Spiegazione tematica dell'Eucaristia

L'ENFANIA

Dalla Bibbia conosciamo due tipi di manifestazione divina ("fania", in greco, significa appunto manifestazione): la teofania e l'epifania. Per teofania (dal greco: "manifestazione divina") s'intende una manifestazione velata della potenza di Dio, tramite un mediatore soprannaturale: un angelo, una nube tonante, un fuoco celeste. Il termine epifania è più sottile: Dio si manifesta "presso" (epi-); dunque Dio si manifesta "in"! Allora se la teofania manteneva Dio trascendente rispetto al mondo, in quanto si avvaleva di un tramite sensibile diverso, con l'epifania Dio entra im-mediatamente nella storia, si circoscrive per potersi muovere nello spazio e nel tempo: si fa uomo. L'epifania necessita allora di un'enfania: per potersi manifestare presso(un popolo, una vicenda), Dio deve legarsi a un segno, cioè a un'emanazione sensibile di Sé che renda efficace ed accessibile la sua venuta. Gesù Cristo, viva enfania di Dio, si "manifesta presso" (epifainetai) il popolo dell'Alleanza, Israele.

Ma cos'è, in definitiva, un'enfania?
E' una manifestazione soprannaturale entro una forma che esplichi adeguatamente il contenuto veicolato.

Il Sacramento è enfania di Dio (specialmente della persona divina di Gesù Cristo): nel segno dell'acqua, del pane e del vino, del crisma, Dio agisce realmente, efficacemente, volontariamente e amorevolmente su chi a Lui nel segno sensibile si relaziona.

L'IPOSTASI
Per ipostasi si intende un'enfania personale, cioè entro un'altra persona. Florenskij definiva la persona principio di identità, l'ipostasi principio di alterità (La colonna e il fondamento della Verità); ciò significa che la persona nell'ipostasi (dal greco: "persona", appunto) è se stessa, ma ciò in virtù di un'alterità: dall'umanità di Gesù trapela la Sua divinità.
Ci sono due tipi di ipostasi: l'ipostasi sostanziale, in cui la persona che funge da ipostasi è unita a quella ipostatizzata da stretti legami ontologici, relazionali e sostanziali (Gesù e il Verbo divino), e l'ipostasi funzionale: una o più persone ipostatizza/no un'altra in virtù di qualche sua/loro funzione, ministero particolare o titolo, come, ad esempio, il sacerdote durante la celebrazione dei Sacramenti, che diventa ipostasi funzionale di Gesù Cristo.

La terminologia fin qui utilizzata, sebbene possa sembrare un po' ostica, sarà utile a spiegare quanto segue.

Dal giorno della Sua Resurrezione e Ascensione al Cielo, l'unica, piena, assoluta e certa presenza di Cristo nel mondo è l'Eucaristia, piena enfania del Signore. Ecco perché questo che è il culmine dei Sacramenti riceverà una speciale trattazione qui, nella sezione Mysteria christianorum e in quella Apologetica.
La Chiesa, Corpo mistico del Signore, è parimenti ipostasi di Cristo, ma essendo ipostasi funzionale e non ancora sostanziale (dal momento che noi non siamo ancora resuscitati alla Vita eterna) non gode della totale identità personale e pienezza sostanziale con Gesù di cui gode ogni Ostia consacrata presente sulla Terra.

ENFANIA O TRANSUNSTAZIAZIONE?
Una premessa: si parla della stessa cosa. L'autore rigetta e rifiuta tutte le teorie eucaristiche "simboliche", "spirituali", "ecclesiologiche" proprie della cultura protestante, che in realtà hanno la loro radice nel manicheismo del terzo secolo dopo Cristo, per il quale la materia, malvagia e irredenta, non può avere nulla a che fare col Dio puro e trascendente.
Nel momento in cui il sacerdote, ipostasi funzionale di Gesù, pronuncia le parole della consacrazione:
"Questo è il mio Corpo", si riattualizza il prodigio che duemila anni fa si compì nel grembo della Vergine Maria; e alle parole:
"Questo è il mio Sangue", si spalanca davanti a noi una finestra sul Golgota, e veniamo irrorati del Sangue divino. Corpo e Sangue: entrambi, per la divina Resurrezione di Gesù, vivi della Vita personale e intenzionale del Cristo, presente in entrambi i segni con tutto il Suo corpo pneumatico glorioso e al contempo immolato (Ap 5, 6-10), tutta la sua psiche oblativa, tutta la sua divinità.

Se queste Verità ce le donano la Rivelazione e la Tradizione, che senso ha utilizzare anche una filosofia iperrazionalista e materialista come l'aristotelismo? Forse che la Chiesa non ha abbastanza strumenti esplicativi divini, e ne necessita anche di umani?
Parlare oggi usando termini del tredicesimo secolo come transustanziazione non insegna agli uomini d'oggi alcunchè. Cosa significa, per un uomo del ventunesimo secolo, "sostanza"? E "accidenti"? Non è forse meglio parlare di "veli sensibili", e d'altro canto imprescindibili, che rivelano (cioè coprono stabilmente) i misteri ineffabili di Dio?
Ecco perché io, pur accettando e amando tutto il patrimonio di fede della Chiesa Cattolica, sono molto guardingo nei confronti dell'aristotelismo in tonaca. Ricordiamo che Galilei fu posto sotto processo dagli aristotelici, non dai preti! Dunque ho proposto una struttura esplicativa per i Sacramenti che si appoggi ad una concezione più vicina a quella di S.Giovanni evangelista, S. Agostino e tutti i Santi Padri della Chiesa: la concezione platonica.

SEGNO O SIMBOLO?

Anzitutto occorre una distinzione terminologica essenziale: come disse Goethe, "il simbolo sta all'allegoria come il volto al teschio"; laddove il simbolo unifica e riempie di significati, l'allegoria produce un vuoto, fa comprendere una distanza incolmabile, evidenziata dalla stessa figura allegorica, tra il significato e il significante. Dire "allegorico" significa dire "questa cosa non è, ma rappresenta idealmente quest'altra"; d'altro canto, "simbolico" sta per "questa cosa contiene, indica, avvicina quest'altra". La parola simbolo deriva infatti dal greco sun-ballo ("metto con", "unisco"); il simbolo è il luogo in cui due realtà totalmente separate si ritrovano unite da una serie di rimandi logici e semantici.
"Il simbolo collega due realtà che di per sè, in forza della semplice 'relazione segnica', sarebbero incommensurabili e pertanto inavvicinabili' (Paolo D'Alessandro, Esperienza di lettura e produzione di pensiero).
Quello di simbolo è un concetto molto affascinante, tanto che il protestantesimo è caduto nella trappola di ridurre i Sacramenti a semplici tramiti simbolici della Grazia: l'infinita bontà di Dio, totalmente avulsa e incommensurabile rispetto a un pezzetto di pane azzimo, troverebbe nel gesto simbolico della fractio panis un "sostegno figurativo", tale da renderla "digeribile" (si scusi il gioco di parole) alla psiche dei fedeli.
Il fatto è che, nella consacrazione eucaristica, non ci sono più due piani da mettere in connessione armoniosa, ma ne rimane uno! In altre parole, non c'è più un pane e la Persona viva e attiva di Cristo, ma rimane soltanto la Persona di Gesù, e il pane viene meno come esistenza, rimanendo come semplice forma/appiglio.
La certezza di questo "rovesciamento ontologico" ci è data dalla parola dello stesso Gesù, e dalla testimonianza dei primissimi cristiani, nonché di molti Santi (vedi Apologetica).

Quindi l'Ostia consacrata non è simbolo del Corpo del Signore vivo e immolato al contempo, ma è lo stesso Corpo!
Quell'Azzimo, cioè, è il segno di quel Corpo, dove "segno" vuol dire "emanazione sensibile": quando scrivo la parola "pane", l'effettiva grafia materiale è il segno sensibile di tale parola/concetto mentale. Quando il sacerdote dice: "Questo è il mio corpo", il pane diviene, per prodigio divino, segno della presenza materiale di Cristo, il Cui Corpo "esteso" è celato per preservare il nostro libero arbitrio e per permetterci la manducazione salvifica (mi si perdoni l'impertinenza, ma come farei altrimenti a mangiare interamente un corpo umano vivo alto, diciamo, un metro e settanta?). Un altro motivo, per cui il Corpo vivo e immolato del Signore è celato nel Pane eucaristico, me l'ha suggerito l'esegesi del vangelo di Marco ad opera di padre Silvano Fausti S.I.; egli dice:"I semiti non bevono sangue. E' vita, e appartiene solo a Dio. Chi prende e mangia il corpo del Figlio, beve la vita di Dio: ha il Suo Spirito" (Ricorda e racconta il Vangelo: Marco). I popoli semiti si rifiutano di bere il sangue e di mangiare cibi cruenti: Gesù ha sancito/creato le forme sacramentali (dunque incruente) per non scandalizzare i suoi, che erano ebrei! I SACRAMENTI SONO TALI PER PERMETTERE AI SEMITI, E DUNQUE AGLI EBREI, DI ACCEDERVI SENZA VIOLARE LA LEGGE MOSAICA!
Ancora una volta traspare l'infinita condiscendenza di Dio, che si abbassa e si annienta per permettere agli uomini, limitati e ribelli, di accostarlo.

IL VALORE AMBIVALENTE DELL'EUCARISTIA

Il Vangelo e la Tradizione ci insegnano che l'Ostia consacrata è Gesù Cristo stesso, cioè la Sua Persona corporea, la Sua anima e, per ipostasi, la Sua divinità. Ma l'Ostia non è "semplicemente" la Persona di Gesù: essa è il Cristo "colto" nell'istante del Suo sacrificio sulla croce (hostia, in latino, vuole appunto dire "vittima sacrificale"). Dunque il valore dell'Eucaristia è duplice: essa è relazione, comunione, appunto, in quanto Persona intenzionale, ma è anche oblazione, in quanto il nucleo stesso della psiche eucaristica è l'offerta di Sè al Padre per gli uomini.

Secondo la teologia cattolica, un'Ostia che non venga prima o poi consumata/sacrificata cessa di ospitare la Presenza del Signore, si riconverte in pane o, meglio, non è mai divenuta Ostia: il corpo pneumatico di Cristo, infatti, essendo eterno, coglie l'inizio e la fine come puntuali, e "sa già" che una particola non sarà consumata, e quindi non ne farà il Suo Corpo. Ecco perché, una volta iniziata la consacrazione, non è possibile interromperla, e la Messa deve essere portata avanti sino al termine della Comunione, quando cioè i fedeli consumano il Corpo del Signore, e dalla Sua consumazione divengono a loro volta Corpo di Cristo, riuniti "in un solo Pane", per dirla con San Paolo.
C'è dunque un paradosso intrinseco nell'Eucaristia: Essa è presenza se si fa assenza!
Nel Suo scomparire, consumarsi, essere assimilato (e assimilare a Sé), il Signore si manifesta pienamente come Agnello pasquale vittorioso sulla morte. Nell'Eucaristia si riattualizza quello che accadde nell'Incarnazione duemila anni or sono: quando Dio si "degrada", scende all'uomo, è allora che si manifesta nella pienezza, e l'uomo può a Lui relazionarsi.
Un quesito inquietante si affaccia alla mia mente: le particole profanate e ingiuriate dai servi di Satana sono semplice pane (per i motivi su esposti) o rimangono Presenza del Signore? Quel Nazareno che si lasciò insultare, sputare in faccia, flagellare, coronare di spine, spingere, dileggiare, inchiodare su un patibolo, che lasciò che il suo cadavere fosse oltraggiato da un colpo di lancia, ritira oggi la Sua Presenza dalle Sue candide ipostasi rubate da gente "che ha ormai condannato se stessa" (S. Cipriano di Cartagine), o rimane, per subire altri oltraggi, e far splendere ancora di più nella fitta tenebra il Suo Amore, la Sua umiltà, la Sua Croce?
Secondo i primi Padri della Chiesa, le particole in via di essere profanate non ospiterebbero più Gesù (vedi sempre S. Cipriano di Cartagine, in Apologetica), già ancora prima di essere oltraggiate. Eppure, i numerosi miracoli eucaristici avvenuti nella storia della Chiesa ci testimoniano altrimenti; infatti, di per sé in genere i miracoli eucaristici accadono per una qualche volontaria o involontaria profanazione, come se il Signore dicesse "nell'umiliazione, la Mia Croce splende vivida e manifesta".
Pertanto la questione rimane aperta, ovvero velata dalla misteriosa Volontà del Signore, Volontà di dono totale, dell'estinguersi per ritrovarci.

CORPO GLORIOSO E CORPO EUCARISTICO

Questa vuole essere soltanto una traccia di possibile speculazione teologica.
Dagli attributi e dai "poteri" del Corpo eucaristico di Cristo possiamo risalire, tramite un processo quasi induttivo alla natura del Corpo glorioso di Cristo risorto.
Ciò è possibile perché in effetti si tratta della stessa cosa: è il corpo pneumatico di Cristo ad inabitare e a transignificare il pane eucaristico, ovvero, senza la Resurrezione il Sacramento non sarebbe efficace (d'altronde, a detta di San Paolo, senza la Resurrezione neanche la nostra fede sarebbe efficace - 1Cor 15,14). Ora, dato che la Resurrezione è un miracolo di sottrazione, ovvero occulta, nasconde, ri-vela l'umanità biologica di Cristo al mondo, ponendolo nell'Eterno, noi non possiamo dire effettivamente nulla della natura nuova di Cristo, perché è sottratto ai nostri sensi.
L'Eucaristia, d'altro canto, è un miracolo di manifestazione, pur nel permanere della ri-velazione (cioè nuova sottrazione ai sensi); pur occultato ai nostri sensi esterni (tranne che all'udito), il Signore risorto si manifesta, si "espone" nell'Eucaristia, ed in questa forma possiamo relazionarci a Lui quali enti sensibili con l'Ente sensibile.
Possiamo dire allora che l'Eucaristia è il "ponte" espressivo tra noi ed il mistero del Signore risorto, è cioè il tramite a Cristo, è Cristo stesso, che si fa raggiungere dal nostro cuore/intenzionalità/persona nella Comunione, e dal nostro intelletto nella Transignificazione relazionale; in altri termini, nella Comunione abbiamo Lui Risorto, indagando sull'Eucaristia sappiamo di Lui Risorto.

E cosa veniamo a sapere del Risorto?

Anzitutto, che il suo corpo glorioso è ubiquo. Gesù è presente simultaneamente in Cielo, nel cuore di ogni credente e in ogni Ostia consacrata e non come parte, ma come intero: quindi, pur essendo in un corpo vivo ed esteso, è ubiquo. E' sbagliatissimo quello che dice Lutero, per il quale Cristo sta nell'Eucaristia come in ogni cosa nell'universo (fuoco, pietre, ecc.): questo dimostra che Lutero più che cristiano era panteista e pagano, perché nella Rivelazione non si dice mai che Dio è in ogni cosa, in quanto è trascendente, ma è presso ogni cosa; invece Egli è nella Eucaristia allo stesso modo che io sono nel mio corpo. Quindi l'ubiquità immanente di Gesù (nei fedeli e nelle Ostie) è straordinaria, proprio perché non è ovvia, e dire il contrario sarebbe paganesimo!

Inoltre, da come si amministra l'Eucaristia sappiamo che il corpo di Gesù Risorto è eterno o, meglio, incorruttibile e immortale (sì, lo so, sono cose ovvie per il credente, ma è meglio ribadirle!): per quante consacrazioni avverrano nella storia, per quante Comunioni saranno consumate, per quanti Calici benedetti saranno bevuti, la sostanza, la "fibra vivente" di Cristo non perirà nè finirà mai, ma in eterno sarà Se stesso, sempre totalmente tale. Un'Ostia può stare in un tabernacolo per 1.100 anni (come a Lanciano), e Gesù è sempre lo stesso ieri, oggi e sempre, eternamente giovane e amante, nella perfetta oblazione di Sé; è sempre nel momentum della Crocifissione, ed il tempo esterno all'Ostia non ha alcun peso per Lui, se non nella misura in cui può invalidare il segno (e non Lui stesso!) deteriorandolo. Ma allora, come abbiamo visto sopra (Il valore ambivalente dell'Eucaristia) quella particola che si riducesse in polvere non sarebbe mai stata veramente il Corpo del Signore, dunque rimane intatto il principio di eternità appena esposto.

Abbiamo anche la certezza che il Corpo risorto è impassibile, nulla cioè può arrecargli danno. Quando infatti il sacerdote spezza l'Ostia, non spezza il Corpo di Cristo, ottenendone due metà! Lo spezzare il Pane è un simbolo dell'immolazione che di per sè avviene realmente già nella consacrazione, e in ciascuno dei due frammenti di Ostia (o, per quello che importa, dei duemila frammenti) c'è tutta la Persona viva e immolata di Gesù. Inoltre, quando il cristiano mangia il Pane eucaristico, non "fa male" a Gesù, come se triturasse il Suo Corpo! Il segno sensibile del Pane occorre affinché il cristiano assimili (e sia assimilato) veramente, realmente e sostanzialmente, ma Gesù non rimane di certo imprigionato nel Pane eucaristico: il fine della Comunione è appunto la comunione dei due, di Cristo e del credente, e appena il segno del Pane (e/o del Vino) entra nel fedele, Gesù "esce" dal segno ed entra nel cuore dell'amato; quindi ciò che rimane del segno, ciò che ne avviene nella manducazione e nell'evacuazione, non Lo riguarda affatto. L'enfania eucaristica non ha il fine di rinchiudere Gesù nel pane, ma di rinchiuderLo nel cuore del credente!

Il Corpo eucaristico del Signore, quindi il Suo Corpo Risorto, è "trasparente", che in termini teologici significa all'incirca che ha le proprietà della luce e del cristallo. Come la luce, questo Corpo non si vede, ma fa vedere, fa orientare-lo-sguardo-a, è pura manifestazione (in greco "manifestarsi" si dice come "splendere", fainomai): la Presenza del Signore illumina quell'umile pane, e vi orienta la nostra attenzione, la nostra adorazione, il nostro amore; l'Eucaristia splende della Luce del risorto, Luce sovrasensibile (e quindi invisibile agli occhi materiali) perché fonte e causa della luce sensibile.

Dalla contemplazione del mistero eucaristico abbiamo compreso come il Corpo del Signore sia ubiquo, impassibile, incorruttibile/eterno, trasparente: in una parola, coniata da San Paolo, è un Corpo pneumatico (letteralmente "spirituale"). Non è puro spirito, perché nella Resurrezione Cristo ha riassunto pienamente la sua fisicità, ma essa è stata rinnovata, ha assunto tutti i poteri dello Spirito divino, è una Umanità piena e gloriosa, che assomma in Sè il Cielo e la Terra, in una Creazione totalmente Nuova.

LA TRINITA' NEL SACRIFICIO DI CRISTO

Dio è Uno e Trino. Ciò comporta che laddove agisce Una Persona divina, di fatto tutto Dio agisce in perfetta comunione di intenti e azioni. In ogni evento storico in cui Dio si è relazionato all'uomo, possiamo scorgere costantemente l'azione delle Tre Persone divine secondo quella che S. Agostino definisce circuminsessione, ovvero processione "circolare", che da Dio Padre porta al Figlio, da Dio Figlio porta allo Spirito Santo, da Dio Spirito Santo ritorna al Padre, nella perfetta unità di Dio.
Nel Primo Testamento il Padre si rivela agli uomini; nel Nuovo Testamento il Verbo divino entra nella storia e la redime; negli Atti degli Apostoli lo Spirito Santo è il permanere di Dio presso l'uomo, l'attività latente di Dio nella Chiesa.
Nel mistero del Cristianesimo, che è Cristo stesso, il Padre invia il Verbo a Lui coeterno nel grembo di Maria; il Figlio offre Se stesso al Padre per gli uomini; lo Spirito resuscita Cristo dalla morte, sottraendolo alla storia per farne il Signore.
A proposito di Cristo, Egli è il Verbo incarnato, è immagine perfetta del Padre, ed è sede (autenticamente corporea) dell'invisibile ma ristoratore Spirito Santo.
In tutte queste scansioni triadiche, possiamo vedere come lo Spirito Santo sia costantemente la latenza, la discrezione di Dio ipostatizzata, l'invisibile Compagno degli uomini. Non c'è, non ancora, una manifestazione eclatante della Terza Persona divina; nella preghiera, noi preghiamo il Padre, con Gesù Cristo, e lo Spirito è il sottile e discreto autore della nostra stessa preghiera. Santo Stefano, prima di cadere sotto i colpi dei sassi, vide Dio Padre, e il Figlio alla Sua destra; e dov'era lo Spirito? Si chiedono i Testimoni di Geova; ebbene, lo Spirito era "al di qua" dello sguardo del martire, era Colui che rese questa stessa vista possibile.
Nella Chiesa Ortodossa c'è un detto: "Dello Spirito Santo si deve parlare poco, e invocarLo molto"; se riusciremo a comprendere che lo Spirito è glorificato da questa Sua invisibilità e discrezione, così come il Figlio fu glorificato dal nascondimento e dall'umiliazione, potremo capire il ruolo del Paraclito nel Sacrificio salvifico.

Il Verbo divino non è il solo protagonista della Redenzione: ciò è impossibile, perché la Trinità è un unico Dio. Ma se il ruolo del Figlio è immediatamente evidente nella violenza della Crocifissione, cosa possiamo dire dell'opera più recondita delle altre Due Persone?
Nella circuminsessione il primo ad agire è il Padre; nel sacrificio del Calvario la Sua azione è l'invio del Figlio, ovvero la kenosi ("svuotamento", "prostrazione") di Dio nello spazio/tempo. L'Altissimo si china e si delimita, si espropria della Sua separatezza (= sacralità) per farsi prossimo all'uomo. Dio, per prima cosa, ha sacrificato per l'uomo la Sua stessa "natura"!
Quindi viene il Figlio Unigenito, il Verbo coeterno al Padre, che attua nello spazio/tempo la kenosi di Dio offrendosi come vittima volontaria sulla Croce; il Padre si china, e il Figlio si annienta perché, tramite il Figlio l'uomo risalga al Padre. La Croce nell'ordine iconoretico (cioè in base alle "fasi" della circuminsessione) è al secondo posto dopo la kenosi del Trascendente: ma secondo di tre vuol dire che è il centro, il nucleo, il senso di tutta la relazione redentiva di Dio con l'uomo.
Infine agisce lo Spirito Santo, che perpetua l'umiliazione di Dio nella storia al Suo solito modo, cioè nella delicatezza discreta e nell'invisibilità. Perpetuare il sacrificio della Croce vuol dire renderlo autenticamente accessibile a chiunque in ogni tempo e luogo, non solo come idea, ma come tramite relazionale. E questo prodigio lo Spirito lo compie nell'Eucaristia: attraverso segni umilissimi e trascurabili dalla sensibilità umana, lo Spirito rimanifesta il pathos della Croce. Tutto l'evento rimane celato, invisibile, solo adombrato alla mente; eppure grazie al silenzioso Paraclito, nella parola della Parola, inviata dal Padre, la Croce mi raggiunge veramente, realmente e sostanzialmente. Ecco perché il sacerdote, nella celebrazione eucaristica, chiede al Padre di mandare lo Spirito Santo a "a santificare i doni che ti offriamo, perché diventino il Corpo e il Sangue di Cristo", ed impone le mani sul pane e sul calice: all'ombra di quelle mani, e dunque nel fertile nascondimento, l'invisibile Paraclito riattualizza per noi, per me, il tragico e splendido evento del Golgota.

1 - il giorno del Signore

2 - la santa messa 3 - la presenza reale 4 - l'uomo di Dio 5 - la festa del Corpus Domini

Preparazione e celebrazione delle feste pasquali