Non lo nego, ho avvertito dentro di me un senso profondo di dolore mischiato a disagio venendo a sapere della sentenza del tribunale dell’Aquila, che ordina di rimuovere il crocifisso da una scuola di Ofena, dove frequentano due figli di un certo Adel Smith, un italiano convertito all’islamismo, ora presidente della cosiddetta “Unione Musulmani d’Italia”. Lo sdegno mi ha colpito in quanto cristiano, innanzitutto, perché quell’immagine è il simbolo che da sempre mi richiama l’«amore più grande» che mai la storia dell’umanità abbia conosciuto. È simbolo religioso, certamente! Almeno, per me come per molti altri, credo, lo è soprattutto. Ma quell’oggetto simbolico, esposto nei luoghi pubblici della nazione italiana, non ha in primo luogo il riferimento ad una fede, quasi “messaggio subliminale” di proselitismo, come scorrettamente e provocatoriamente da tempo sostiene il signor Smith. Nelle parole del presidente della nostra Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, pronunciate all’indomani della citata sentenza, sta la lettura più semplice e chiara dell’intera questione: «Il crocifisso è stato sempre considerato non solo come segno distintivo di un determinato credo religioso, ma, soprattutto, come simbolo di valori che stanno alla base della nostra identità italiana».
Al di là della prevedibile valanga di parole che hanno invaso i talk show televisivi e le pagine dei quotidiani, sono convinto che tutti noi, gente comune, abbiamo il dovere di cogliere con chiarezza i termini della questione.
Anzitutto occorre ricordare che in Italia esistono delle leggi che dispongono l’esposizione dei crocifissi nelle aule, leggi che non hanno fatto né i preti né il Papa, ma parlamenti laici e liberi, leggi che sono state negli anni confermate o mai abrogate. Occorre ricordare che una sentenza del Consiglio di Stato di qualche anno fa (la n. 63 del 1988) chiariva bene come, al di là del significato per i credenti, la croce rappresenti “il simbolo della civiltà e della cultura cristiana nella sua radice storica, come valore universale, indipendente da specifica confessione religiosa”.


Come cittadini italiani, dunque, abbiamo il diritto di sentire disappunto e sconcerto per una sentenza in cui si parla dell’esposizione dei crocifissi nella scuola statale come di “imposizione” di Stato che pone “il culto cattolico al centro dell’universo”… Il voler mescolare un simbolo scelto o accolto da una comunità nazionale democratica come richiamo a valori universali e a indiscusse radici storiche, con il valore ben più profondo che quel medesimo simbolo può avere per una ristretta comunità religiosa, è porre le basi di un malinteso dalle conseguenze negative.
La “provocazione” della sentenza del tribunale dell’Aquila non chiama in causa in prima battuta né i preti né i monsignori, ma i cittadini italiani e soprattutto i politici che la “res pubblica” sono chiamati a salvaguardare e guidare, con laica onestà, sia confrontandosi con la storia sia progettando il futuro, nella consapevolezza che la tolleranza religiosa è caratteristica di una civiltà democratica autentica, dove l’incontro tra diversità non può mai ridursi a scontro o a indifferenza reciproca, né si può pensare che l’accoglienza richieda l’annullamento delle identità.
mariano tallone

Doninserra

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