"Canto notturno di un pastore errante dell'Asia"
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"Canto notturno di un pastore errante dell'Asia"
(1829-1830)

Composto a Recanati fra il 22 ottobre 1829 ed il 9 aprile 1830, il canto fu pubblicato nell'edizione del 1831. Probabilmente il Poeta trovò ispirazione da una frase tratta dal "Journal des Savants", che riguardava le abitudini di questi pastori: "Plusieurs d'entre eux passent la nuit assis sur une pierre à regarder la lune, et à improviser des paroles assez tristes sur des airs qui ne le sont pas moins".



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http://www.classicitaliani.it/index120.htm


Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai,

silenziosa luna?
Sorgi la sera, e vai,
contemplando i deserti; indi ti posi.
Ancor non sei tu paga
di riandare i sempiterni calli?
Ancor non prendi a schivo, ancor sei vaga
di mirar queste valli?
Somiglia alla tua vita
la vita del pastore.
Sorge in sul primo albore
move la greggia oltre pel campo, e vede
greggi, fontane ed erbe;
poi stanco si riposa in su la sera:
altro mai non ispera.
Dimmi, o luna: a che vale
al pastor la sua vita,
la vostra vita a voi? dimmi: ove tende
questo vagar mio breve,
il tuo corso immortale?
Vecchierel bianco, infermo,
mezzo vestito e scalzo,
con gravissimo fascio in su le spalle,
per montagna e per valle,
per sassi acuti, ed alta rena, e fratte,
al vento, alla tempesta, e quando avvampa
l'ora, e quando poi gela,
corre via, corre, anela,
varca torrenti e stagni,
cade, risorge, e piú e piú s'affretta,
senza posa o ristoro,
lacero, sanguinoso; infin ch'arriva
colà dove la via
e dove il tanto affaticar fu vòlto:
abisso orrido, immenso,
ov'ei precipitando, il tutto obblia.
Vergine luna, tale
è la vita mortale.
Nasce l'uomo a fatica,
ed è rischio di morte il nascimento.
Prova pena e tormento
per prima cosa; e in sul principio stesso
la madre e il genitore
il prende a consolar dell'esser nato.
Poi che crescendo viene,
l'uno e l'altro il sostiene, e via pur sempre
con atti e con parole
studiasi fargli core,
e consolarlo dell'umano stato:
altro ufficio piú grato
non si fa da parenti alla lor prole.
Ma perché dare al sole,
perché reggere in vita
chi poi di quella consolar convenga?
Se la vita è sventura,
perché da noi si dura?
Intatta luna, tale
è lo stato mortale.
Ma tu mortal non sei,
e forse del mio dir poco ti cale.
Pur tu, solinga, eterna peregrina,
che sí pensosa sei, tu forse intendi,
questo viver terreno,
il patir nostro, il sospirar, che sia;
che sia questo morir, questo supremo
scolorar del sembiante,
e perir dalla terra, e venir meno
ad ogni usata, amante compagnia.
E tu certo comprendi
il perché delle cose, e vedi il frutto
del mattin, della sera,
del tacito, infinito andar del tempo.
Tu sai, tu certo, a qual suo dolce amore
rida la primavera,
a chi giovi l'ardore, e che procacci
il verno co' suoi ghiacci.
Mille cose sai tu, mille discopri,
che son celate al semplice pastore.
spesso quand'io ti miro
star cosí muta in sul deserto piano,
che, in suo giro lontano, al ciel confina;
ovver con la mia greggia
seguirmi viaggiando a mano a mano;
e quando miro in cielo arder le stelle;
dico fra me pensando:
a che tante facelle?
che fa l'aria infinita, e quel profondo
infinito seren? che vuol dir questa
solitudine immensa? ed io che sono?
Cosí meco ragiono: e della stanza
smisurata e superba,
e dell'innumerabile famiglia;
poi di tanto adoprar, di tanti moti
d'ogni celeste, ogni terrena cosa,
girando senza posa,
per tornar sempre là donde son mosse;
uso alcuno, alcun frutto
indovinar non so. Ma tu per certo,
giovinetta immortal, conosci il tutto.
Questo io conosco e sento,
che degli eterni giri,
che dell'esser mio frale,
qualche bene o contento
avrà fors'altri; a me la vita è male.
O greggia mia che posi, oh te beata,
che la miseria tua, credo, non sai!
Quanta invidia ti porto!
Non sol perché d'affanno
quasi libera vai;
ch'ogni stento, ogni danno,
ogni estremo timor subito scordi;
ma piú perché giammai tedio non provi.
Quando tu siedi all'ombra, sovra l'erbe,
tu se' queta e contenta;
e gran parte dell'anno
senza noia consumi in quello stato.
Ed io pur seggo sovra l'erbe, all'ombra,
e un fastidio m'ingombra
la mente, ed uno spron quasi mi punge
sí che, sedendo, piú che mai son lunge
da trovar pace o loco.
E pur nulla non bramo,
e non ho fino a qui cagion di pianto.
Quel che tu goda o quanto,
non so già dir; ma fortunata sei.
Ed io godo ancor poco,
o greggia mia, né di ciò sol mi lagno.
se tu parlar sapessi, io chiederei:
- Dimmi: perché giacendo
a bell'agio, ozioso,
s'appaga ogni animale;
me, s'io giaccio in riposo, il tedio assale? -
Forse s'avess'io l'ale
da volar su le nubi,
e noverar le stelle ad una ad una,
o come il tuono errar di giogo in giogo,
piú felice sarei, dolce mia greggia,
piú felice sarei, candida luna.
O forse erra dal vero,
mirando all'altrui sorte, il mio pensiero:
forse in qual forma, in quale
stato che sia, dentro covile o cuna,
è funesto a chi nasce il dí natale.

clicca qui per vedere il manoscritto autografo del
"Canto notturno...." (Biblioteca Nazionale di Napoli)



COMMENTO TRATTO DA

sito web: "le ricordanze"

Cronologicamente ultimo de grandi canti pisano-recanatesi (ottobre 1829-aprile 1830) il Canto Notturno è uno dei momenti chiave dello sviluppo del pensiero e della poesia leopardiana. Con il Canto Notturno Leopardi nuovamente si volge a considerare più in generale, tramite la figura esemplare del pastore errante, la costitutiva infelicità dell'intero genere umano e anzi di tutti gli esseri viventi. Nel paesaggio desolato dell’immensa steppa asiatica, sovrastato dalla misteriosa vastità del cielo stellato, un pastore interroga la luna sul perché delle cose e sul senso del destino umano. Ma le sue domande non trovano risposta, e il silenzio del cielo sconfinato gli conferma ciò che già sapeva, cioè che l’universo è un enigma indecifrabile nel quale l’unica cosa certa è il dolore degli uomini e di tutti gli esseri viventi. Scegliendo una figura umile come protagonista della lirica, Leopardi vuole dimostrare come tutti, ricchi o poveri, intellettuali o analfabeti, si pongono le stesse domande senza risposta sul significato della vita e sull’esistenza del male ; anzi, sulle labbra di un semplice pastore questi interrogativi acquistano una forza particolare, primordiale e assoluta, che esprime la "radice" comune della condizione umana. In Canto notturno le strofe si presentano come una successione di domande rivolte alla luna. Il colloquio del pastore con la luna oscilla tra due spinte contrastanti: da un lato, egli sembra sperare che le sofferenze della vita abbiano un spiegazione che la luna conosce; dall’altro ne dubita e pensa che la negatività del destino umano sia un dato tragico quanto indiscutibile. Il pastore non rinuncia all’idea che la luna possa svelare i misteri della vita e della morte, dell’infinito andar nel tempo e mutare delle stagioni e dell’inquietante vastità dell’universo : a che tante facelle? / che fa l’aria infinita ... (versi 86 - 98). La bellezza della primavera e del cielo stellato devono giovare a qualcuno, non possono essere semplici apparenze di un universo indifferente. Ma lo sconforto emerge nell’ammissione finale, in cui i dubbi fiduciosi lasciano spazio a una certezza terribile : "a me la vita è male".



Un breve commento di Stefano "Solegemello" (26-1-2003)
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Questa pagina, diciamolo subito, nulla vuole dire più di quello che è stato già detto da persone molto più autorevoli di me. La grandezza della poesia Leopardiana è ormai ampiamente celebrata. Questa pagina è in realtà molto personale. "Il canto notturno di un pastore errante dell'Asia" è infatti la poesia che più di tutte mi ha colpito e a distanza di anni dai miei studi liceali ancora mantiene su di me un grande fascino. E' la poesia del dubbio e delle domande esistenziali, è la poesia della piccolezza dell'uomo di fronte alla natura e al suo destino.
E' stato detto spesso che Giacomo Leopardi è il poeta dei giovani, penso che questo risponda a verità. C'è qualcuno che non si è mai chiesto, in special modo nella "linea d'ombra" della propria vita, "chi sono? cosa ci faccio qui?", magari osservando le stelle e riflettendo sul senso delle cose ?

(...)"e quando miro in cielo arder le stelle;
/dico fra me pensando: a che tante facelle?/
che fa l'aria infinita, e quel profondo/ infinito seren? che vuol dir questa/
solitudine immensa? ed io che sono?"/

Ed ancora che senso ha tutto questo nel disegno complessivo dell'esistenza? Che senso ha il cielo infinito e la bellezza eterna del mondo, qual'è la meta dell'uomo "in questa solitudine immensa?"


(...) "Dimmi, o luna: a che vale
/ al pastor la sua vita,/ la vostra vita a voi? dimmi: ove tende/
questo vagar mio breve,/ il tuo corso immortale?"/

Solo la natura, dice il poeta, solo la luna, forse conosce il significato di tutto questo, della vita della morte, dell'avvicendarsi infinito del giorno, della notte, del tempo. Il verso "del tacito infinito andar del tempo" è stato giustamente definito un verso "infinito" : in poche parole è raffigurata l'umanità tutta : uomini, stagioni, storie, Settecento, Ottocento, Novecento, secoli e secoli ancora, accomunati dallo stesso destino: confrontarsi con un mondo incomprensibile, privo di qualsiasi finalità.

(...) "Pur tu, solinga, eterna peregrina,
/ che sí pensosa sei, tu forse intendi,/
questo viver terreno,/ il patir nostro, il sospirar, che sia;/ che sia questo morir, questo supremo/ scolorar del sembiante,/ e perir dalla terra, e venir meno/ ad ogni usata, amante compagnia./
E tu certo comprendi
/ il perché delle cose, e vedi il frutto/ del mattin, della sera,/ del tacito, infinito andar del tempo."/

Unica ma impossibile consolazione sarebbe per il pastore protagonista e "voce" di questa lirica, , per il poeta stesso, in definitiva per tutti noi, volare sopra le nubi e raggiungere le stelle, riuscire a contarle ad una ad una, diventare come il lampo veloce.

(...)"Forse s'avess'io l'ale
/ da volar su le nubi,/ e noverar le stelle ad una ad una,/ o come il tuono errar di giogo in giogo,/ piú felice sarei, dolce mia greggia,/ piú felice sarei, candida luna."/

E' un canto triste quello del pastore, un canto di "pessimismo cosmico" come è stato definito. Non c'è scampo per l'uomo e neppure per gli animali solo per un attimo tenuti fuori dal disegno maligno della natura.

E' stato detto molto di Giacomo Leopardi, il suo pessimismo è stato spesso messo in relazione con la propria personale, infelice, condizione esistenziale. Credo che sia questa una lettura davvero riduttiva e sciocca: il canto del pastore è il canto del poeta ma i suoi punti interogativi sono le riflessioni dell'uomo di fronte all'esistenza. Quelle domande retoriche e quella "solitudine immensa" riguardano tutti. Nessuno escluso.

Stefano "Solegemello" (26-1-2003)



IL CANTO NOTTURNO DI UN PASTORE ERRANTE DELL’ASIA
di Baldo Bruno ANALISI TESTUALE  http://utenti.lycos.it/braldobr35/index-169.html

Il Canto Notturno è un momento chiave  per capire lo sviluppo del pensiero e della poesia leopardiana.  Leopardi  è spinto a considerare , utilizzando la figura di un pastore errante, la costitutiva infelicità dell'intero genere umano e anzi di tutti gli esseri viventi. Nel paesaggio asiatico , desolato e stepposo , sovrastato dalla misteriosa vastità del cielo stellato, un pastore interroga la luna sul perché delle cose e sul senso del destino umano. Ma le sue domande non trovano risposta, e il silenzio del cielo sconfinato gli conferma ciò che già sapeva, cioè che la ragione è insufficiente a comprendere il mistero delle cose e dell’esistenza universale.
Scegliendo una figura umile come protagonista della lirica, Leopardi vuole dimostrare come tutti, ricchi o poveri, intellettuali o analfabeti, si pongono le stesse domande senza risposta sul significato della vita e sull’esistenza del male ; anzi, sulle labbra di un semplice pastore questi interrogativi acquistano una forza particolare, primordiale e assoluta, che esprime la "radice" comune della condizione umana.Il pastore assimila la propria vita(vv.21-38) alla corsa affannosa di un vecchio infermo verso la morte. L’immagine del vecchierello risale al Petrarca , ma lui utilizza le sue fonti mutandone o rovesciandone il significato originario : in Petrarca il vecchio compie un pio pellegrinaggio a Roma .Il pastore immagina(vv.61-78) che la luna , contemplando dal cielo lo spettacolo della vita terrena , possa vedere ciò che al pastore appare misterioso ; la luna , infatti , dovrebbe essere in qualche modo consapevole di ciò che l’uomo ignora. La bellezza della primavera e del cielo stellato devono giovare a qualcuno, non possono essere semplici apparenze di un universo indifferente. Ma lo sconforto emerge nell’ammissione finale, in cui i dubbi fiduciosi lasciano spazio a una certezza terribile : a me la vita è male . Il pastore (vv.105.132) si rivolge anche alla sua greggia, che invidia in quanto essa , a differenza dell’uomo , sente la vita solo istante per istante , dimentica subito ogni stento e così non soffre  “la noia”. La noia per Leopardi  è manifestamente un male , l’annoiarsi in una felicità.Dunque la vita è semplicemente un male e , quando l’uomo sente in generale l’infelicità nativa dell’uomo , vuol dire che avverte la noia. Infine nella mente del pastore (vv.133-143) balena una possibile felicità in una condizione di vita diversa , quella degli uccelli, molto diversa dalla sua ; ma subito a questa immaginazione succede l’idea che in qualsiasi forma o stato la vita è un male. Il Canto Notturno si distingue dagli altri “ grandi idilli” : viene meno la poesia della “rimembranza” e il paesaggio non è più quello familiare di Recanati ,ma un paesaggio remoto ed astratto , solo la luna e i deserti. La quarta strofa è ricca di moduli caratteristici del linguaggio dell’infinito, dal lessico alla sintassi  e alla metrica : v.61 solinga, eterna peregrina ; v.72 tacito , infinito andar del tempo ; v.87 l’aria infinita ,e quel profondo infinito seren ; v.88  questa solitudine immensa. Questo moduli suggeriscono il senso di un “infinito” , in cui sembra dolce naufragare , anche se soggetto a quella legge di patimento e di morte dalla quale gli uomini sono oppressi. L’andamento del canto sembra voler riprodurre quello di una litania religiosa o di una antichissima nenia. Tra gli elementi  che creano tale impressione si pone la sintassi volutamente semplice, che solo in due passi  tesi  verso una conclusione fortemente negativa colloca il verbo in fondo al periodo. Fitta è la trama di ripetizioni : v.1 che fai…che fai ; vv. 1,16,18 dimmi…Dimmi…dimmi ;  vv. 1,16  luna…luna  ;  di rime  : vv.1-3 fai/ vai ;  vv. 5,7 paga/ vaga ;  vv.. 6,8 calli / valli ;  di assonanze  :  vv. 3,4  Sorgi / posi  ;  vv. 12,13  vede / erbe  ;   di allitterazioni  :  vv.16,19  vale…vita…vostra vita a voi…ove…vagar mio breve .
La rima costante in  -ale che conclude in tutte le strofe l’allocuzione alla luna e nella quinta strofa al gregge , spesso sottolinea sentenze che suonano come proprie di una sapienza antica : vv. 37,38 tale / è la vita mortale ;  v.104  a me la vita è male  .




Biografia sintetica

tratta dal sito di Alberto Pian

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Giacomo Leopardi nasce a Recanati il 29 giugno 1798, dal conte Monaldo e da Adelaide Antici;
Tra il 1809 e il 1815 si dedicò anima e corpo allo studio formandosi una solida base classica. Visse a Roma nel 1822-23 poi a Recanati, nel 1825 a Milano per curare le opere di Cicerone, poi a Bologna, nel 1827, a Firenze dove conobbe Manzoni, in seguito sarà a Pisa e nel 1828 di nuovo a Recanati (comunque sua residenza più stabile e fonte di molte sue liriche: il "natio borgo selvaggio",ndr). Gli ultimi anni li trascorse a Firenze e a Napoli. Sul Romanticismo espresse il suo punto di vista ne: "Lettera ai compilatori della Biblioteca Italiana in risposta a quella di M.me Stael" per opporsi all'invito di riprendere i modelli della letteratura nordica perché rifiutava la poesia di imitazione e suggeriva di attingere ai classici (non corrotti dalla civiltà).
Poi nel "Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica" (1818), ribadì il rifiuto dell'imitazione della poesia classica e dell'abuso della mitologia, osservando anche che la poesia patetica e sentimentale era già nota agli antichi e sarebbe poi diventata una dolorosa necessita` per i moderni che si sono allontanati dalla natura. Condannava invece il gusto dell'orrido e della rappresentazione realistica.
Per Leopardi non avrebbe potuto esistere una poesia epica perché non esisterebbero le illusioni sulla quale dovrebbe fondarsi.
Il tema del Leopardi e` la caducità della vita e con le sue liriche si riallaccia a tutta la tradizione che va dai latini al Petrarca e al Tasso e allo stesso Foscolo (per il quale pero` ci sono le illusioni a compensare la decadenza).
La serenità per L. e` solo la quiete tra due dolori ("La quiete dopo la tempesta"), oppure il ricordo del tempo giovanile ("Alla luna"; "A Silvia").
Durante il periodo chiamato del "Pessimismo storico" (1819-1823), ispirandosi a Rousseau (felicita` dello stato di natura), sosteneva che "la ragione e` nemica della natura", la natura e` "madre benigna" che nutriva gli antichi di generose illusioni mentre la ragione e` piccola, causa dei mali e dell'infelicita` dell'uomo nella società moderna.
A questo periodo risalgono "I piccoli idilli", che comprendono anche "L'infinito" e "Alla Luna" e le "Canzoni filosofiche e del suicidio".
Poi comincia il periodo del "Pessimismo cosmico" (1823-1825), al contrario del periodo precedente riteneva ora che il dolore non fosse più determinato dalla razionalità umana ma fosse connaturato alla stessa natura dell'uomo che cercherebbe di evitare il dolore senza potergli sfuggire. La natura diventava quindi "madre matrigna", nemica dell'uomo che obbedisce alla legge materialista di creazione - distruzione - riproduzione. Il dolore non è più "storico" ma "cosmico". A questa epoca risale per esempio il "Canto notturno di un pastore errante dell'Asia".
Leopardi si trovava in contrasto con l'Ottocento da lui definito "secolo superbo e sciocco" troppo fiducioso in un progresso che non porterà a felicità e invitava gli uomini ad unirsi per combattere i mali della natura ("la solidal catena" de "La ginestra").
Di questo periodo le opere: i "Grandi idilli", "Le operette morali"(1824)
Infine l'ultima fase di Leopardi: (1831-1836), un amore inquieto gli ispirò le liriche d'amore, il "Ciclo di aspasia" . L'ultimo impegno lo rivolse  alla poesia sociale "La ginestra".

Muore a Napoli il 14 giugno 1837
.





LE OPERE
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I Canti:

Le Canzoni giovanili del 1816-1822 ("Le rimembranze", "L'appressamento della morte" , "All'Italia", "Sopra il monumento di Dante", "Ad Angelo Mai
quand'ebbe trovato i libri di Cicerone della Repubblica", "Bruto minore", "Ultimo canto di Saffo" "Nelle nozze della sorella Paolina" "A un vincitore nel pallone" "Bruto minore" , "Alla primavera o delle favole antiche" "Inno ai Patriarchi  o de' princìpii del genere umano" , "Il primo amore", "Il sogno"
 "La vita solitaria ").

Gli Idilli del 1819-1820 ("La sera del dì di festa", "L'infinito", "Alla luna").

I Componimenti del 1823-1826 ("Alla sua donna", "Al conte Carlo Pepoli").

I Canti pisano-recanatesi del 1827-1828 ("Il risorgimento", "Il passero solitario", "A Silvia",
"Le ricordanze", "La quiete dopo la tempesta", "Il sabato del villaggio", "il Canto notturno di un pastore errante dell'Asia").

Il ciclo di Aspasia del 1833-1835 ("Il pensiero dominante", "Amore e morte", "A sé stesso", "Aspasia", "Consalvo").

Gli ultimi Canti ("Sopra un basso rilievo antico sepolcrale, dove una giovane morta è rappresentata in atto di partire, accomiatandosi dai suoi", "Sopra il ritratto di una bella donna
scolpito nel monumento sepolcrale della medesima",
"Palinodia al Marchese Gino Capponi", "Il tramonto della luna", "La ginestra o il fiore del deserto").

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Le Operette Morali


24 opere composte a partire dal 1824, 7 in forma di trattato e 17  in forma di dialogo.

"Storia del genere umano", "Dialogo d'Ercole e di Atlante", "Dialogo della Moda e della Morte "Proposta di premi fatta dall'accademia dei Sillografi", "Dialogo di un Folletto e di uno Gnomo" "Dialogo di Malambruno e Farfarello", "Dialogo della Natura e di un'anima" , "Dialogo della Terra e della Luna" ,"La scommessa di Prometeo",  "Dialogo di un Fisico e di un Metafisico" "Dialogo di Torquato Tasso e del suo Genio Familiare", "Dialogo della Natura e di un Islandese" "Il Parini ovvero della Gloria", "Dialogo di Federico Ruysch e delle sue mummie" "Detti memorabili di Filippo Ottonieri", "Dialogo di Cristoforo Colombo e di Pietro Gutierrez"  "Elogio degli Uccelli" "Cantico del Gallo Silvestre" "Frammento apocrifo di Stratone da Lampsaco", "Dialogo di Timandro e di Eleandro" "Il Copernico: dialogo" "Dialogo di Plotino e di Porfirio", "Dialogo di un Venditore d'almanacchi e di un Passeggere", "Dialogo di Tristano e di un Amico".

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Lo Zibaldone


L'opera raccoglie, in 4526 pagine di manoscritto, gli appunti di un arco di tempo che va 1817 al 1832.

Altre Opere

I Pensieri, - "Batracomiomachia",  "La guerra dei topi e delle rane, 1815 Guerra dei topi e delle rane, (1821-1822), Guerra dei topi e delle rane, (1826), "Paralipomeni",  "Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica", "Diario del primo amore" "Ricordi d'infanzia", "Discorso sopra lo stato presente dei costumi degli italiani" "Manuale di Epittèto" ,
Le Lettere.

Frammenti
: "Odi, Melisso"  "Io qui vagando..."  "Spento il diurno raggio..."  Dal greco di Simonide  "Dallo stesso".

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LEOPARDI LINKS
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Manoscritti autografi della Biblioteca Nazionale di Napoli
http://www.bnnonline.it/biblvir/leopardi.htm


Le pagina su Liber Liber il sito dell'Ass.culturale no profit che si occupa di rendere
disponibili in rete i testi dei classici della letteratura
http://www.liberliber.it/biblioteca/l/leopardi/


Biografia, saggi,  i testi di tutte le opere anche commentate, ottimo!
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Testi delle opere
http://www.crs4.it/~riccardo/Letteratura/CantiLeopardi/CantiLeopardi.html


Vita, opere e pensieri del poeta di Recanati.
http://www.geocities.com/Athens/Olympus/4533/quadro3.htm


Link su Leopardi, in inglese
http://www.kirjasto.sci.fi/leopard.htm


Mal di vivere in Leopardi
http://www.repubblicaletteraria.net/GiacomoLeopardi.htm



Viaggio virtuale attraverso i luoghi leopardiani a Recanati.
http://www.giacomoleopardi.it/


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