SPECIALE G8
Speriamo che i grandi si ricordino di quando erano piccoli

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Piazza Alimonda (Carlo Giuliani, ragazzo): foto 1 e foto 2
(Immagini dell'Agosto 2004. C.Giuliani muore tragicamente durante le manifestazioni contro il G8 di Genova, luglio 2001)

"Il Mondo può ancora cambiare" di Stefano.Solegemello

23/7/2001

Un’eco di violenza mi ha raggiunto fino in vacanza.
Una violenza targata Black Block, i nuovi anarchici,  e proveniente da Genova.
Avevo vissuto almeno quattro giorni all’oscuro di tutto, senza accendere televisione o altro.
Poi la notizia, chiara e nitida come sono le notizie di terrore e di morte. Paventavo che qualcosa sarebbe successo in questo G8, troppo contestato il vertice , troppo elettrico il clima che si respirava alla vigilia.
Il contrasto tra le mie vacanze fatte di mare cristallino e di  notti stellate e gli scontri e la morte di Genova, fatta di dolore e sangue è stato quasi insopportabile.
E’ vero che non è in nostro potere evitare questi fatti, è vero che siamo tanto piccoli di fronte alla vita, alla morte e alla storia, eppure un senso di colpa, di impotenza e di rabbia mi ha pervaso in modo violento.
Cosa è stato, cosa doveva essere, cosa sarà domani il g8?
Doveva essere l’incontro tra gli otto paesi maggiormente industrializzati per  tentare di risolvere, o almeno cominciare ad affrontare alcuni problemi dell'umanità: il fenomeno di globalizzazione dei mercati, la fame nel mondo, le malattie.
 E’ stato un incontro-vetrina dove gli otto grandi si sono compiaciuti della loro potenza e della loro ricchezza, un’occasione sprecata che nonostante i proclami della vigilia e gli annunci di fine vertice non ha visto il men che minimo accordo serio per ridurre l’ineguaglianza fra i popoli della terra.
 Basti pensare al fallimento dell’accordo sull’ambiente, il protocollo di Kyoto, che prevedeva la riduzione dell’emissione di gas-serra.
Il documento congiunto  ha visto il no secco degli Stati Uniti d’America, il paese che ad oggi emette il volume di inquinamento più elevato.
Rimane la posizione europea che fa ben sperare anche se il tentativo del governo italiano, nelle vesti del neo-presidente del consiglio Silvio Berlusconi, di uniformarsi al “gran rifiuto americano” fa letteralmente accapponare la pelle.
Penso al debito dei paesi poveri ancora altissimo e alla lontananza da una sua effettiva riduzione o abolizione.
Doveva essere l’occasione per eliminare i brevetti che ancora esistono sulle medicine e sulle innovazione tecnologiche e biotecnologiche, doveva essere il vertice della speranza, ed è stato il vertice del silenzio. Silenzio nei palazzi e grida di contestazione al di fuori, grida di violenza, grida di morte.
Ci vengono a raccontare che i lavori sono stati fruttuosi quando invece il paese più potente al mondo, gli Usa, non ha la minima intenzione di cambiare il suo atteggiamento di inquinatore, di creatore di profitto a tutti i costi.
Quando il paese guida del mondo, il creatore di questo “ordine mondiale”, dice NO, tutto il resto è ACCADEMIA POLITICA.
L’unico fatto veramente rilevante di  questi incontri rimane la proposta USA dello scudo spaziale……denaro…. Denaro…. Denaro…. ancora votato alla GUERRA…….”Sempre guerra…..”.
Doveva essere anche il vertice del grande corteo pacifico, della mobilitazione di piazza, grande e colorata, utopisticamente urlante. E’ stato il vertice degli scontri di piazza, dei feriti, della città devastata, è stato il vertice della guerriglia urbana, è stato il vertice della pistola di un giovane carabiniere che uccide un altrettanto giovane ragazzo.
I protagonisti della contestazione non sono stati i  pacifisti del GSF o di ATTAC, giovani che non si può negare rappresentano qualcosa di vivo, e di pulsante; è stato il vertice dei violenti anarchici, delle tute nere armate e affamate di distruzione e di sangue.
La violenza ha vinto e ha spazzato via tutto: gli 8 grandi con i loro timidi tentativi di lavorare per il domani, i giovani e vitali contestatori…
Il rischio è che questa scia di violenza  faccia dimenticare il messaggio di protesta e di profonda contestazione all’attuale “ordine mondiale” che proviene dai giovani non violenti di Genova.
Il governo, nella persona di Silvio Berlusconi e del suo ministro dell’interno, ha già cominciato la politica del “tutti uguali”, nel tentativo di accumunare sotto un’unica insegna gli squatter, i black bloc, i giovani del GSF;
Tutti i contestatori vengono visti dal governo come un’orda di diseredati, di pericolosi assassini. Il governo vuole reprimere tutti, annientare anche quelle persone libere e sensibili  che non hanno nulla a che fare con la violenza della tre giorni di Genova.
Sono convinto che in un paese democratico, come il nostro deve essere preservata la facoltà di manifestare pacificamente…e mi auguro che le nostre autorità non colgano l’occasione offerta dalla tragica morte di Genova: zittire la protesta, dire che Seattle non è mai esistita, che il mondo è bello così com'è.
Ho letto in un articolo illuminato :“il mondo può ancora cambiare” ; ne sono convinto, ci spero , coltivo questa utopia. Sogno che ci sia più giustizia, più uguaglianza, e spero che in questo paese mi sia data ancora la facoltà per esprimere le mie idee.
Condanno la violenza di quei giovani teppisti, rivendico per i giovani pacifisti rispetto e considerazione.
La canzone del maggio francese recitava ”per quanto voi vi crediate assolti siete per sempre coinvolti”. Penso che sia giusto, finchè ci saranno giovani in piazza, finchè ci sarà qualcuno che protesta. che vuole una globalizzazione più equa, non si potrà volgere la faccia dall’altra parte e rivendicare “sicurezza e disciplina”; i giovani, i manifestanti, la società, chiedono un modello di sviluppo economico diverso, chiedono una speranza per i più deboli, chiedono più solidarietà.
Io mi auguro che gli 8 grandi non commettano l’errore di sottovalutare il movimento , che deve essere movimento di pace, si intende, mi auguro che  tutti quelli che possono cambiare la storia diano un segnale di rottura rispetto al passato, perché il mondo, può ancora cambiare.

 Stefano.Solegemello.
 

Una canzone di Francesco Guccini
Piazza Alimonda (Ritratti, 2004)

Genova, schiacciata sul mare, sembra cercare
respiro al largo, verso l'orizzonte.
Genova, repubblicana di cuore, vento di sale,
d'anima forte.
Genova che si perde in centro nei labirintici vecchi carrugi,
parole antiche e nuove sparate a colpi come da archibugi.
Genova, quella giornata di luglio, d'un caldo torrido
d'Africa nera.
Sfera di sole a piombo, rombo di gente, tesa atmosfera.
Nera o blu l'uniforme, precisi gli ordini, sudore e rabbia;
facce e scudi da Opliti, l'odio di dentro come una scabbia.
Ma poco più lontano, un pensionato ed un vecchio cane
guardavano un aeroplano che lento andava macchiando il mare;
una voce spezzava l'urlare estatico dei bambini.

Panni distesi al sole, come una beffa, dentro ai giardini.
Uscir di casa a vent'anni è quasi un obbligo, quasi un dovere,
piacere d'incontri a grappoli, ideali identici, essere e avere,
la grande folla chiama, canti e colori, grida ed avanza,
sfida il sole implacabile, quasi incredibile passo di danza.
Genova chiusa da sbarre, Genova soffre come in prigione,
Genova marcata a vista attende un soffio di liberazione.
Dentro gli uffici uomini freddi discutono la strategia
e uomini caldi esplodono un colpo secco, morte e follia.
Si rompe il tempo e l'attimo, per un istante, resta sospeso,

appeso al buio e al niente, poi l'assurdo video ritorna acceso;
marionette si muovono, cercando alibi per quelle vite
dissipate e disperse nell'aspro odore della cordite.

Genova non sa ancora niente, lenta agonizza, fuoco e rumore,
ma come quella vita giovane spenta, Genova muore.
Per quanti giorni l'odio colpirà ancora a mani piene.
Genova risponde al porto con l'urlo alto delle sirene.
Poi tutto ricomincia come ogni giorno e chi ha la ragione,
dico nobili uomini, danno implacabile giustificazione,
come ci fosse un modo, uno soltanto, per riportare
una vita troncata, tutta una vita da immaginare.
Genova non ha scordato perché è difficile dimenticare,
c'è traffico, mare e accento danzante e vicoli da camminare.
La Lanterna impassibile guarda da secoli gli scogli e l'onda.
Ritorna come sempre, quasi normale, piazza Alimonda.

La "salvia splendens" luccica, copre un'aiuola triangolare,
viaggia il traffico solito scorrendo rapido e irregolare.
Dal bar caffè e grappini, verde un'edicola vende la vita.
Resta, amara e indelebile, la traccia aperta di una ferita.


Genova 20-22 luglio 2001: i giorni della vergogna

Dalla nostra inviata a Genova, Francesca

un racconto senza false ipocrisie, vero e sincero da una genovese autentica.
Grazie di cuore per il tuo racconto Francesca.

Caro Stefano,
ti invio finalmente il mio articolo sul G8: è modesto, ma spero ti/vi piaccia, perchè ci ho messo tutta me stessa, anche se un romanzo intero sulla tre giorni di Genova, non sarebbe bastato...

Genova. Alla fine le manifestazioni violente, gli arresti, gli scontri, perfino la morte hanno prevalso sul reale significato del vertice dei grandi del mondo. La vergogna di una città militarizzata, il profondo disagio della popolazione, il grande sconforto delle voci pacifiche che non sono riuscite pienamente a darsi voce: ecco il significato di questo G8. Un significato costretto nei suoi limiti, che ha impedito a chi avrebbe voluto alzare una protesta corretta di farsi portavoce di una giusta causa. Un significato che ha fatto rabbrividire chi in strada c’era e ha lasciato incolumi nella loro cittadella i “grandi” che governano il mondo. E’ incredibile pensare che, mentre nei palazzi della Genova dorata erano in corso le trattative sullo stanziamento del fondo anti AIDS, poche centinaia di metri più in là si scatenava l’inferno della forza distruttiva di persone senza scrupoli ed affatto interessate alla giusta protesta.
La violenza è stata la vera protagonista di questo incontro mondiale: ha lasciato dietro a sé una scia di vergogna che difficilmente Genova e i genovesi tutti dimenticheranno; ma questa vergogna accomuna purtroppo tutti coloro che a Genova sono venuti, pacificamente coinvolti nella protesta: rappresentanti del Genoa Social Forum (le “tute bianche”), del movimento francese Attac, del WWF, di Legambiente, dei Verdi, di Emergency, di Rifondazione Comunista, per citarne alcuni. Dall’altra parte, schierati in assetto di guerra, gruppi di anarchici per la maggior parte anglo-tedeschi (e, in verità, numericamente poco consistenti), chiamati Black Bloc (il “blocco nero”), perché caratterizzati da una sorta di divisa nera dalla testa ai piedi.
Pochi individui, ma incredibilmente violenti e facinorosi, sono stati sufficienti a trasformare una città in una sorta di teatro di “guerriglia vera, totale” (come l’ha definita un’Ansa) urbana: nulla è stato risparmiato, nulla è scampato alla forza distruttrice delle tute nere, né cose, né persone. Auto, cassonetti, strade, giardini, negozi: tutto è andato devastato dall’ignoranza e dalla barbarie di uomini-bestie incapaci di far sentire la propria voce se non attraverso la violenza.
E in tutto questo le forze dell’ordine hanno dapprima guardato, poi timidamente attaccato, poi distrutto perché violenza chiama violenza. Hanno sparato lacrimogeni, hanno caricato compatti i dimostranti, hanno chiuso gli occhi e sono andati avanti. Finché non hanno ucciso un ragazzo di ventitré anni, Carlo Giuliani,  sparandogli da pochi metri. Forse anch’egli uno dei tanti esaltati e facinorosi (questa volta italiani, perché, anche se banale, “tutto il mondo è paese”), questo non sta a noi dirlo, ma di certo una vita umana, stroncata da un’altra vita umana, di poco più giovane: un carabiniere ausiliario di vent’anni. Non è questo il luogo per polemizzare, né per fare falsi moralismi, ma noi tutti pensavamo che, almeno questa morte, avrebbe scoraggiato la parte più facinorosa dei manifestanti; ma il giorno dopo tutto è sembrato tristemente ricominciare, in un altro sfogo di rabbia e devastazione difficile da non biasimare. Ed a poco valgono, ora, le decine di immagini che ci mostrano il momento dell’uccisione del ragazzo: come sempre, in questi casi, sarebbe stato d’obbligo chiedersi perché, prima che questa tragedia accadesse, non dopo. È indubbio, comunque, che i Black Bloc abbiano messo in atto numerose azioni di sabotaggio, infiltrandosi nei gruppi pacifici, abbiano provocato la Polizia ed i Carabinieri, abbiano creato violenza allo stato puro, violenza gratuita ed inutile, vanificando ogni pacifico tentativo di chi davvero è venuto a Genova difendendo il motto del GSF: “Voi G8, noi 6.000.000.000”.
Viene spontaneo guardare la desolazione delle strade deserte e la completa distruzione delle stesse e interrogarsi sull’utilità di questo (e degli altri) G8; viene spontaneo chiedersi fino a che punto valga la pena di portarsi in piazza e rischiare la vita; viene spontaneo voltare le spalle e scappare da una città che città non si può neppure più definire.
E mentre fuori la gente vive una situazione degna della guerra, dentro, a Palazzo Ducale, sede del vertice tra i capi di stato mondiali, si discute, si scattano fotografie sorridenti, si pranza. Mentre il debito mondiale rimane debito mondiale, la globalizzazione resiste, la povertà è cosa certa. Lasciatemelo dire: quale significato può avere un G8 così tristemente segnato dalla violenza, dalla distruzione, addirittura dalla morte? Quale messaggio si può dare ai grandi della Terra se, proprio a Genova,  abbiamo il triste primato di una vittima, cosa mai vista neppure a Goteborg?
Se il G8 vuol dire anche politica, passatemelo, ma qui non ce ne siamo accorti. Come si può migliorare la situazione mondiale se già nella quotidianità non siamo in grado di rispettare le idee altrui, ma, esagero, neppure le nostre, contraddicendo i nostri stessi ideali? Qui a Genova abbiamo visto solo regressi, nulla che ci possa sollevare, che ci possa rendere un po’ meno pessimisti sul futuro; abbiamo assistito all’annientamento delle libertà e dei popoli; abbiamo ammesso la nostra incapacità comunicativa. Purtroppo dico “abbiamo”, perché nulla può sottrarci dalla vergogna di un simile momento che verrà tristemente ricordato da chi lo ha direttamente ed indirettamente vissuto.
A nulla servono le decisioni prese dai “grandi” sul futuro del mondo in occasione di questo G8, e volutamente non ne parlerò, perché non c’è nulla che meriti più considerazione dei fatti sanguinosi che si sono verificati nel capoluogo ligure. Chi ama la “politica nuda e cruda”, senza i suoi risvolti sociali, può leggere un qualsiasi quotidiano, e sarà contento di apprendere le decisioni scaturite da questo vertice; io vorrei cercare di riflettere, nel vero senso della parola, senza polemiche però. Bisogna riflettere, ed a lungo, su cosa ha portato pochi individui “vestiti di nero” a mettere a ferro e fuoco un’intera – e in larghissima parte – pacifica città.  Bisogna riflettere sul perché migliaia di rappresentanti delle forze dell’ordine hanno atteso il passaggio devastatore del Black Block senza intervenire; sul perché hanno ripreso da un elicottero i “neri” che si impossessavano di armi improprie direttamente da un furgone-arsenale; sul perché, al contrario, hanno attuato repressioni e cariche sistematiche sui manifestanti del GSF; sul perché hanno permesse che “ci scappasse il morto” e, al grido di “L’hai ucciso tu.. col tuo sasso!!”, hanno cercato di occultare a chi era presente a pochi passi l’amarissima verità della realtà, la morte di Carlo Giuliani.
Stamani sono andata proprio là, in quella Piazza Alimonda che è già diventata uno dei tanti simboli di chi vuole far sentire la propria voce “anti G8”, e non ho visto altro che giovani tutt’intorno, e fiori,  magliette con scritte amare ma ancora piene di speranza, striscioni, parole di De Andrè…
Genova ha sentito il peso schiacciante di questo avvenimento mondiale, e forse ne è stata sopraffatta. Ma i giovani di questa città (e non solo di questa), non dimenticheranno mai il senso di profonda tristezza, impotenza e frustrazione che hanno vissuto in quei due giorni d’inferno.
Nonostante tante parole, la mia modesta “cronaca” non si ferma ai fatti: vorrei fosse un motivo di riflessione e di discussione per chi avrà desiderio di leggere le mie parole.

Francesca di Genova
( a seguire l'articolo di Francesca, pre-g8)

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VERSO IL G8:UNA SERIE DI ARTICOLI TRATTI DA WWW.UNITA.IT

Dalla nostra inviata a Genova, Francesca

GENOVA E IL G8: UNA REALTA' VISSUTA OGNI GIORNO

Manca poco, ormai, al vertice dei "Grandi" del mondo, che si terrà a Genova, fra poco più di un mese, nei giorni del 18, 19 e 20 luglio. Il cuore della città, durante i suddetti giorni, sarà letteralmente blindato: solo "addetti ai lavori" con specialissimi pass potranno addentrarsi nella zona calda, denominata "rossa", e in quella, diciamo, "tiepida", denominata "gialla", tanto che già residenti e commercianti sono stati invitati ad abbandonare i quartieri più direttamente interessati.
L'aria di G8, comunque, si respira già da molti mesi. Infatti, dall'inizio dell'anno sono cominciati in modo massiccio i lavori di grandi cantieri, che apporteranno significative modifiche all'aspetto ed alla vita stessa della città: da Ponente a Levante, non c'è luogo che non sia stato almeno sfiorato da lavori di costruzione, ristrutturazione o manutenzione.
Al di là degli aspetti prettamente politici, molti saranno (e già sono) i disagi per la popolazione, a partire dal fatto che, dal 17 al 22 luglio, cesseranno completamente le attività del capoluogo ligure: bloccate partenze e arrivi dalle autostrade, chiusi areoporto, porto e vietata la circolazione dei mezzi pubblici. Insomma, una situazione di certo allarmante, se pensiamo che Genova, probabilmente ancora non all'altezza rispetto ad una tale "responsabilità", dovrà vedersela anche con i contestatori del G8 e con il cosidetto "popolo di Seattle". La tensione sarà alle stelle, tanto che si prevede l'intervento di migliaia di poliziotti e carabinieri, coadiuvati addirittura dall'esercito.
La situazione sarà tenuta sotto controllo anche attraverso speciali "vie d'uscita/entrata" (ancora da stabilirsi se in numero di 16 o 24) all'interno della città, transiti strettamente sorvegliati per permettere a chi dovrà inevitabilmente trovarsi sul posto di lavoro (corrieri per scarico di beni alimentari, per esempio, e simili) di non mancare.
I preparativi fervono, ma come sempre in queste occasioni, le decisioni più importanti saranno quelle dell'ultimo momento... I cantieri verranno chiusi alla bella e meglio (con grande gioia dei cittadini tutti), tralasciando qualche particolare, e le disposizioni per la sicurezza saranno delineate quando già Genova si vedrà "invasa" da migliaia di persone.

Francesca

24/7/2001 : l'opinione di César-W El comandante

Il nostro Capo del Governo sarà felice, i suoi sette poveri invitati hanno alloggiato senza problemi nella loro barchetta senza che niente sia loro accaduto, niente panni stirati in vista, niente orde di rivoluzionari armati con le loro nuove armi ultrasofisticate come la pietre e le tavole di legna, niente insulti, niente di niente, insomma yeah Silvio you are the best come al solito!
E poi che ci frega se c'è scappato il morto per mano di un poliziotto (dopo 24 anni), tanto magari era comunista, o anarchico, ma quel che era non conta, l'unica cosa importante è quel che non era: RICCO, e con il nostro impareggiabile Premier solo i ricchi hanno diritto di protestare, è questa la vera democrazia, a chi non sta bene magari si becca un po' di manganellate, magari un colpo di pistola in testa, ma cosa importa, lui si è abbassato le tasse e ha rotto il protocollo di Kyoto, lui è american man, yeah!

Il g8 era la prima grande prova del nuovo governo, e com'era logico aspettarsi è stato fallimento su tutta la linea, ora riferendoci a Carlo Giuliani non me la sento di buttare la croce addosso al poliziotto suo assassino, certo non doveva sparare e se proprio doveva, poteva mirare ad un punto non vitale, l'effetto sarebbe stato lo stesso, ma cosa ci si aspetta da un 20enne con alle spalle esperienza zero quando si vede arrivare tre, quattro, cinque persone inferocite attorno...
La responsabilità va tutta sulle spalle dei fascisti (basta con "è una destra moderata non sono fascisti") Fini, Scagliola e i loro complici, hanno mandato RAGAZZINI a proteggere una città, toppando in modo clamoroso, sarebbero stati più utili diecimila poliziotti esperti che ventimila (non per causa loro, sia chiaro) inetti senza nessun bagaglio alle spalle.

Naturalmente le colpe non si addossano solo alla destra, siamo (sono) faziosi si, ma l'evidenza non è negabile, è chiaro che il "black block" non sia esente da responsabilità, come si può pretendere che la polizia non reagisca quando duemila imbecilli ti devastano la città senza cercare il dialogo, distruggendo tutto quello che trovano per le strade.

Ora però c'è un equivoco clamoroso che dal mio punto di vista sta nascendo, sembra che si sia tornati alle stupidità tipo "68 uguale terrorismo": i benpensanti ministri del governo e loro seguaci (per chiarirci i poco intelligenti che hanno votato la Cdl) stanno uscendo con le loro "colpa dei comunisti se c'è stato il morto" e via discorrendo.
Allora, come prima verità innegabile, il gruppo dei black era composto da anarchici spagnoli e fascisti italiani (e non), i quali si erano uniti alla "lotta" con il solo intento di creare scompiglio, inoltre la polizia sapeva vita morte e miracoli dei neri, ma li ha lasciati agire in modo indisturbato (come nel 68 con le squadriglie fasciste, ancora questo 68 che ritorna...) per poter poi avere il pretesto per caricare gruppi assolutamente pacifici e avversi alla violenza, non dimentichiamoci inoltre che contro duemila neri c'erano 150.000 manifestanti pacifici, ma questo è stato insabbiato dal governo per poter meglio uscire con le loro banali dichiarazioni.
Insomma la responsabilità di tutto sono SOLO del governo e in minima parte dei dimostranti anarchici e mi fanno ridere quando sento "colpa del precedente governo" quando appena dieci giorni prima del raduno Bertinotti era uscito allo scoperto chiedendo l'annullamento del g8... ma questo lo omettono, Bertinotti è il comunista che andava sparando per le strade con i suoi amici rivoluzionari contro i poveri poliziotti.

Agnoletto è stata una cocente delusione, non è un leader, non è uno con polso, non è uno forte, non è uno che si è andato a prendere gli schiaffi sabato notte, non è uno che è andato in prima fila in nessun caso e, a parlare in tv sono bravi tutti...
Berlusconi non lo commentiamo nemmeno, tuttavia è stata rimarcabile la sua interpretazione venerdì sera mentre parlava agli italiani insieme a Ciampi (ma quando avremo un presidente che sappia dire altro oltre alle banalità?), aspettavo gli scendesse una lacrima, davvero bravo potrebbe far carriera in campo cinematografico, poi lui è the best in tutto...
Rutelli insopportabile quando dice "le manifestazioni sono fatte per il popolo e le persone normali", ricordiamogli che anche lui è di questo mondo al signor "salvotuttiio", i ds poi sono stati davvero mediocri, approvando prima il g8, non partecipando alla manifestazione del sabato e via discorrendo, la sinistra non vincerà mai nulla fin quando ci saranno questi eterni traditori badanti solo a riempirsi la pancia.

C'è stato poi il vertice vero e proprio, bravi i sette ricconi (Putin lo omettiamo giacché era lì solo a far presenza...), hanno messo sul piatto della bilancia ben due lire per un fondo medico, poi però non fanno nulla contro il monopolio delle case farmaceutiche... è inutile dare un pesce ad un povero se non lo impari a pescare, dopo due giorni è affamato come prima...
Kyoto è passato in secondo piano, nessuno ha osato contraddire in modo deciso il nostro simpatico amico Bush, e non scordiamoci che il nostro super-Silvio è stato persino il suo più valido alleato ponendosi come tramite tra gli assassini antiambientalisti e le persone con un minimo di rispetto per la natura e per il nostro futuro.

Ma il vertice è stato un fallimento, non ne è uscito niente di buono, se non la paura, e se il prossimo g8 sarà organizzato come pare in Canada tra le montagne sperdute è segno che qualcosa non è andato come volevano...

E, se qualcosa non è andato come volevano è gia una grande vittoria per noi, anche se forse, una vita è stato un prezzo troppo alto da pagare...
 

Popolo di Seattle, globalizzazione, scudo spaziale. Che cos’è?
di "IL SORDO"

Provate a leggere un po' i giornali, troverete domande e risposte, nelle righe e tra le righe. Strumentalizzare un movimento per togliergli un diritto alla parola già negato, per farlo apparire per l'opposto che esso rappresenta in molti di Noi. Noi, un insieme di singoli individui, che se ne fottono delle ideologie politiche, a cui interessa prima di tutto l’interesse per la vita. Nelle righe dei quotidiani leggiamo condanne per atti di vandalismo, per le strade ne vediamo le esecuzioni, piccole avvisaglie di quanto si stia preparando per il nostro mondo. Un mondo dove i singoli valgono meno di zero, dove chi ha un idea diversa è un uomo morto. Una tirannide, dove ci sono tolte tante libertà, la prima quella del diritto alla vita. Tutto questo non si legge sui giornali, per loro il famigerato “Popolo di Seattle” è soltanto un branco sconclusionato di estremisti e casinisti sballoni. Forse siamo giovani, forse la vita ha ancora molto da insegnarci, ma se è questa la vita che devo imparare a vivere, beh, no, grazie. Se vivere comporta affogarsi nel denaro, vegetando in un apatia che non porta altro che ad una sempre maggiore bramosia di potere, dimenticando che, per Dio, siamo tutti uguali, Tutti, davvero, no, grazie. Non conosco comunismo e fascismo, non destra, ne’ sinistra. Desidero solo democrazia, desidero solo la vita, per tutti. Signori Bush, Berlusconi, e tutti gli altri da aggiungere alla lista, davvero sono commosso per i vostri sforzi per aiutare il terzo mondo. Davvero sono commosso che mentre nei paesi che avete ribattezzato “in via di sviluppo” la fame e l’HIV mietono vittime su vittime voi organizziate il vostro scudo spaziale, che sicuramente costerà due lire, ma è il passaporto per accedere all’elite dei potenti. Mi diverte l’incoerenza del signor Berlusconi, che va a braccetto con Bush, scodinzolando tra i vari Blair e compagnia bella, e poi annuncia il cancellamento del debito verso i paesi africani. Mi diverte che i Grandi dei vari G7, G8 ecc. stiano creando una ristretta cerchia di alleati per prendere il controllo del mondo su chi non è capace neanche di continuare a vivere, o a volte, neanche di nascere. Occhi coperti da denaro e potere, è questo che vogliamo denunciare, noi pretendiamo solamente il diritto alla vita. Nulla di più. Intendiamoci, qua non si parla di schieramenti politici. Si parla del futuro del mondo, di quel villaggio globale che è diventata quell’enorme metropoli che è la Terra. Una metropoli che ha il suo bel centro, una periferia borghese, e tante favelas, dove chi comanda è sempre il Capo, che davanti alla folla, con una mano aperta, offre dell’acqua agli assetati, acqua che gli scivola via, per perdersi chissà dove, e con l’altra mano sfila tutte le risorse degli sfortunati in cambio di armi, guerre e sangue. E sta succedendo che “globalizzazione” si sta affiancando a “morte”. Si, perché morte vuol dire per quei paesi che poco a poco stanno già morendo. Morte per chi non ha il potere, morte per i sudditi che non adorano il Dio Denaro e i messiah Bush e Berlusconi. È per questo che lottiamo. Non solo per le strade di Seattle, Genova, Goteborg. Ma nelle vie, nelle piazze delle nostre città, nelle nostre famiglie, tra gli amici, perché quello che sentiamo dentro di noi è un grido di aiuto, che noi cerchiamo di far risuonare nei cuori di tutti quelli che ci stanno attorno. Si dice spesso che i giovani siano il futuro dell’umanità. Beh, se questo è vero, il futuro ce lo dobbiamo creare, non vogliamo essere pedine di un gioco che baratta la vita con il potere. Noi, adesso, siamo il futuro. Il sistema, adesso, è il passato. Quale sia il presente? Un inevitabile contrasto tra diverse mentalità. Davanti all’opinione pubblica siamo zero, ma siamo in crescita. Non credete a giornali e a pappagalli in giacca blu che fanno finta di lavorare per Noi. Credete a quello che sentite, dentro, credete al Bene, e alla Libertà. Più semplicemente Vivete, e lottate per continuare farlo, lasciando sempre qualcosa di buono dietro di Voi.

Naomi Klein, il vertice G8 di Genova, la globalizzazione.
Tratto da L’Unità ONLINE

di Luca Landò
 A Genova contro Bush e Berlusconi

MILANO L’obiettivo finale? Il peso zero. Niente dipendenti, niente sindacati, niente macchine. Insomma niente produzione. È il sogno dell’industria moderna che più moderna non si può. È il Nirvana del capitalismo, tutto diritti niente doveri, diventato sempre più vicino e sempre più possibile. Un paradiso che non deve attendere grazie a una idea tanto spregiudicata quanto semplice: vivere il pianeta, non per quello che è ma per quello che offre. Non un condomino con sei miliardi di inquilini, dunque. Ma un luogo talmente grande dove chi cerca trova. Diamanti e carbone, naturalmente. Ma anche quartieri e periferie dove c’è sempre qualcuno, da qualche parte, disposto a lavorare per te a un quarto di dollaro in meno. Il nuovo colonialismo non si limita a estrarre petrolio in Nigeria e portarlo in Inghilterra. O cercare smeraldi nello Zimbabwe e venderli ad Amsterdam. La nuova frontiera è produrre scarpe, maglioni e magliette in Corea, Honduras, El Salvador e venderle a Milano, Londra, Los Angeles. Insomma, un pianeta del bengodi fatto di «zone franche di produzione», autentiche nicchie industriali nelle quali i più scaltri riescono sempre a infilarsi, alla faccia dei diritti umani e degli accordi sindacali.
Se ne è accorta anche Amnesty International, che alla luce delle sue quaranta candeline ha scoperto che guardare nelle case private (gli stati-nazione) non è più sufficiente: ora bisogna cercare nella casa di tutti. Il pianeta, appunto. Dietro il termine pomposo e fumoso, sicuramente importante, di globalizzazione si nasconde una versione aggiornata di un vecchio concetto: sfruttamento. Lo sanno i 16.310 dipendenti della Levi’s in California licenziati senza troppi complimenti nel 1997 per essere sostituiti da «appaltatori che operano in tutto il mondo». Lo sapeva Carmelita Alonzo, «morta di straordinari», come dicono i suoi colleghi, in una di quelle aziende di appaltatori.
E lo sa Naomi Klein, giornalista-attivista (come si definisce lei stessa) cresciuta a Toronto in un quartiere di industrie tessili e in questi giorni in Italia per presentare il suo libro, No Logo (Baldini&Castoldi), autentico cult del movimento antiglobalizzazione . «Da piccola non vedevo che fabbriche e magazzini, uomini e donne che tagliavano e cucivano, imballavano e spedivano. Adesso vedo solamente muri di mattoni a vista e magazzini abbandonati, splendidi esempi di archeologia industriale con qualche loft alla moda. Producevano impermeabili London Fog, molto utili da quelle parti perché a Toronto piove spesso». Adesso quelle fabbriche non ci sono più, ma a Toronto piove ancora. E la gente indossa sempre impermeabili di quella marca. Chi li produce? E dove?
La risposta la trovò la stessa Klein girando il mondo per il suo libro. Finì a Cavite, una città industriale delle Filippine piena di aziende e magazzini. Con una caratteristica: sulle porte di quelle strutture non c’erano insegne. «Se vuoi trovare un posto senza marchi devi andare da quelle parti», scherza la Klein. Cavite è una città senza volto dove si producono prodotti inutili (a che servono, a Cavite, gli impermeabili invernali e i monitor ultrapiatti?), dove si lavora senza sosta, senza diritti e senza sindacati, dove il padrone non è chiaro chi sia (chi ti assume e ti controlla, o «il cliente», l’azienda straniera che fa in modo che ci sia qualcuno che ti assume e ti controlla?). Il tutto con la sensazione che il lavoro oggi c’è, domani chissà. Perché se il committente si stufa, o semplicemente trova condizioni migliori, ti saluta senza molti inchini. «Non a caso quelle fabbriche, in Guatemala le chiamano ‘rondini’, pronte a volar via da un momento all’altro».
Tutto questo ebbe inizio quindici anni fa quando si impose una nuova strategia di marketing. «A metà degli anni Ottanta le grandi aziende iniziarono a puntare con molta più decisione sul branding, sulla costruzione del marchio. Fu una autentica rivoluzione. Fino ad allora, anche se si riconosceva l’importanza del marchio, la prima preoccupazione di un industriale era la produzione di beni. Era questa la dottrina dell’era industriale. Oggi le priorità si sono capovolte. Molte, tra le aziende più note, non si occupano più di produrre e reclamizzare le merci: piuttosto le acquistano e vi appongono il marchio. Si tende al “peso zero”, appunto: chi possiede di meno, chi ha meno dipendenti, chi produce immagini anziché prodotti, vince la corsa».
Tutto questo, dice la Klein, funziona solo a una condizione: che il marchio creda fermamente in se stesso. «Anche in passato si parlava di branding, di etichette. Ma era una sorta di serena convivenza: c’era il marchio e c’era il prodotto. Oggi si teorizza la possibilità, estrema, di vendere solo “marchi”. Con il risultato, inquietante, che i marchi sono dovunque». Come quella scuola americana dove venne istituita la giornata della Coca Cola, durante la quale i bambini dovevano impegnarsi in attività collegate alla famosa bevanda: disegni, temi, canzoni. «Un bambino, forse per distrazione, si presentò con una maglietta della Pepsi: successe il finimondo. Il preside chiamò i genitori e li accusò di voler rovinare quello che la Coca Cola aveva fatto, in termini di sponsorizzazioni, per la scuola stessa», dice la Klein.
Che c’entra tutto questo con la globalizzazione? «Parlare di marchi senza parlare di globalizzazione è sbagliato. Le due cose vanno a braccetto. Non ci sarebbe il culto del marchio, se non ci fosse la possibilità di produrre a bassi costi in qualche parte del mondo. E non ci sarebbero le aziende rondini del Guatemala se non ci fosse il culto del marchio». Ma le conseguenze sono anche altre. «Con questa ondata di mania del marchio è arrivato un nuovo tipo di uomo d’affari, quello che vi dirà sempre, in ogni situazione, che il marchio X non è un prodotto, ma uno stile di vita, un modo di pensare, una gamma di valori, un’idea (vi ricorda qualcuno?). La Ibm non vende computer, vende soluzioni per le aziende; la Swatch non è solo orologi, ma il concetto stesso di tempo. In Italia avete l’esempio più evidente di quello che si può fare creando un marchio. Quello che Berlusconi ha fatto con se stesso e con Forza Italia è branding puro ma applicato alla politica. È un precedente pericoloso perché ci sono altri magnati, Murdoch ad esempio, che potrebbero ispirarsi a quello che ha fatto il vostro Cavaliere. E’ per questo che gli occhi del mondo, per un verso o per l’altro, sono puntati sul vostro Paese. E tutto questo lo si vedrà con chiarezza a Genova, in occasione del G8 - dice la Klein. - Su questo non ho dubbi: il controvertice di Genova, quello organizzato da tutto il movimento contro il G8, sarà un grande evento di contestazione, forse il più grande da Seattle in poi».
Sul tavolo, questa volta, ci sono parecchi temi da affrontare. E tutti di grande significato. «Sicuramente sarà un evento contro Bush, perché è il primo meeting internazionale dopo il clamoroso e ostinato no degli Stati Uniti alla ratifica degli accordi di Kyoto sull’ambiente. Nello stesso tempo sarà un evento contro Berlusconi, perché nessuno più di lui rappresenta quello che la filosofia del logo, del marchio può fare. E un conto è convincere una persona a comprare una paio di scarpe. Un altro spingerlo a scegliere un partito». Qualcuno dice che il movimento antiglobalizzazione sia nato più per reazione ad alcuni aspetti del mondo commerciale che per una per vera coscienza politica. «Agli inizi era sicuramente così: il movimento antiglobalizzazione e quello contro l’invadenza dei marchi e della pubblicità erano separati. Quest’ultimo era soprattutto un fenomeno americano, dove i giovani sentivano l’esigenza, molto privata e personale, di provare a vivere in un mondo meno inquinato dalla pubblicità. In America sono arrivati a mettere annunci pubblicitari persino nei bagni delle scuole e delle università, in modo che chiunque, in quei pochi minuti di intimità, non potesse far altro che fissare l’immagine di una marca di scarpe o di magliette - dice la Klein. – Strada facendo i due movimenti si sono uniti. Anche perché che se davvero vuoi cambiare le cose, a questo mondo, devi trovare il modo di intaccare il fatturato delle aziende. Le campagne di boicottaggio contro la Shell o la McDonald hanno dimostrato che una protesta di boicottaggio condotta a livello mondiale può davvero influire sulle decisioni delle multinazionali. Da questo punto di vista Internet rappresenta uno strumento formidabile, perché consente la libera circolazione delle informazioni come pure la possibilità di organizzare forme di protesta in diversi Paesi nello stesso momento. Chi accusa di superficialità il movimento antiglobalizzazione sbaglia. E il messaggio più importante è rivolto ai teorici della fine della storia, quelli convinti che il mondo non possa far altro che andare avanti lungo binari prestabiliti. E’ una fesseria: il movimento, le forme internazionali di boicottaggio, la protesta via Internet indicano che c’è ancora spazio per il dissenso. La fine della storia è una storia già finita. Il mondo può ancora cambiare».
 

Un po’ di satira: un pezzo di Stefano Benni, inviato da W El Comandante

GENOVA
B. & B. Lettere d'amore
STEFANO BENNI

Caro Bush,
ti scrivo nello spirito di perfetta autonomia e sovranità che regola i rapporti tra i nostri paesi. Scusa la calligrafia, ma è difficile scrivere in ginocchio. Ho appena ricevuto Kissinger e Robertson e sono rimasto molto impressionato. Kissinger è un po' come me, la sua carriera si regge su un conflitto di interessi, è al tempo stesso golpista professionista e Nobel per la pace. Robertson invece mi ha un po' irritato. Continuava a dire che l'America si è trovata molto bene con D'Alema, che è stato un alleato ideale, e insisteva perché lo facessi ministro della difesa. Quando gli ho detto che D'Alema non fa parte del mio schieramento "House of Freedom", non voleva crederci, ho chiamato la Cia che ha confermato. Gli ho proposto come ministro della difesa Previti, gli ho detto che è un uomo fidato, ho chiamato il Ku-Klux-Klan che ha confermato. Ora caro George, capirai che io non posso fare una figura peggiore di D'Alema, io sono il migliore, i'm the best e tu avrai in me un fedele direttore di filiale, se vuoi ti firmo un contratto come ho già fatto col popolo italiano, con la Lega, con Rauti, con la Confindustria, con la Pidue, con Agnelli eccetera. E ti giuro sui tuoi figli che accontenterò tutti. Ora a Genova sta arrivando il G8 e questo mi preoccupa molto. Io sono un fedele seguace della new avid Economy, modestamente l'ho inventata io, Bill Gates mi ha solo copiato. Mi spiacerebbe che i paesi del G8 non potessero svolgere il loro incontro in un clima rilassato e pacifico. Il pericolo è grande. Come possono le più grandi potenze del mondo resistere, in otto contro centomila giovani stalinisti armati delle armi più moderne come scudi in plastica e mazze di polistirolo? Per questo ti faccio una proposta. Mobilitare l'esercito e chiudere tutti gli aeroporti, le stazioni, le metropolitane e poi mandare gli abitanti in albergo a Sanremo, è troppo costoso. Facciamo così: io ti vendo Genova, tutta intera, per una cifra intorno al miliardo di dollari. Una volta che sarà tua, come qualsiasi base Nato, potrai decidere liberamente chi cacciar via e chi far entrare. Rispondimi in fretta, i miei media stanno martellando sul pericolo ecoterrorista, ma come sai l'Italia pullula ancora di comunisti e qualcuno dice che esiste una cosa come il diritto di manifestazione. Incontentabili, con tutti i Festivalbar e i Telegatti che gli ho organizzato. Prenditi Genova, è un affarone, è più grande di Milano due e c'è anche l'optional del mare per le tue corazzate, ci sono l'acquario, le focacce e tanti indios tipici. Ti saluto e ti inv
io un bottiglia di Barolo del 93 ma vacci piano, vecchio ciuccatone.
Una pacca sulla spalla from your friend Silvio
 
 

Caro Silvio,
grazie della lettera e del vino. Peccato sia un moscato di San Marino del 99, hai cambiato l'etichetta, possibile che tu sia pataccaro anche nei dettagli? La tua proposta è molto interessante, ma ci sono alcuni problemi. Primo, chi faremo sindaco di Genova? Ci vorrebbe un figura bipartisan, che è il termine con cui voi ora indicate gli opportunisti. Io vorrei che qualche genovese tipico restasse in città, perché a noi americani interessa molto che in una città italiana ci siano quelle belle cose folcloristiche tipo orchestrine, scippi e spaghetti alle vongole. Ci vorrebbe un volto noto, purtroppo gli attori americani sono tutti comunisti, non posso darti Al Pacino o De Niro. Kissinger suggerisce Arnold Schwarzenegger. Come indica il cognome, ha parenti italiani.
Ma il problema principale è il prezzo. Anch'io, come te, devo rendere conto a qualcuno, e cioè ai miei finanziatori petrolieri e inquinatori. Un miliardo di dollari è troppo, con un miliardo facciamo dieci colpi di stato in Sudamerica. Per quella cifra voglio anche Venezia, Capri e la pena di morte, almeno in Lombardia. Rispondi in fretta e mandami dieci bottiglie vere, vecchio truffatore. E risolvi quel tuo conflitto di interessi. Saluti, Bush

Caro Bush,
mi dispiace che tu respinga la mia offerta. Ma se tu sei il presidente degli Usa, io sono il più grande affarista del mondo, e non mi lascerò incantare. Venezia non è in vendita, Fini mi ha confermato che fa parte del patrimonio culturale italiano, come Assisi, Arcore e Lubiana. Oltretutto non hai neanche giocatori di calcio da offrirmi perché a calcio siete delle pippe. Io ti consiglio di accettare: non posso fermare l'orda stalinista e ecoterrorista. Per voi sarebbe una bruttissima figura: pensate, avete sempre messo bombe in Italia, e adesso qualcuno potrebbe metterle al posto vostro. Questo vuol dire perdere la leadership nel settore. Se vogliamo trattare, insieme a Genova ti vendo anche Portofino, che è già mezza americana, e un paesino a pochi metri dal mare che è un autentico gioiello, Carate Brianza. Per il sindaco devo rendere conto agli alleati. Agnelli vorrebbe Montezemolo, la Confindustria vorrebbe un leasing, Fini vorrebbe Schwarzkopf, Casini vorrebbe una suora a caso.
La mia ultima offerta è: novecento milioni di dollari, chiamerai Genova New Genova, oppure Columbus due, oppure Bushville. In quanto al conflitto di interessi, lasciami fare, sono abile ed esperto, i miei maestri spirituali sono stati Pera, Gelli e Vanna Marchi. Se il conflitto di interessi è insostenibile in democrazia, basterà eliminare la democrazia. Sono o non sono un grande statista? Ti prego, George, accetta. Ho già abbastanza problemi col governo, non complicarmi la vita. Ti invio cinquanta bottiglie di barolo quasi pregiato ma ti chiedo un ultimo favore: ho un conoscente, D'Alema, che ha fatto molto per me. Senza il suo prezioso aiuto in questi anni non sarei mai stato rieletto. Qui in Italia vive un momento difficile. Non avresti qualcosa da fargli fare in America, un posto da sindaco o da stagista?
Un abbraccio da me e dalla House of Freedom, tuo Silvio

Caro Silvio,
tu hai firmato contratti con tutti, ma l'America non firma con nessuno, né in materia di ambiente né in materia di affari o di tregua di guerra. Noi siamo i padroni del mondo, tu un piccolo affarista del nord-Italia. Per un milione di dollari in tre rate tu mi venderai Genova. Ma in più vogliamo anche una base Nato in Sicilia, dove Cosa Nostra ha promesso di costruire un ponte che collegherà Messina al ponte di Brooklyn. Non so se crederci o no, ma elettoralmente potrebbe funzionare. Inoltre voglio Venezia, e il Colosseo da mettere nel centro di Las Vegas. Lo tratteremo bene, con un parquet per il basket sarà perfetto. Ultima offerta: un milione di dollari e un incarico bipartisan per D'Alema: addetto alle insalate in un McDonald's. Se non accetterai, lascerò mano libera a Kissinger, ricordati del Cile. Il buffet del G8 vale da solo più della tua piccola democrazia, della tua piccola Genova e di centomila insignificanti sovversivi. A Seattle li abbiamo lasciati fare, ma qua li stroncheremo. Il futuro del mondo è troppo importante per lasciarlo in mano a gente che spera che il mondo abbia un futuro. Obbedisci e zitto.

Caro Bush,
Obbedisco. Genova è da stamattina il cinquantunesimo Stato dell'Unione. I genovesi stanno sgomberando con qualche mugugno, ma si adatteranno. Meglio una sana occupazione che l'invasione ambientalista. Del resto, questo è lo spirito della new economy: riuscire a mettere in vendita quello che appartiene a tutti. E finalmente, gli italiani capiranno perché ci chiamiamo casa delle Libertà: perché le vendiamo.

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