STUDIO LEGALE AMATI

 

Avv. Silvia Amati

Dott. Roberto Amati

 

 

 

 


 

 

Documenti: Tesi di Laurea

 

Concussione per Induzione

di Silvia Amati

 

1° CAPITOLO : DIRITTO PENALE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE.

 

1. IL BENE GIURIDICO NEI REATI CONTRO LA P.A. TRA  CODICE ROCCO E COSTITUZIONE.

 

La legge n° 86 del 26 aprile 1990 ha ampiamente riformato il titolo II del libro II del codice penale ( “ Dei delitti   contro la pubblica   amministrazione “ ) rispetto alla originaria formulazione   del 1930.

Per comprendere  le ragioni della riforma ( auspicata da diversi decenni ) è opportuno considerare  che con l’entrata in vigore della Carta Costituzionale ( 1948 ) nuovi principi fondamentali erano stati posti alla base dell’ ordinamento statale , mentre il codice Rocco manifestava  ( e in gran parte ancora manifesta   nello stesso criterio classificatorio dei beni giuridici ) una impronta ideologica tesa alla massima valorizzazione dello Stato.

Come noto , lo scopo essenziale del diritto penale consiste nella protezione di interessi giuridici , interessi che  una concezione meno recente  ( cd. “ liberale “ )  considerava  “ preesistenti  “ alla valutazione del legislatore e idonei a garantire la rispondenza tra realtà sociale e disciplina normativa. Sosteneva infatti v. LISZT che “ il contenuto antisociale dell’illecito è indipendente dal suo giusto apprezzamento da parte del legislatore. La norma giuridica lo trova, non lo crea “.[1] Questo perché  il  diritto , e in particolare il diritto penale, soddisferebbe bisogni sociali che si impongono come preesistenti alla disciplina giuridica. Tale concezione             “ materiale “ del bene giuridico presentava , tuttavia , dei limiti , nel momento in cui non riusciva ad indicare i criteri necessari  a selezionare i suddetti dati  “ pregiuridici “ .

Venne così elaborata una seconda concezione                           -  cd. “ metodologica “  - nell’ambito dell’indirizzo cd. tecnico-giuridico. In particolare , secondo ARTURO ROCCO che ne fu uno dei massimi propugnatori , la determinazione del concetto di bene giuridico ( o “ oggetto giuridico “ secondo la sua   terminologia ), non andava fatta in base a situazioni                       “ pregiuridiche “ -  potenzialmente vincolanti in sede di selezione legislativa dei fatti punibili  - bensì in base alle valutazioni normative già compiute dal legislatore ; per cui il concetto di bene finiva col coincidere con l’oggetto di tutela di una norma penale già emanata. [2]  L’impostazione di  ROCCO  -  come evidenziato da  FIANDACA  e  MUSCO  -  era indicativa del processo di              “ formalizzazione  “  che la teoria del bene giuridico aveva subito in un’epoca di esasperato positivismo e tecnicismo giuridico : “ Se la nozione di bene giuridico si spoglia di ogni referente pregiuridico , ciò significa che la teoria del bene perde ogni funzione  “ critica  “ di limite al potere punitivo dello Stato ; ed essa si formalizza proprio perché rinuncia a ricercare contenuti materiali o ideali , tali da poter essere assunti a criteri potenzialmente vincolanti per le scelte di tutela compiute dal legislatore “. [3]

Inteso in questi termini il bene giuridico è andato a costituire il criterio organizzativo della parte speciale del codice Rocco ( libri II e III ). Sostiene infatti a tale proposito la Relazione al Re : “ La classificazione dei reati in categorie più o meno vaste ( titoli, capi, sezioni ) è stata fatta in base al criterio dell’oggetto giuridico (interesse leso) dei reati medesimi : elemento sistematico essenziale, col quale soltanto si può evitare l’empirismo di altri sistemi legislativi. La categoria maggiore ( titolo ) è costituita in base alla più generica considerazione dell’interesse tutelato             ( es. delitti contro la persona ) ; la categoria intermedia ( capo ) si fonda sopra una specifica considerazione dell’interesse medesimo            ( es. delitti contro la libertà individuale ), e la categoria minore       ( sezione ) è formata col criterio di una considerazione ancora più particolare dello stesso interesse ( es. delitti contro la libertà   morale ). Si perviene così all’unità elementare ( articolo ) nella quale l’interesse che qualifica tutta la classe  è considerato in modo del tutto specifico e tale da non consentire ulteriori distinzioni  “.

Peraltro va notato che il criterio classificatorio del libro II del codice penale, relativo ai delitti in particolare, segue una                “  progressione discendente  “ , prevedendo per primi i delitti contro la personalità dello Stato, articolati in tre titoli che sono nell’ordine : personalità dello Stato , pubblica amministrazione, amministrazione della giustizia ; passa poi a disciplinare i delitti contro la persona e si chiude con i delitti contro il patrimonio.         “ In sostanza “ , come sottolineano  PADOVANI  e  STORTONI  , “ si muove dai beni pubblici a quelli privati, collocando al vertice gli interessi attinenti alle funzioni sovrane ( nell’ordine : personalità dello Stato ; pubblica amministrazione ; amministrazione della giustizia ), a ridosso di questi gli interessi pubblici coinvolti nell’esercizio della sovranità o ad essa correlati ( i delitti contro il sentimento religioso, in quanto diretti contro la     “ religione dello Stato “ o i “ culti ammessi nello Stato “, nella logica del connubio fra “ trono “ e “ altare “ ; i delitti contro l’ordine pubblico, in quanto espressivi di sovversione interna, ancorchè non qualificati politicamente : in tal caso, interverrebbero le disposizioni dei delitti contro la personalità interna dello Stato ). In posizione mediana vengono situati gli interessi di natura sociale o collettiva                  ( incolumità pubblica ; fede pubblica ; economia pubblica ; moralità pubblica e buon costume ; integrità e sanità della stirpe ), che il codice Rocco assume in una dimensione fortemente                “ istituzionale  “, com’è reso evidente dall’interativo ripetersi della qualificazione di “ pubblico “. Seguono da ultimo i delitti contro la famiglia, la persona e il patrimonio, nei quali si realizza la tutela degli interessi meno rigidamente ancorati alla pervasiva invadenza dello Stato  “. [4]

Tale classificazione evidenzia un processo di pubblicizzazione degli interessi e dunque,  la subordinazione funzionale della società civile e delle sue istituzioni, nonché dei rapporti economico - sociali e della stessa persona, alle esigenze superiori dello “ Stato etico “. 

In questo modo , secondo il   TAGLIARINI , fu abbandonato  il dualismo cittadino - Stato che aveva caratterizzato il codice  Zanardelli :  il  “ valore individuale “ si risolveva ormai nel superiore “ valore dello Stato “. In particolare , “ ridotta l’antinomia società - individuo, sulla quale poggiava la concezione liberale, a pura apparenza verbale, il singolo tende a divenire un mero strumento dell’organismo statuale : in una parola, l’individuo viene privato della sua libertà, quanto meno politica  “. [5]

Facendo a questo punto un passo indietro, è possibile evidenziare il legame tra criterio classificatorio del bene giuridico e ideologia politica dominante, analizzando la sistematica del codice Zanardelli che, pur seguendo lo stesso modulo organizzativo basato sulla progressione discendente, adottato dal codice Rocco, sottintendeva  tuttavia una diversa ideologia politica.

Infatti, come hanno sottolineato PADOVANI e STORTONI,   “ non tutti i moduli organizzativi fondati sulla progressione discendente possono essere considerati simmetricamente equivalenti  “. [6]

Il codice Zanardelli, emanato il 30 giugno 1889, fu il primo codice penale dell’Italia unita. Orbene anch’esso risultava strutturato secondo una progressione discendente collocando all’inizio della parte speciale i delitti “ contro la sicurezza dello Stato ( distinti in  delitti contro la patria “ ; delitti contro i poteri dello Stato  “ e “ delitti contro gli stati esteri e i loro Capi e rappresentanti  “ ). Subito dopo , tuttavia , vi si collocava il titolo dei delitti “ contro la libertà  “ ( comprensivo dei delitti “ contro le libertà politiche “,    contro la libertà dei culti  “, “  contro la libertà individuale  “,    contro la inviolabilità del domicilio  “ ,  “ contro l’inviolabilità dei segreti “ , “ contro la libertà del   lavoro “ ) evidenziandosi in tal modo un legame indissolubile tra   “ sovranità  “  dello Stato e  “ libertà “   dei cittadini. Nella specie    -  osservavano  PADOVANI e STORTONI  - “ si sottolineava come il senso primo dell’autorità politica si cogliesse non nel primato totalizzante dell’organismo statuale, ma nella salvaguardia dei diritti politici e delle libertà fondamentali della persona  “. [7]

Ciò in quanto , non diversamente dal codice Rocco , il codice Zanardelli rifletteva nella sistematica adottata l’ideologia politica in quell’epoca dominante ( liberalismo ).

Tornando al codice Rocco , si è detto che al  vertice della parte speciale sono collocati i delitti contro la personalità dello Stato, ma è opportuno rilevare come essi non siano diretti a tutelare beni giuridici di natura politica, quanto piuttosto a sancire l’intangibilità di una volontà superiore, che non può e non deve essere contraddetta da comportamenti alternativi. Reati quali l’ attentato alla Costituzione,  l’insurrezione armata contro i poteri dello Stato, la guerra civile, non minacciano una lesione alla “ personalità dello Stato “, non mettono in discussione la sopravvivenza dello Stato come istituzione, bensì preludono ad una modifica dei rapporti di potere politico, ad uno sconvolgimento dell’assetto istituzionale. D’altronde , come rilevano  PADOVANI e STORTONI , “ la personalità dello Stato non può in effetti costituire propriamente un bene giuridico  “ e dunque “ le varie fattispecie criminose inserite nel titolo non mettono in discussione la sopravvivenza dello Stato come istituzione   ma evidenziano “  l idea di una volontà politica superiore che non può e non deve essere vulnerata da condotte essenzialmente concepite come sintomi di disobbedienza “. [8]  Tale conclusione è avvalorata da due circostanze : la prima è che le fattispecie più gravi del titolo hanno un carattere monosoggettivo, mentre è chiaro che per realizzare determinati eventi, quali guerra civile o mutamento della forma di governo, bisogna ricoprire elevatissime cariche costituzionali, oppure disporre di un alto grado militare, ovvero associarsi con altri per realizzare lo scopo criminoso. In secondo luogo il titolo I non prende minimamente in considerazione casi di criminalità politica interna ai meccanismi di potere, ma contempla soltanto casi di aggressione esterna, da parte di chi non sia detentore di potere  politico.   Pertanto , secondo gli autori citati , “ la scelta normativa corrisponde all’idea che la formazione o la espressione della volontà politica sovrana siano di per sé sottratte ad ogni sindacato e ad ogni regola valutativa, ed anzi procedano e condizionino l’interesse politico, senza esserne condizionate, formino la regola dell’attività politica, senza esservi soggette. Il primato riconosciuto alla tutela della personalità dello Stato nel quadro organizzatorio della parte speciale non è quindi solo una “ bandiera ideologica “ : esso si realizza compiutamente, nella struttura normativa, come “ diritto penale politico “ di uno Stato totalitario ispirato all’idea del monolitismo e proteso alla repressione di ogni forma di dissenso  “ esterno “  ai meccanismi di potere  “. [9]

L’atteggiamento statolatrico che pervade il titolo I trova un diretto riscontro anche nel titolo II , indirizzato alla tutela della pubblica amministrazione , e che si divide in due capi intitolati rispettivamente : “ Delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione “ e “ delitti dei privati contro la pubblica amministrazione “ . Anche qui risulta evidente la subordinazione dell’individuo alle esigenze superiori dello Stato laddove  l’oggetto giuridico tutelato si individua nel prestigio e nel normale funzionamento della stessa, nonché nella fedeltà dei suoi dipendenti. Il prestigio della pubblica amministrazione assurge a    “ ratio “ determinante ed esclusiva di tutela ed, in particolare, come osservò il  BRICOLA , nei delitti dei pubblici ufficiali viene a fungere “ da formula nebulosa sostituentesi ad un’oggettività indefinita  “. [10]

Nella Relazione al  progetto si legge , infatti , che : “ In ciascuna delle due categorie di delitti    ( dei pubblici ufficiali, dei privati ), la più avveduta ed efficace tutela penale della pubblica Amministrazione, in rispondenza con i mutati ordinamenti e istituti di diritto pubblico, si concreta, oltre che nell’inasprimento delle sanzioni per taluna specie di delitti, anche, e principalmente, nella maggior precisione, organicità ed estensione delle norme relative a titoli criminosi già attualmente preveduti nel Codice penale, nella determinazione di nuove configurazioni di delitti, e, infine, nella eliminazione di norme non più rispondenti alla odierna concezione dello Stato fascista “ [11] ; e più oltre :  ” Alcuni altri delitti contro la pubblica Amministrazione possono raccogliersi intorno al concetto fondamentale dell’inadempimento di doveri d’ufficio ( articoli 333 e 334 ). Non è tollerabile in qualsiasi Stato - tanto meno in quello rispondente ai requisiti di energia e di disciplina del Regime fascista - la inerzia o la dolosa riluttanza di coloro che, chiamati ad una pubblica funzione o ad un servizio pubblico, hanno il dovere di adempiere, con il necessario zelo e con lealtà di condotta, gli obblighi inerenti  “. [12]

Allo stesso modo  l’APPIANI , nella relazione introduttiva ai lavori preparatori , affermava  che “ la concezione profonda dello Stato fascista, i nuovi e complessi istituti di diritto pubblico, aventi piena rispondenza col poderoso assetto politico e giuridico dato alla Nazione, la più agile ed estesa facoltà di azione rivendicata al potere amministrativo, rendono manifesta la necessità di modificare le particolari norme del diritto penale in vigore, per armonizzarle con le più elevate ed imperiose esigenze dei pubblici ordinamenti  “. [13]

In conclusione ,  oggetto della tutela dei reati contro la pubblica amministrazione è il regolare funzionamento della P.A., intesa come soggetto ( ed in quanto tale rivestita di una dignità e di un prestigio ad essa conferito dalla natura pubblicistica ), e come attività concreta ( e, perciò, attività dell’ufficio e del titolare dell’ufficio ) .

La tutela delle funzioni sovrane si chiude con il titolo dedicato ai “ Delitti contro l’amministrazione della giustizia “ che è, secondo gli autori PADOVANI e STORTONI , il meno                 “ compromesso  “ con la dimensione ideologica del codice Rocco, anche se comunque  non del tutto immune da essa. “ Il vizio più appariscente di questo titolo deriva piuttosto da un evento sopravvenuto : essendo le fattispecie incriminatrici correlate, com’è ovvio, alla dinamica processuale, di cui tendono ad assicurare il corretto svolgimento, l’entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale ha provocato sfasature e vuoti di tutela che occorre al più presto eliminare  “. [14]

Tornando al titolo  II c.p. ed al  concetto di “ pubblica amministrazione “ quale oggetto giuridico tutelato , v’è da premettere che il concetto penalistico di “ pubblica amministrazione “ si differenzia da quello individuato nella dottrina del diritto costituzionale e del diritto amministrativo.

Tale dottrina si fonda sul principio - teorizzato dal        Montesquieu  -  della articolazione della  funzione pubblica statuale nelle tre funzioni fondamentali : legislativa,  amministrativa e giudiziaria  e , dunque nella separazione dei poteri.

Afferma a tal proposito il VIRGA che la funzione legislativa consiste nel porre regole generali e astratte ; la funzione amministrativa nel curare gli interessi pubblici, assunti dallo Stato come propri ; la funzione giurisdizionale nel valutare un comportamento umano in base ad una norma ; una quarta   funzione , quella di  governo , consiste  nel determinare l’indirizzo politico.[15]  Secondo tale dottrina la pubblica amministrazione può essere considerata oggettivamente, come funzione amministrativa, ovvero soggettivamente, come complesso degli organi preposti all’esercizio della funzione amministrativa. Trattasi dunque di una nozione ristretta di “ pubblica amministrazione “ come potere esecutivo.

Agli effetti della legge penale , invece , come puntualizzato dal RAMPIONI,  il concetto di pubblica amministrazione come oggetto di tutela, “ è da intendere in senso lato, e dunque comprensivo dell’intera attività funzionale dello Stato e degli enti pubblici “ [16] , quindi non solo dell’attività amministrativa in senso stretto, ma anche di quella legislativa, di quella giudiziaria e di quella di governo. Tale scelta  -  secondo l’Autore  -  trova fondamento in ragioni di ordine teorico-politico e normativo :        “ teorico-politico, quando si collega sostanzialmente la definizione unitaria del concetto in esame ai canoni del regime autoritario che, intendendo il principio di separazione dei poteri quale semplice criterio di distribuzione di attribuzioni o di competenze,  tende ad  una   progressiva “ centralizzazione “ della sovranità ; più strettamente normativo, allorchè si individua nel “ normale svolgimento delle funzioni statali ” la ratio dei delitti contro la pubblica amministrazione e si evidenzia in tal modo la posizione di preminenza rivestita dalla amministrazione pubblica in senso stretto e, particolarmente, dal governo nella formazione degli organi statali e nella realizzazione delle condizioni necessarie alla esplicazione di ogni attività funzionale dello Stato  “. [17]

Infatti  nella relazione ministeriale al progetto di codice penale si legge che  : “ Il concetto di pubblica amministrazione per quanto attiene ai reati compresi nel presente titolo, viene assunto nel senso più ampio, comprensivo dell’intera attività dello Stato e degli altri enti pubblici. Pertanto con le norme riflettenti i delitti contro la pubblica amministrazione, viene tutelata non solo l’attività amministrativa in senso stretto, tecnico, ma sotto un certo aspetto, anche quella legislativa e giudiziaria. Invero la legge penale, in questo titolo, prevede e persegue fatti che impediscono o turbano il regolare svolgimento dell’attività dello Stato e degli altri enti pubblici ........... La formula del progetto ha il merito di specificare che la pubblica funzione può esplicarsi in ogni campo dell’attività statuale, ad opera di ciascuno dei tre poteri dello Stato ; ossia :    nel campo legislativo, nel campo giudiziario e nel campo amministrativo, inteso quest’ultimo in senso stretto ( potere esecutivo )  ”. [18]

Così per il MANZINI  il termine “ pubblica amministrazione “ andava  assunto in senso lato, comprensivo di tutta la soggettività e di tutta l’attività funzionale caratteristiche dello Stato e degli altri enti pubblici, territoriali o istituzionali. “ Quindi oltre alla               “ pubblica amministrazione ” in senso stretto, la tutela penale si estende anche alla funzione legislativa e alla giurisdizione “. [19]       Il RICCIO , analogamente , affermava che “ vi è un concetto penalistico , in senso stretto, della p.a., limitato soltanto all’attività amministrativa, ma non è quello espresso dalle norme relative ai reati in esame. Qui la pubblica amministrazione viene concepita in senso ampio, in quanto si riferisce a tutta la attività dello Stato, e cioè allo Stato, considerato in rapporto alla legislazione , alla giurisdizione ed alla amministrazione . ” [20]

 In materia , comunque , non sono mancate  opinioni divergenti , quale quella del PANNAIN il quale , pur ammettendo che la nozione penalistica di pubblica amministrazione è  più ampia di quella di amministrazione in senso tecnico , purtuttavia sul piano oggettivo delle funzioni negò che essa potesse  ricomprendere anche le altre attività dello Stato :  “ la funzione legislativa e quella giudiziaria , come tali , sono sempre rispettivamente legislativa e giudiziaria, giammai amministrativa, neanche per entrare nella larga nozione del diritto penale. E’ sempre e soltanto l’organo che la esercita ad essere considerato facente parte della pubblica amministrazione. Si vuol dire cioè che la estensione del concetto riguarda il profilo soggettivo, non quello oggettivo, cioè specificamente  funzionale  “. [21] 

Nonostante la presenza di posizioni discordanti,  è  però chiaro, come afferma il TAGLIARINI , che  “ le norme contenute nel titolo secondo, libro II del codice penale, non intendono tutelare le singole amministrazioni , né la funzione amministrativa in senso proprio, ma lo Stato nella complessità di organi ed enti attraverso i quali agisce  “. [22]

Peraltro , tale equiparazione tra il concetto di pubblica amministrazione , intesa in senso lato , e quello di pubblica funzione , trova conferma  nell’articolo 357 c.p., vecchio testo ,  il quale individua la nozione di pubblico ufficiale sulla base del concreto esercizio di una pubblica attività funzionale, prescindendo dalla natura onoraria o impiegatizia del titolo di assunzione della funzione stessa :

 “ Agli effetti della legge penale sono pubblici ufficiali :

1) gli impiegati dello stato o di altro ente pubblico che esercitano, permanentemente o temporaneamente, una pubblica funzione legislativa, amministrativa o giudiziaria ;

2) ogni altra persona che esercita, permanentemente o temporaneamente, gratuitamente o con retribuzione, volontariamente o per obbligo, una pubblica funzione legislativa, amministrativa o giudiziaria “.  

Come osservato dal TAGLIARINI , siffatta definizione di    “ pubblico ufficiale “ , riferendosi sia ai pubblici impiegati che ai privati ( “ ogni altra persona  “  recitava il 2° comma dell’articolo ) intendeva ricomprendere nel concetto stesso ogni attività burocratica, purchè avente il carattere di pubblica funzione, ed anche ogni attività del privato, che sebbene  svolta all’esterno di un rapporto burocratico, implicasse  la titolarità di attributi o l’esercizio di attività caratteristiche della pubblica funzione. [23] Analogamente , secondo il RAMPIONI , l’articolo 357 c.p., col riferirsi sia ai pubblici impiegati che ai privati nell’offrire la definizione di pubblico ufficiale, sembrava “ palesare l’intenzione di ricomprendere in tale concetto non solo qualsiasi attività burocratica, espressione di una pubblica funzione, ma anche l’agire del privato tutte le volte che, pur svolgendosi al di là del rapporto burocratico, implichi la titolarità di attribuzioni o l’esercizio di attività peculiari della pubblica funzione. In sostanza , conformemente alla tradizione dottrinale , si opera  una equiparazione tra i concetti di pubblica amministrazione e di pubblica funzione sulla scorta del tenore letterale della norma in esame, la quale parla di impiegati o privati   “ che esercitano ........... una pubblica funzione legislativa, amministrativa o giudiziaria “. “ [24]

Per il TAGLIARINI , del resto , non sarebbe privo di significato il fatto che la definizione  di pubblico ufficiale ( e di pubblica funzione ) sia stata inserita nel titolo II del libro II, dedicato ai delitti contro la pubblica amministrazione. Una  collocazione che evidenzierebbe  l’intenzione del legislatore penale di equiparare i due concetti di pubblica amministrazione e di pubblica funzione ( ovviamente dal punto di vista della tutela penalistica ). [25]

Le norme sui delitti contro la pubblica amministrazione hanno dunque lo scopo di tutelare l’interesse alla normale esplicazione delle funzioni degli organi statuali.

Non bisogna però dimenticare che non tutte le norme previste dal titolo in esame sono applicabili alle funzioni legislativa e giurisdizionale, essendovene alcune riservate esclusivamente alla tutela della funzione amministrativa in senso stretto , e ciò in quanto  rientra nella sistematica del nostro codice penale il fatto che  in alcuni titoli vengano previsti dei reati che sono specificamente lesivi della funzione giurisdizionale o delle prerogative parlamentari, fermo restando che anche a tali funzioni sono applicabili in astratto la maggior parte delle norme previste dal titolo II del libro II ( destinato ai delitti contro la pubblica amministrazione ). [26]

Si era accennato in precedenza alla necessità di adeguare l’ordinamento penale  all’attuale assetto costituzionale. Se , infatti , da un lato l’accentramento di tutela ben si concilia con una visione autoritaria dei rapporti fra cittadino e Stato, dall’altro - come sottolineato da  PADOVANI e STORTONI -  “ riflette una realtà politica e istituzionale non conciliabile con l’ordinamento costituzionale repubblicano “. [27]

“ La Costituzione repubblicana , - ha puntualizzato il TAGLIARINI - pur avendo in parte mantenuto in vita il tradizionale assetto dei poteri, pur tuttavia ha compiuto una opera fondamentale di distinzione fra i poteri statuali, fondata non solo sulla diversità delle funzioni ad essi spettanti, ma anche sulla scelta differenziata dei valori - fine preposti agli stessi al fine di garantire la democraticità degli istituti e le libertà civili dei cittadini  “. [28]    

Ricorda a questo proposito l’ ALBAMONTE come , con la Costituzione repubblicana, fondata sulla sovranità popolare ed ispirata ad un ordinamento democratico pluralista, si fosse avviata la compenetrazione  tra  Stato - comunità e Stato - apparato , ed    in virtù di essa fossero stati enunciati i principi di democraticità dell’ordinamento , di autonomia , di imparzialità , buon andamento e legalità dell’azione della pubblica amministrazione. ” Tali principi ” , ha osservato l’ autore,  “ non solo hanno imposto una rivisitazione interpretativa dei delitti contro la pubblica amministrazione, in passato incentrati sulla tutela di interessi   propri dello Stato-apparato, quali il prestigio e l’intangibilità     della potestà autoritativa, ma hanno ispirato la nuova formulazione di tali delitti nella l. n° 86 del 1990, soprattutto con riguardo        alla  figura  dei  soggetti attivi.  I  suddetti   principi  sono  andati  a  costituire   l’oggetto  giuridico  dei   delitti  in   esame, cioè quei valori costituzionalmente significativi ai  quali va riferita l’offensività dei reati contro la pubblica amministrazione, e lo scopo stesso della norma punitiva. “ [29]

 Peraltro , con il passaggio dall’ordinamento monarchico a quello repubblicano, era cambiata la stessa conformazione giuridica dello Stato , da monolitica  e autoritaria  quale era stata  in democratica.

Ciò aveva comportato delle notevoli trasformazioni nell’attività della pubblica amministrazione , sia dal punto di vista strutturale che dal punto di vista funzionale : in particolare , quella che era stata la prospettiva unitaria e accentrata della pubblica amministrazione cedette gradualmente il passo ad un decentramento dell’organizzazione statuale e al consolidarsi di un vero e proprio sistema di autonomie su base elettiva.

 “ Gli interventi nei principali settori dell’economia e l’assunzione di nuovi compiti da parte di essa “ , ha notato al riguardo il  RAMPIONI , “ hanno fatto si che l’assetto amministrativo dello Stato repubblicano sia non solo radicalmente diverso da quello proprio dell’ordinamento precedente, caratterizzato da un dirigismo centralizzato e assolutistico, ma altresì in continua evoluzione, coerentemente al sempre più rapido mutare delle esigenze economiche e sociali del paese “. Prosegue ancora l’Autore : “ Lo Stato non circoscrive l’area del suo intervento ma diviene esso stesso fornitore di prestazioni ai cittadini : quasi ogni attività umana trova una corrispondenza in una qualche pubblica amministrazione. Si passa dallo Stato di diritto al cd. ” Stato sociale ”, in cui per gli innumerevoli compiti assunti l’amministrazione perde - ed oggi si parla di pubbliche amministrazioni - quella fisionomia unitaria che originariamente la caratterizzava.” [30]

 D’ altronde , la progressiva estensione dei compiti statuali alla cura di un numero sempre crescente di bisogni dei consociati ha determinato nel tempo la necessità di un organizzazione di tale complessità che oggi, come sostiene il  RAMPIONI , “ viene meno la possibilità di identificare con precisione funzioni , quali la legislativa , la giudiziaria , l’amministrativa , non più omogenee sul piano organizzativo  “. [31]

V’è da aggiungere poi, che l’intervento dello Stato in settori di attività ai quali in precedenza era rimasto estraneo, e dunque il proliferare delle funzioni attribuite all’amministrazione pubblica, ha portato ad una modificazione del tradizionale “ modus                operandi “ dell’organizzazione statuale che, accanto ai moduli pubblicistici , si è andata sempre più organizzando secondo schemi privatistici. Secondo il RAMPIONI ormai “ diviene normale .... per certe figure soggettive pubbliche, la utilizzazione di strumenti di diritto comune, e nei rapporti con i terzi e in quelli con i propri dipendenti, venendosi così ulteriormente a differenziare l’attività amministrativa d’imperio da quella peritetica, di gestione ; e si persegue l’economicità dell’impresa, si introducono nuovi criteri di valutazione e di controllo. Lo Stato scende, dunque, sul terreno dei privati, tende a mutuarne schemi organizzativi e modelli di attività, informa il proprio agire a criteri aziendalistici. ” [32]

Queste profonde trasformazioni non potevano non determinare una discrepanza tra la disciplina dei delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione come prevista dal codice Rocco del 1930 e la nuova concezione dello Stato e della Pubblica Amministrazione.

Sostiene a tale proposito TAGLIARINI che “ veniva così a porsi uno iato logico fra l’impostazione tradizionale dei penalisti e le nuove esigenze emergenti dall’evoluzione del fenomeno amministrativo alla luce dei principi costituzionali, e ciò si mostrava particolarmente presente nel delicato momento dell’individuazione dei valori oggetto di tutela da parte del diritto penale della pubblica amministrazione. In tal campo, infatti, la maggiore dottrina tendeva - e tende ancora - ad individuare l’oggetto della tutela, propria dei delitti contro la pubblica amministrazione, con riferimento a valori, quali la fedeltà, il prestigio ed il corretto adempimento dei doveri funzionali, che senz’altro erano adeguati alle antiche strutture dello Stato assoluto o di quello liberale borghese, ma che mostrano invece il loro limite intrinseco rispetto ai fini propri e peculiari dell’amministrazione democratica voluti dalla Costituzione, ed enucleati in termini di legalità , imparzialità e buon funzionamento “. [33]

Già negli anni ’60  - del resto -  il VASSALLI  sottolineava che “ la Carta Costituzionale è tutta un sistema di beni giuridici e, dunque, una politica dei beni giuridici ( necessitata in sede di riforma ) deve trarre indicazione dalla Costituzione, dall’insieme dei principi costituzionali che delineano i tratti tipici dell’ordinamento vigente ; specie nei casi in cui, il richiamo alla Costituzione, stante il carattere precettivo di alcune delle disposizioni in esame ( artt. 97 e 104   Cost. ), offre un vero e proprio sistema integrato e gerarchizzato di valori sulla scorta del quale operare deduttivamente una selezione dei beni meritevoli di protezione  “. [34]

Come sostengono FIANDACA e MUSCO , “ oggi la determinazione contenutistica dei legittimi oggetti della tutela penale non può  comunque prescindere da un aggancio ai valori costituzionali “ in considerazione del fatto che “ le elaborazioni della teoria del bene giuridico, via via prospettate nel corso del tempo, hanno inevitabilmente risentito delle concezioni della società e dello Stato di volta in volta dominanti  “. [35]

Fra i principi che la Costituzione pone alla base delle principali funzioni statuali, v’è anzitutto quello individuato dall’articolo  n° 54 della Costituzione , il quale , dopo aver affermato al 1° comma che ogni cittadino ha il dovere di essere fedele alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi ,   stabilisce al 2° comma :

 “ I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno

  il dovere di adempierle con disciplina e onore prestando

 giuramento nei casi stabiliti dalla legge “.

Così , mentre il primo comma fissa un dovere di fedeltà che spetta indistintamente a tutti i cittadini ( e pertanto anche ai funzionari ), il secondo comma, indirizzato solo ai cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche, collega per tali soggetti il dovere di agire con disciplina e onore alla prestazione del giuramento, volendo così attribuire un’efficacia sanzionatoria maggiore alla violazione del dovere di fedeltà commessa nell’assolvimento di pubblici uffici.

Peraltro , -  come  sottolinea il CARLASSARE  -   il dovere di fedeltà in questione è sempre collegato all’ufficio e non alle persone detentrici del potere. [36] Inoltre il giuramento non può costituire   la base di nuovi e diversi doveri in quanto esplica i suoi effetti essenzialmente sul piano morale ; nè può individuare , secondo  il  RAMPIONI , un canone generale di comportamento che sia in grado di unificare le diverse funzioni statuali, per lo meno dal punto di vista dei soggetti. Infatti la Costituzione repubblicana ha abolito l’articolo 49 dello Statuto Albertino che fissava l’obbligo di prestare giuramento per senatori e deputati, introducendo così una deroga alla sfera di operatività dell’articolo 54 comma 2° della Costituzione.  [37]

Passando ad un’analisi separata dei valori costituzionali per le singole funzioni statuali , come ha ben avvertito il BRICOLA , la Costituzione, “ sulla scia di una diffusione della sovranità, conferisce autonome caratteristiche e autonomi principi alle tre funzioni e al tipo di procedimento prefissato per l’espletamento degli atti connessi alle relative funzioni “. [38]  Ciò significa che  alla diversità di attività non può non corrispondere una diversità di fini da raggiungere e, in conseguenza, di valori da tutelare.

Ora , come affermato dal  FORTI e dallo  IACCARINO ,     “ lo Stato con l’amministrazione cura, quasi sempre discrezionalmente, gli interessi pubblici in modo immediato e concreto ; con la giurisdizione accerta invece l’osservanza della volontà legislativa e la fa valere, sostituendola alla volontà dei singoli ; con la legislazione stabilisce “ come  “ determinati interessi debbono essere curati ; così, mentre quest’ultime si limitano ad atti di volontà e di giudizio, che influiscono sulla libertà di altri soggetti, ma in se considerate non integrano un’attività materiale, la  prima invece si sostanzia in attività pratica incidente sul mondo esterno ”. [39] Dunque la amministrazione pubblica può essere definita come attività pratica che lo Stato assolve per curare in modo immediato gli interessi pubblici assunti a propri fini.

Su ciò concordava lo ZANOBINI nel senso che  gli elementi qualificanti che differenziano la funzione amministrativa in senso stretto dalle altre funzioni statuali, vanno individuati nella immediatezza, nella praticità e nella discrezionalità.  [40]

I principi fondamentali che la Carta Costituzionale tutela con riferimento alla funzione amministrativa in senso tecnico, sono quelli stabiliti dall’articolo 97 della Costituzione, ai cui sensi :

I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di

 legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e

 l’imparzialità dell’amministrazione.

 Nell’ordinamento degli uffici sono determinate le sfere

 di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie

 dei funzionari.

 Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede

 mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge”.

Dal testo dell’articolo è possibile enucleare i valori-fine tutelati dall’ordinamento che sono : la legale distribuzione e il legale esercizio delle funzioni secondo competenza ; il buon andamento ; l’imparzialità della pubblica amministrazione.

Prima di analizzarne il contenuto va detto che la norma in questione non ha una natura semplicemente programmatica o di scopo, bensì un carattere precettivo, come peraltro ebbe ad affermare la Corte Costituzionale con sentenza  ( 7 marzo )  12  marzo  1962  n° 14.  [41]

Per quanto riguarda il principio di legale distribuzione e legale esercizio delle funzioni secondo competenza, affermato dal 2° comma dell’art. 97, esso si fonda sull’esigenza che ogni pubblico potere trovi fondamento positivo in norme di legge che ne disciplinino gli elementi fondamentali, ovvero competenza, forma, procedimento di formazione, contenuti, effetti.

 Al riguardo però il RAMPIONI  rileva come tale principio abbia un carattere prevalentemente strumentale rispetto alla realizzazione degli altri due canoni fondamentali dell’attività amministrativa, che sono l’imparzialità e il buon andamento. [42] Infatti , con la sentenza sopra citata , la Corte Costituzionale aveva  ricollegato il secondo comma dell’articolo 97 Cost. ai principi di imparzialità e di buon andamento, affermando che la determinazione delle sfere di competenza, delle attribuzioni e delle responsabilità dei funzionari costituiscono i mezzi per assicurare il buon andamento e l’imparzialità sotto il duplice profilo per cui essi sono mezzi per raggiungere una razionale predeterminata e stabile distribuzione dei compiti nell’interesse del servizio , e sono inoltre mezzi per far si che il cittadino, nel rivolgersi alla pubblica amministrazione, conosca con esattezza qual’è l’ufficio competente per il suo caso, quali ne sono le attribuzioni, quali le responsabilità di chi vi è preposto e che rappresenta nei suoi confronti il pubblico potere.  [43]

Per quanto riguarda, invece, il principio di imparzialità, il suo scopo fondamentale è quello di garantire l’attuazione degli interessi pubblici evitando che l’attività amministrativa possa subire deviazioni per interessi personali del soggetto agente o per interessi particolari di soggetti o gruppi. In altri termini la imparzialità sta nella realizzazione degli scopi prefissati attraverso un’azione non deviata da pressioni od influenze esterne che possono determinare discriminazioni arbitrarie fra i soggetti destinatari.  L’esempio più appariscente di violazione del canone di imparzialità potrebbe essere , dunque , la presenza di un titolare di ufficio interessato nei confronti della fattispecie concreta in ordine alla quale deve provvedere.

Secondo l’ALLEGRETTI, l’imparzialità non consiste tanto nel dovere di assicurare la parità di trattamento a qualunque cittadino, quanto nel modo di essere della p.a., il cui scopo è sempre e comunque il bene di quanti vengono in contatto con essa. L’imparzialità si riempie di contenuto sociale : “ la giustizia dell’amministrazione è, integralmente, giustizia sociale  “. [44]

La caratteristica principale dell’imparzialità è la                sua obiettività. Come sostiene il BERTI “ l’amministrazione imparziale è l’amministrazione obbiettiva, che persegue scopi prestabiliti mediante strumenti obbiettivi  “. [45]

Per quanto riguarda infine il principio di buon andamento, esso si riferisce a tutte quelle regole cui si deve ispirare l’azione pubblica ( efficienza, semplicità, tempestività, efficacia ) per garantire la sua continuità, al fine di evitare ritardi o interruzioni che potrebbero ledere gli interessi pubblici. Il buon andamento è un principio funzionale, dinamico, strettamente collegato al criterio di efficienza. Efficienza che il SIMON intende  come  “ adeguatezza o idoneità a raggiungere il risultato voluto ; successo nel raggiungimento del risultato ; potere adeguato, effettività,   efficacia  “. [46]

Ciò posto , imparzialità e buon andamento costituiscono principi strettamente complementari, in quanto il coordinamento degli interessi pubblici perseguiti dalle varie figure soggettive dell’amministrazione è il fine ultimo dell’organizzazione per realizzare quell’ “ amministrare bene “ che giustamente è stato indicato come lo scopo dell’ordinamento amministrativo.

Non a caso  l’art. 19 del D.P.R. 30 giugno 1972  n° 748, dispone che i dirigenti statali delle diverse qualifiche sono                “ responsabili “ , nell’esercizio delle rispettive funzioni , del buon andamento , dell’imparzialità e della legittimità dell’azione degli uffici cui sono preposti ed aggiunge al secondo comma che gli stessi sono “ specialmente “ responsabili sia dell’osservanza degli indirizzi generali della azione amministrativa emanati dal Consiglio dei ministri e dal Ministro per il Dicastero di competenza, sia della rigorosa osservanza dei termini e delle altre norme di procedimento previsti da disposizioni di legge o di regolamento, sia del conseguimento dei risultati dell’azione degli uffici.

I valori - fine che la Costituzione tutela in relazione alle altre funzioni statuali sono, rispettivamente : il principio di uguaglianza, per la funzione legislativa ; il principio di indipendenza, per la funzione giurisdizionale.

Lo scopo essenziale della funzione legislativa, come afferma CODACCI PISANELLI , è quello di garantire l’esistenza razionale della giustizia e di rendere formalmente certo l’ordinamento. [47]

Da qui,  secondo il PALADIN , deriva l’obbligo di osservare il principio di uguaglianza , da parte del legislatore, in modo da raggiungere la  “ legalità sostanziale “  e la  “ certezza del diritto “  e in conseguenza quella caratterizzazione della norma in termini di generalità e di astrattezza che deve contraddistinguerla.  [48]

Per quanto riguarda la funzione giurisdizionale, è evidente l’esigenza di sottrarre i giudici ad ogni influenza che sia in grado di condizionare la formazione delle loro pronuncie. Diversi sono perciò i principi costituzionali che si riferiscono alle modalità di accesso all’ordine  ( art. 106 ), alla inamovibilità dei magistrati       ( art. 107 ), all’esclusione di ogni rapporto di dipendenza o di subordinazione del giudice ( art. 101 ). Queste sono le principali garanzie dei singoli membri della magistratura. Sono però anche fondamentali le garanzie riconosciute alla magistratura quale potere statuale fissate dall’articolo 104 che parla di “ ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere  “.

“ Ciò che si vuole assicurare  -  affermava il  RUINI  -         è l’indipendenza funzionale ed individuale del giudice, ma a questo fine va tutelata l’indipendenza strutturale e collettiva della della magistratura  “. [49]

 


 

[1] LISZT “ Lehrbuch des deutschen strafrechts “, 14° ed. 1905, p. 140.

[2] A.ROCCO “ Il problema e il metodo della scienza del diritto penale “ ( 1910 ) , ora in Opere giuridiche , III , Roma 1933 , pag. 263.  Cfr. A.ROCCO “ L’oggetto del reato e della tutela giuridica penale. Contributo alle teorie generali del reato e della pena .“ Torino , 1913.

[3] G.FIANDACA - E.MUSCO “ Diritto penale , parte generale .” , ZANICHELLI , Bologna , 1994 , pag. 24 - 25.

[4] T.PADOVANI - L.STORTONI “ Diritto penale e fattispecie criminose “  Introduzione alla parte speciale del diritto penale , società ed.  IL MULINO , Bologna  1991 ,  pag. 44.

[5] F.TAGLIARINI  “ Il concetto di P.A. nel codice penale “  GIUFFRE’ , 1973 , pag. 23.

[6] PADOVANI-STORTONI , op.cit. , p. 45.

[7] PADOVANI-STORTONI , op. cit. , passim.

[8] PADOVANI-STORTONI , op. cit. , pag. 46.

[9] PADOVANI-STORTONI , op. cit. , pag. 47.

[10] BRICOLA ” Tutela penale della pubblica amministrazione e principi costituzionali “,  in Studi in onore di Santoro  Passarelli, vol. VI, 1972, p. 141.

[11] RELAZIONE MINISTERIALE , in Lavori preparatori cod. pen. e proc. pen. vol. V, parte II , 1929 , p. 125.

[12] RELAZIONE MINISTERIALE , cit. , p. 135.

[13] Relazione introduttiva APPIANI , in Lavori preparatori cod. pen. e proc. pen., vol. IV, parte I , 1929 , p. 260.

[14] PADOVANI-STORTONI , op. cit. , p. 48

[15] VIRGA “ Diritto Costituzionale “, PALERMO , 1961, p. 70 ss..

[16] RAMPIONI ” Bene giuridico e delitti dei pubblici ufficiali contro la P.A. “ , GIUFFRE’, MILANO , 1984 , p.3

[17] RAMPIONI , op. cit. , p. 8.  Cfr. ALTAVILLA ” Concezione penalistica della pubblica amministrazione ” , in Annali dir. Proc. pen. 1936, p. 400 ; TAGLIARINI , op.cit. , p. 121 ; LEVI “ Delitti contro la pubblica amministrazione “ in trattato di diritto penale , coordinato da  E.FLORIAN , 4° ED. , 1935 , p. 3.

[18] RELAZIONE MINISTERIALE , cit. , vol. V, parte II, 1929, p. 12.

[19] MANZINI “Trattato di diritto penale italiano” 4° ed., vol. V, 1962 , p.1.

[20] RICCIO  “ I delitti contro la pubblica amministrazione “ , 1955 , p. 7.  Cfr. MANZINI , op. cit. , p. 1.  LEVI , op. cit. , p. 1.

[21] PANNAIN R.  “ I delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione “ , Napoli , 1966 , p.2.

[22] TAGLIARINI , op. cit. , p. 128.  cfr. RAMPIONI , op. cit. , p. 11.

[23] TAGLIARINI , op.  cit. , p. 125.

[24] RAMPIONI , op. cit. , p. 5

[25] TAGLIARINI , op.  cit. , p. 126.

[26] TAGLIARINI , op. cit. , p. 127.

[27] PADOVANI-STORTONI , op.  cit. , p. 57.

[28] TAGLIARINI , op. cit. , p. 3.

[29] A. ALBAMONTE ” I delitti di concussione e corruzione nella L. 26 aprile 1990, n° 86 “ Cass. Pen. 1991, p. 899. Relazione svolta all’incontro di studi sul tema “ I delitti contro la pubblica amministrazione dopo la L. n° 86 del 1990 “ organizzato dal C.S.M. e tenuto a Roma dall’8 al 10 febbraio 1991.

[30] R.RAMPIONI , op. cit. , p. 61.

[31] R.RAMPIONI “ Progetto di riforma e oggetto della tutela dei delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione “ in ALFONSO STILE “ La riforma dei delitti contro la P.A. “ ( a cura di ) AA.VV. Jovene editore, 1987 , p. 60 . cfr. R.RAMPIONI “ Bene giuridico e delitti dei pubblici ufficiali contro la P.A. “ , cit. , p. 50 .

[32] R.RAMPIONI “ Progetto di riforma “ , cit. , pag. 64.

[33] F.TAGLIARINI “ Il concetto di P.A. nel codice penale “, cit. , pag. 2.

[34] VASSALLI “Delitto di peculato e illecito amministrativo “, Atti del convegno dell’ISLE , 1967, p. 58.

[35] G.FIANDACA-E.MUSCO , op. cit. , p. 22.

[36] CARLASSARE ”Amministrazione e potere politico”, 1974, p. 109 ss..

[37] RAMPIONI , “ Bene giuridico e delitti dei pubblici ufficiali contro la P.A. “ , cit. , p. 92.

[38] BRICOLA “ Tutela penale della pubblica amministrazione e principi costituzionali ”, cit. , p. 129.

[39] FORTI-IACCARINO , voce Amministrazione Pubblica , in Noviss. Dig. It. , vol. I , 1957 ,  p. 561.

[40] ZANOBINI ,  voce Amministrazione Pubblica , in Enc. Dir. , vol.II , 1958 , p. 235.

[41] In Giur. Cost. 1962, p. 144.

[42] RAMPIONI , op.cit. , cit. p. 65.

[43] Corte Costituzionale , ( 7 marzo ) 12 marzo 1962 , n° 14 , cit. , p. 146.

[44] ALLEGRETTI “ L’imparzialità amministrativa “ , PADOVA , 1965 , p. 383.

[45] BERTI “ La pubblica amministrazione come organizzazione “ 1968 , p. 108. Cfr.  ALLEGRETTI , op. cit. , p. 92.

[46] SIMON “ Il comportamento amministrativo “ 1958 , Trad. it. , p. 269.

[47] CODACCI PISANELLI “ Analisi delle funzioni sovrane “ , 1946 , p. 6.

[48] PALADIN “ Il principio costituzionale di uguaglianza “ , 1965 , p. 166.

[49] RUINI “ La nostra e le cento costituzioni del mondo, Problemi aperti : organi costituzionali “ , 1964 , p. 888 s..

 

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