Sito Personale di Piero Strobino - Cardé provincia di Cuneo

 

Piero  Strobino

 

 


La  fauna  ittica


 

In questo tratto il Po é popolato dalle seguenti specie:  ANGUILLA,

BARBO, CARPA, CAVEDANO, LAMPREDA, LASCA, LUCCIO, SANGUINEROLA, SCAZZONE, TEMOLO, TROTA e VAIRONE.

 


ANGUILLA: Ordine Anguilliformi - Famiglia Anguillidi.


Il nome deriva dal latino ANGUIS - serpente - con evidente riferimento alla sua forma (ANGUILLA ANGUILLA). Il maschio non supera mai i 50 cm di lunghezza ed i 500 gr di peso e vive al massimo 15 anni. La femmina, invece, supera i 50 cm con punte fino a 150 cm. Il suo peso medio é di 2 kg, ma può raggiungere anche i 5 kg. Da adulta viene denominata capitone e può vivere fino a 50 anni. Per raggiungere età così vetuste, e questo vale anche per il maschio, bisogna che accada qualche imprevisto che ne impedisce il ritorno al mare. Se ciò accade, nell’anguilla scompare l’istinto sessuale ed essa diventa sedentaria. Negli induvidui giovani il colore può variare: sul dorso dal grigio - verdastro al marrone cupo, sull’addome dal bianco al giallastro. Dopo 8 anni di insediamento nelle stesse acque, l’anguilla raggiunge la maturità sessuale e la livrea assume i colori nuziali: il dorso diventa nero, i fianchi e la pinna dorsale si fanno rossicci, mentre il ventre assume una colorazione argentea.

Come avvenga la riproduzione di questo pesce é tutt’ora un mistero; al riguardo, infatti, esistono molte teorie e tra queste la più accreditata é quella del danese Schmidt (1922). Secondo questo studioso, le anguille si riprodurrebbero nel mar del Sargassi, una zona dell’Oceano Atlantico compresa tra le Antille e le Azzorre, a 500 mt di profondità. Qui gli adulti depongono le uova, poi muoiono. Le larve, appena nate, si dirigono verso le coste europee trasportate dalla Corrente del Golfo. Tra andata e ritorno é un viaggio di oltre 4000 km. Dall’aspetto iniziale trasparente, subiscono una profonda metamorfosi, diventando simili all’adulto (CECHE o CIECHE). Poi risalgono i fiumi arrivando a popolare stagni e paludi. Qui si stabilizzano fino al raggiungimento della maturità sessuale (che arriva verso il 13° anno) per poi riprendere a ritroso il viaggio dell’andata. L’anguilla é lucifuga, cioé rifugge la luce del sole. Nelle ore diurne se ne stà acquattata sul fondo, sotto i sassi e dove l’acqua é più profonda e quindi arriva meno luce, oppure tra la vegetazione acquatica. Al tramonto, da spietata cacciatrice qual é, lascia il suo rifugio e parte alla ricerca di piccoli pesci, ranocchi, girini, insetti, uova di altri pesci e, essendo onnivora, di qualsiasi cosa possa essere commestibile. L’anguilla sopravvive molto tempo fuori dall’acqua e non sono rari i suoi spostamenti da uno specchio d’acqua all’altro. La carne dell’anguilla é molto ricercata e fiorente è il mercato attorno ad essa (vedi Comacchio).

 


BARBO COMUNE: Ordine Cipriniformi, Famiglia Ciprinidi.


Il nome deriva dal tardo latino BARBUS, barbiglio, in quanto presenta sul muso un doppio paio di vistosi barbigli. Oltre al barbo comune (BARBUS BARBUS PLEBEIUS) esiste, in questo tratto del Po, anche il BARBO CANINO (BARBUS MERIDIONALIS).

Il barbo comune può raggiungere i 15 kg di peso ma, di regola, non supera i 7-8 kg. Va comunque precisato che nelle nostre acque é già raro pescare esemplari superiori ai 2 kg.

Il colore può variare a seconda dell’ambiente e dell’età ma, generalmente, va dal verdastro - marrone sul dorso fino a sfumature di un bianco - giallastro sul ventre. Le pinne alle estremità sono rosse. La riproduzione avviene in tarda primavera - inizio estate; le uova sono leggermente tossiche. La carne di questo pesce é di qualità intermedia e utilizzata sopratutto per metterla in "carpione": viene cioè fatta friggere in olio e foglie di salvia, poi, nel fondo di cottura, viene fatto bollire dell’aceto misto a cipolle, vino bianco, chiodi di garofano, sale e, se si vuole, pepe. Quindi si versa il tutto in una capace recipiente in vetro o porcellana e si lascia marinare per alcuni giorni prima di mettere in tavola.

 


CARPA: Ordine Cipriniformi, Famiglia Ciprinidi.


Originario dell’Asia o dell’Europa Orientale, questo ciprinide (CYPRINUS CARPIO) ama acque tranquille, ricche di vegetazione, non eccessivamente ossigenate e, vivendo molto sul fondo, con fondali abbastanza consistenti.  Proprio per questi motivi lo possiamo trovare esclusivamente nella parte finale del tratto cuneese del Po, vale a dire a valle della confluenza col Pellice nei territori di Faule, Pancalieri e Casalgrasso. Solo sporadicamente e probabilmente nei periodi post piena, é stata segnalata la sua presenza a monte di questa zona. Esistono molte varietà di carpe, ma le più comuni nelle nostre acque sono la "CARPA ERBIVORA" e la "CARPA a SPECCHIO"; entrambi hanno il corpo ovale e tozzo, comune a tutta la specie, ma, mentre la “erbivora” é ricoperta da una grande squamatura argentea, quella “a specchio” si presenta glabra e di colore violaceo, con solo qualche squame a ornarle qua e là il dorso. Essendo una grande divoratrice di parassiti animali e vegetali, in passato veniva usata nelle risaie come antiparassitario naturale e questo spiegherebbe la sua introduzione dall’Oriente; con l’avvento dei pesticidi e degli antiparassitari chimici la carpa ha perso questa funzione, ma é ugualmente riuscita ad adattarsi nelle nostre acque. Raggiunge dimensioni e pesi notevoli (a Pancalieri sappiamo di catture superiori ai 15 kg), ma la sua carne é poco ricercata e viene usata quasi esclusivamente per il “carpione”. Il suo periodo riproduttivo è stato individuato nel mese di giugno.

 


CAVEDANO: Ordine Cipriniformi, Famiglia Ciprinidi.


Questo pesce, grigio chiaro sul dorso ed argenteo sul ventre e sui fianchi, é molto diffuso. Vive sopratutto nei cosiddetti “molli”, cioè dove il fiume, curvando, forma delle grandi anse con acqua lenta. Il cavedano (LEUCISCUS CEPHALUS) non supera i 50 cm di lunghezza ed è ricoperto da notevole squamatura. Poiché non ha carne molto compatta, pesa relativamente poco. Nel tratto del Po in oggetto é rarissimo pescare esemplari superiori al kg. Il cavedano si riproduce tra la tarda primavera e l’inizio dell’estate. E’ un pesce onnivoro, tant’é vero che per catturarlo non si usano solo esche “carnali”, ma anche “vegetali” (ad esempio il frutto ben maturo del sambuco o il chicco del mais appena formato). In cucina non è molto ricercato e, cosa che del resto vale per quasi tutti i ciprinidi, viene generalmente usato per il “carpione”.

 


LAMPREDA:  Ordine Ciclostomi, Famiglia Petromizontidi.


Su questo strano pesce, molto simile all’anguilla ma che non supera quasi mai i 15 cm, ci sono ancora molte discordanze anche fra i ricercatori.  Quella che vive nel Po, fino a poco tempo fa si pensava fosse la "LAMPETRA PLANERI" o "LAMPETRA FLUVIATILIS", ma recenti studi l’hanno indicata come appartenente alla specie "LETHENTERON ZANANDREAI", che, a differenza delle altre, non é un parassita degli altri pesci e trascorre tutta la sua vita in acque dolci, non migrando mai verso il mare. Trascorre i primi anni della sua vita come larva cieca, nutrendosi di piccoli animaletti che vivono nei fondali fangosi del fiume; poi, attorno ai 5 anni, compaiono gli occhi e la dentatura, ma, nello stesso tempo, degenera l’intestino. Da questo momento non si nutrirà più, dedicando tutto il resto della sua breve vita da adulto allo sforzo riproduttivo. La femmina deporrà le sue uova (fino a 1500 o 2000) in una cavità nel fango e dopo tre settimane avverrà la schiusa.  Proprio per la sua particolarità di vivere sul fondo sabbioso dei corsi d’acqua, viene pescata esclusivamente con la zappa, rivoltando metodicamente il fondo stesso. Di carne pregiata, é da sempre molto ricercata in cucina, sopratutto per completare il “fritto misto” e, in passato, costituiva anche un’importante fonte di reddito per le popolazioni locali. Purtroppo, a causa dell’inquinamento e della conseguente progressiva distruzione degli habitat, la lampreda é praticamente scomparsa dalle nostre acque.

 


LASCA: Ordine Cipriniformi, Famiglia Ciprinidi


 

Pesce di colore grigio chiaro - verdastro sul dorso ed argenteo sul ventre e sui fianchi, non supera mai i 25 cm e si riproduce in primavera. É la cosiddetta "FËRSA o "MARSENGA" nel linguaggio dei pescatori locali. Una volta presente in grandi banchi, sopratutto nel periodo della riproduzione, é oggi pressochè scomparsa sia a causa dell’inquinamento che degli sbarramenti trasversali innalzati a valle del tratto in oggetto (diga di La Loggia e sbarramento sotto il ponte di Casalgrasso) che ne impediscono di fatto la risalita ai luoghi di riproduzione. Anche la Lasca (CHONDROSTOMA GENEI) viene usata in cucina quasi esclusivamente per il "carpione".

 


LUCCIO: Ordine Salmoniformi, Famiglia Esocidi.


E’ il cosiddetto "squalo di fiume" per la voracità e la furbizia che mette nel cacciare. Tuttavia é infondata l’accusa che vuole il luccio (ESOX LUCIUS) distruttore del tratto in cui vive. Infatti, come del resto tutti gli animali, esso uccide solo per necessità e mai per il solo gusto di uccidere, prerogativa, questa, dell’uomo. Può invece diventare dannoso se immesso fuori dal suo habitat naturale (es. corsi d’acqua nei quali non era presente in origine), perché può alterarne l’equilibrio biologico; ma questa particolarità vale anche per tutte le altre specie. Di colore verdastro sul dorso e sui fianchi, bianco sul ventre e con striature marmoree che ne attraversano il corpo affusolato in senso circolare, si distingue sopratutto per la caratteristica bocca a “becco d’anatra”, munita di poderosi denti.  Di norma raggiunge i 10 kg di peso, ma sono stati catturati esemplari di 35 kg per una lunghezza di 150 cm. Comunque, nel tratto in oggetto, non abbiamo notizia di catture superiori ai 6 kg. Nella caccia il luccio usa un sistema diverso dagli altri pesci: la sua prerogativa é quella di restare acquattato, immobile come un pezzo di legno sul fondo del fiume, mimetizzandosi con la vegetazione, per poi scattare velocissimo a carpire la preda che gli passa accanto, aiutato in ciò dalla aerodinamicità del suo corpo. Una volta afferrata la preda sul dorso, la rivolta e di solito la inghiotte iniziando dalla testa. Come tutti i grandi predatori, anche il luccio é cannibale e, oltre che di pesci, si nutre di rane, di piccole anatre e di gallinelle d’acqua, come é successo a me personalmente di vedere (cap.7). La carne é molto ricercata per la sua bontà e viene cucinata in svariati modi. La riproduzione del luccio avviene in inverno.

 


SANGUINEROLA: Ordine Cipriniformi, Famiglia Ciprinidi.


La sanguinerola (PHOXINUS PHOXINUS) é il famoso "BÒGIO" conosciuto dai pescatori locali. Pesce piccolissimo, difficilmente supera i 10 cm di lunghezza. E’ verde sul dorso ed argenteo sul ventre, ma diventa multicolore con tendenza al blu ed al rosso nel periodo degli amori. É molto ricercato per la bontà delle sue carni, vive in acque molto ossigenate e pure e, proprio per questo motivo, é sempre più raro e corre pericolo di estinzione, perlomeno nel tratto in oggetto.

 


SCAZZONE:   Famiglia Cottidi


Lo scazzone (COTTUS GOBIO), meglio conosciuto come magnarone, é la famosa "BÒTA o "NACIA" nel linguaggio dei pescatori locali. Raggiunge la lunghezza massima di 10 - 12 cm ed ha un aspetto buffo e sotto certi aspetti orripilante. Ha una testa molto grossa ed un corpo che si assotiglia gradatamente, in modo quasi conico, fino alla coda, ricordando, in un certo senso, i mostri siderali dei film di fantascienza. Si riconosce anche per la colorazione bruna sul dorso con effetti marmorizzanti, per il ventre giallo sporco e, sopratutto, per il muco che ne ricopre la pelle facendolo risultare viscido e sfuggente al tatto. Anche lo scazzone ama le acque molto ossigenate e pure e quindi anche lui corre il rischio di estinzione. E pensare che, nei tempi andati, era presente in così grande numero che, sopratutto nelle rogge o nei fontanili, veniva pescato infilzandolo con una forchetta sistemata in cima ad un bastone. Nonostante il suo aspetto, é molto ricercato per la bontà delle carni; molti pescatori lo ritengono superiore a qualsiasi altro pesce, specialmente se cucinato alla griglia o in “carpione”.

 


TEMOLO: Ordine Salmoniformi, Famiglia Timallidi.


   Endemico delle nostre acque (non per niente il tratto in oggetto é riconosciuto come “zona a temolo”), il temolo (Thimallus, thimallus), che si riproduce tra la metà dell’inverno e l’inizio della primavera, trova qui il suo habitat naturale sia per la natura del fondo, ancora sabbioso e ghiaioso e non melmoso, l’ossigenatura dell’acqua non più impetuosa ma nemmeno stagnante, e inoltre per la temperatura ancora piuttosto fredda. Molto bello a vedersi per la sua forma affusolata ed elegante, é riconoscibile anche dai profani per la pinna dorsale di un blu intenso che si apre a ventaglio sul dorso argenteo. Inoltre, appena pescato, si distingue per l’inconfondibile profumo di melone emanato dalle sue carni delicate e ricercatissime dai buongustai. Può raggiungere i 2-3 kg di peso ma, nel tratto in oggetto, é già difficile catturare esemplari superiori al kg. Negli anni `70, a causa del gravissimo inquinamento, ha rischiato l’estinzione essendo geneticamente e strutturalmente molto delicato (del temolo si potrebbe dire che é il segnalatore naturale del grado di inquinamento di un corso d’acqua). Poi, attenuatosi questo fenomeno, era ritornato in buon numero, ma attualmente sta nuovamente correndo un grosso rischio provocato sia dall’inquinamento e dalla scarsità dei controlli nella cosiddetta pesca sportiva che consente a pescatori senza scrupoli di catturarlo persino nel periodo di riproduzione, sia dalla forte diminuzione della portata d’acqua del Po negli ultimi anni, causata dalla scarsità di precipitazioni e dall’abnorme quantità delle captazioni ad uso irriguo. Infatti il grande fiume in questo tratto si è abbassato, come portata d’acqua in regime di secca, di almeno un metro; questo significa minor velocità, quindi meno ossigenazione, quindi assoggettazione a maggior riscaldamento dell’acqua stessa: in pratica non esistono più le condizioni ambientali necessarie alla sua sopravvivenza. Infatti é praticamente scomparso nella zona di Cardé dove il Po è ormai solo più un rigagnolo, mentre qualche esemplare viene ancora catturato più a valle (Villafranca e Pancalieri). Ora la Regione P.te ne ha proibito la cattura, ma è stato come chiudere la stalla dopo che i buoi sono scappati. Eppoi il problema non è la pesca ma, ripeto, le condizioni ambientali. Questa del temolo è una perdita gravissima per l’ecosistema fluviale in oggetto ed è il segnale di un cambiamento che potrebbe interessare l’altra specie endemica: la trota marmorata.

 


TROTA: Ordine Salmoniformi, Famiglia Salmonidi.


 

E’ la regina delle acque nazionali, nelle quali é presente in diverse specie.  Le più famose sono: la TROTA FARIO o trota di torrente (SALMO TRUTTA FARIO) che si riconosce per la livrea puntinata di rosso e che vive nella parte torrentizia dei fiumi; la trota di mare (salmo trutta trutta), così denominata perché compie grandi emigrazioni fino al mare come i salmoni; la trota di lago, o “lacustre” (Salmo trutta lacustris) che popola i laghi.  Quest’ultima é quella che raggiunge le dimensioni maggiori, arrivando anche ai 30 kg a differenza della trota di mare (15 kg) e della fario (10 kg). Nel tratto in oggetto sono però presenti solo la fario e la “marmorata”, che è considerata una sottospecie della fario ed alla quale ho dedicato un capitolo a parte. La trota (Salmo trutta) é un’abile cacciatrice ed é molto vorace; quando ha fame divora tutto quanto passa nell’acqua. Nello stomaco di una trota sono stati trovati dei bottoni e dei fiammiferi.  Inoltre, come il luccio, é cannibale. Negli ultimi anni un’altra specie di trota é comparsa nelle nostre acque e purtroppo anche nel nostro tratto: la TROTA IRIDEA (SALMO GAIRDNERI). Questa trota non é autoctona ma é originaria del Nord America ed è quella che viene maggiormente usata negli allevamenti perché offre maggiori garanzie di resistenza e quindi maggiori vantaggi dal punto di vista commerciale. Però, negli anni passati, essa veniva usata anche per il ripopolamento e questo ha provocato danni piuttosto gravi alle specie autoctone, in quanto, come tutte le specie alloctone sia a livello animale che vegetale, ha avuto un comportamento abnorme nello sviluppo; infatti è ormai stato appurato che non riesce a riprodursi e quindi non può nemmeno ripopolare; di conseguenza é risultata dannosa perché si limita a mangiare fino alla fine del suo ciclo vitale, determinando così un grave scompenso biologico nella vita dei corsi d’acqua dov’era stata immessa.  Purtroppo molti si ostinano a non dare credito a questa importante scoperta e continuano ad immettere trote iridee nei corsi d’acqua, attratti dal loro basso costo, quasi la metà rispetto alle trote fario e addirittura un terzo rispetto alle trote “marmorate”. Ultimamente una normativa regionale autorizza il ripopolamento solo se effettuato con specie autoctone, ma purtroppo, com’é uso in Italia, c’é sempre chi fà il “furbo” e non si accorge (o non gli conviene accorgersi...) del danno che produce. La trota iridea si distingue dalle altre per la sua forma più tozza e per una striscia violacea che le percorre i fianchi in senso laterale. Recentemente, sempre per la trota e sempre per meri motivi commerciali, é stato coniato un nuovo appellativo: TROTA SALMONATA. Viene usato per quelle trote che presentano una colorazione “rosata” della carne. In effetti non esiste la trota “salmonata” come specie, oppure sono tutte “salmonate” essendo salmonidi. Ma la colorazione della carne dipende esclusivamente dall’alimentazione e mi spiego: se in un determinato tratto di fiume é presente una cospicua popolazione di crostacei, tipo i gamberi di fiume, la trota, sia essa fario o iridea, nutrendosi di essi acquisisce la caratteristica colorazione tipica dei salmoni. É difficile, ad esempio, catturare trote “colorate” nei torrenti di montagna, proprio perchè lì mancano i gamberi o altri crostacei. Su questo equivoco hanno giocato e continuano a giocare i piscicoltori (e di conseguenza, ma non so quanto volontariamente, i pescivendoli), i quali vendono a prezzo maggiorato quelle trote alle quali hanno procurato la colorazione della carne nutrendole con mangimi a base di farina di crostacei. In realtà le qualità organolettiche di queste trote sono uguali a quelle nutrite con mangimi normali e quindi a carne bianca, anche se non posso escludere che i mangimi a base di farina di crostacei abbiano un costo maggiore e quindi giustifichino anche un prezzo di vendita maggiore. Comunque é scorretto parlare di trota “salmonata” o, perlomeno, é scorretto parlarne nei termini con cui viene presentata, termini finalizzati a scopi esclusivamente commerciali.

 


TROTA MARMORATA


Un capitolo a sé merita la trota marmorata, la vera trota autoctona, endemica del tratto in oggetto, la trota per eccellenza per la quale si stanno muovendo eminenti esperti del settore. La trota marmorata (SALMO TRUTTA MARMORATUS), può raggiungere taglie notevoli; non sono infatti rare le catture di esemplari superiori ai 70 - 80 cm di lunghezza per oltre 6 kg di peso, ma si presume che, in particolari condizioni ambientali, possa raggiungere il metro ed i 10 kg. Prende il nome dalla splendida livrea argentea con venature rosa molto simili a quelle presenti nel marmo.  Purtroppo il massiccio ripopolamento con trote fario (se non sciaguratamente con trote iridee) ha praticamente ridotto a zero il tratto di fiume cosiddetto ‘a marmorata’ (corrispondente al tratto ‘a temolo’), dove, per intenderci, dovrebbero vivere esclusivamente le trote marmorate. Questo sistema di pseudo ripopolamento con gli anni ha provocato un diffuso movimento di ibridazione tra le due specie, ma la trota fario stà per avere il sopravvento per via di una maggiore consistenza genetica. Di conseguenza la trota marmorata, da alcuni considerata (secondo me ingiustificatamente) una sottospecie della fario, stà correndo un oggettivo pericolo di estinzione. Per tentare di evitarlo la Regione ha di recente istituito una normativa secondo la quale i ripopolamenti dovrebbero essere fatti esclusivamente con specie autoctone e endemiche del luogo nel quale viene effettuato, ma il condizionale é d’obbligo perché, in assenza di controlli seri (vedi cap. precedente), il provvedimento di salvaguardia resta tale solo sulla carta. Inoltre si dovrebbero creare delle strutture adatte (i cosiddetti incubatoi di valle) per l’allevamento in cattività di questa preziosa specie, cosa anche questa piuttosto aleatoria (per il momento l’unico incubatoio di valle autorizzato ad allevare un certo numero di trote marmorate si trova a Luserna San Giovanni, in Val Pellice, P.cia di Torino).

Quindi, anche per chi é animato da tutti i migliori propositi, resta molto difficile riuscire a procurarsi avannotti o esemplari già adulti di trota marmorata. Comunque qualche risultato si è già avuto e solo proseguendo su questa strada si potrà evitare l’estinzione di una specie che é patrimonio esclusivo delle nostre acque e poter così mantenere intatto quell’equilibrio biologico al quale troppe volte, per ragioni di immediata convenienza o per disinformazione, si é attentato. Come per la trota fario, anche per la marmorata la riproduzione avviene tra l’inizio dell’autunno e la prima metà dell’inverno.

 


VAIRONE:   Ordine Cipriniformi, Famiglia Ciprinidi.


Il vairone (LEUCISCUS SOUFFIA), più conosciuto come “MOZZELLA”, ama le acque correnti molto ossigenate e con fondo ghiaioso ed il tratto in oggetto presenta tutte queste particolarità. Pertanto questo simpatico ciprinide é la specie ittica più presente come numero di esemplari, pur avendo dovuto anch’esso pagare un pesante tributo all’inquinamento e, probabilmente, anche al sistema errato di ripopolamento perpetrato in tutti questi anni. Il vairone vive in banchi e la riproduzione dovrebbe avvenire in primavera. Uso il condizionale perchè ho avuto l’opportunità di pescare esemplari in stato di incipiente riproduzione in tutte le stagioni dell’anno, ad esclusione dell’inverno. Il vairone é piccolo; infatti raggiunge i 24 - 25 cm solo in casi molto rari, mentre la media é sui 12 - 13 cm. Per quanto concerne il suo uso in cucina, vale quanto detto sullo scazzone.

 


 

Oltre alla fauna ittica, molto ci sarebbe da dire anche sulla microfauna, ma é un mondo talmente ampio che forse nemmeno un ittiologo o un biologo potrebbe affrontarlo nella sua completezza.

   Mi limiterò pertanto a citare i due individui più noti, del tratto in oggetto, di questo mondo variegato; uno é il "CRÒCIO", definizione dialettale del GAMBERO di FIUME (AUSTROPOTAMOBIUS PALLIPES ITALICUS), l’altro é il “PÒRTA FASS”, definizione dialettale della LARVA di TRICOTTERO.

  Quest’ultimo vive il suo stato larvale in un involucro protettivo che si costruisce con la sabbia del fondo del fiume (PÒRTA FASS dle PERE) o con minuscoli pezzettini di legno (PÒRTA FASS dël BÒSCH).  Purtroppo, sempre a causa dell’inquinamento, sia il pòrta fass che il cròcio sono quasi estinti.

 

 

 


 

 

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