Sito Personale di Piero Strobino - Cardé provincia di Cuneo

 

Piero  Strobino

 

 


Cronistoria  dell'inquinamento


 

 

Il processo di inquinamento del Po nel tratto in oggetto, ebbe inizio verso la metà degli anni ‘60. All’inizio esso si manifestò sotto forma di un periodico ingrigimento dell’acqua. Subito si pensò potesse essere causato dall’estrazione di ghiaia in alveo ad opera delle numerose imprese estrattive sorte in località San Firmino di Revello, nei pressi dell’Abbazia Cistercense di Staffarda.

Però, col passare del tempo, si poté notare che l’ingrigimento aumentava di intensità e di frequenza, fino a diventare giornaliero, con le sembianze di una sostanza color latte, densa e puzzolente che non poteva certamente essere definita acqua e che nulla aveva a che fare con l’attività estrattiva. Risalendo il fiume, si poté constatare che a provocare tale fenomeno erano le acque del Rio Torto, un corso d’acqua di notevole portata che scende dalla Valle Varaita, raccoglie gli scarichi industriali, urbani ed agricoli dei comuni di Verzuolo, Manta e Saluzzo e li porta con sé fino alla confluenza col Po, proprio all’altezza della suddetta località San Firmino, anche se in riva orografica destra. Da un’ulteriore verifica, si poté appurare che a monte del comune di Verzuolo e della frazione Villanovetta, l’acqua del Rio Torto era limpida.

Poi, partendo da questo punto e scendendo fino alla confluenza col Po, Il Rio Torto non presentava più alcuna forma di vita riguardo alla ittiofauna ed anche la flora acquatica cominciava a presentare gravi segni di sofferenza.  Contemporaneamente, nel territorio di Cardé, cominciarono a deteriorarsi anche i corsi d’acqua minori, come il Tepice, la Lessia, il Riondino, la Bearlassa e la Bealera del Mulino, i quali hanno origine in territorio saluzzese e che inizialmente presentavano le stesse caratteristiche del Rio Torto. Come se non bastasse, a questo fenomeno andò ad aggiungersi l’inquinamento da liquami proveniente dai sempre più numerosi allevamenti di bestiame (in particolare di suini) spuntati sul territorio senza che nessuno si preoccupasse di valutarne l’impatto ambientale. Bisogna però ricordare che, a quei tempi, sia la sensibilizzazione verso i problemi dell’ambiente, che, di conseguenza, la sua conoscenza, sia la legislazione in merito, erano del tutto lacunose e lasciavano l’ambiente stesso alla mercé degli speculatori.

Oltretutto costoro godevano di protezioni a tutti i livelli, come possono testimoniare le numerose istanze portate avanti da alcuni privati che si sono concluse nel nulla, oppure, nel peggiore dei casi, addirittura col rischio corso da costoro di ricevere delle denuncie per calunnia! In breve tempo tutti questi piccoli corsi d’acqua subirono il processo di degrado fino all’ultimo stadio con la conseguente morte biologica.

Ovviamente, essendo affluenti del Po, contribuirono in modo determinante ad aumentare l’inquinamento del grande fiume.  Il degrado dell’acqua del Po, raggiunse il suo apice negli anni 70 quando, alla già citata “acqua bianca”, si aggiunse un altro fenomeno inquinante rappresentato da piccole particelle di una sostanza indefinibile che, accompagnandosi e mescolandosi ad un liquido (impossibile definirlo acqua) color grigio - piombo, denso e puzzolente, si attaccavano alla vegetazione acquatica e spondale, alle pietre ed alla ghiaia del fondo dell’alveo. Poi, nelle piccole anse, denominate “molli” dai pescatori locali, esse decantavano depositandosi sul fondo fino a formare uno strato melmoso e nauseabondo che non permetteva più lo scambio tra acqua ed aria, determinando così la quasi totale impossibilità di riproduzione delle specie ittiche, in quanto le uova, depositate in quel putridume completamente privo di ossigeno, andavano in putrefazione in pochissimi giorni. 

Di conseguenza alcune specie come il Temolo, lo Scazzone, la Lampreda e la Lasca erano pressoché scomparse, mentre altre come il Barbo, il Cavedano, il Vairone e la Trota Marmorata, cominciarono vertiginosamente a diminuire. Sopravviveva un certo numero di trote Fario ed Iridea per la massiccia opera di ripopolamento portata avanti dalle locali Società Pescatori. Come se non bastasse, ad aggravare ulteriormente la situazione ci si mise anche il torrente Bronda, un corso d’acqua che scende dalla valle omonima e confluisce nel Po un km circa a monte del Rio Torto e che, a cominciare proprio da quel periodo, ha subìto un graduale quanto inarrestabile peggioramento della qualità delle sue acque, interessate dagli scarichi provenienti dalle varie attività antropiche sorte sulle sue sponde, nonché, paradossalmente, da quelli provenienti dai depuratori di Pagno e Saluzzo, come provato dal documento stilato dall’Arpa di Cuneo in relazione all’anno 1997, reso pubblica nel gennaio 1998 con protocollo n° 246 ed avente come oggetto l’analisi della qualità biologica dei corsi d’acqua afferenti al fiume Po e del Po medesimo in territorio di Cardé. Nel frattempo numerosi insediamenti suinicoli nascevano anche nella bassa (zona Revello - Sanfront) e media (zona Sanfront - Paesana) valle Po, in totale dispregio delle leggi vigenti a quel tempo, in particolare alla legge Merli, che stabilisce in 40 quintali di bestiame vivo per ogni ettaro di terreno il rapporto da tenere per un omogeneo smaltimento dei liquami; questo rapporto vale per un insediamento di tipo agricolo.

Chi non dispone di questo rapporto, ossia non possiede il terreno necessario per lo smaltimento dei liquami in proporzione al bestiame, deve installare un impianto di depurazione ed il suo insediamento viene considerato di tipo industriale. Purtroppo, e questa particolarità é facilmente constatabile, in questa zona, ma non solo, molti allevatori non possiedono nemmeno un orto per l’insalata, né tanto meno un impianto di depurazione, eppure allevano migliaia di capi senza che le istituzioni competenti siano mai intervenute per far rispettare le leggi vigenti e regolarizzare il tutto. D’altronde, e non lo dico per difendere gli allevatori, in una vallata stretta come la Valle Po, é materialmente impossibile poter rispettare il succitato rapporto terreno - bestiame, proprio perché manca il terreno.

Allora si é trovato un escamotage, il solito compromesso all’italiana, che era stato adottato e che sussiste tutt’ora esclusivamente per compiacere la potente corporazione degli allevatori, visto che non ci risulta essere contemplato nella suddetta legge Merli: chi non ha il terreno, va ad affittarlo da altri magari anche a 20 - 30 km di distanza! Sarei proprio curioso di vedere se questi km vengono veramente coperti oppure se il contenuto delle cisterne viene rovesciato nel primo fosso o nel primo rio incontrato nel tragitto! Ed hanno anche ragione! Lo farei anch’io perché non voglio sembrare più onesto degli altri e sicuramente non mi farei 50 - 60 km col mio trattore a 20 km all’ora, impiegando ore e quindi perdendo tempo e soldi! Ma siamo seri, per piacere!  Meglio sarebbe allora fare una legge funzionale senza ricorrere a questi mezzucci e prendere in giro milioni di persone che, oltretutto, devono anche sopportare le conseguenze dell’inquinamento causato da queste arbitrarie immissioni nei corsi d’acqua.

Ritornando all’inquinamento del Po nel territorio in oggetto, c’é ancora da sottolineare che il tasso maggiore lo si aveva tra la confluenza col Rio Torto e la confluenza col torrente Ghiandone, in quanto, a valle di quest’ultima confluenza e grazie alla notevole portata d’acqua (alla confluenza paragonabile a quella del Po) del Ghiandone stesso, arrivato fin lì ancora limpido e puro dalla Valle dell’Infernotto, il grande fiume tornava a vivere. Ma tra le due confluenze il Po era praticamente morto, sia dal punto di vista della fauna che della microfauna ittica.

Gli unici momenti di sollievo che il fiume godeva, capitavano nei mesi estivi quando, vuoi per cause naturali (periodo di secca), vuoi per cause artificiali (captazioni per uso irriguo cui il Rio Torto era ed è soggetto) il Rio Torto stesso era (è) praticamente privo d’acqua o, per meglio dire, di quell’indefinibile liquido che scorreva nel suo letto e quindi non poteva più portare il suo terrificante contributo di morte. In questi mesi l’acqua del Po si presentava limpida anche se non pura perché, in ogni caso, persisteva l’inquinamento derivante dalle porcilaie (i colibatteri ed i colifecali non sono visibili ad occhio nudo...).

Racconterò ora alcuni episodi che ritengo emblematici di come a quei tempi venivano affrontati i problemi ambientali.

Un giorno d’estate del 1982, l’acqua del Po, oltre al consueto colore grigio - piombo accompagnato dalle solite minuscole particelle, emanava un penetrante odore di mosto. Al riguardo vale ricordare che tra le industrie del saluzzese c’erano e ci sono delle distillerie dedite sopratutto al trattamento di polpa di mele o pesche.

La conseguenza di quel tipo di inquinamento fu la morìa di una grande quantità di trotelle, temolini e delle altre specie presenti sul territorio. L’allora segretario dell’Associazione Pescatori di Cardé, accompagnato da due guardie giurate volontarie, risalì il corso del Po e poté individuare nel rio Torto, recettore degli scarichi di queste industrie, la causa del fenomeno inquinante. Avvisò il responsabile dell’Ufficio Igiene di Saluzzo, ma costui, nonostante tutte le assicurazioni, non fece effettuare alcun sopralluogo, ovvero nessuno di questo Ufficio si fece vedere.

Nel marzo 1978, precisamente il giorno 22, l’ormai quotidiana “acqua bianca” assunse proporzioni massicce. Era una cosa allucinante. I pesci venivano a galla boccheggiando e molti morivano. Telefonai in Provincia a Cuneo ( a quei tempi la competenza sulla salubrità delle acque era ancora dell’Amministrazione Provinciale e non dell’Ussl) e mi fu assicurato il pronto intervento. Nell’attesa andai a chiamare il Messo Comunale di Cardé ed insieme cercammo di fare un prelievo, ma non fu possibile effettuarlo tanto era il fetore che quel liquido denso e biancastro emanava! L’attesa comunque fu inutile, perché i responsabili provinciali non si fecero vedere. Così non fu possibile presentare denuncia ed io persi inutilmente una giornata di lavoro.

Il lunedì successivo, giorno di Pasquetta, il fenomeno si ripeté. Non fidandomi più delle istituzioni, pensai di affidarmi agli organi di stampa telefonando alla Gazzetta del Popolo, allora giornale di grossa rilevanza.  Purtroppo i risultati furono uguali: passai tutto il giorno ad attenderli invano, masticando rabbia e delusione. Ma non potevo rassegnarmi a lasciare che pochi individui potessero far scomparire così impunemente la vita dal più grande fiume d’Italia. E così, passato un certo periodo di sfiducia, ritornai a combattere la mia battaglia a difesa di quel grande patrimonio naturalistico, storico e culturale che l’ambiente fluviale del Po rappresenta per i nostri paesi e le nostre genti.

Nell’aprile del 1984, grazie ai buoni uffici del futuro Senatore Giacomo Paire di Bagnolo, ottenni un colloquio con l’allora Ministro dell’Ambiente On. Alfredo Biondi. Il Ministero per la tutela dell’ambiente era stato istituito proprio in quell’anno e questo mi fece pensare che le cose, nella nostra politica, cominciassero a cambiare, come in effetti è stato, anche se molto più a rilento di quanto sono cambiate in altri campi dove gli interessi speculativi, e quindi le ingerenze politiche, sono decisamente meno forti.... Al Ministro Biondi parlai della drammatica situazione di degrado in cui versava il nostro tratto di fiume (da non dimenticare a nemmeno 40 km dalla sorgente!) e gli consegnai una lunga relazione scritta, ottenendo la promessa di un suo diretto interessamento. 

In effetti, col passare degli anni, la situazione andò lentamente migliorando, in particolare cominciò a diminuire l’incidenza degli scarichi industriali che provocavano le conseguenze più nefaste, mentre non accennava a diminuire quella di natura urbana e organica. Reti fognarie fantasma, depuratori inadatti o subito obsoleti, un sempre crescente numero di insediamenti suinicoli non in regola con la succitata legge Merli, sono state la causa di questo perdurante tipo di inquinamento. La scarsa o nulla sensibilità delle amministrazioni locali verso i problemi dell’ambiente e le coperture (se non addirittura le connivenze...) delle istituzioni verso certe corporazioni sempre molto potenti, hanno fatto il resto, rallentando od annullando di fatto il processo di prevenzione contro l’inquinamento richiesto da più parti.

Nel 1990 la Regione Piemonte, unica in Italia, ha istituito l’Ente Parco del Po che nelle intenzioni avrebbe dovuto essere il trampolino di lancio per arrivare ad un corretto “uso” del territorio fluviale. Purtroppo, per le ragioni che ho citato prima, sopratutto per le feroci opposizioni delle amministrazioni locali e di certe potenti corporazioni, ciò non é ancora stato possibile, almeno per quanto riguarda il tratto cuneese. Quel poco che si é mosso é stato a livello didattico - informativo, ma più per iniziativa di piccole associazioni cosiddette ambientaliste (Amici del Po di Cardé e di Villafranca) o di semplici privati, che per diretto interessamento dell’Ente Parco.

Ed é proprio questo il punto: dovremmo essere noi cittadini, tutti indistintamente, al di là della politica ufficiale, a guardare all’ambiente con un’ottica diversa da quella avuta finora. Si deve capire che darsi da fare per salvaguardare la fauna, la flora, l’acqua e l’aria non significa lottare per qualcosa di astratto fine a sé stesso, ma significa salvaguardare la nostra stessa vita, la vita dell’uomo che dall’ambiente che lo circonda dipende in modo totale. Bisogna arrivare a capire l’importanza dell’equazione ambiente sano = uomo sano/ ambiente malato = uomo malato; cioè che solo con un ambiente sano l’uomo può ancora avere un futuro, migliorare la qualità della propria vita e tornare a quella gioia di vivere che molti oggi hanno perduto. Senza questo principio fondamentale, senza questa presa di coscienza popolare, la battaglia non sarà mai vinta e l’uomo é destinato a perdersi.

 

 


 

 

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