"Era il
dieci luglio di una terra senza colpa" cantava Antonello Venditti nella
sua "Canzone per Seveso", brano dedicato a uno dei più gravi
incidenti della storia italiana, l'episodio che trasformò un
anonimo paese
della Brianza in sinonimo di incuranza e disattenzione, menzogne e
coperture.
Era il 10 luglio 1976, un sabato di trenta anni fa, l'ora di pranzo, le
12:37.
In un'Italia sconvolta dal terrorismo la valvola di sicurezza di un
reattore
della fabbrica Icmesa esplode provocando la fuoriuscita di una nube
tossica
contenente una miscela di circa 3 mila chili di inquinanti, fra cui la
diossina, un gas altamente tossico per la salute umana e per
l'ambiente.
Il vento trasportò la nube verso i paesi vicini: Desio, Cesano
Maderno e la
stessa Meda furono colpiti, ma Seveso diventò in breve il centro
dell'emergenza
e simbolo della tragedia, che assunse i tratti della farsa. La
proprietà della
ditta, il gruppo farmaceutico svizzero Hoffmann - La Roche,
minimizzò l'accaduto,
per una settimana disse di non sapere quali sostanze fossero presenti
nella
nube. Nel frattempo gli abitanti ebbero paura: videro le foglie delle
piante
accartocciarsi e coprirsi di buchi, la corteccia degli alberi si
staccò dal
tronco, l'erba nei campi diventò gialla e iniziarono a morire i
primi animali
da cortile.
Dopo cinque giorni il sindaco emise un'ordinanza di emergenza nella
quale si
vietava di toccare la terra, gli ortaggi, l'erba e di consumare frutta
e
verdura. Mentre gli esperti assicuravano che non c'era da preoccuparsi,
alcuni
bambini iniziarono a presentare macchie rosse sul viso, eruzioni
cutanee e pustole.
Erano il sintomo dell'esposizione alla diossina, i cui effetti furono
divulgati
sin dal 1953, quando un episodio simile a quello di Seveso colpì
una fabbrica
della Basf in Germania. Gli addetti ai lavori sapevano bene che con il
surriscaldamento dei materiali di lavorazione si sarebbe formata
diossina, ma
si sapeva anche che, aumentando la temperatura, i tempi di reazione
chimica dei
prodotti sarebbero diminuiti e si sarebbe ottenuta una maggior
produzione in
una minore quantità di tempo. Si vociferò anche di una
possibile produzione di
componenti per armi chimiche, come il tristemente famoso Agent Orange,
i cui
effetti sulla popolazione furono simili a quelli riscontrati a Seveso.
Il
direttore dello stabilimento brianzolo dichiarò che "le armi non
sono
state fabbricate all'Icmesa, ma l'impianto era predisposto per
fabbricarle se
ce ne fosse stato bisogno. Non era necessario modificarlo: bastava
semplicemente aumentare la temperatura della reazione". Esattamente la
causa che scatenò la rottura della valvola di sicurezza e la
fuoriuscita della
nube tossica. Supposizioni e ipotesi che non fecero altro che creare un
clima
di rabbia e dolore tra i cittadini che si videro costretti ad
abbandonare le
proprie case quando l'intera zona venne suddivisa in varie aree a
seconda del
livello di contaminazione: una zona a (alta contaminazione), una zona b
(media
contaminazione) e una zona R o "di rispetto" (bassa contaminazione).
I 735 abitanti della zona a vennero evacuati a partire dal 26 luglio,
cioè due
settimane dopo l'incidente; recintata e controllata militarmente, la
zona subì
una radicale bonifica con l'abbattimento delle case e la scarificazione
del
terreno: sogni, speranze e futuro vennero abbattuti assieme ai muri di
quelle
abitazioni contaminate, dando il via a un periodo di incertezza e paura
in
residence e motel.
Si diffuse il timore di malformazioni ai nascituri ma molte donne
decisero di
ricorrere all'interruzione di gravidanza, grazie a una concessione
governativa
(la legge sull'aborto verrà solo nel 1978). "Se dovesse
succedermi di
rimanere incinta adesso farò di tutto per abortire"
dichiarò una donna a
Marcella Ferrara nella sua inchiesta "Le donne di Seveso", ritratto
lucido e preciso delle donne sfollate di Seveso.
Per la bonifica del territorio contaminato vennero costruite due
discariche
speciali, due grandi vasche nella quali furono sotterrati i resti degli
immobili e i terreni inquinati; i costi vennero coperti dalla Hoffmann
- La Roche
che chiuse i suoi
procedimenti penali per il disastro con due accordi economici, uno con la Regione Lombardia
e uno con lo Stato italiano. Due soli dirigenti dello stabilimento
furono
perseguiti penalmente, ma nel 1985 la condanna per disastro e lesioni
colpose
fu sospesa in appello con la condizionale. La Roche
non si
è mai assunta la responsabilità dell'incidente, anzi,
pare che nel 2005 si sia
appigliata a un cavillo giuridico per chiedere a ventuno abitanti della
zona la
restituzione della somma pagata per i danni morali.
Seveso darà il nome a una serie di direttive riguardanti proprio
il rischio di
incidente nell'attività degli stabilimenti industriali: giunta
alla
"Seveso 3", la serie di direttive stabilisce obblighi e prescrizioni
inerenti gli innumerevoli impianti particolarmente pericolosi e prevede
la consultazione
della popolazione nella pianificazione delle emergenze.
Il Ministero dell'Ambiente censisce attualmente 1.120 stabilimenti a
rischio
nel nostro paese: 462 sono a elevato rischio chimico - industriale. Di
Seveso
rimane il ricordo delle fotografie, con i bambini dal viso deturpato, i
tecnici
in tute bianche che controllano il terreno e le case abbandonate e
vuote.
Una tragedia che non deve essere dimenticata, ma anzi deve essere
ricordata in
un momento come questo in cui la corsa all'energia guida amministratori
e
ministri a favorire opere di indubbia pericolosità, spinti dalla
logica del
profitto più che dalla sicurezza dei cittadini.
Il 10 luglio 1976
una nuvola di diossina fuoriesce da uno stabilimento chimico (l'ICMESA di Seveso,ndr) contaminando il
territorio circostante.Una delle più grandi catastrofi chimiche
comincia in
una fabbrica di profumi e disinfettanti.
All’interno di un reattore della fabbrica veniva prodotto il
triclorofenolo (Tcf), materia prima per la produzione di cosmetici,
disinfettanti ospedalieri e diserbanti. La temperatura doveva essere
mantenuta sotto i 156 gradi.
A temperature superiori, infatti, comincia la formazione di diossina (Tcdd), un potentissimo veleno.
Più alta è la temperatura, più diossina si forma.
Il 10 luglio, invece, nel reattore, la temperatura sale improvvisamente
fino a superare i 300 gradi. La valvola di sicurezza si rompe e
fuoriesce una nube di vapori che il vento trasporta per qualche
chilometro in direzione sud-est, sopra le città di Meda e Cesano
Maderno.
Quattro giorni più tardi si registrano i primi casi di ustioni
sulla pelle di bambini e adulti e una moria di conigli.
Anche le foglie degli alberi cominciano ad avvizzire. Dieci giorni
dopo, diciotto persone erano state ricoverate in ospedale. Il sindaco
di Seveso vietò di mangiare gli ortaggi e consigliò di
lavare accuratamente le mani.
Quindici giorni dopo l’incidente venne ordinata l’evacuazione della
zona, perché anche le case risultavano contaminate. Rimane
il riferimento per la legislazione europea sui rischi di incidenti
rilevanti.
Nell'album "Ullallà", 1976 , Antonello
Venditti canta la disperazione provocata dalla fuga di diossina (nel
brano "Canzone per Seveso") , gas altamente tossico, che si verifica
nel '76 all'Icmesa
di Seveso.
Canzone per Seveso
(Antonello Venditti , "Ullàlla", RCA 1976)
Era il dieci luglio di una terra senza colpa
bambini nei giardini giocavano nel sole
e l'aria era di casa, di sugo e di fatica
e vecchi nella piazza parlavano d'amore
e donne al davanzale lanciavano parole
sepolte ormai nel ventre di madri perdute,
perdute dal cielo proprio sopra di noi
che restiamo a guardare morire le radici,
i preti perdonare proprio sopra di voi,
che vivete tranquilli nella vostra coscienza di uomini giusti,
che sfruttate la vita per i vostri sporchi giochetti
allora allora ammazzateci tutti!
Noi siamo qui prigionieri del cielo
come giovani indiani risarciteci i cuori,
noi siamo qui, senza terra né bandiera,
aspettando qualcosa da fare
e che non porti ancora dei torroni a Natale,
telegrammi "ci pensiamo noi"
condoglianze! condoglianze!
Lato
A “Maria Maddalena”/”Nostra signora di Lourdes”/”Canzone per
Seveso”/
”Una stupida e lurida storia d’amore”/ Lato B: “Jodi e
la scimmietta”/ “Strada”/ “Per sempre giovane”
da "Antonello Venditti un divo a metà" (1979)
di Daniele Ionio
E vero che oggi Antonello ha sposato il
cosiddetto “riflusso” e che non riscriverebbe una canzone come “Canzone
per Seveso”?
Quella canzone è stata duramente criticata e forse è
stato uno sbaglio farla. Ma era sincera, mi trovavo li’ vicino a
registrare, il giorno della nube, e l’ho composta al momento.
da Rolling Stone edizione italiana
anno I n. 1
12-25 Aprile 1980
“Venditti ’80
E’ pesci e nuota bene”
di Carlo Massarini
(…) Fu anche l’ultima anteprima insieme in RAI , Capodanno ’76
: quando uscì “Ullàlla” e mi fu arrogantemente
vietato all’ultimo momento dal funzionario di portarlo ospite , feci
giusto in tempo a passare il mio pezzo preferito di sempre, “Jodi e la
scimmietta” all’inizio della seconda parte di “&29” l’inevitabile
scazzo aveva praticamente chiuso una carriera radiofonica.
“Ullàlla” il disco dedicato al primogenito appena nato, il disco
inciso a dieci chilometri da Seveso, è un disco così
pieno di
vita e di morte , che si può definirlo confuso e disperato,
oppure gioioso e lucidissimo, e in entrambi i casi si è nel
giusto.
“Proprio sopra di voi /che vivete tranquilli/
nella vostra coscienza/ di uomini giusti / che sfruttate la vita /per i
vostri
sporchi giochetti / e allora, allora /ammazzateci tutti/ noi, noi siamo
qui
/ prigionieri del cielo /come giovani indiani /RISARCITECI I CUORI !!!/
: Antonello non era mai stato così sincero ed emotivo, e le
accuse
di aver strumentalizzato anche Seveso, volenti o nolenti, lasciarono il
segno.
La RCA promosse male il disco , “Maria Maddalena” era bellissima ma non
certo
in grado di seguire “Lilly” come 45 giri, Antonello naufragò nel
mar
dubbio – quando le tue cose migliori invece di essere capite vengono
fatte
a pezzi, non rimane che voltare pagina. Un ciclo era finito.
(…)
SPECIALE
ULLALLA (1976 )
"SI ALLA VITA CON FANTASIA E CON RABBIA"
di Antonello Venditti
Quelli che ancora non hanno sentito il disco e leggono il titolo
dicono “Ullallà” ma il modo esatto è Ullàlla, con
l’accento sulla prima a.
E’ il titolo del mio ultimo trentatrè, ed è il canto che
accompagna una delle canzoni, una specie di favola, che però
parla
di cose vere che si chiama “Jodi e la scimmietta”.
Jodi è un ragazzo, quasi un bambino, che fa un viaggio in un
mondo che non conosce, come tutti noi quando nasciamo, ed ha come
compagno di
viaggio una scimmietta che rappresenta la parte migliore di ciascuno di
noi, la fantasia, la libertà, la voglia di inventare e di
giocare.
Durante il viaggio Jodi e la sua scimmietta incontrano il presidente,
che è uno che non gioca mai, che non ama la fantasia e la
libertà e vuole che anche gli altri la pensino come lui.
Jodi capisce che il presidente deve essere distrutto, perché
rappresenta la violenza, la sopraffazione, l’immobilismo.
A noi insegnano fin da piccoli che bisogna ubbidire sempre, a chi
è più grande, più vecchio, più importante.
E noi cresciamo abituati a questa idea di ubbidire senza chiedere mai
perché ; e se non siamo d’accordo, crediamo che per ribellarci
dobbiamo inventare strategie complicatissime e affrontare prove troppo
difficili per le nostre forze, ma è solo perché abbiamo
paura e non conosciamo realmente chi abbiamo davanti, non sappiamo
davvero chi è quello che dobbiamo combattere.
Jodi riesce a distruggere il presidente con l’arma più semplice,
che abbiamo tutti a disposizione, basta saperla usare: la fantasia; e
il presidente,
che sembrava indistruttibile, scivola sulla prima buccia di banana che
si
trova sotto i piedi.
Allora “Jodi e la scimmietta” ridanno alla gente tutti i tesori di cui
il presidente ili aveva derubati, la cultura, i ricordi , la
libertà
di pensare col proprio cervello.
“Ullàlla” è il canto di Jodi, e può essere il
canto di ciascuno di noi, è un vocalizzo che ciascuno può
riempire con le parole che vuole, ma prima di tutto è
comunicazione, è gioco, è emozione.
Un’altra canzone che descrive due modi diversi di vedere la vita
è “Maria Maddalena”, ma questa
volta il linguaggio non è più quello della favola.,
perché sono diversi
i personaggi ed è diversa anche la storia.
Maria Maddalena è la stessa donna viste a duemila anni di
distanza. Testimone di due realtà molto simili nonostante il
passare del tempo ; E’ la “peccatrice” del Vangelo ed una ragazza di
oggi, la prima incontra come sappiamo Gesù che è l’unico
a capirla ed amarla veramente, in una città che genera insulti e
dolori, una città “da ammazzare”; la seconda è la
compagna di un operaio arrestato a Milano, ai giorni nostri; in tutte e
due le situazioni ci sono intorno sempre gli stessi benpensanti, a fare
da spettatori, a giudicare, a dire: “che desolazione..che razza di
generazione…”
Io ho sempre scritto canzoni cercando di evitare lo sdoppiamento tra la
mia sfera “pubblica” e quella “privata” perché io sono sempre la
stessa persona sia quando parlo del "presidente" di "Jodi e la
scimmietta" o di
“Maria Maddalena”, sia quando parlo d’amore, perché l’amore
è
un fatto umano che nasce dalla realtà. Al di là dei
luoghi
comuni e delle migliaia di banalità che si dicono e che si
cantano
sull’amore.
“Una stupida e lurida storia d’amore”
è apparentemente la canzone più sentimentale di tutto
l’album, ma parla d’amore in termini reali, non promette evasioni
impossibili in isole di
sogno e non versa lacrimucce compiaciute dei cuori spezzati.
Parlo di me stesso. E forse di tutti noi, di come potrei diventare in
futuro, stanco e senza entusiasmo, con al fianco una stupida donna
borghese.
Che non vuol dire che sarà così, anzi cantando questa
ipotesi la rifiuto, spero di esorcizzarla, ho presenti i rischi che io
e la donna corriamo.
E’ come quando nella canzone che chiude il disco, “Per
sempre giovane”, parlo di una condizione che
spero che noi tutti riusciamo a raggiungere o a conservare, una
condizione
creativa e critica nei confronti della realtà, usando la logica
e
la fantasia.
Ed intendo “giovane”, non nel senso abusato e strumentalizzante della
pubblicità che usa questo termine per venderti qualsiasi cosa,
dalla moto alla maglietta, all’aranciata, ma nel senso biologico della
parola, che significa avere
voglia di dire e di fare, di partecipare alla vita con ottimismo ma
anche
con rabbia.
Ed è prima di tutto un augurio, che rivolgo a me stesso e a chi
mi ascolta, la speranza di riuscire a rimanere, o a diventare. “Per
sempre
giovane”.
“Ullàlla” 1976 tratto da MUSIKBOX
genn/feb 2001
Lato A “Maria Maddalena”/”Nostra signora di
Lourdes”/”Canzone per Seveso”/”una stupida e lurida storia d’amore”/
Lato B: “Jodi e la scimmietta”/ “Strada”/ “Per sempre giovane”
All’enorme successo riscosso con “Lilly”, consegue un periodo non
facile : le prime avvisaglie delle contestazioni da parte delle fazioni
più estreme e violente delle correnti politiche, provocano
continui
disordini e disturbano la quiete dei concerti mettendo a repentaglio
persino
l’incolumità fisica artisti. Se a questo aggiungiamo i primi
dissapori
con la casa discografica, riusciamo a capire il perché Antonello
fa armi e bagagli per andare a registrare il nuovo disco lontano da
Roma,
ed esattamente il Brianza nel regno di Lucio Battisti : “il Mulino”. Si
tratta di una sala dotata di impianti tecnologici all’avanguardia, un
posto
dove, oltre che lavorare, si può vivere e trovare una dimensione
di grande isolamento e concentrazione.
A parte Nicola Samale e Giuseppe Mazzucca presenti nel precedente
ellepì, Venditti si avvale della collaborazione degli stessi
strumentisti con i
quali Battisti realizza “La batteria, il contrabbasso, eccetera”.
Nonostante
tutto ciò il prodotto che ne esce è controverso,
sofferto,
difficile. “Ullalla” è frutto di un periodo personale complesso
e
tormentato, ulteriormente incupito da avvenimenti ci cronaca tutt’altro
che rassicuranti. Il microsolco si apre con “Maria
Maddalena”, nome preso in prestito dalla Sacre Scritture ed
usato
per raffigurare una prostituta bambina, una storia di sesso, violenza,
falsi
moralismi che si avvale di un impianto melodico composito e articolato.
Il pezzo si lega ad un altro contenuto nella seconda facciata , “Strada”, anche se qui i toni sono più
pacati,
c’è meno rabbia, meno violenza, un senso più sereno di
rassegnazione
e rispetto. Il dito è sempre puntato, comunque, sui benpensanti,
categoria
di persone accecate dal bigottismo e da una visione distorta della
realtà.
(Da sottolineare il verso “Il mestiere di vivere, il coraggio di
vivere” (“Il mestiere di vivere è il
titolo del suggestivo e doloroso diario di Cesare Pavese. - ndr
e M.Macale)
Venditti, poi, non poteva non cantare e ironizzare sul compromesso
storico tra Democrazia Cristiana e Partito Comunista in “Nostra signora di Lourdes” (“di lì a
due anni l’illusione del compromesso storico naufragherà
tragicamente con il rapimento e l’uccisione del presidente della DC
Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse.”, M.Macale ), e soprattutto non
usare il feroce sdegno espresso in “Canzone per
Seveso”. E’ cronaca del 10 luglio 1976,
quando un guasto fa fuoriuscire una nube di gas tossico (diossina)
dalle pareti di una fabbrica sita in Seveso, provocando seri
danni alle persone e all’ambiente. Antonello non ci passa sopra, e come
si dice in gergo, non lo manda a dire, ma lo dice in modo schietto e
diretto.
Usa termini forti (“Ammazzateci tutti”!) per incolpare un stato inetto
e
inerme.
“Una stupida e lurida storia d’amore”
riconduce subito l’opera su temi più intimi e tranquillizzanti,
dolcificati
dall’intervento finale del soprano Gabriella Ferroni. Assai simbolico
il
messaggio contenuto in “Jodi e la scimmietta”,
simbolico ma chiaro, perché alla sbarra degli imputati arriva
addirittura
il presidente degli Stati Uniti. Jodi con l’aiuto della sua scimmietta
lo
fa cadere, ridando alla gente ciò che di più importante
gli
era stato sottratto: i ricordi. Si tratta di un’intensa ballata che
ricorda
vagamente un certo tipo di country americano. L’album si chiude con un
invito
alla speranza, e, soprattutto con un’autoesortazione a non sentirsi mai
domi
e distaccati, ma pervasi sempre da uno spirito attivo e giovane,
perché
come diceva qualcuno “siamo nati per correre”. E non a caso Antonello
in
“Per sempre giovane” si fa prestare il
finale
di “Born to run” da tale Bruce Springsteen. “Ullalla” possiede tutte le
carattersitiche del disco di transizione, e per questo all’epoca fu
poco capito da chi aveva ancora nell’orecchio le note di “Lilly”, ma
è un lavoro da rivalutare, perché è
rappresentativo di un momento storico importante,
visto con gli occhi di un artista che ha deciso per un attimo di
fermarsi
a riflettere.