ho letto : Pagliuzze di Bruma

racconti,ricordi, cose così


presentazione

“Pagliuzze di bruma” è un libro bello: di ricordi e di memorie che si rifanno a un'infanzia serena ed ottimista, nonostante le condizioni di povertà e di miseria degli anni 40-50. È scritto molto bene, con proprietà e ricchezza di linguaggio, stile personalissimo, ma soprattutto con una grande partecipazione, che in alcuni tratti aggiunge un afflato poetico e coinvolge sempre, in ogni pagina, il lettore attento e sensibile. È straordinario e incredibile vedere con quanta precisione di sentimenti e di emozioni e con quale ricchezza di colori la sua memoria riesca a evocare fatti e paesaggi certamente risalenti alla prima infanzia. L'autore infatti, rimasto cieco verso gli otto anni, “arrivato per sempre sul Pianeta del Buio” è esempio di forza e coraggio nell'affrontare le nuove terribili difficoltà di “una vita tanto diversa, fatta di solitudine, di umiliazioni, di diversità concrete che molti mi avrebbero fatto pesare”. Il libro si raccomanda a tutti per il suo valore intrinseco, ma in particolare a quanti sono vissuti o conoscono il nostro paese. In queste pagine, Domenico Canale, fa rivivere con simpatia e affetto un angolo di mondo ora scomparso e rimpianto con nostalgia, e richiama un momento storico he sarebbe bene non dimenticare per non dimenticare per non trovarsi sradicati dalla nostra origine.

prof. Mario Apolloni


Domenico Canale

Pagliuzze di bruma

Al momento del passaggio tra la primavera e l'estate del 1949, in quel giorno di festa, nel paese si viveva una delle solite giornate serene e calme, caratteristiche dei giorni di riposo.
I dipendenti delle industrie, la domenica oziavano rilassati nelle case; i contadini invece curavano le bestie nelle stalle e sistemavano gli attrezzi mentre le loro donne si affaccendavano in cucina per il pranzo che nei giorni di festa era sempre un po' speciale.
Sin dai tempi più lontani infatti, la tradizione e la cultura della popolazione rurale, attribuivano al pasto festivo un significato tutto particolare.
E così, nei giorni di festa le pentole ospitavano sovente un pezzo di carne che con la bollitura forniva un eccellente brodo adatto alla squisita minestra di tagliatelle tirate con maestria al mattarello, ma ancora di più, un secondo piatto di carne e verdure.
Questo era un lusso, un vero lusso, che francamente a quell'epoca molti non si potevano permettere tutte le domeniche e meno ancora ogni giorno. Sulla strada maestra passavano gli uomini con il loro vestito migliore e l'inseparabile cappello di feltro scuro e, non di rado, qualche donna con in testa il velo nero da penitente: tutti si affrettavano alla chiesa per la Messa delle undici, la Celebrazione più importante della giornata.
Tutti, con un cenno del capo o una parola, si scambiavano i saluti e solo per quell'attimo interrompevano le preghiere di preparazione al rito che bisbigliavano tra sé quasi meccanicamente.
Nel portamento e sul volto della gente si leggeva una dignitosa, serena accettazione di una vita difficile, stentata; ma nei loro occhi si avvertiva un fiducioso e composto desiderio di un domani migliore.
In mezzo a quei personaggi correvano delle bici e qualche carretto. Di tanto in tanto passava un calesse o una vettura che con un rombo inconfondibile annunciava da lontano il suo sopraggiungere.
Ad orario fisso transitava una corriera grigiastra: con un lungo muso e dei fari giganteschi, puzzolente d'olio e carburante mal bruciato, si muoveva svaporando rumorosa verso la pianura o l'Altopiano con a bordo maschere incollate ai finestrini come fossero tanti disegni, tutte uguali ed immobili.
Ogni tanto sopraggiungeva con lentezza un camion stracarico di sabbia o di tronchi, di mattoni o blocchi di marmo, secondo la direzione verso la quale era diretto.
Le campane, con i loro toni distinti e rintocchi precisi, annunciavano l'inizio della cerimonia; allora qualche ritardatario allungava il passo per non subire la tagliente occhiataccia del parroco che lo rimproverava per il ritardo.In tutta la zona del paese però tirava aria di stanca anche se era giorno di festa.
Le viuzze e i cortili risuonavano delle solite grida dei ragazzi. Ogni tanto il richiamo deciso di un padre o di una madre copriva la consueta confusione, ma tutto procedeva abbastanza liscio e regolare. Ad un tratto due fischi forti e decisi della locomotiva ferirono l'aria. Noi ragazzi, riconosciuto il segnale di fermata, ci precipitammo verso la stazione, correndo lungo il fosso, per osservare chi arrivasse proprio a quell'ora e per giunta in un giorno di festa. Solitamente il treno si fermava il mattino presto e a tarda sera quando faceva salire o scendere i lavoratori o qualche raro studente. Di rado sostava durante la giornata.
La minuscola stazione si trovava in fondo al paese, lungo la strada principale…..

Nato a Carrè(VI) il 3 gennaio '44. Dopo una infanzia caratterizzata da situazioni anomale, nell'ottobre del 1953, cieco assoluto da circa un anno, è entrato in un collegio per non vedenti ove ha compiuto i primi passi scolastici. Dal 1995 è in pensione. La sua giornata è densa di impegni, soprattutto nel volontariato che,da più di trent'anni, segue con dedizione nei suoi diversi aspetti. Per oltre 25 anni ha promosso e ha partecipato all'attività sportiva dei disabili, in particolare dei non vedenti. Sposato è padre di due figli. Più volte ha sostenuto : “Non mi sono mai rassegnato alla mia condizione, ho sempre reagito. Per me reagire vuol dire vivere…”

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