CLANDESTINO IN CECENIA

Di Andrè Glucksmann

 Il filosofo francese, cui era stato negato l'ingresso, è entrato nel Paese caucasico di nascosto. È stato ospite dei guerriglieri e delle loro famiglie. E racconta gli orrori visti

Ho visto la Cecenia. È un paese distrutto. Ho visto con i miei occhi che cos'è una guerra coloniale. Quella della Russia contro la Cecenia dura da 300 anni. È cominciata con lo zar che ha quasi sterminato tutti i ceceni. Poi è arrivato Stalin e li ha deportati tutti nei Gulag nel '44. Quelli che non potevano viaggiare nei vagoni sono stati bruciati nelle moschee. I ceceni soffrono e muoiono a causa dei loro fratelli russi da 300 anni. Come poter stare assieme? Nel 1991 hanno nuovamente reclamato la loro indipendenza e come risposta hanno avuto due guerre. Dopo averli visti nel giugno del 2000, dopo averli frequentati e conosciuti per cinque settimane, dopo aver osservato questi visi emaciati e la forza della disperazione che riescono ancora a raccogliere, non dubito più: quella in Cecenia è una sporca guerra colonialista. Sono arrivato clandestinamente, in seguito a un colpo di testa. A Parigi mi avevano rifiutato il visto. La Cecenia è completamente chiusa e i russi non permettono a nessuno di entrare. Nessun giornalista, nessun intellettuale è autorizzato ad entrare. Alla frontiera sono passato sotto i reticolati corrompendo un doganiere. La filiera che ho seguito per entrare è stata smantellata il giorno dopo il mio passaggio. Tutto è stato interrotto. Ho veramente rischiato di essere preso dal primo giorno. Poi, ho viaggiato con i guerriglieri, mi sono spostato con i clandestini resistenti ceceni. Ho approfittato delle loro tecniche di sopravvivenza ed ho corrotto ufficiali e soldati russi che si sono lasciati volentieri corrompere. Ho pagato anch'io per passare i posti di blocco, le linee di controllo. Una volta ho addirittura viaggiato in una limousine dai vetri oscurati di un colonnello dell'ex Kgb. Era l'unico modo per superare quel blocco. Ho pagato in anticipo 600 dollari, senza nemmeno avere la certezza di non essere consegnato ai militari. I russi non mi conoscevano. Ho avuto quindi la prova del fatto che i soldati russi vendono tutto. Quello russo è un esercito che non ha strettamente alcun principio se non quello di far dei soldi a spese della popolazione. La corruzione si infiltra a ogni livello. Gli ufficiali superiori si mettono in tasca i finanziamenti per la ricostruzione e si dedicano ai traffici più importanti: come ad esempio quello delle armi con la resistenza. C'è poi chi assicura il trasporto dei feriti negli ospedali occidentali, sempre in cambio di soldi. E infine, in basso, c'è chi organizza i rapimenti e la vendita dei cadaveri ceceni alle famiglie che vogliono assolutamente recuperare i corpi dei propri famigliari per poterli interrare nel loro villaggio.

Anch'io ho assistito alle retate. Me ne ricordo una che avveniva in un luogo vicinissimo a quello in cui ero nascosto. Mi chiedo ancora per quale ragione non mi abbiano preso. I giovani sequestrati nelle retate dall'esercito russo vengono venduti. Esistono addirittura delle tariffe, sono esposte nei comandi militari che sorvegliano i villaggi: a seconda della somma che la famiglia riesce a pagare e del tempo impiegato a riunire i soldi le vittime vengono rese alle famiglie vive, o in fin di vita, o torturate o morte. Alcuni ceceni uccisi dai russi sono restituiti a pezzi in cambio di un pagamento a rate.

Ci sono altri fenomeni che sono apparsi in seguito, dopo il mio viaggio: ad esempio "i fagotti umani". La truppa russa riunisce alcuni abitanti dei villaggi uomini, donne, adulti, bambini, li lega assieme in gruppi di 20 o 30 persone e li fa esplodere. La situazione è peggiorata con il passare del tempo. I ceceni in questo momento sono nella più grande disperazione. I giovani non hanno alcun'altra soluzione se non quella di arruolarsi nella resistenza. Se non ci vanno corrono ancora maggiori rischi. Rimarrebbero a disposizione dei russi per le retate. Gonfierebbero il loro macabro fatturato. Di fuggire non se ne parla. È praticamente impossibile. Non hanno nessun mezzo, e tutti i paesi democratici rifiutano regolarmente di concedere visti ai ceceni. Per un giovane non c'è alcuna altra soluzione che la guerra. I soldati russi dichiaravano di diffidare "più degli amici ceceni che dei nemici ceceni". Quello che si sente nell'aria è che i soldati di Mosca muoiono di paura e per questo si trasformano in bestie di una brutalità indescrivibile: rubano, stuprano, fanno retate, massacrano. Non posso dirvi in quali posti sono andato, la gente che mi ha accolto sarebbe ammazzata. Ho circolato un po' in tutta la Cecenia. Mi sono nascosto. Sono rimasto nascosto a lungo. Non sono riuscito a raggiungere due soli luoghi: Grozny e il posto dell'appuntamento che mi aveva fissato il presidente ceceno Aslan Maskhadov. Ci siamo visti da lontano alcune volte, ma entrambi eravamo troppo scortati da lontano dai russi. Impossibile avvicinarsi l'uno all'altro.Grozny era una capitale di 400 mila abitanti. Oggi ne rimangono 50 mila.Guardando la distruzione dei villaggi attorno posso immaginarmi il paesaggio di quella città. Tutta la Cecenia è stata bombardata, e poi schiacciata dai carri armati. Non c'è mai stato alcun combattimento corpo a corpo e si sa che le bombe non sanno ancora distinguere fra un militare e un civile. E non fanno nemmeno la differenza fra un ceceno e un russo. La metà della popolazione di Grozny era russa. Questa sporca guerra esprime la volontà di sterminare una popolazione. È come se la Francia durante la guerra in Algeria avesse bombardato e raso al suolo Algeri, utilizzando le navi della Marina. Guardando la desolazione che mi circonda ho pensato che la sola capitale rasa al suolo nella sfera europea prima di Grozny è stata Varsavia. Era il 1944 e c'era Hitler. Oggi in Cecenia la gente ritrova la propria memoria. È una civilizzazione orale. Sono alfabetizzati, certo, sanno leggere ma non ci sono molti giornali. Hanno ritrovato alla luce della guerra la memoria dei loro antenati che non avevano parlato della deportazione fatta da Stalin. Volevano dei figli tranquilli, calmi per questo non hanno caricato la loro memoria con i ricordi della deportazione nei Gulag. Ora, in un sol colpo, tutti si sono messi a parlare e i ceceni ritrovano questo sentimento di resistenza secolare. L'unica cosa che li unisce. A parte questo, sono divisi: fra di loro c'è una stretta minoranza di islamici, ma la maggioranza della popolazione non è per nulla islamica. Anche fra i combattenti: la maggioranza è credente, ma non estre mista o fondamentalista.

Ho chiesto al responsabile di un gruppo di resistenti quale fosse la sua opinione sul terrorismo. Mi ha risposto che la tradizione militare dei ceceni era il terrorismo, se si vuole chiamarlo in questo modo, ma unicamente contro i militari, non contro le popolazioni civili. Ha aggiunto che aveva conosciuto e vissuto con dei russi e che non considerava tutti i russi come dei nemici. I ceceni considerano nemici solo l'armata russa quando si trova in Cecenia. Questo è il ritratto fatto dalla generazione di coloro che hanno più di 20anni.

Per quelli invece più giovani che non hanno conosciuto nient'altro che la guerra e che identificano i russi come nemici, le cose rischiano di essere diverse. In Cecenia nessuno mi ha nascosto il rischio che si corre. C'è un copione afgano. Per dieci anni i russi hanno depredato, distrutto e ucciso in Afghanistan. Poi, fra le rovine si sono installati i gangster più pazzi e fanatici. La storia lega due massacri. Le Twin Towers prima di essere distrutte a New York sono state distrutte a Grozny. Solo che là nel ruolo di Bin Laden c'era Putin. L'esercito russo ha raso al suolo una città, come Bin Laden ha raso al suolo le Torri gemelle. I ceceni sono stupiti del silenzio delle democrazie occidentali. Me ne hanno parlato in continuazione. Ogni volta mi hanno chiesto perché l'Occidente lascia che il loro martirio avvenga in questa terribile e assoluta solitudine. In tv, da uno dei villaggi ceceni, ho visto il viaggio a Roma e in altre capitali europee di Putin. Mi sono scandalizzato anch'io dell'accoglienza,con tanto di tappeto rosso spiegato, fatta a quest'uomo colpevole di aver messo in moto una pulizia etnica almeno quanto il serbo Slobodan Milosevic. I ceceni hanno capito allora che chi si fa massacrare non ha diritto di stampa. Nessuno parla di loro. Dei loro figli. Ed hanno avuto 3 mila bambini ammazzati dall'inizio della seconda guerra e 4 mila storpiati a vita. Nessuno ne parla. Invece poi, quando i massacrati rischiano di diventare massacratori, come nel teatro di Mosca, allora ecco arrivare tutta la stampa occidentale. Credo che anche noi abbiamo una parte di responsabilità. Il silenzio occidentale spinge al crimine almeno quanto la brutalità russa.I ceceni con me sono stati adorabili, visto che ero fra di loro, per educazione hanno addirittura pensato che gli occidentali se ne stanno zitti solo perché non sanno nulla di quel che succede in Cecenia. In realtà sanno che sappiamo. Un'immagine che non mi toglierò mai più dalla testa è quella delle madri di famiglia consapevoli che i loro figli moriranno qualsiasi cosa essi facciano. Lo donne fanno tutto: costruiscono case, sostengono la famiglia, commerciano. E poi sono ospitali. Mi hanno ricevuto a loro rischio e pericolo. In Cecenia un occidentale è un pacco molto ingombrante. Rischiano la vita. Mi hanno nascosto e intanto pensavano che io me la sarei cavata e mentre i loro figli non avrebbero potuto farlo. I figli li contano: raccontano di quello che ha perso una gamba e dell'altro che è morto... Provano un dolore assoluto in una solitudine assoluta. Credo che questo possa portare al disastro totale. Se un commando di 50 persone riesce a organizzare un assalto a un teatro nel centro di Mosca, a qualche centinaia di metri dal Cremlino, è evidente che qualsiasi commando può organizzare una carneficina, ad esempio attaccando una centrale nucleare o un centro petrolifero. La soluzione a disposizione di Putin è una sola: negoziare con Maskhadov, che se non gode di un'autorità militare ha invece un'autorità morale. I ceceni sono molto indipendenti anche riguardo ai loro capi e nessuno dirige veramente la resistenza cecena. Ma i negoziati devono essere fatti con lui: è il presidente eletto, è relativamente moderato e ha sempre cercato di non esasperare le azioni cecene. Ovviamente, ha anche sempre disapprovato l'attacco russo contro i civili. Ormai ci sono solo 800 mila ceceni viventi. Se li si confronta ai 150 milioni di russi non si può dire che la loro indipendenza o autonomia possa trasformarsi in un pericolo per la Russia.

Il pericolo vero, invece, e non solo per i russi, ma per tutti noi, è quello di rendere pazzi di disperazione e di sofferenza i ceceni. Loro non sono pazzi di Dio, sono pazzi di disperazione. Bin Laden ha attaccato le due torri ammazzando tutti, senza alcuna possibilità di negoziato. I ceceni hanno attaccato il teatro a Mosca e hanno chiesto di negoziare. Poi è successo quel che è successo. Del resto anche Putin lo sa: tutte le guerre coloniali si sono concluse con la concessione di un'autonomia. Maskhadov non chiede più l'indipendenza, chiede solo che l'esercito russo lasci la Cecenia. Chiede la pace. È troppo?

 

Testo raccolto da Giacomo Leso ;)

Tratto da L'ESPRESSO http://www.espressonline.it

 

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