Propaganda

 

Home

 

 

A. G. Ambrosi - Aerorittratto del duce

 

L'arte e la cultura in generale si sono spesso piegate, se non asservite, alle necessità dei regimi totalitari. Questo è accaduto a più latitudini, e con diverse motivazioni: innanzitutto la necessità di sopravvivenza degli artisti e dei movimenti artistici, ma anche spesso aperta adesione ideologica.

I regimi hanno sempre cercato, ma anche temuto, il rapporto con gli artisti. Come si crea il consenso in un regime totalitario? Con quali strumenti? In un'epoca nella quale non esisteva ancora la televisione i media privilegiati furono da una parte, i manifesti murali che tappezzavano con insistenza le città e le opere degli artisti, dall'altra la cosiddetta rete delle riviste, ovvero una serie di pubblicazioni dirette a vari segmenti della popolazione, secondo l'età, la professione e la fascia sociale, legate tra loro dal sottile filo della propaganda continua, all'inizio camuffata, poi via via sempre più invadente fino a divenire becera e opprimente. In un secondo tempo a questi media se ne aggiunse un altro, strumento formidabile per la diffusione in tempo reale dell'ideologia del regime: la radio. Tramite la radio, infatti, erano diffusi non solo i numerosissimi discorsi del duce, ma anche proclami, direttive comportamentali, pubblicità autarchiche (il famoso acquistate prodotti italiani), come pure informazioni, intrattenimenti e varietà, tutti invariabilmente controllati e manipolati dal regime. Insomma, il rituale della vita dinamica e fascista, grazie alla rete della propaganda, copriva tutto, conservava tutto, salvava tutto e liberava tutti dalla libertà, ottenendone, in cambio, il consenso.

Ma quale arte serviva al regime per creare il consenso?
Nel 1926 Mussolini, in un discorso pronunciato all'Accademia di Perugia, affermò, in maniera del tutto contraddittoria, che l'arte dell'Italia fascista doveva essere tradizionalista e moderna. Antinomia di termini derivante da una questione ancora irrisolta: se accettare le proposte di rinnovamento dei futuristi, oppure volgersi alla rivalutazione della cultura classica, in particolare del monumentalismo della Roma Imperiale, il cui fascino sollecitava non poco le mire di grandezza del regime. Fu la Mostra della rivoluzione fascista, nel 1932, a sancire l'affermazione di una serie di valori e dei relativi stilemi: monumentalismo romano, grafia cubitale ed architettonica, effetti scenografici, colorismo rude e segno rozzo.

 

         

 

Indietro