Orientamenti pastorali dell’Episcopato italiano

per il primo decennio del 2000

Capitolo II

La Chiesa a servizio della missione di Cristo

«La vita… noi l’abbiamo veduta

e di ciò rendiamo testimonianza» (1Gv 1,2)

Per una missione senza confini

32. – Comunicare il Vangelo è il compito fondamentale della Chiesa. Questo si attua, in primo luogo, facendo il possibile perché attraverso la preghiera liturgica la parola del Signore contenuta nelle Scritture si faccia evento, risuoni nella storia, susciti la trasformazione del cuore dei credenti. Ma ciò non basta. Il Vangelo è il più grande dono di cui dispongano i cristiani. Perciò essi devono condividerlo con tutti gli uomini e le donne che sono alla ricerca di ragioni per vivere, di una pienezza della vita[1].

L’Eucaristia, fonte e culmine della vita di fede, ci ricorda come la Nuova Alleanza che in essa si celebra è principio di novità e di comunione per il mondo intero: Dio continua a radunare intorno a sé un popolo da un confine all’altro della terra[2]. La missione ad gentes non è soltanto il punto conclusivo dell’impegno pastorale, ma il suo costante orizzonte e il suo paradigma per eccellenza. Proprio la dedizione a questo compito ci chiede di essere disposti anche a operare cambiamenti, qualora siano necessari, nella pastorale e nelle forme di evangelizzazione, ad assumere nuove iniziative, «fiduciosi nella parola di Cristo: Duc in altum!»[3].

33. – Lo Spirito Santo opera liberamente, a somiglianza del vento che soffia dove vuole (cf. Gv 3,8) e, al di là delle opache testimonianze che sappiamo dare, la nostra speranza si fonda soprattutto sulla fiducia che è Dio stesso a condurre in modo misterioso i fili invisibili della storia. Ma questo non può affatto deresponsabilizzarci: lo Spirito Santo opera normalmente nel mondo attraverso la nostra cooperazione. Per questo i credenti sono chiamati a vegliare in ogni momento, a custodire la grazia della loro vocazione, a collaborare alla gioia e alla speranza del mondo condividendo la perla preziosa del Vangelo. Ha detto il Signore Gesù: «Voi siete il sale della terra; ma se il sale perdesse il sapore, con che cosa lo si potrà rendere salato?» (Mt 5,13).

La presenza certa dello Spirito, semmai, è lì a ricordarci costantemente come soltanto lasciandoci conformare a Cristo, fino ad assumere il suo stesso sentire (cf. Fil 2,5), potremo predicare Gesù Cristo e non noi stessi. L’evangelizzazione può avvenire solo seguendo lo stile del Signore Gesù, il «primo e più grande evangelizzatore»[4]. Con questo spirito, dopo aver contemplato il Verbo della vita, intendiamo in questo capitolo dei nostri orientamenti suggerire alcune linee di fondo sulla missione della Chiesa, intesa in senso ampio come comunicazione del Vangelo nel mondo odierno.

34. – Partiremo dunque interrogandoci sull’oggi di Dio, sulle opportunità e sui problemi posti alla missione della Chiesa dal tempo in cui viviamo e dai mutamenti che lo caratterizzano, per passare poi a mettere a fuoco alcuni compiti e priorità pastorali che ci pare di intravedere per i prossimi anni. Vi è però un’ulteriore e importante premessa da fare. Se vogliamo adottare un criterio opportuno dal quale lasciarci guidare per compiere un discernimento evangelico, dovremo coltivare due attenzioni tra loro complementari anche se, a prima vista, contrapposte. Di entrambe ci è testimone lo stesso Gesù Cristo.

La prima consiste nello sforzo di metterci in ascolto della cultura del nostro mondo, per discernere i semi del Verbo già presenti in essa, anche al di là dei confini visibili della Chiesa. Ascoltare le attese più intime dei nostri contemporanei, prenderne sul serio desideri e ricerche, cercare di capire che cosa fa ardere i loro cuori e cosa invece suscita in loro paura e diffidenza, è importante per poterci fare servi della loro gioia e della loro speranza. Non possiamo affatto escludere, inoltre, che i non credenti abbiano qualcosa da insegnarci riguardo alla comprensione della vita e che dunque, per vie inattese, il Signore possa in certi momenti farci sentire la sua voce attraverso di loro. L’animo giusto ci pare essere quello che, come scrive san Luca, l’apostolo Paolo assume dinanzi agli ateniesi riuniti nell’areopago della città (cf. At 17,22-31): vi è un Dio ignoto che abita nei cuori degli uomini e che è da essi cercato; allo svelamento del volto di Dio noi possiamo contribuire, per grazia, nella consapevolezza che in quest’opera di annuncio noi stessi approfondiamo la sua conoscenza.

35. – L’attenzione a ciò che emerge nella ricerca dell’uomo non significa rinuncia alla differenza cristiana, alla trascendenza del Vangelo, per acquiescenza alle attese più immediate di un’epoca o di una cultura. Come ricorda san Paolo ai cristiani della Galazia: «Vi dichiaro, fratelli, che il Vangelo da me annunziato non è modellato sull’uomo; infatti io non l’ho ricevuto né l’ho imparato da uomini, ma per rivelazione di Gesù Cristo» (Gal 1,11-12). Vi è una novità irriducibile del messaggio cristiano: pur additando un cammino di piena umanizzazione, esso non si limita a proporre un mero umanesimo. Gesù Cristo è venuto a renderci partecipi della vita divina, di quella che felicemente è stata chiamata «l’umanità di Dio». Il Signore ci ha fatti annunciatori della sua vita rivelata agli uomini e non possiamo misurare con criteri mondani l’annuncio che siamo chiamati a fare. In certi momenti il Vangelo è duro, impopolare, perché duri sono i cuori degli uomini – i nostri, a volte, più di quelli degli altri –, bisognosi di essere ricondotti sulla via della vita per aprirsi al dono di una nuova e più piena umanità.

Questa duplice attenzione costituisce la paradossalità dell’esperienza cristiana, di cui parla uno scritto del secondo secolo: i cristiani sono uomini come tutti gli altri, pienamente partecipi della vita nella città e nella società, dei successi e dei fallimenti sperimentati dagli uomini; ma sono anche ascoltatori della Parola, chiamati a trasmettere la differenza evangelica nella storia, a dare un’anima al mondo, perché l’umanità tutta possa incamminarsi verso quel Regno per il quale è stata creata[5].

Discernere l’oggi di Dio

36. – Ma quali sono le potenzialità e gli ostacoli che si incontrano oggi nelle nostre comunità e nel nostro paese per quanto riguarda la diffusione della Buona Notizia cristiana? Offriamo qui alcune linee di riflessione, ricordando però che con quanto segue non intendiamo descrivere la mentalità dell’uomo moderno o delineare un profilo dei non credenti, quasi fossero un mondo a parte rispetto ai credenti. La mentalità del mondo in cui viviamo può permeare anche noi cristiani e l’incredulità è tentazione che attraversa anche il nostro cuore: prendere coscienza dei suoi tratti essenziali è fondamentale per discernere potenzialità e rischi presenti anche nella nostra esistenza.

37. – Una prima opportunità che ci pare di poter riconoscere, almeno in qualche misura, in molte persone è il desiderio di autenticità. I giovani, in particolare, sono disposti a investire con generosità energie, ove sentano che davvero quanto stanno facendo ha un senso. Certo, il puro desiderio di autenticità non basta: va integrato con il riconoscimento dell’autenticità degli altri, dell’autenticità della storia, del valore di tutto ciò che, in poche parole, è esterno alla nostra coscienza e alle nostre sensazioni emotive. La ricerca dell’autenticità, se non è integrata da altri fattori, può portare a esiti individualistici, in casi estremi anche violenti. Ma solo riconoscendo questa esigenza  come un valore, sarà possibile dare risposte vere e profonde alla ricerca di significato che abita le nostre vite.

            Vi sono poi altre potenzialità: sono da discernere là dove emerge il desiderio di «prossimità», di socialità, di incontro, di solidarietà e di ricerca della pace. È il segno che l’autenticità a cui mira l’uomo moderno non si orienta soltanto verso la ricerca di emozioni immediate e a basso prezzo, che essa non è di per sé inesorabilmente destinata all’individualismo: gli occhi dei nostri contemporanei continuano a dischiudersi sull’altro, specie su chi è sofferente e bisognoso, e questo è un motivo di speranza. Anche in questa prospettiva non mancano ovviamente ambiguità, specialmente quando il desiderio dell’incontro con l’altro si traduce in passivo adeguamento alla massificazione, o quando la scoperta della ricchezza dell’incontro tra culture diverse scade a indifferentismo verso la verità. I grandi movimenti migratori accentuano la condizione di multiculturalità, nel duplice versante di risorsa e problema.

Questi fermenti possono essere estremamente fecondi se si saprà coniugare ricerca dell’autenticità e accettazione dell’alterità. Si cresce realmente in umanità – in età, sapienza e grazia… – soltanto se, oltre a prestare ascolto ai nostri desideri, sappiamo riconoscere di essere preceduti da una storia, da tradizioni e culture che veicolano un senso che va al di là di noi. Alla spontaneità va aggiunta la capacità di perseverare nelle inevitabili oscurità della vita, all’espressione della libertà non può mancare il riconoscimento della verità, dello spessore della realtà che ci circonda, nonché della verità ultima che costituisce anche l’orizzonte verso cui siamo tutti incamminati. Gesù ha promesso ai credenti in lui: «Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi» (Gv 8,32). Nessuno può pretendere di disporre totalmente della verità che sempre ci precede; solo cercandola, e cercandola insieme, tutti i nostri desideri potranno trovare un senso, già anticipato ora nell’evento della riconciliazione e della comunione tra gli uomini: quaerere veritatem in dulcedine societatis è il metodo della grande tradizione cattolica. E resta per i credenti la serena certezza di avere già incontrato questa verità nella persona di Gesù: il suo volto risplende già nei nostri cuori e alla nostra mente, anche se la ricerca del suo mistero è senza fine.

38. – Per questo guardiamo con interesse alla rinnovata ricerca di senso che sta, almeno un poco, riavvicinando molti uomini e donne del nostro paese all’esperienza religiosa e in particolare a Gesù Cristo. Dopo stagioni di forte contrapposizione tra credenti e non credenti, emerge un rinnovato desiderio di incontro, che non va tradito. Ci pare di cogliere in questo qualcosa di più importante e di meno ambiguo rispetto a un vago «risveglio religioso»: oggi è infatti rintracciabile un anelito alla trascendenza.

Anche lo sviluppo della scienza e della tecnica presenta aspetti positivi da cogliere e valorizzare. L’uomo che si spinge avanti nelle vie del sapere scientifico si trova di fronte a domande non di tipo tecnico, e tuttavia ineludibili, che riguardano il fondamento e il senso dell’esistenza. Si aprono frontiere nuove, legate in particolare a un rapporto inedito dell’uomo con il corpo, oscuro ancora però negli esiti: prevale infatti la tendenza a percepire e vivere il corpo come luogo di desiderio e soddisfazione e come oggetto di sperimentazione e manipolazione. Il superamento del dualismo, della contrapposizione tra mentale e corporeo, come pure il miglioramento delle condizioni materiali di vita possono tuttavia far crescere verso una più compiuta sintesi dell’esperienza personale, al cui centro di colloca la dimensione spirituale. Nella stessa letteratura e nelle arti figurative sembrano emergere segni di un superamento di quella crisi nel rapporto con il reale che a lungo le aveva caratterizzate e si intravedono nuove possibilità e rinnovato interesse per un incontro con l’esperienza religiosa.

Prendiamo atto con gioia anche dell’accresciuta sensibilità ai temi della salvaguardia del creato, che indicano come gli uomini e le donne del nostro tempo se ne sentano in qualche misura corresponsabili. Sarà importante, in avvenire, accogliere maggiormente questa sensibilità, approfondendo la riflessione sui corretti fondamenti del rapporto tra uomo e natura e cooperando con quanti sono sinceramente preoccupati e impegnati per il futuro della terra.

Come cristiani siamo condotti a interrogarci sul contributo che possiamo dare alla comprensione del cosmo, della vita, dell’uomo.

39. – Un campo in cui stanno emergendo grandi potenzialità è anche quello della comunicazione sociale. Nuove opportunità di conoscenza, scambio e partecipazione accompagnano le innovazioni tecnologiche in questo ambito. Ci troviamo di fronte a una nuova cultura che «nasce, prima ancora che dai contenuti, dal fatto stesso che esistono nuovi modi di comunicare, con nuovi linguaggi, nuove tecniche, nuovi atteggiamenti psicologici»[6].

La possibilità di comunicare in modo nuovo e diffuso è un bene di tutta l’umanità e come tale va promosso e tutelato. Quanto più potenti sono i mezzi di comunicazione tanto più deve essere forte la coscienza etica di chi in essi opera e di chi ne fruisce. È necessario pertanto che la comunicazione sociale non sia considerata solo in termini economici o di potere, ma resti e si sviluppi nel quadro dei beni di primaria importanza per il futuro dell’umanità.

La comunione ecclesiale e la missione evangelizzatrice della Chiesa trovano inoltre nei media un campo privilegiato di espressione. Dal Concilio ad oggi la Chiesa ha preso ancor più coscienza di quanto sia importante coniugare tutti gli ambiti della vita ecclesiale con questa nuova realtà culturale e sociale. Le iniziative avviate in questi anni dalla Chiesa in Italia per raccordare e promuovere la comunicazione in campo ecclesiale e per rendere più incisiva la presenza della Chiesa nei media dovranno trovare in questo decennio un’ulteriore realizzazione nel quadro di un’organica pastorale delle comunicazioni sociali e nella prospettiva del progetto culturale. Qui si colloca anche l’impegno di promuovere il ruolo e la formazione di tutti i comunicatori, ovunque essi operino.

40. – Ma accanto alle potenzialità a cui abbiamo fatto cenno, non si possono tacere i rischi e i problemi che riscontriamo oggi nel nostro paese riguardo al compito della trasmissione della fede.

In primo luogo, dobbiamo prendere atto che le persone che si dicono «senza religione» sono in aumento; vi sono poi persone disposte a riconoscere un certo riferimento a Cristo, ma non alla Chiesa; non mancano neppure le conversioni dal cristianesimo ad altre religioni. Ciò che tuttavia è più preoccupante è il crescente analfabetismo religioso delle giovani generazioni, per tanti versi ben disposte e generose, ma spesso non adeguatamente formate all’essenziale dell’esperienza cristiana e ancor meno a una fede capace di farsi cultura e di avere un impatto sulla storia.

È poi indubbio che, nella mentalità comune e di conseguenza nella legislazione, si diffondono su diversi argomenti prese di posizione lontane dal Vangelo e in netto contrasto con la tradizione cristiana. Questo sia riguardo alla maniera di intendere questioni assai delicate come i problemi del rapporto tra lo Stato e le formazioni sociali – in primo luogo la famiglia –, dell’economia e delle migrazioni dei popoli, sia in merito alla visione della sessualità, della procreazione, della vita, della morte e della facoltà di intervento dell’uomo sull’uomo. Oggi più che mai su questi temi è richiesta a ogni cristiano un’autentica vigilanza profetica: la sua testimonianza e il suo annuncio devono essere conformi al Vangelo.

41. – Non si può poi tacere sul fatto che è avvenuta alla fine del secondo millennio cristiano una vera e propria eclissi del senso morale. Con questo non vogliamo né possiamo dire che la gente sia più cattiva di un tempo: piuttosto, è diventato difficile perfino parlare dell’idea del bene, come di quella del male, senza suscitare non tanto reazioni, quanto molto più semplicemente una forte incomprensione. Gli uomini e le donne del nostro tempo hanno indubbiamente dei valori di riferimento – chi potrebbe vivere senza affidarsi a qualcosa o a qualcuno? –, ma spesso trovano difficile o poco interessante dar ragione di ciò che guida le loro scelte di vita, rischiando così di esporsi fortemente all’arbitrarietà delle emozioni o – fatto molto più insidioso – ai miti occulti che permeano la nostra società su diversi temi morali non periferici.

Più radicalmente, la caduta delle ideologie totalizzanti e delle grandi utopie di liberazione storica – insieme con le cause più antiche che già da molto tempo sospingono verso un agnosticismo razionalista e talvolta verso un vero e proprio nichilismo – ha lasciato spazio a forme di relativismo, di indifferenza diffusa per le domande più radicali, senso del provvisorio, frammentazione del sapere e delle esperienze. Oggi assistiamo poi a un vero e proprio smarrimento, nel contesto di una società multimediale che tende a stordire con il vorticoso susseguirsi di immagini e informazioni, mentre rischia di perdersi il valore della lettura e dell’ascolto. Avvertiamo da tempo l’importanza di un’educazione all’uso dei mezzi di comunicazione sociale e nei prossimi anni l’attenzione formativa al riguardo dovrà essere rafforzata. Senza uno sguardo contemplativo diventa difficile interiorizzare gli eventi, la storia in cui viviamo, fino a discernervi un senso e a farla nostra. Oggi aumentano le informazioni e le conoscenze, ma con esse non aumentano affatto automaticamente l’unità della persona e la sapienza della vita, anzi, si manifesta sempre di più il rischio della scissione interiore tra razionalità, dimensione affettivo-emotiva e vita spirituale.

42. – Un altro fenomeno legato al precedente, che desta interrogativi, è la scarsa trasmissione della memoria storica. È urgente assumersi la responsabilità di trasmettere pazientemente il senso di ciò che ci ha preceduti, delle tradizioni e delle vicende senza le quali noi non saremmo ciò che siamo oggi; non per irrigidirci o ripiegarci sul passato, bensì per trasmetterne lo spirito, pur nel necessario mutare delle forme. In questo senso noi cristiani dovremmo insistere perché l’Italia sappia valorizzare e trasmettere anche la sua tradizione religiosa: il patrimonio cristiano è anche un patrimonio storico, culturale, artistico comune a credenti e a non credenti, e nessuno può saggiamente guardare avanti senza confrontarsi seriamente con il proprio passato.

Senza questo allargamento dello sguardo fino ad abbracciare la dimensione storica delle nostre esistenze personali e comunitarie, non saremo capaci di far fronte alle sfide della globalizzazione, la quale amplia sì gli orizzonti spaziali delle nostre vite, creando grandi e sempre nuove opportunità, ma in realtà restringe quelli temporali, appiattendoci sul presente e chiedendoci nel contempo una capacità di risposta e una velocità di adeguamento ai cambiamenti tutt’altro che facili da conseguire. Se non si attuerà ciò che è in nostro potere per rimuovere l’attuale appiattimento sul presente, non sarà certo facile combattere gli esiti individualistici della cultura in cui viviamo.

43. – Infine, noi cristiani, insieme a tutti gli uomini che vivono accanto a noi, dobbiamo sempre essere pronti a discernere ogni forma di idolatria, ogni costruzione della mente umana che sia portatrice di morte e non di vita. Ebbene, nella nostra società sono presenti dei «miti» che vanno smascherati. Il cristianesimo non può accettare ad esempio la logica del più forte, l’idea che la presenza di poveri, sfruttati e umiliati sia frutto dell’inesorabile fluire della storia: Gesù ha annunciato che saranno proprio i poveri a regnare, a precederci nel regno dei cieli. Sono essi i nostri «signori»[7]. Su questo punto il cristianesimo non può scendere affatto a compromessi: il povero, il viandante, lo straniero non sono cittadini qualunque per la Chiesa, proprio perché essa è mossa verso di loro dalla carità di Cristo e non da altre ragioni.

Quali compiti per il prossimo decennio?

44. – Se comunicare il Vangelo è e resta il compito primario della Chiesa, guardando al prossimo decennio, alla luce del contesto socio-culturale di cui abbiamo offerto qualche lineamento, intravediamo alcune decisioni di fondo capaci di qualificare il nostro cammino ecclesiale. In particolare: dare a tutta la vita quotidiana della Chiesa, anche attraverso mutamenti nella pastorale, una chiara connotazione missionaria; fondare tale scelta su un forte impegno in ordine alla qualità formativa, in senso spirituale, teologico, culturale, umano[8]; favorire, in definitiva, una più adeguata ed efficace comunicazione agli uomini, in mezzo ai quali viviamo, del mistero del Dio vivente e vero, fonte di gioia e di speranza per l’umanità intera.

Le proposte pastorali dei Vescovi italiani, nel corso degli ultimi trent’anni, hanno rimarcato con vigore la centralità dell’educazione alla fede e della sua comunicazione. A partire dal Concilio, alcune scelte significative sono state compiute ad esempio con il progetto catechistico e l’impegno per il rinnovamento liturgico, quindi con la sottolineatura della comunità quale soggetto dell’evangelizzazione e, infine, evidenziando il segno della carità come qualificante la missione cristiana. Non possiamo però ritenerci soddisfatti. Dobbiamo chiederci: la comunicazione delle proposte che abbiamo formulato, anche attraverso convegni e documenti, è stata comprensibile per la gente e ha saputo toccare il suo cuore? Coloro che sono gli strumenti vivi e vitali della traduzione degli orientamenti pastorali – sacerdoti, religiosi, operatori pastorali – si sono coinvolti in maniera corresponsabile e intelligente nel cammino delle loro Chiese locali? E i singoli credenti stanno affrontando il loro cammino cristiano non individualisticamente, bensì nel contesto della comunità dei discepoli di Cristo, che è la Chiesa? E noi Vescovi abbiamo saputo dare gli impulsi necessari perché i nostri stessi orientamenti pastorali non restassero lettera morta?

45. – Negli ultimi decenni e anche recentemente non sono mancati, nella vita della Chiesa, cristiani – vorremmo dire «profeti» – dallo sguardo penetrante, i quali hanno intuito e intravisto la necessità di esperienze di vita, personali e comunitarie,  fortemente ancorate al Vangelo per dare un avvenire alla trasmissione della fede in un mondo in forte cambiamento. Abbiamo bisogno di cristiani con una fede adulta, costantemente impegnati nella conversione, infiammati dalla chiamata alla santità, capaci di testimoniare con assoluta dedizione, con piena adesione e con grande umiltà e mitezza il Vangelo. Ma ciò è possibile soltanto se nella Chiesa rimarrà assolutamente centrale la docile accoglienza dello Spirito, da cui deriva la forza capace di plasmare i cuori e di far sì che le comunità divengano segni eloquenti a motivo della loro vita «diversa». Ciò non significa credersi migliori, né comporta l’esigenza di separarsi dagli altri uomini, ma vuol dire prendere sul serio il Vangelo, lasciando che sia esso a portarci dove noi forse non sapremmo neppure immaginare e a costituirci testimoni.

46. – Per dare concretezza alle decisioni che abbiamo indicato – e che, ne siamo consapevoli, richiedono «una conversione pastorale»[9] –, per imprimere un dinamismo missionario, vogliamo delineare i due livelli specifici, ai quali ci pare si debba rivolgere l’attenzione nelle nostre comunità locali. Parleremo anzitutto di quella che potremmo chiamare «comunità eucaristica», cioè coloro che si riuniscono con assiduità nella eucaristia domenicale, e in particolare quanti collaborano regolarmente alla vita delle nostre parrocchie; passeremo quindi ad affrontare la vasta realtà di coloro che, pur essendo battezzati, hanno un rapporto con la comunità ecclesiale che si limita a qualche incontro più o meno sporadico, in occasioni particolari della vita, o rischiano di dimenticare il loro battesimo e vivono nell’indifferenza religiosa.

Se questi due livelli saranno assunti seriamente e responsabilmente, saremo aiutati ad allargare il nostro sguardo a quanti hanno aderito ad altre religioni e ai non battezzati presenti nelle nostre terre. Anche la vera e propria missione ad gentes, già indicata come paradigma dell’evangelizzazione[10], riprenderà vigore e il suo significato diventerà pienamente intelligibile nelle nostre comunità ecclesiali. Una Chiesa che dalla contemplazione del Verbo della vita si apre al desiderio di condividere e comunicare la sua gioia, non leggerà più l’impegno dell’evangelizzazione del mondo come riservato agli «specialisti», quali potrebbero essere considerati i missionari, ma lo sentirà come proprio di tutta la comunità. D’altro canto, l’allargamento dello sguardo verso un orizzonte planetario, compiuto riaprendo il «libro delle missioni»[11], aiuterà le nostre comunità a non chiudersi nel «qui e ora» della loro situazione peculiare e consentirà loro di attingere risorse di speranza e intuizione apostoliche nuove guardando a realtà spesso più povere materialmente, ma nient’affatto tali a livello spirituale e pastorale.

Il giorno del Signore e la parrocchia, tempo e spazio per una comunità realmente eucaristica

47. – Giovanni Paolo II ci ricorda che «la nostra testimonianza sarebbe insopportabilmente povera se noi per primi non fossimo contemplatori del volto di Cristo… E la contemplazione del volto di Cristo non può che ispirarsi a quanto di lui ci dice la Sacra Scrittura, che è, da capo a fondo, attraversata dal suo mistero»[12]. La parola di Dio, che è capace di farci apostoli, ci chiede anzitutto di essere discepoli. I cristiani maturi dovrebbero essere dei «rigenerati non da un seme corruttibile, ma immortale, cioè dalla parola di Dio viva ed eterna» (1Pt 1,23). Così nasce la Chiesa e così vive e si espande. Va dunque attentamente meditato il fatto che essa è chiamata a essere il luogo nel quale si riuniscono coloro che anzitutto vengono evangelizzati. Sarebbe assurdo pretendere di evangelizzare, se per primi non si desiderasse costantemente di essere evangelizzati. Dovremmo nutrirci della parola di Dio «bramandola», come il bambino cerca il latte di sua madre (cf. 1Pt 2,2): per la vitalità della Chiesa, questa è un’esperienza essenziale.

Perché la parola e l’opera di Dio e la risposta dell’uomo si tramandino lungo la storia, è assolutamente indispensabile che vi siano tempi e spazi precisi nella nostra vita dedicati all’incontro con il Signore. Dall’ascolto e dal dono di grazia nasce la conversione e l’intera nostra esistenza può divenire testimonianza del lieto annuncio che abbiamo accolto. Ci sembra pertanto fondamentale ribadire che la comunità cristiana potrà essere una comunità di servi del Signore soltanto se custodirà la centralità della domenica, «giorno fatto dal Signore» (Sal 118,24), «Pasqua settimanale», con al centro la celebrazione dell’Eucaristia, e se custodirà nel contempo la parrocchia quale luogo – anche fisico – a cui la comunità stessa fa costante riferimento. Ci sembra molto fecondo recuperare la centralità della parrocchia e rileggere la sua funzione storica concreta a partire dall’Eucaristia, fonte e manifestazione del raduno dei figli di Dio e vero antidoto alla loro dispersione nel pellegrinaggio verso il Regno[13].

48. – Nonostante la diminuzione dei praticanti avvenuta negli ultimi decenni, per la comunicazione del Vangelo è e rimane essenziale la comunità di coloro che con regolarità si riuniscono per fare memoria del Signore e celebrare l’Alleanza nel suo corpo e nel suo sangue. Nel giorno del Signore, come ha ricordato Giovanni Paolo II nella lettera apostolica Dies Domini, noi facciamo memoria della parola di Dio che ci ha creati, del Verbo fatto carne, morto e risorto per la nostra salvezza, dell’effusione dello Spirito sulla Chiesa. Ma ricordiamo anche che la vita umana acquista senso quando vi sono tempi e spazi di riposo e di gratuità, destinati alla relazione tra gli esseri umani. In tal modo, facendo memoria di Colui che ci ha preceduti, possiamo riconoscere il destino a cui siamo orientati insieme a tutti i fratelli e le sorelle a fianco dei quali viviamo[14].

Se un anello fondamentale per la comunicazione del vangelo è la comunità fedele al «giorno del Signore», la celebrazione eucaristica domenicale, al cui centro sta Cristo che è morto per tutti ed è diventato il Signore di tutta l’umanità, dovrà essere condotta a far crescere i fedeli, mediante l’ascolto della Parola e la comunione al corpo di Cristo, così che possano poi uscire dalle mura della chiesa con un animo apostolico, aperto alla condivisione e pronto a rendere ragione della speranza che abita i credenti (cf. 1Pt 3,15). In tal modo la celebrazione eucaristica risulterà luogo veramente significativo dell’educazione missionaria della comunità cristiana.

In questo contesto ricordiamo anche l’importanza che nella vita cristiana ha avuto ed ha ancora per molti fedeli la partecipazione quotidiana alla celebrazione eucaristica e il culto eucaristico – in particolare, l’adorazione eucaristica –, che danno continuità al cammino di crescita spirituale.

49. – Assolutamente centrale sarà approfondire il senso della festa e della liturgia, della celebrazione comunitaria attorno alla mensa della Parola e dell’Eucaristia, del cammino di fede costituito dall’anno liturgico. La Chiesa deve sempre ricordare l’antico adagio, secondo cui è la lex orandi a stabilire la lex credendi[15]: la fonte della nostra fede è la preghiera comune della Chiesa.

Nonostante i tantissimi benefici apportati dalla riforma liturgica del Concilio Vaticano II, spesso uno dei problemi più difficili oggi è proprio la trasmissione del vero senso della liturgia cristiana. Si constata qua e là una certa stanchezza e anche la tentazione di tornare a vecchi formalismi o di avventurarsi alla ricerca ingenua dello spettacolare. Pare, talvolta, che l’evento sacramentale non venga colto. Di qui l’urgenza di esplicitare la rilevanza della liturgia quale luogo educativo e rivelativo, facendone emergere la dignità e l’orientamento verso l’edificazione del Regno. La celebrazione eucaristica chiede molto al sacerdote che presiede l’assemblea e va sostenuta con una robusta formazione liturgica dei fedeli. Serve una liturgia insieme seria, semplice e bella, che sia veicolo del mistero, rimanendo al tempo stesso intelligibile, capace di narrare la perenne alleanza di Dio con gli uomini.

Potrà aiutarci in questo la valorizzazione – sia nella vita personale dei credenti sia in quella delle comunità cristiane – della pratica della lectio divina, intesa come continua e intima celebrazione dell’Alleanza con il Signore mediante un ascolto orante delle Sacre Scritture, capace di trasformare i nostri cuori e di iniziare ognuno di noi all’arte della preghiera e della comunione. Più ampiamente, va coltivato l’assiduo contatto, personale e comunitario, con la Bibbia, diffondendone il testo, promuovendone la conoscenza, anche con incontri e gruppi biblici, sostenendone una lettura sapienziale, aiutando a pregare con la Bibbia soprattutto nelle famiglie[16]. La qualità sia della presidenza eucaristica, sia dell’omelia, sia della preghiera dei fedeli ne risulterà rafforzata, resa più aderente alla parola di Dio e agli eventi della storia letti alla luce della fede. È nostro modello la Vergine Maria, che accoglie fatti e parole «meditandole nel suo cuore» (Lc 2,19) e rilegge la sua esistenza mediante immagini e testi della Scrittura (cf. Lc 1,46-55).

Una fede adulta e «pensata»

50. – La valorizzazione della liturgia non mira a sottrarci al rapporto vitale con il mondo di ogni giorno, nel quale sono presenti opportunità per la nostra crescita cristiana, insieme a sfide che non rendono agevole la nostra fedeltà ai valori evangelici.

Per questo, ci sembra importante che la comunità sia coraggiosamente aiutata a maturare una fede adulta, «pensata», capace di tenere insieme i vari aspetti della vita facendo unità di tutto in Cristo. Solo così i cristiani saranno capaci di vivere nel quotidiano, nel feriale – fatto di famiglia, lavoro, studio, tempo libero – la sequela del Signore, fino a rendere conto della speranza che li abita (cf. 1Pt 3,15). A questo obiettivo di maturità della fede, avendo considerazione delle diverse età, cercando di fare unità tra ascolto, celebrazione e esperienza testimoniale di fede, tende il progetto catechistico delle nostre Chiese, impostato agli inizi degli anni ’70 e arricchitosi via via di indicazioni e strumenti. Esso mantiene tutta la sua attualità e va riproposto con fedeltà nelle nostre comunità, orientandolo più esplicitamente nella prospettiva dell’evangelizzazione. Oggi questo progetto deve tra l’altro connotarsi anche in senso più culturale.

Già nell’ormai lontano 1975 Paolo VI ammoniva la Chiesa tutta a riconoscere come la rottura tra Vangelo e cultura fosse senz’altro il dramma per eccellenza della nostra epoca[17]. I cristiani possono fecondare il tempo in cui vivono solo se sono continuamente attenti a cogliere le sfide che provengono loro dalla storia, e se si esercitano a rispondervi alla luce del Vangelo.

La comunità cristiana deve costituire il grembo in cui avviene il discernimento comunitario, indicato nel convegno ecclesiale di Palermo del 1995 come scuola di comunione ecclesiale e metodo fondamentale per il rapporto Chiesa-mondo[18]. Oggi più che mai i cristiani sono chiamati a essere partecipi della vita della città, senza esenzioni, portando in essa una testimonianza ispirata dal Vangelo e costruendo con gli altri uomini un mondo più abitabile.

Detto questo, non possiamo tacere come in non poche comunità questo lavoro formativo e di aiuto al discernimento dei giovani e degli adulti sia carente o addirittura assente; è necessario allora maturare una decisione coraggiosa a cambiare le cose. Se ciò non avverrà, mostreremo di essere ben poco realisti e di non tener conto di quanto viene chiesto ogni giorno al cristiano comune negli ambienti che caratterizzano la sua vita di famiglia, di lavoro, di scuola. Alle risorse, a volte limitate di una realtà parrocchiale, verrà in aiuto la sinergia tra più parrocchie, nonché la relazione tra le comunità cristiane e le varie aggregazioni ecclesiali presenti nel territorio; senza parlare delle associazioni professionali di ispirazione cristiana e dei vari centri e istituti culturali cattolici, chiamati anch’essi a prendere sul serio il loro compito di stimolo e di elaborazione di una fede adulta e pensata a partire dall’ascolto intelligente delle Scritture e della Tradizione.

In rapporto a questo impegno formativo, qualificante per il futuro, è certamente di stimolo e di aiuto ciò che viene proposto in termini di progetto culturale orientato in senso cristiano. Tutte le Chiese particolari e ciascuna delle nostre piccole o grandi comunità devono prestare attenzione a questa conversione culturale, in modo che il Vangelo sia incarnato nel nostro tempo per ispirare la cultura e aprirla all’accoglienza integrale di tutto ciò che è autenticamente umano[19].

Desideriamo a questo proposito sottolineare che la creazione di occasioni per approfondire tematiche cruciali alla luce della fede non è una scelta elitaria, così come non è affatto elitario chiedere alle comunità cristiane uno sforzo di pensiero a partire dal Vangelo e dalla storia. Avere una vita interiore, custodire nella memoria le cose, riflettere dentro di sé e nel confronto comunitario è quanto di più umano ci sia dato, e non è certo appannaggio di pochi, perché la fede è sempre ragionevole!

I giovani e la famiglia

51. – Ci pare opportuno chiedere per gli anni a venire un’attenzione particolare ai giovani e alla famiglia[20]. Questo è l’impegno che affidiamo e raccomandiamo alla comunità cristiana.

Partiamo dai giovani, nei quali va riconosciuto «un talento che il Signore ci ha messo nelle mani perché lo facciamo fruttificare»[21]. Nei loro confronti le nostre comunità sono chiamate a una grande attenzione e a un grande amore. È proprio a loro che vanno insegnati e trasmessi il gusto per la preghiera e per la liturgia, l’attenzione alla vita interiore e la capacità di leggere il mondo attraverso la riflessione e il dialogo con ogni persona che incontrano, a cominciare dai membri delle comunità cristiane. Le Giornate Mondiali della Gioventù ci hanno restituito molte speranze: abbiamo visto moltissimi giovani attirati dal Gesù e dal suo Vangelo. Già abbiamo sottolineato alcuni valori di cui il mondo moderno, talvolta con i giovani in prima fila, è portatore.

Va detto però che ora abbiamo tutti una grande responsabilità: se non sapremo trasmettere alle nuove generazioni l’amore per la vita interiore, per l’ascolto perseverante della parola di Dio, per l’assiduità con il Signore nella preghiera, per una ordinata vita sacramentale nutrita di Eucaristia e Riconciliazione, per la capacità di «lavorare su se stessi» attraverso l’arte della lotta spirituale, rischieremo di non rispondere adeguatamente a una sete di senso che pure si è manifestata. Non solo: se non sapremo trasmettere loro un’attenzione a tutto campo verso tutto ciò che è umano – la storia, le tradizioni culturali, religiose e artistiche del passato e del presente –, saremo corresponsabili dello smarrirsi del loro entusiasmo, dell’isterilirsi della loro ricerca di autenticità, dello svuotarsi del loro anelito alla vera libertà.

Nel decennio scorso ci eravamo volutamente soffermati sull’importanza del dare fiducia ai giovani, di favorirne l’inserimento nel volontariato, in tutto ciò che li aiuta a vivere il fine unico della vita cristiana, che è la carità. Rimane vero, peraltro, che per amare da persone adulte, mature e responsabili, bisogna saper assumere tutte le responsabilità della vita umana: studio, acquisizione di una professionalità, impegno nella comunità civile. Le esperienze forti possono tanto più giovare quanto più si coniugano con i cammini ordinari della vita, che consistono nell’operare scelte di cui poi si è responsabili. Occorre saper creare veri laboratori della fede[22], in cui i giovani crescano, si irrobustiscano nella vita spirituale e diventino capaci di testimoniare la Buona Notizia del Signore. Occorre impegnarsi perché scuola e università siano luoghi di piena umanizzazione aperta alla dimensione religiosa, sostenere i giovani perché vivano da protagonisti il delicato passaggio al mondo del lavoro, aiutare a dare senso e autenticità al loro tempo libero. Certamente le nostre comunità sono chiamate a una grande attenzione e a un grande amore per i giovani.

In questa direzione, avvertiamo la necessità di favorire un maggiore coordinamento tra la pastorale giovanile, quella familiare e quella vocazionale: il tema della vocazione è infatti del tutto centrale per la vita di un giovane. Dobbiamo far sì che ciascuno giunga a discernere la «forma di vita» in cui è chiamato a spendere tutta la propria libertà e creatività: allora sarà possibile valorizzare energie e tesori preziosi. Per ciascuno, infatti, la fede si traduce in vocazione e sequela del Signore Gesù.

52. – Per quanto riguarda la famiglia, va ricordato che essa è il luogo privilegiato dell’esperienza dell’amore, nonché dell’esperienza e della trasmissione della fede. La famiglia cristiana è inoltre il luogo dell’obbedienza e sottomissione reciproca e della manifestazione dell’alleanza tra Cristo e la Chiesa. La famiglia è l’ambiente educativo e di trasmissione della fede per eccellenza: spetta dunque anzitutto alle famiglie comunicare i primi elementi della fede ai propri figli, sin da bambini. Sono esse le prime «scuole di preghiera», gli ambienti in cui insegnare quanto sia importante stare con Gesù ascoltando i Vangeli che ci parlano di lui. I coniugi cristiani sono i primi responsabili di quella «introduzione» all’esperienza del cristianesimo di cui poi chi è beneficiario porterà in sé il seme per tutta la vita.

Proprio per il ruolo delicato e decisivo della famiglia nella società, la Chiesa, nonostante l’evidente crisi culturale dell’istituzione familiare, desidera assumere l’accompagnamento delle famiglie come priorità di importanza pari, in questi tempi, a quella della pastorale giovanile. Invitiamo tutti gli operatori pastorali a promuovere riflessioni serie sui perché delle frequenti crisi matrimoniali, pensando con creatività a rinnovare l’annuncio cristiano sul matrimonio, per dare forza, ragioni e coraggio alle coppie in difficoltà. Per questo contiamo molto sulla solidarietà tra le famiglie, ma anche sulla creazione di nuove forme ministeriali tese ad ascoltare, accompagnare e sostenere una realtà dalla quale molto dipende il futuro della Chiesa e della stessa società. Le nostre parrocchie dovrebbero essere sempre più luoghi di ascolto e di sostegno delle famiglie in difficoltà, avendo ben chiaro che la medicina dell’amore fraterno e della misericordia è l’unica in cui la Chiesa creda fermamente. A questo fine, una delle scelte da compiere è quella di riuscire a stabilire, da parte delle comunità cristiane, attraverso i presbiteri, i religiosi e gli operatori pastorali, rapporti personali con ogni famiglia – sia che frequenti la Chiesa sia che non la incontri mai – in un tessuto relazionale nuovo, veramente capillare.

In questo come in altri ambiti della pastorale è particolarmente importante il contributo che le donne potranno portare affinché la Chiesa assuma un volto diverso, più sensibile e più umano. Non si dà pienezza di umanità senza che uomo e donna si esprimano liberamente e pienamente, secondo i rispettivi doni.

53. – Concludendo queste indicazioni dedicate alla comunità dei fedeli che si raccolgono con assiduità attorno all’Eucaristia e alla sua funzione cruciale nella comunicazione della fede, non possiamo non dire qualcosa sul ruolo dei presbiteri e dei loro collaboratori.

Desideriamo ringraziarli, e con loro i nostri diaconi, per l’impegno generoso, testimoniato in un’epoca nella quale è divenuto difficile e spesso assai poco gratificante il servizio alla comunità cristiana e a quella umana più in generale. Noi Vescovi li sentiamo vicini e vogliamo ribadire tutta la nostra solidarietà e la nostra gratitudine con parole chiare e forti.

Le osservazioni pastorali che abbiamo appena formulato chiamano in causa anzitutto proprio i sacerdoti. Sono loro i presidenti della comunità che si raduna nella celebrazione dell’Eucaristia e dunque spetta a loro promuovere una celebrazione della liturgia che sappia formare i cristiani al sensus fidei, alla capacità di gustare la parola di Dio e all’acquisizione del sentire di Cristo. Inoltre, nelle comunità si avverte un accresciuto bisogno di iniziatori e di accompagnatori nella vita spirituale: i presbiteri devono valorizzare sempre più la loro missione di padri nella fede e di guide nella vita secondo lo Spirito, evitando con grande cura di cadere in un certo «funzionalismo». In tal modo, sorretti dalla fraternità presbiterale e dalla solidarietà pastorale, essi potranno essere i servi della comunione ecclesiale, coloro che conducono a unità i carismi e i ministeri nella comunità, gli educatori missionari di cui tutti abbiamo bisogno.

54. – Chiesa di Dio, insieme a noi, ministri ordinati, sono i laici; di loro il Signore si serve per la testimonianza e la comunicazione del Vangelo in mezzo agli uomini. Oltre a essere esperti in un determinato settore pastorale (carità, catechesi, cultura, lavoro, tempo libero…) devono crescere nella capacità di leggere nella fede e sostenere con sapienza il cammino della comunità nel suo insieme. C’è bisogno di laici che non solo attendano generosamente ai ministeri tradizionali, ma che sappiano anche assumerne di nuovi, dando vita a forme inedite di educazione alla fede e di pastorale, sempre nella logica della comunione ecclesiale. Riconoscendo l’importanza e la preziosità di questa presenza, si provvederà, da parte delle diocesi e delle parrocchie, anche alla destinazione coraggiosa e illuminata di risorse per la formazione dei laici.

In questo contesto vogliamo esprimere gratitudine e insieme attesa nei confronti di quelle realtà, alcune nuove, altre antiche, prima fra tutte l’Azione Cattolica, che contribuiscono ad arricchire in maniera considerevole la comunità, come le associazioni e i movimenti ecclesiali. La fede cristiana, infatti, non pretende di omologare e di appiattire le varie sensibilità religiose dei credenti; lo Spirito suscita in ogni epoca carismi idonei ad arricchire la Chiesa e a sostenerla nella sua missione. Naturalmente ognuna di queste realtà dev’essere sottoposta a discernimento[23]: già nella prima lettera di Giovanni i cristiani erano invitati a mettere «alla prova le ispirazioni» (1Gv 4,1); i veri carismi dello Spirito contribuiscono sempre a riconoscere Gesù Cristo «venuto nella carne» (1Gv 4,2), a discernere la sua presenza in tutti i fratelli cristiani e a riconoscere nella comunità, nel Corpo ecclesiale del Risorto, il luogo in cui convergono e da cui partono tutti i carismi e le vocazioni.

55.Un’ultima parola, nell’orizzonte della vita ordinaria delle nostre comunità, vogliamo dedicare alle devozioni popolari. Esse arricchiscono la comunità nella misura in cui esprimono un desiderio di approfondimento religioso e di preghiera: si tratta infatti di un linguaggio che il popolo parla e comprende. Come ricordava Paolo VI, con esse «tocchiamo un aspetto dell’evangelizzazione che non può lasciare insensibili… Per lungo tempo considerate meno pure, talvolta disprezzate, queste espressioni formano oggi un po’ dappertutto l’oggetto di una riscoperta»[24]. Bisogna naturalmente vigilare perché non si sostituiscano ai momenti ordinari di vita liturgica della comunità parrocchiale, come pure alle forme di meditazione e di preghiera, personale e comunitaria, legate ai grandi filoni di spiritualità della tradizione cristiana, antichi e recenti. Lo stesso Paolo VI ammoniva ad affrontare tali espressioni nel quadro generale del rinnovamento pastorale, anche perché la storia ci dice che la devozione popolare «è frequentemente aperta alla penetrazione di molte deformazioni della religione, anzi di superstizioni. Resta spesso a livello di manifestazioni culturali senza impegnare un’autentica adesione di fede»[25]. Ma cercare di comprendere questo linguaggio, purificarlo e vivificarlo, permette di far incontrare con la fede la vita di tanta gente semplice e disponibile.

Una rinnovata attenzione a tutti i battezzati

56. – Abbiamo parlato fin qui dei cristiani che partecipano attivamente alla vita delle parrocchie, o che perlomeno frequentano assiduamente l’eucaristia domenicale; ma al centro della nostra preoccupazione missionaria ci sono anche tutti quegli uomini e quelle donne che, pur avendo ricevuto il battesimo, non vivono legami di piena e stabile comunione con le nostre Chiese locali.

Il riferimento al battesimo richiama anzitutto al nostro pensiero i cristiani appartenenti ad altre Chiese e comunità ecclesiali, «coloro che credono in Cristo e hanno ricevuto debitamente il battesimo» e che «sono costituiti in una certa comunione, sebbene imperfetta, con la Chiesa cattolica»[26]. Non è possibile, per un cristiano che ascolti con attenzione le parole del suo Signore Gesù Cristo, restare indifferente alla sua preghiera al Padre «perché tutti siano una sola cosa» (Gv 17,21).

L’ecumenismo è una sfida fondamentale perché è una verifica della nostra fedeltà al Vangelo; ma è anche una grande scuola di comunione: proprio di fronte ai cristiani di altre Chiese e comunità ecclesiali, palesemente «diversi» da me, sono chiamato a riconoscere quell’unità che, a dispetto delle differenze, ci lega e ci chiama a una comunione sempre più piena. Vivere l’impegno ecumenico può essere di grande aiuto anche per riscoprire le vie che portano alla riconciliazione in seno alle nostre stesse comunità parrocchiali e viceversa. Non si dà unità senza il rispetto delle differenze, senza portare i pesi gli uni degli altri, ma soprattutto senza cercare insieme la verità che è l’unica vera fonte di unità, nonché l’unica ragione del nostro esistere come comunità ecclesiali: Gesù Cristo, l’unico nostro Signore.

57. – La stessa ricerca della piena comunione induce a una sempre più convinta attenzione nella pastorale della Chiesa verso i cosiddetti «non praticanti», ossia verso quel gran numero di battezzati che, pur non avendo rinnegato formalmente il loro battesimo, spesso non ne vivono la forza di trasformazione e di speranza e stanno ai margini della comunità ecclesiale[27]. Sovente si tratta di persone di grande dignità, che portano in sé ferite inferte dalle circostanze della vita familiare, sociale e, in qualche caso, dalle nostre stesse comunità, o più semplicemente sono cristiani abbandonati, verso i quali non si è stati capaci di mostrare ascolto, interesse, simpatia, condivisione.

Questa area umana, cresciuta in modo rilevante negli ultimi decenni, chiede un rinnovamento pastorale: un’attenzione ai battezzati che vivono un fragile rapporto con la Chiesa e un impegno di primo annuncio, su cui innestare un vero e proprio itinerario di iniziazione o di ripresa della loro vita cristiana.

In primo luogo, si tratta di valorizzare quei momenti in cui le parrocchie incontrano concretamente quei battezzati che non partecipano all’eucaristia domenicale e alla vita parrocchiale: quando i genitori chiedono che i loro bambini siano ammessi ai sacramenti dell’iniziazione cristiana; quando una coppia di adulti domanda la celebrazione religiosa del matrimonio; in occasione dei funerali e dei momenti di preghiera per i defunti; alcune feste del calendario liturgico nelle quali anche i non praticanti si affacciano alla porta delle nostre chiese. Tutti questi momenti, che a volte potrebbero essere sciupati da atteggiamenti di fretta da parte dei presbiteri o da freddezza e indifferenza da parte della comunità parrocchiale, devono diventare preziosi momenti di ascolto e di accoglienza. Solo a partire da una buona qualità dei rapporti umani sarà possibile far risuonare nei nostri interlocutori l’annuncio del Vangelo: essi l’hanno ascoltato, ma magari sonnecchia nei loro cuori in attesa di qualcuno o di qualcosa che ravvivi in loro il fuoco della fede e dell’amore.

Gli stessi fanciulli battezzati hanno bisogno di essere interpellati dall’annuncio del Vangelo nel momento in cui iniziano il loro cammino catechistico. Sempre più spesso, infatti, non si può presupporre quasi nulla riguardo alla loro educazione alla fede nelle famiglie di provenienza. L’incontro con i catechisti diviene per i fanciulli una vera e propria occasione di «prima evangelizzazione». È importante che venga annunciato loro il Vangelo della vita buona, bella e beata che i cristiani possono vivere sulle tracce del Signore Gesù. Vitale è la qualità kerygmatica e mistagogica degli incontri: i fanciulli vanno condotti a compiere l’atto di fede, il gesto della preghiera, la partecipazione alla liturgia e soprattutto a trovare alimento costante nel rapporto con Gesù, lasciandosi accompagnare dalla sua vita narrata dai Vangeli. Questa attenzione dovrà accompagnare ancor più la catechesi dei ragazzi e dei giovani e ci dovrà sospingere a ripensare costantemente l’iniziazione cristiana nel suo insieme e gli strumenti catechistici che l’accompagnano.

58. – Ma, al di là delle occasioni in cui ogni battezzato viene a contatto con la comunità eucaristica, ci sembra importante che i cristiani più consapevoli della loro fede, insieme con le loro comunità, non si stanchino di pensare a forme di dialogo e di incontro con tutti coloro che non sono partecipi degli ordinari cammini della pastorale. Nella vita quotidiana, nel contatto giornaliero nei luoghi di lavoro e di vita sociale si creano occasioni di testimonianza e di comunicazione del Vangelo. Qui si incontrano battezzati da risvegliare alla fede, ma anche sempre più numerosi uomini e donne, giovani e fanciulli non battezzati, eredi di situazioni di ateismo o agnosticismo, seguaci di altre religioni. Diventa difficile stabilire i confini tra impegno di rivitalizzazione della speranza e della fede in coloro che, pur battezzati, vivono lontani dalla Chiesa, e vero e proprio primo annuncio del Vangelo. Su questi terreni di frontiera va incoraggiata l’opera di associazioni e movimenti che si spendono sul versante dell’evangelizzazione.

Occorre inoltre tener presente che ormai la nostra società si configura sempre di più come multietnica e multireligiosa. Dobbiamo affrontare un capitolo sostanzialmente inedito del compito missionario: quello dell’evangelizzazione di persone condotte tra noi dalle migrazioni in atto. Ci è chiesto in un certo senso di compiere la missione ad gentes qui nelle nostre terre. Seppur con molto rispetto e attenzione per le loro tradizioni e culture, dobbiamo essere capaci di testimoniare il Vangelo anche a loro e, se piace al Signore ed essi lo desiderano, annunciare loro la parola di Dio[28], in modo che li raggiunga la benedizione di Dio promessa ad Abramo per tutte le genti (cf. Gen 12,3)[29].

59.La comunità cristiana dev’essere sempre pronta a offrire itinerari di iniziazione e di catecumenato vero e proprio. Nuovi percorsi sono richiesti infatti dalla presenza non più rara di adulti che chiedono il battesimo, di «cristiani della soglia» a cui occorre offrire particolare attenzione, di persone che hanno bisogno di cammini per «ricominciare». La nostra «conversione pastorale» è, in qualche misura, già in atto ed è sollecitata dai cambiamenti nella società e di fronte alla fede. Ci è richiesta intelligenza, creatività, coraggio. Occorrerà impegnare le nostre migliori energie in questo campo, mediante una riflessione teologico-pastorale e attraverso l’individuazione di concrete e significative proposte nelle nostre comunità; sarà fondamentale garantire un’adeguata preparazione a tutti coloro che, in prima persona, risulteranno coinvolti a nome della comunità ecclesiale in tali iniziative di evangelizzazione. Anche in questo ambito di iniziazione e di rivitalizzazione della fede è importante il contributo di associazioni e movimenti ecclesiali.

Al centro di tale rinnovamento va collocata la scelta di configurare la pastorale secondo il modello della iniziazione cristiana, che – intessendo tra loro testimonianza e annuncio, itinerario catecumenale, sostegno permanente della fede mediante la catechesi, vita sacramentale, mistagogia e testimonianza della carità – permette di dare unità alla vita della comunità e di aprirsi alle diverse situazioni spirituali dei non credenti, degli indifferenti, di quanti si accostano o si riaccostano al Vangelo, di coloro che cercano alimento per il loro impegno cristiano.

60.Occasione importante di apertura alle nuove sfide della pastorale è indubbiamente il dialogo culturale sui grandi temi della nostra società e della vita quotidiana. Incontri di dialogo e di confronto – iniziative da assumere con discernimento – possono essere un grande beneficio per i cristiani. Il dialogo infatti aiuta ad ascoltare e a capire meglio il cuore dei loro contemporanei, e spesso, in tal modo, a capire meglio la vita e lo stesso Vangelo. In secondo luogo, il dialogo permette la crescita di relazioni umane, di scambi fecondi e arricchenti per tutti. Solo condividendo le angosce e le speranze, le ricerche e le difficoltà di chi ci sta accanto, sarà possibile trasmettergli la speranza che sgorga dalla nostra fede.

L’insegnamento sociale della Chiesa ha sempre insistito sulla collaborazione con gli «uomini di buona volontà». Proprio perché il Vangelo divenga cultura e questo seme divino possa dare i suoi frutti più belli nella storia, noi cristiani vivremo nella compagnia degli uomini l’ascolto e il confronto, la condivisione dell’impegno per la promozione della giustizia e della pace, di condizioni di vita più degne per ogni persona e per tutti i popoli, fiduciosi in un arricchimento reciproco per il bene di tutti.

61. – In rapporto a quanto si è detto e perché a tutti coloro che l’attendono sia donata la parola del Vangelo, è importante la presenza significativa dei fedeli laici negli ambienti di vita. Il riconoscimento della laicità dello Stato e delle sue istituzioni non ci sottrae dal dovere di collaborare al bene del Paese: costituisce piuttosto il terreno della piena cittadinanza dei cattolici italiani. Alla sua vita essi partecipano sostenuti dalla convinzione che il fermento del Vangelo non è un bene loro esclusivo, ma un dono da condividere, perché contributo decisivo per creare condizioni di piena umanità per tutti.

Sentiamo così di condividere la speranza con i tanti giovani che sono in ricerca di un lavoro, o con tutti quei lavoratori che faticano a trovare punti di riferimento nella complessità e precarietà del mondo del lavoro. La stessa attenzione e partecipazione riteniamo che i laici cristiani devono poter offrire alla scuola e all’università, interessate da processi di trasformazione in cui occorre ribadire le ragioni dell’educazione della persona nella sua globalità e nella reale libertà. Ancora, il mondo della salute chiede una presenza che garantisca il pieno rispetto dei valori della vita e della persona e assicuri l’accesso di tutti alle cure di cui hanno bisogno. Processi di umanizzazione piena e vera socializzazione toccano anche l’ambito sempre più ampio del tempo libero, con le attività sportive e turistiche ad esso connesse. La stessa attività propriamente politica non può fare a meno del contributo dei fedeli laici: competente, responsabile e coerente, nel rispetto del valore della persona umana e dei principi fondamentali di libertà e solidarietà, nella ricerca del bene comune.

L’intera società, nei suoi vari ambiti, è attraversata da un processo di cambiamenti profondi e accelerati. Diventa prioritaria, di conseguenza, una lettura attenta di tali contesti, onde poter rilanciare una pastorale d’ambiente sempre più indispensabile per compaginare la comunità battesimale, per raggiungere quanti sono in attesa dell’annuncio cristiano, per dare efficacia al contributo dei cattolici alla vita della società. Qui si inserisce l’esigenza di una sempre maggiore vitalità dell’associazionismo sociale e professionale di ispirazione cristiana, come pure, in forma diversa, dell’apporto di quanti hanno scelto di essere nel mondo testimoni del Regno negli istituti secolari o in altre forme di consacrazione personale.

La pastorale d’ambiente richiederà che le parrocchie ripensino le proprie forme di presenza e di missione e il loro rapporto con il territorio, aprendosi alla collaborazione con le parrocchie confinanti e a un’azione concertata con associazioni, movimenti e gruppi che esprimono la loro carica educativa soprattutto negli ambienti. Dove questa dimensione della pastorale eccede la parrocchia, sarà fondamentale il riferimento alla Chiesa diocesana: è responsabilità e compito dei Vescovi, infatti, dare un volto autenticamente ecclesiale al generoso impegno che le varie forme di apostolato dei cristiani esprimono in seno alla loro diocesi. In questa prospettiva intendiamo sostenere con attenzione e speranza il cammino dell’Azione Cattolica, da cui, in particolare, ci attendiamo un’esemplarità formativa e un impegno che, mentre si fa sensibile alle necessità pastorali delle parrocchie, contribuisca a rinvigorire, mediante la testimonianza apostolica tipicamente laicale dei suoi aderenti, il dialogo e la condivisione della speranza evangelica in tutti gli ambienti della vita quotidiana.

62. – Vogliamo infine sottolineare come tutti i cristiani, in forza del battesimo che li unisce al Verbo diventato uomo per noi e per la nostra salvezza, siano chiamati a farsi prossimi agli uomini e alle donne che vivono situazioni di frontiera: i malati e i sofferenti, i poveri, gli immigrati, le tante persone che faticano a trovare ragioni per vivere e sono sull’orlo della disperazione, le famiglie in crisi e in difficoltà materiale e spirituale. Il cristiano, sull’esempio di Gesù, «buon samaritano», non si domanda chi è il suo prossimo, ma si fa egli stesso prossimo all’altro, entrando in un rapporto realmente fraterno con lui (cf. Lc 10,29-37), riconoscendo e amando in lui il volto di Cristo, che ha voluto identificarsi con i «fratelli più piccoli». Giovanni Paolo II ricorda che la pagina del giudizio in cui Cristo chiama «benedetti» quelli che si sono fatti prossimi a lui nei piccoli (cf. Mt 25,31-46) non riguarda solo l’etica, ma è innanzitutto «una pagina di cristologia che proietta un fascio di luce sul mistero di Cristo»[30]. Ai credenti è chiesto di prendere a cuore tutte queste forme, nuove e antiche, di povertà e a inventare nuove forme di solidarietà e di condivisione: «è l’ora di una nuova fantasia della carità»[31].

Su questo terreno della carità le nostre comunità sono state invitate a un particolare impegno nell’ultimo decennio, ribadendo l’intima connessione tra Evangelizzazione e testimonianza della carità. Nel momento in cui avviamo un nuovo decennio, anch’esso sulla linea della evangelizzazione, le istanze indicate agli inizi degli anni ’90 mantengono tutt’intera la loro validità. In particolare resta sempre attuale la necessità di pensare che ogni attività evangelizzatrice è per sua natura indirizzata verso una concreta testimonianza della carità e che in ogni azione di carità va resa evidente la sua identità profonda di rivelazione dell’amore stesso di Dio. In questo modo si fanno emergere le radici trinitarie e cristologiche della carità, per cui il Vangelo di Gesù è servizio di carità e la vera carità è il dono del Vangelo. Nel quadro di vari gesti di attenzione a tale testimonianza, sarebbe bello anche riprendere l’invito del Convegno ecclesiale di Palermo a far sorgere in ogni comunità, accanto agli spazi per il culto e la catechesi, una struttura di servizio per i poveri.

La prospettiva del servizio della carità ci dà occasione di rivolgerci ai religiosi, chiamati proprio in virtù della loro scelta di vita, che li rende «poveri e marginali», a essere segno di speranza, testimoniando la possibilità data a ogni uomo di abitare le frontiere della società e della vita trovandovi un senso, una ragione per cui è possibile vivere e dare la vita. Perché questo avvenga, sarà necessario che essi si consacrino alla conoscenza amorosa di Dio, fino a far sì che la loro esistenza diventi segno della presenza di Dio fra gli uomini. Ognuno secondo il proprio carisma: i religiosi di vita apostolica andando incontro attivamente ai bisogni e alle sofferenze degli uomini, quelli di vita contemplativa praticando con amore e dedizione il ministero dell’ospitalità.

Insieme con i religiosi, però, abbiamo bisogno di laici che siano disposti ad assumersi dei ministeri con fisionomia missionaria in tutti i campi della pastorale a cui abbiamo accennato. Diventando cioè catechisti, animatori, responsabili di «gruppi di ascolto» nelle case, visitatori delle famiglie, accompagnatori delle giovani coppie di sposi: uomini e donne pienamente disponibili a riallacciare quei rapporti di comunione tra le persone che soli possono dar loro un segno di speranza. Questo significa essere corresponsabili del servizio di Cristo all’uomo: servizio che costituisce la ragione per cui la Chiesa esiste e continua la sua missione nella storia.


[1]     Cf. Giovanni Paolo II, Lettera enciclica Redemptoris missio, 20: AAS 83 (1991) 267-268.

[2]     Cf. Messale Romano, Preghiera eucaristica III.

[3]     Giovanni Paolo II, Lett. ap. Novo millennio ineunte, 15: OR, 8-9 gennaio 2001, 3.

[4]     Paolo VI, Esortazione apostolica Evangelii nuntiandi, 7: AAS 68 (1976) 9.

[5]     Cf. Lettera a Diogneto, 5-6.

[6]     Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptoris missio, 37: AAS 83 (1991) 285.

[7]     San Giuseppe Cottolengo, sull’esempio di San Vincenzo de’ Paoli, amava dire che «i poveri sono i nostri padroni» (cf. Fiori e profumi raccolti dai detti di san Giuseppe Benedetto Cottolengo, Torino 1997, 33-34: detto n. 19).

[8]     Cf. Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica post-sinodale Christifideles laici, 57-63: AAS 81 (1989) 506-518.

[9]     Conferenza Episcopale Italiana, Con il dono della carità dentro la storia. La Chiesa in Italia dopo il Convegno di Palermo. Nota pastorale, 23: Notiziario CEI 1996, 173.

[10]    Cf. Ibidem, 32: Notiziario CEI 1996, 181.

[11]    Cf. Consiglio Episcopale Permanente, L’amore di Cristo ci sospinge. Lettera alle comunità cristiane per un rinnovato impegno missionario, 3: Notiziario CEI 1999, 136.

[12]    Giovanni Paolo II, Lett. ap. Novo millennio ineunte, 16-17: OR, 8-9 gennaio 2001, 3.

[13]    Cf. Ibidem, 35-36: OR, 8-9 gennaio 2001, 4.

[14]    Cf. Giovanni Paolo II, Lettera apostolica Dies Domini: AAS 90 (1998) 713-766; cf. anche Conferenza Episcopale Italiana, Il giorno del Signore. Nota pastorale: Notiziario CEI 1984, 177-195.

[15]    Cf. Catechismo della Chiesa Cattolica, 1124.

[16]    Cf. Giovanni Paolo II, Lett. ap. Novo millennio ineunte, 39: OR, 8-9 gennaio 2001, 4; cf. anche Commissione Episcopale per la dottrina della fede e la catechesi, La Bibbia nella vita della Chiesa. “La parola del Signore si diffonda e sia glorificata” (2Ts 3,1). Nota pastorale: Notiziario CEI 1995, 381-412.

[17]    Cf. Paolo VI, Esort. ap. Evangelii nuntiandi, 20: AAS 68 (1976) 18-19.

[18]    Cf. Conferenza Episcopale Italiana, Con il dono della carità dentro la storia. La Chiesa in Italia dopo il Convegno di Palermo. Nota pastorale, 21: Notiziario CEI 1996, 171-172; cf. anche Giovanni Paolo II, Lett. ap. Novo millennio ineunte, 43-45: OR, 8-9 gennaio 2001, 5.

[19]    Cf. Conferenza Episcopale Italiana, Con il dono della carità dentro la storia, 25: Notiziario CEI 1996, 175-177.

[20]    Cf. Giovanni Paolo II, Lett. ap. Novo millennio ineunte, 9; 40; 47: OR, 8-9 gennaio 2001, 2; 5; 5.

[21]    Ibidem, 40: OR, 8-9 gennaio 2001, 5.

[22]    Cf. Giovanni Paolo II, Omelia durante la veglia a Tor Vergata per la XV Giornata Mondiale della Gioventù, 2-3: OR, 21-22 agosto 2000, 4-5.

[23]    Cf. Giovanni Paolo II, Esort. ap. Christifideles laici, 30: AAS 81 (1989) 446-448; cf. anche Commissione Episcopale per il laicato, Le aggregazioni laicali nella Chiesa. Nota pastorale: Noziario CEI 1993, 81-119.

[24]    Paolo VI, Esort. ap. Evangelii nuntiandi, 48: AAS 68 (1976) 37.

[25]    Ibidem.

[26]    Concilio Ecumenico Vaticano II, Decreto Unitatis redintegratio, 3: AAS 57 (1965) 93.

[27]    Cf. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptoris missio, 33: AAS 83 (1991) 278-279.

[28]    Cf. San Francesco d’Assisi, Regula non bullata, 16.

[29]    Cf. Consiglio Episcopale Permanente, L’amore di Cristo ci sospinge, 7: Notiziario CEI 1999, 139-142.

[30]    Giovanni Paolo II, Lett. ap. Novo millennio ineunte, 49: OR, 8-9 gennaio 2001, 5.

[31]    Ibidem, 50: OR, 8-9 gennaio 2001, 6.

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