboratorio
del padrone; e tanta era la riverenza dell'introduzione, che io
fui preso da timor panico. - Don Franzino, c'è un malato - disse
dolcemente, bussando alla porta la serva sua. - Avanti, avanti -
rispose una voce melliflua, anzi che no. E fummo introdotti in un
bugigattolo stretto stretto, pinzo di libracci, di cartoni con
erbe secche, fiale con liquidi di ogni colore, oricanni con
pomate, ritorte con sifoni a spira, quadretti di santi, figure
anatomiche, sul cui tutto regnava un dito di polvere.
In un antico seggiolone arabescato sedeva un vecchierello
arzillo, d'aspetto non brutto, piccolo, magro, grigio grigio, che
gettatoci uno sguardo alla sfuggita disse: - Buon giorno, signora
Teresa: un momentino e poi sono tutto da lei. - A posta sua, a
tutto suo comodo, a tutto suo beneplacito, Don Franzino - non
finiva più di dire Teresa. V'era in quella stanzuccia una sola
seggiola mingherlina: su questa posò Teresa, prendendomi sulle
ginocchia. Mandò un riluttante scricchiolio questa povera
seggiola all'insolito pondo. Tutto tremante io fissava il prete,
il quale seguiva a docciare un liquido nero in altro scolorito,
il quale diventava verde sempre più intenso ad ogni goccia che
riceveva. Egli faceva ciò con grande precauzione, fissando con i
suoi occhietti, che scintillavano dietro gli occhiali, le stille
cadenti dalla fiala, le quali contava ad una ad una. Regnava colà
un profondo silenzio, che lasciava udire il tacito rodere della
tignola ed il ronzio di una aleggiante mosca unica in quel
ricetto, ove respiravasi un'aria ben pesante ed aromatica. Il
silenzio mortuario, le figure anatomiche, le mistiche, per me,
manipolazioni del vecchio mi facevano sempre più tremare e
stringermi a Teresa. M'era uscita interamente la voglia di essere
visitato dal prete: le sue mani nervose, scarne, colle dita
sudicie e corrose mi movevano ribrezzo. Mentre io stava per dire
alla governante di portarmi via, il prete, finita la sua
operazione, s'avvicinò a noi. Teresa s'alzò subito e gli baciò
con gran riverenza la mano; e voleva che io facessi altrettanto,
ma indarno: piuttosto che baciare quelle mani io avrei baciato
qualunque altra cosa ben schifosa. Il prete non si disdegnò per
nulla della mia ripugnanza, anzi, accorgendosi forse del mio
ribrezzo, non mi fece più alcuna moina, come pareva essere sua
natura il farne. La Teresa gli fece con una profusione di parole
il racconto del mio malore, ch'egli ascoltò attentamente. Quando
poi ella passò a notificargli quanto avevano detto e prescritto
i medici, il prete con un mal represso sorriso beffardo alzò gli
occhietti alla volta del suo laboratorio, quasi avesse voluto
dire: - Oh stoltezza! Tagliando il lungo ragionare dirò
succintamente, che il prete per conclusione esclamò: - Povero
fanciullo! ha sofferto troppo lungamente; ma finiranno ben tosto
le sue pene. - Oh! ella è un santo! - mormorava tutta fiduciosa
la Teresa. - No, no, buona Teresa; io sono un peccatore, come lei.
- Impossibile. - Pura verità! Intanto tolse da un cantuccio
un'ampolla con un liquido giallo spesso, che ora direi essere
olio, e ne versò in un piccolo mortaio cristallino tre o quattro
dita. Quindi tolse da una fiala di vetro blù una polvere rossa,
che ora direi essere croco orientale, e ne mise un pizzico nel
mortaio, ponendosi a dimenare in fretta il pestello. Io osservai
tutto con una massima attenzione, e buona dose di paura, temeva
che mi volesse far ingoiare quel misto. Egli fece passare in
seguito quella sua manipolazione in una caraffa, in cui mise non
so quali gocce di altro liquido bruno, forse laudano, e poi
turato ermeticamente il recipiente con bambagia lo rimise a
Teresa.
Costei ricevé quella medicina con tanta riverenza, come si fosse
trattato di toccare una reliquia di qualche santo martire. -
Prendete una piuma- disse il prete a Teresa - molle molle, di
pavone o di cigno, che immergerete in questo liquido, e con essa
poi procurerete di ungere l'interno dell'orecchia ammalata in
ogni sera prima di metterlo a letto. quando avrete usato tutto il
medicamento, e forse ancora prima, il ragazzo sarà guarito.
Quindi egli raccomandolle di dire non so più quanti Pater e
Salve Regina e giaculatorie, e di sentire quante messe, alle
quali io doveva partecipare. E con questo ci congedò
gentilissimamente. Ritornammo a casa: nessuno s'era accorto della
nostra gita. Il mio male, che già nell'andata a Feletto era
scemato, due giorni dopo era scomparso: forse il male era giunto
al suo termine, forse le medicamento del prete operò veramente -
e tal cosa credette la buona Teresa- forse la medicina fattemi
prima ingoiare dai medici finirono per agire- e così sempre
eglino pensarono in un con mia famiglia. Se dovessi ora dare un
retto giudizio sovra questo prete, che i medici ed i farmacisti
proclamarono per un empirico, gli spiriti forti per un
superstizioso, i malevoli e gl'ignoranti per uno stregone, i
credenti ed i guariti per un santo, mi troverei imbrogliato.
Comunque senza fallare, prendendo una media da quello che sentii
raccontare sul suo conto, potrei dire che era un valente
conoscitore pratico di medicamenti semplici, i quali di buona
fede prescriveva. Poiché non pretendeva paga, ma solo orazioni
per se e per gli ammalati, e poiché i medici gli avevano fatto
proibii di fare il curante, così si venne sempre più ad
accrescere la sua fama, che ne' suoi ultimi anni era sparsa per
tutto il Canavese. Che non sia stato un impostore, oltre la sua
condotta edificante, è prova patente il non aver lasciato
morendo grandi ricchezze, come ben avrebbe potuto procurarsi, se
avesse voluto. Questo fu la mia prima gita in Feletto, della cui
impressione di allora, benché con la memoria io vada a tentone
per rammentarmi, più nulla ricordo. In seguito feci ben mille
altre gite colà, avendovi amici e parenti: