STUDIO LEGALE AMATI

 

Avv. Silvia Amati

Dott. Roberto Amati

 

 

 

 


 

 

Documenti: Tesi di Laurea

 

Concussione per Induzione

di Silvia Amati

 

1° CAPITOLO : DIRITTO PENALE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE.

 

 

2. LE QUALIFICHE SOGGETTIVE NEI REATI CONTRO LA  P.A..

 

Le nozioni dettate dagli articoli 357-358 c.p. vecchio e nuovo testo , “ agli effetti della legge penale “ e dunque di ogni disposizione che le richiami , ci consentono di individuare i soggetti a cui sono applicabili le fattispecie del titolo II ,  libro II del codice penale.  “ Per un verso, infatti,  -  rileva il  DEL CORSO  - si prevedono in esso reati propri che possono essere commessi soltanto da persone fisiche rivestite della qualità di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio ; per altro, reati che possono essere commessi esclusivamente contro soggetti muniti di identiche qualifiche. Perciò, attraverso le nozioni di pubblico ufficiale e di incaricato di pubblico servizio, si delimita l’ambito di rilevanza penale della P.A., in vista di questa possibile duplice       “ aggressione “ che può provenire o da soggetti  “ intranei “ o da soggetti  “ estranei “  alla stessa. ”  [50]

Secondo il  MALINVERNI , tali nozioni - nel testo     originario degli articoli citati - risentivano fortemente dell’ ideologia dominante nel ’30.  In particolare ,  “ l’accentramento del potere nelle mani del capo del governo aveva indotto a considerare ogni soggetto dipendente come investito di una frazione di quell’autorità, e, quindi, meritevole di particolare protezione di fronte ai semplici cittadini, oltre che tenuto a particolari doveri nei confronti della pubblica amministrazione  “. [51] 

Ciò , d’altronde ,  risultava chiaramente dalla Relazione al progetto definitivo del Codice laddove si affermava che “ la pubblica funzione importa la facoltà di esercitare una parte dell’autorità pubblica  “.  

Dunque , secondo il  MALINVERNI ,  l’ambito delle pubbliche mansioni era direttamente proporzionale al carattere autoritario dello Stato, ed inversamente proporzionale al suo carattere democratico.  ” Nel primo caso alla potestà assoluta del sovrano fanno riscontro più forti poteri dei funzionari ; nel secondo caso alle più ampie libertà dei cittadini sono correlative più ristrette attribuzioni dei funzionari. All’interno di questo indirizzo, però, si avverte altresì la tendenza, nei regimi assoluti, ad accrescere la protezione dei pubblici funzionari, quali portatori dell’autorità dello Stato, di fronte ai cittadini ; mentre nei regimi democratici si è orientati a porre l’accento sul fatto che il pubblico funzionario è un servitore della cosa pubblica e, quindi, dei cittadini, e per tale motivo si è propensi ad imporgli maggiori obblighi più che a riconoscergli più alta dignità “. [52]

Un rapporto direttamente proporzionale tra ambito delle mansioni pubbliche e carattere autoritario dello Stato fu individuato anche dal RAMACCI , nel senso , però , che “ se tale atteggiamento  poteva  essere giustificato in un’epoca storica caratterizzata da uno Stato accentratore, in un’epoca quindi nella quale vigeva certo il principio del “ tutto nello Stato, tutto per lo Stato “, non sembra proprio che esso risulti in armonia con gli attuali  principi  politico - costituzionali. Non vi è dubbio infatti che l’ampiezza delle pubbliche funzioni è tipica di uno Stato autoritario , e si esprime attraverso l’intervento diretto o il controllo di un ambito sempre più vasto di attività “. [53]  Al riguardo il  BETTIOL  parlava  di  “ Stato interventista sul piano sociale  “.  [54] 

Ciò spiega perché , con il mutamento di regime e l’introduzione della  Carta Costituzionale  si cominciasse a sentire l’esigenza di una rivisitazione delle nozioni in esame .

“ La Costituzione - osservava infatti il  BETTIOL -                va considerata anzitutto frutto di un  “ risentimento “  nel senso  che , dopo la tragica esperienza di un totalitarismo , il costituente era psicologicamente portato a tradurre in norme di costituzione ciò che ne rappresentava l’antitesi più netta  “. [55]  Sulla stessa linea ammoniva il NUVOLONE  come  il tema dei rapporti tra leggi penali ordinarie e norme costituzionali fosse diventato ormai un capitolo fondamentale della scienza del diritto penale positivo : “ la coesistenza di leggi penali vecchie e di una Costituzione nuova, l’emanazione di norme penali successive alla Costituzone in un periodo di non ancora consolidate garanzie costituzionali, hanno reso questo capitolo sempre più attuale e, nello stesso tempo, difficile “. [56]  Ora , sottolineava  il RAMACCI  che  “ è  sufficiente ....... un pur sommario esame delle norme della Costituzione repubblicana per rendere evidente come già il legislatore costituente si sia preoccupato soprattutto di limitare i poteri ed i privilegi dei quali il regime precedente aveva investito coloro la cui attività si presentava come emanazione del preminente potere statuale  “. [57]

In particolare ,  “ le disposizioni costituzionali relative all’azione della pubblica amministrazione sono per l’appunto indirizzate nel senso di sottolineare i doveri e le responsabilità connesse all’esercizio delle pubbliche funzioni o all’espletamento di un pubblico servizio, in armonia con le mutate dimensioni sociali dell’ordinamento. Lo spirito delle norme costituzionali è stato del resto a volte compiutamente interpretato dalla Corte Costituzionale, ad esempio nelle sentenze che , ancora recentemente, dichiaravano l’illegittimità costituzionale delle norme che  sancivano  la  cosiddetta  garanzia  amministrativa  ”. [58]

Fra l’altro , v’è da ricordare che con la Costituzione risultano ampliate le competenze statali , laddove , oltre ai compiti di conservazione e di benessere che riguardano l’assistenza sanitaria  ( art. 32 ) ed economica ( art. 38, 1° comma ), alla previdenza sociale ( art. 38, 2° comma ) ed alla istruzione ( art. 33 ,34 ), la nostra Costituzione attribuisce allo Stato anche il potere di riserva originaria o di esproprio di imprese di preminente interesse generale ( art. 43 ) e di istituzione di programmi e controlli per l’indirizzo a fini sociali dell’attività economica pubblica e privata   ( art. 41, 3° comma ) ; con la conseguente utilizzazione da parte dello Stato di strumenti di carattere privatistico e la tendenziale privatizzazione di una parte delle attività della pubblica amministrazione.

 Tali trasformazioni , tuttavia , comportarono   delle difficoltà nella individuazione delle figure del pubblico ufficiale e dell’incaricato di un pubblico servizio ;  non solo in termini di delimitazione “ interna “ , tra concetti di pubblico ufficiale  e di incaricato di un pubblico servizio , ma anche  di delimitazione       “ esterna ”, tra attività disciplinate da norme di natura pubblicistica e attività disciplinate da norme di natura privatistica .

“ La privatizzazione di interi settori dell’attività della Pubblica Amministrazione, e l’accentuazione delle finalità di interesse pubblico in attività di carattere privato, - osservava il  MALINVERNI  -   ha così creato una sempre più vasta area nella quale il pubblico e il privato si intrecciano e si confondono, ed ha ulteriormente complicato i problemi che attengono alla determinazione delle qualifiche di pubblico ufficiale e di incaricato di pubblico servizio  “.  [59]

In tempi più recenti anche SEGRETO e DE LUCA , hanno ricordato come il crescente ampliarsi della sfera dell’intervento dello Stato nella vita sociale ed economica, in relazione al qualificarsi dello Stato sociale, avesse comportato l’accrescimento delle pubbliche funzioni e dei pubblici servizi. E del pari, come l’articolarsi decentrato dell’organizzazione statuale, con il consolidarsi di un vero e proprio sistema delle autonomie su base elettiva, avesse arricchito di nuove figure la tradizionale qualificazione del pubblico ufficiale.  [60]

 Passando alla disamina delle nozioni di pubblico ufficiale e di incaricato di un pubblico servizio , v’è da dire che il codice Zanardelli del 1889 disciplinava la sola figura del pubblico ufficiale , definendola così all’articolo 207 :

Per gli effetti della legge penale, sono considerati pubblici ufficiali :

1) coloro che sono rivestiti di pubbliche funzioni, anche temporanee, stipendiate o gratuite, a servizio dello Stato, di una Provincia o di un Comune ;

2) i notai ;

3) gli agenti della forza pubblica e gli uscieri addetti all’ordine giudiziario.

Ai pubblici ufficiali sono equiparati, per gli stessi effetti, i giurati, gli arbitri, i periti, gli interpreti ed i testimoni, durante il tempo in cui sono chiamati ad esercitare le loro funzioni “.

Lo stesso codice , nell’articolo 284 ,  assimilava ai pubblici ufficiali, agli effetti della falsità in atti, “ coloro che sono autorizzati a formare atti ai quali la legge attribuisca pubblica fede  “.

L’incaricato di pubblico servizio ( del quale  il Codice del  1889  non dava alcuna definizione ), era solo menzionato nell’articolo 396 , per  una forma di ingiuria aggravata quando soggetto passivo del reato fosse un incaricato di pubblico servizio. Del tutto sconosciuta era poi  la categoria degli esercenti un servizio di pubblica necessità, che trovò definizione e disciplina con la legge 3 aprile 1926 n° 563 , sui rapporti collettivi di lavoro, limitatamente alla materia dello sciopero e della serrata.

L’art. 357, come formulato dal legislatore del 1930, così stabiliva:

       “ Agli effetti della legge penale sono pubblici ufficiali :

1) gli impiegati dello Stato o di altro ente pubblico che esercitano, permanentemente o temporaneamente, una pubblica funzione legislativa, amministrativa o giudiziaria ;

2) ogni altra persona che esercita, permanentemente o temporaneamente, gratuitamente o con retribuzione, volontariamente o per obbligo, una pubblica funzione legislativa, amministrativa o giudiziaria  “.               

La definizione dell’incaricato di un pubblico servizio era invece dettata in questi termini dal successivo articolo 358 :

          “ Agli effetti della legge penale, sono persone incaricate di un pubblico servizio :

1) gli impiegati dello Stato, o di un altro ente pubblico, i quali prestano permanentemente o temporaneamente un pubblico servizio ;

2) ogni altra persona che presta, permanentemente o temporaneamente, gratuitamente o con retribuzione, volontariamente o per obbligo un pubblico servizio  “.

La definizione di “ pubblico ufficiale “ dettata dall’art.                 357 del Codice Rocco del 1930 si proponeva il superamento di tutti i problemi generati dall’art. 207 del Codice Zanardelli , anzitutto per il fatto di riportare , a fianco di una definizione generale, un elenco di soggetti. Inoltre perché la norma , oltre a non aver previsto i membri del Parlamento come soggetti attivi dei reati contro la P.A., per un altro verso aveva lasciato fuori della nozione di pubblico ufficiale “ tutti coloro che sono investiti di pubbliche funzioni a servizio di enti sottoposti non a tutela, ma a vigilanza dello Stato, o di altri enti autarchici territoriali “, come ad es. gli impiegati della Banca d’Italia, delle Casse di risparmio e di altri enti simili. Un risultato, questo, in palese contrasto con la contemporanea affermazione della qualità di “ pubblico ufficiale “ attribuita agli impiegati del Banco di Napoli e di Sicilia,  enti  sottoposti invece a tutela da parte dello Stato.  [61]

 Il legislatore del 1930 inoltre, ritenne che nel Codice del 1889, le locuzioni  “ rivestito di pubbliche funzioni  “ ed “ a servizio dello Stato  “  accentuassero eccessivamente  “ il profilo soggettivo della pubblica funzione,  generando  -  secondo il  MALINVERNI  -   l’equivoco che la tutela penale concernesse non tanto la Pubblica amministrazione, quanto la persona rivestita della pubblica funzione, e generando dunque la convinzione che per la relativa tutela penale  fossero necessari un atto di investitura e un rapporto di diritto pubblico, requisiti che ormai non rappresentavano più      le caratteristiche costanti di ogni relazione di contenuto                  “ pubblicistico “  intercorrente tra persona fisica e P.A..  [62]

Se dunque , da un lato ,  la definizione  dell’art. 357 c.p. aveva il pregio di evitare le elencazioni presenti nell’art.207 del codice precedente, dall’altro  aveva perduto i due requisiti che, riferendosi a caratteristiche giuridiche formali, delimitavano con chiarezza      il concetto di pubblico ufficiale. Infatti, come sostengono  SEGRETO e DE LUCA , mentre l’art. 357 al 1° comma richiamava il requisito del rapporto di impiego con lo Stato o con un altro ente pubblico, al 2° comma estendeva la qualifica ad          “ ogni altra persona “ che esercitasse pubbliche funzioni.  [63]

L’unico requisito caratteristico del pubblico ufficiale rimaneva dunque l’esercizio di una pubblica funzione, legislativa, amministrativa o giudiziaria. Ma  - rilevava il  MALINVERNI  -   “ il concetto di pubblica funzione ....... è lasciato nella sua indeterminatezza. La formula che definisce il pubblico ufficiale in base alla pubblica funzione, dunque, si risolve in uno scambio di parole  “. [64]

Lo stesso sistema era adottato per la definizione di pubblico servizio, data dall’art. 358 : anche in questo caso il rinvio al concetto di pubblico servizio si risolveva in una tautologia in quanto il legislatore lasciava poi tale concetto nella più totale indeterminatezza. Era affidato all’interprete il compito di attribuire un contenuto positivo a queste formule linguistiche , mutuandolo    -  così come affermato nella Relazione ministeriale  -  dalle nozioni dominanti nell’ordinamento generale.  [65]

La omissione di criteri che consentissero di individuare in maniera inequivoca le nozioni di pubblica funzione e di pubblico servizio trovava spiegazione , secondo il  MALINVERNI , in ragioni di ordine politico : “ il legislatore del 1930, con le disposizioni in esame intendeva creare norme a contenuto variabile affinchè la magistratura, organizzata gerarchicamente e sottoposta alle influenze dell’esecutivo, potesse estendere, secondo le esigenze politiche, le categorie dei soggetti rivestiti di pubbliche attribuzioni, e, soprattutto, da un lato, proteggere l’ordinamento corporativo contro il pericolo di scioperi o di serrate, e, dall’altro, tutelare, mediante la protezione dei soggetti, il regime. Le riserve e le critiche mosse da qualche commissario nel corso dei lavori preparatori, e dirette al fine di stabilire limiti più precisi alle nozioni in esame, non potevano che rimanere inascoltate  “.  [66]

Il legislatore del 1930 poi, per non lasciar sfuggire alcun aspetto della vita pubblica, aveva  configurato una terza categoria di soggetti : le persone esercenti un servizio di pubblica necessità, categoria sconosciuta al codice del 1889 , che veniva configurata in due specie : una limitata ai privati che esercitassero professioni il cui servizio sia per legge vietato senza una speciale abilitazione dello Stato quando dell’opera di essi il pubblico sia per legge obbligato a valersi ; e l’altra estesa, con la solita generalizzazione, a tutti i privati che adempissero un servizio dichiarato di pubblica necessità mediante un atto della pubblica amministrazione.

Tornando all’art.357 come formulato nel 1930, v’è da dire che, nonostante il riferimento fatto al 1° comma agli “ impiegati dello Stato o di altro ente pubblico “ potesse far propendere per l’adozione di un criterio  soggettivo di definizione del pubblico ufficiale (  in quanto assumeva come parametro la dipendenza dallo Stato o da altro ente pubblico ), in realtà dal 2° comma emergeva chiaramente l’intento del legislatore di adottare un criterio oggettivo, fondato sul requisito essenziale dell’esercizio di una pubblica funzione. Come notava il RAMACCI , “ è ....... unicamente dall’esercizio di una pubblica funzione che la legge penale intende che sia desunta la qualità di pubblico ufficiale “. [67]

Si sosteneva a tale proposito nella  Relazione ministeriale al progetto definitivo : “ La formola adottata dal progetto esprime assai bene l’intento legislativo di svincolare il concetto di pubblica funzione dal presupposto di una pubblica investitura , e di ricollegarla invece nell’attività pubblica, considerata nel momento del suo esercizio. Esclusa ogni distinzione fra enti tutelati ed enti vigilati, e fissato il concetto che non vi è funzione pubblica che non sia riferibile allo Stato o ad altro pubblico ente, accanto agli impiegati dello Stato o di altro ente pubblico, i quali esercitano una pubblica funzione permanentemente, trova posto ogni altra persona che non è legata allo Stato o agli altri enti pubblici da un rapporto di impiego, ma tuttavia agisce per essi  “. [68]

Il codice , secondo l’ ALTAVILLA , aveva accolto un principio  già diffuso  nella dottrina, per cui, “ partendo dal concetto “ oggettivo “ : officialis ab officio, già enunciato dal KRESS, si stabiliva che la qualità di pubblico ufficiale od incaricato di un pubblico servizio, non presupponeva necessariamente uno status dell’individuo, cioè una particolare situazione giuridica, derivante da una investitura che qualificasse l’attività. Già il DE VALLES , conformemente al pensiero dell’ ORLANDO , del GIRIODI , del ROMANO , scriveva : “ la nozione del pubblico funzionario si riattacca necessariamente al concetto di pubblica funzione, perché funzionario è la persona incaricata di una pubblica funzione  “ “.  [69]

Ma , come visto , il  legislatore del 1930 non  fornì una definizione di “ pubblica funzione “ , considerando opportuno rinviare ai criteri elaborati dalla scienza costituzionale e amministrativa che si riteneva avessero validità in ogni ramo dell’ordinamento. Su tale punto , secondo il PANNAIN , il legislatore penale volle far luogo a un  “ lodevole quanto inutile atto di umiltà, ritenendo che nel diritto pubblico - sede naturale di quella materia - queste nozioni fossero se non addirittura pacifiche, almeno ampiamente affrontate, approfondite, ridotte a schemi precisi. E al diritto pubblico ha rinviato  “. [70]

Questo è infatti quanto si ricava dalla relazione finale al progetto di Codice penale del 1930 : “ Poiché il concetto della pubblica funzione, e quello correlativo di pubblico ufficiale, non è, per la legge penale, diverso da quello che sorge dalla disciplina generale del diritto pubblico, il Progetto non poteva, né doveva procedere ad ulteriori determinazioni dei caratteri essenziali di tale forma di attività pubblica, che non possono essere altri se non quelli, che di essi fornisce la dottrina pubblicistica ........ Anche nel dare la nozione delle persone incaricate di pubblico servizio, mi sono astenuto da determinazioni troppo specifiche, di pertinenza della dottrina pubblicistica  “. [71]

Come già notato gli art. 357-358 si aprono con l’inciso “ agli effetti della legge penale “. Il timore generalizzato che attraverso di esso, in una specie di ritorno al codice Zanardelli, qualcuno potesse desumere, come in effetti poi è avvenuto, nozioni penali autonomistiche, non solo del “ pubblico ufficiale “ e                         dell’ “ incaricato di pubblico servizio “ , ma anche della “ pubblica funzione “ e del “ pubblico servizio “ , indusse il Guardasigilli  a svolgere diffuse argomentazioni esplicative sul significato di detto inciso.  Così  in altro punto della citata  Relazione finale si legge che  “ l’art. 362 ( nb. Del progetto ), nel fornire una nozione da valere per gli effetti della legge penale, non vuol punto asserire che della funzione pubblica vi siano due nozioni l’una propria del diritto amministrativo e l’altra, distinta e diversa, valida soltanto entro i confini del diritto penale ; ma intende chiarire che la detta nozione, sebbene sia inserita nel titolo dei delitti contro la pubblica Amministrazione, trascende, nelle sue applicazioni, l’ambito di tali categorie di reati e assurge a valore generale per tutto il diritto penale. Resta fermo, pertanto, che la legge penale non foggia un concetto della pubblica funzione soltanto per i suoi usi , ma intende tutelare precisamente e soltanto quella funzione, che è da considerarsi pubblica nell’ordinamento giuridico generale. E’ questo un chiarimento che deve valere per le analoghe locuzioni, adoperate nei due articoli successivi del progetto, per il servizio pubblico e per il servizio di pubblica necessità  “. [72]

Per il PANNAIN , comunque , non andava precisato bensì semplicemente ricordato che “ la espressione   “ agli effetti della legge penale  “  -  la quale è adoperata dal legislatore moltissime altre volte  -  significa semplicemente che la nozione data non vale soltanto per la particolare materia ( nella specie dei   “ delitti contro la P.A. “ ) ma per tutto il diritto penale. Questa precisazione, che dovrebbe essere ovvia, si rende necessaria per il fatto che taluno alla espressione “ agli effetti della legge penale “ ha voluto attribuire il valore e il significato di una limitazione, cioè di stabilire che la nozione data dagli art. 357 ss. è una nozione esclusivamente penalistica, che si discosta da quella comune : esisterebbero una nozione penalistica di pubblico ufficiale, ecc.. e una nozione comune ; della prima si serviranno i penalisti e della prima soltanto  “. [73]

Come si vedrà , su questa interpretazione dell’inciso “ agli effeti della legge penale  “  si svilupparono  le cosiddette  TEORIE AUTONOMISTE , in contrapposizione alle cosiddette  TEORIE UNITARIE  per le quali  le definizioni di “ pubblico ufficiale “ e di “ incaricato di pubblico servizio “ andavano ricavate dalle dottrine pubblicistiche.

  All’origine , tanto delle une quanto delle altre teorie , era       l’ esigenza , avvertita in dottrina , di definire i criteri distintivi delle nozioni di “ pubblica funzione “ e di “ pubblico servizio “ posto che il legislatore del ’30 , come già notato ,  le aveva lasciate nella più totale indeterminatezza.

Fra le dottrine giuspubblicistiche richiamate dalle teorie unitarie ( peraltro sviluppatesi negli anni ’30 ), le più accreditate furono quelle che fondavano la distinzione tra le due qualifiche sulla presenza o assenza della potestà di imperio, o sulla capacità di concorrere a formare, dichiarare od eseguire la volontà dello Stato  ( requisiti , questi , propri della pubblica funzione e assenti nel servizio pubblico ).  “ Dal lato soggettivo - stabiliva una sentenza della Cassazione del 1950 - i pubblici ufficiali si distinguono dagli incaricati di pubblico servizio per la qualità del loro potere che è fornito di un attributo di autorità mancante nelle facoltà inerenti agli incaricati di pubblico servizio “. [74]  In altra sentenza del 1960 si affermava invece che  “ è certo che ciò che distingue la funzione pubblica dal pubblico servizio è il concetto di potestà come figura del potere , nella quale chi comanda , comanda non come parte , bensì come capo , onde , nel mentre la pubblica funzione consiste nell’esercizio di una potestà pubblica , il pubblico servizio è l’esplicazione di un’attività materiale che si pone a disposizione del popolo , perché lo stesso possa servirsene , con l’avvertenza ulteriore che se nel pubblico servizio occorrono atti di imperio , come applicazione di tributi , accertamento di   reati , certificazioni , si ha esercizio di una potestà e risorge quindi la figura della pubblica funzione “. [75]

 Un’altra teoria  era  quella che individuava le nozioni di           “ pubblico ufficiale “ e di “ incaricato di pubblico servizio “ basandosi  sulla distinzione tra attività cd. “ Giuridica “ ed    attività cd. “ Sociale  “ , così ancorando le qualifiche soggettive ai contenuti dell’attività svolta.  Tale teoria merita un particolare rilievo in primo luogo perché  è quella che recepiva con maggiore organicità l’elaborazione più articolata proveniente dalla scienza amministrativa ; in secondo luogo perché consente di escludere che il legislatore del ’30 , con gli art. 357 - 358 c.p. , intendesse delineare una nozione di P.A. in termini esclusivamente                 “ oggettivistici “  ( ovvero di natura pubblica dell’attività ).  [76]

Come spiegava il DEL CORSO “ esiste una esatta corrispondenza fra i fini dell’attività statale e i cd. fini pubblici, ma, fra essi, non tutti rivestono un’identica importanza all’interno dell’ordinamento. Taluni sono indispensabili per l’esistenza dello stesso ente statale e si identificano nei fini giuridici di giustizia e sicurezza pubblica ; essi sono propri dello Stato e degli enti pubblici per la loro intrinseca natura e per la loro essenzialità, e l’attività scelta per il raggiungimento di essi - la cd. Attività giuridica - costituisce la pubblica funzione amministrativa. Al contrario, una parte dell’attività pubblica, tendendo al “ miglioramento  fisico , economico ed intellettuale dei consociati “ , non risulta essere attività indefettibile di ogni organismo statale ; questa attività - che lo Stato potrebbe anche non svolgere perché non verrebbero comunque meno i suoi requisiti ontologici minimi indispensabili - è la cd. Attività sociale, corrispondente al pubblico servizio “. [77]  Al riguardo , aveva osservato il GIROLA come  l’attività sociale non sia altro se non “ il completamento logico e storico ....... necessario “ dell’attività giuridica e presenti inoltre una diversa caratteristica strutturale : “ infatti mentre l’ambito del servizio pubblico è potenzialmente dilatabile, dipendendo in parte dalla variabile determinazione storica di ciò che si definisce “ civiltà e benessere “ , l’ambito della pubblica funzione amministrativa presenta invece una certa rigidità di confini  “. [78]

A favore di questa teoria si espresse , fra i tanti , lo   ZANOBINI precisando che “ i servizi pubblici si possono distinguere dalle pubbliche funzioni per il loro scopo ch’è di giovare ai singoli nella loro vita fisica, economica ed         intellettuale  “. [79]

Secondo il GRISPIGNI , invece , si aveva pubblica funzione quando l’attività fosse diretta  alla soddisfazione di un bisogno pubblico proprio dello Stato - unità , mentre si aveva soltanto pubblico servizio quando l’attività fosse diretta alla soddisfazione di bisogni di tutti i componenti la popolazione, singolarmente considerati.  [80]

Il  GALLO riteneva invece che mentre “ nel campo dell’attività cd. giuridica, lo Stato si presenta come sovrano e cioè col potere di imperio, in quello dell’attività cd. Sociale, la volontà pubblica si manifesta non diversamente - in via normale - dal comportamento della volontà privata  “.  [81]  Con ciò richiamandosi per implicito alle teorie fondate sulla presenza o assenza della potestà di imperio.

Soltanto il MIELE  sembrava dell’idea che la distinzione tra pubblica funzione e pubblico servizio, priva di  “ sufficienti appigli nella legislazione positiva “ , dovesse essere valutata da un duplice punto di vista : “ delle organizzazioni cui le funzioni ed i servizi pubblici danno luogo nell’ordinamento statuale ( in senso lato ) e delle attività dei singoli individui che agiscono al servizio e per conto dello Stato. Nel primo senso si riscontra la pubblica funzione in quelle manifestazioni dell’attività amministrativa in cui appare preminente l’elemento del potere giuridico ( ad es., la polizia di sicurezza e l’imposizione e riscossione dei tributi ) ; mentre si rinviene il pubblico servizio nelle ipotesi in cui all’organizzazione preme più che ogni elemento di pura forma, il risultato ultimo e sostanziale dell’esercizio di quel potere ( ad es. l’attività di assistenza, di istruzione, di igiene, nel campo delle poste, dei telegrafi, delle ferrovie ). Nel secondo senso, diversamente, si ritengono pubblici ufficiali, quegli individui stretti allo Stato, originariamente o successivamente, da un particolare rapporto pubblicistico, che emanano atti giuridici o compiono fatti o collaborano all’emanazione e al compimento di entrambi in virtù di un potere giuridico pubblicistico ; si reputano invece incaricati di pubblico servizio gli individui, addetti ad organizzazioni regolate secondo principi di diritto pubblico, che sulla base di uno speciale rapporto pubblicistico con lo Stato, esplicano ogni altro genere di attività di natura pubblicistica  “. [82]

 E’ stato rilevato come tali teorie non fornissero una nozione di pubblica funzione e di pubblico servizio in chiave puramente oggettivistica  - che , come visto , sembrava adottata dalle formule del codice Rocco.  La natura essenziale della mansione non bastava : occorreva che venisse svolta attraverso un ufficio od un ente pubblico. Peraltro , l’intersecarsi di profili  “ oggettivi “  e       “ soggettivi “ -  che si evidenzierà poi , con maggior chiarezza , nell’ambito delle teorie autonomistiche successive  -  sembrava essere già presente non solo nelle prime elaborazioni teoriche        in materia  ma persino nell’intenzione dello stesso legislatore.

Leggendo la Relazione finale , infatti , ci si rende subito conto che le nozioni di “ pubblica funzione “ e di ” pubblico servizio “ da essa richiamate erano ben più complesse rispetto a quanto sostenuto dalle tesi meramente “ oggettive “. In essa ci si astiene , infatti , dalla prospettazione di criteri volti a distinguere le due nozioni ( rilevando che si trattava di un compito riservato alla scienza del diritto amministrativo ) ; tuttavia sembrano esservi presenti i termini del dibattito aperto in tale scienza : il riferimento al concetto di rappresentanza , a quello di organo , l’articolazione dell’attività pubblica in attività giuridica ed attività sociale. [83]  Dal che si evince chiaramente come per le teorie degli anni ’30 la definizione di P.A. penalmente rilevante non potesse prescindere affatto dalla natura del soggetto che svolge una determinata attività.

“ Concezione oggettiva  e concezione soggettiva paiono così convivere  -  riteneva il  DEL CORSO  -  sin dall’origine , in una teoria dello Stato ancora fortemente condizionata da categorie concettuali che , nell’arco dei decenni successivi , si sarebbero dimostrate palesemente inappaganti “. [84] 

Si ritenne dunque , a torto o a ragione , che la scienza amministrativa fosse incapace di dominare concettualmente i mutamenti intervenuti nella struttura dei pubblici poteri. Se il rinvio a concetti di teoria generale del diritto pubblico  -  rilevava con acutezza il  MIELE  -  poteva trovare la sua giustificazione in quel movimento di coordinazione e collaborazione che costituisce una nota saliente della moderna dottrina del diritto , ciò nonostante non potevano tacersi perplessità in ordine al fatto che la dottrina pubblicistica si fosse effettivamente impadronita con sufficiente autorità del problema concernente la distinzione fra pubblica funzione e pubblico servizio. [85]

Le teorie unitarie entrarono in crisi , come ha ricordato il       DEL CORSO , in seguito all’introduzione dei principi costituzionali democratici , rivelandosi inadeguate  nei confronti sia delle  “ modificazioni intervenute nell’assetto dei pubblici poteri “ ,  sia del “ progressivo affinarsi degli strumenti di disciplina ed indirizzo dell’attività economica, svolta da soggetti pubblici e privati, ormai non più comprensibile con la mera coppia dicotomica concessione / autorizzazione  “. [86]

“ L’intera organizzazione dello Stato si è trasformata                -  rilevava il  RAMACCI  -  adeguandosi a principi costituzionali democratici con i quali è perciò incompatibile il perdurare di una nozione di pubblico ufficiale derivata da una concezione dello Stato che con i tempi attuali non ha ormai nulla a che vedere. Non vi è più quindi rispondenza tra l’orientamento della giurisprudenza e lo spirito della norma , come espressione di una realtà specifica che è mutata ; l’intransigente orientamento della giurisprudenza irrigidita su posizioni che ormai non sono più in armonia con le mutate dimensioni sociali dell’ordinamento , si presenta allora come espressione di un rigoroso formalismo nell’interpretazione della legge “. [87]  Ciò , secondo il  DEL CORSO , doveva ricollegarsi  al fatto che la giurisprudenza penale era stata costretta a  cimentarsi , già all’indomani dell’emanazione del codice , con una casistica concreta di figure e mansioni che non si facevano facilmente racchiudere nelle fragili e discutibili categorie prospettate dalle tesi degli anni ’30.  [88]

Peraltro da vari Autori fu avvertita la inadeguatezza di nozioni unitarie di “ pubblico ufficiale “ e di “ incaricato di pubblico servizio “ , valide cioè per il diritto penale e per il diritto amministrativo. Ad es. secondo  il  MALINVERNI   due erano gli ostacoli all’adozione di siffatte  nozioni  : “ Il primo è nella diversità     degli scopi perseguiti dai rispettivi ordinamenti. Al diritto amministrativo preme definire l’attività che produce obblighi della pubblica amministrazione verso il soggetto che la svolge, ovvero verso i terzi. Di conseguenza la qualifica di soggetti interessa soprattutto in quanto ad essa è collegato il sorgere o meno di tali obblighi. Sotto questo profilo il rapporto organico fra la pubblica amministrazione ( uffici pubblici ) ed il soggetto che agisce è decisivo, e solo marginalmente si ammette l’esercizio di attività pubblica al di fuori dei pubblici uffici sempre però sul presupposto di un qualche rapporto fra soggetto e pubblica amministrazione.    Il criterio di identificazione delle mansioni pubbliche proprie del diritto amministrativo può dunque dirsi prevalentemente “ soggettivo “.  Nel diritto penale, invece, le categorie dei soggetti investiti di pubbliche mansioni sono poste al fine di individuare persone alle quali da un lato viene riconosciuta una particolare dignità , e , conseguentemente , una più energica tutela penale,  e , dall’altro , vengono attribuiti maggiori doveri, e, quindi, una più pesante responsabilità penale ........ Inoltre , dignità e responsabilità, in un ordinamento democratico, in cui il funzionario deve essere considerato non tanto quale autorità quanto come servitore dell’interesse generale, e, quindi della collettività, non sempre coincidono ......... Tanto meno dunque si può asserire che le nozioni del diritto amministrativo combaciano sempre e necessariamente con quelle del diritto penale.

Un secondo ostacolo deriva dalla diversità nelle specifiche categorie in esame.  Il  diritto amministrativo ammette le sole     due classi dei pubblici ufficiali e degli incaricati di pubblici servizi.  Il diritto penale, a fianco di esse ha collocato quella   degli esercenti un servizio di pubblica necessità ( art. 359 c.p. )  ed  ha  configurato  i  relativi  reati. ”  [89] 

Anche per il  BATTAGLINI  “ la legge penale dava alla contrapposizione fra funzione e servizio un valore ed un significato suo proprio , che non consente di accogliere sic et simpliciter , senza caute riserve , definizioni e nozioni elaborate dal diritto amministrativo “. [90]

Ecco perché  -  rilevava il  DEL CORSO  -   la scienza penale assunse in prima persona “ il compito di definire, in chiave esclusivamente penale e per fini che non interessano più le altre branche della scienza giuridica , quali figure si celino dietro le enigmatiche nozioni  di  “ pubblico ufficiale “   e  di  “ incaricato di pubblico servizio  “ “.  [91]   In altre parole , stante l’incapacità delle scienze amministrativistiche di fornire univoci criteri per l’individuazione dei pubblici agenti , si affermò la necessità di ricostruire le qualifiche pubblicistiche desumendone le caratteristiche strutturali dal sistema penale.

Le teorie autonomiste, sviluppatesi in seguito a questi orientamenti, trovarono  fondamento in una interpretazione per così dire  “ limitata “ , attribuita all’inciso di apertura degli art. 357 - 358   “  agli effetti della legge penale  “. 

Peraltro , già prima della promulgazione della Costituzione Repubblicana  si  era richiamata l’attenzione sul fatto che dall’inciso  “ agli effetti della legge penale “ , sarebbe stato possibile dedurre la non coincidenza fra la nozione generica del pubblico ufficiale e  quella specifica del diritto penale.  “ A diversi effetti giuridici  -  aveva rilevato infatti il  NUVOLONE  -  possono essere pubblici ufficiali anche persone che non rientrano nelle categorie determinate dalla legge  penale  “.  [92]

 Così in una pronuncia della Cassazione , del 1960 , si affermò che “ comunque, a prescindere dalla questione se esista una nozione di pubblico ufficiale, la quale sia valida per tutti i rami del diritto pubblico, e dalla affermazione che, avendo la scienza del diritto penale oggetto e metodo autonomi, nulla giustifica che le soluzioni proprie di altre branche del diritto siano vincolanti per il diritto penale, tanto più in questo caso in cui il diritto penale si troverebbe nella necessità di fare proprie, senza possibilità di discussione, le soluzioni disseminate nella giungla delle leggi speciali, onde nulla vieta che il diritto penale possa giungere alla formulazione di un concetto autonomo di pubblico ufficiale, ritenendo incaricato di pubblico servizio chi da legge extrapenale è considerato pubblico ufficiale oppure ritenendo pubblico ufficiale chi da legge extrapenale è considerato pubblico impiegato incaricato di un pubblico servizio  “.  [93]

Fra gli Autori che  -  sia pure su diverse posizioni  -  si sono impegnati nella ricerca di una definizione autonoma della               “ pubblica funzione “ , il  MALINVERNI  ha avuto il merito di segnalare come  una tale nozione  andasse ricavata dall’analisi di un gruppo di reati commessi dal pubblico ufficiale. [94]  L’Autore giunse  alla conclusione che i poteri di coazione a di attestazione facente pubblica fede e le mansioni di particolare importanza                   ( direzione dell’ufficio, concorso a formare la volontà o a rappresentarlo nei confronti dei terzi ) nei pubblici uffici costituissero le pubbliche funzioni proprie dei pubblici ufficiali.  Non senza rilevare , però , la difficoltà di tracciare una linea di demarcazione precisa tra le due qualifiche : “ l’interprete si è trovato a dover escogitare una soluzione razionale, per un problema irragionevole, e , precisamente a dover trovare le qualità caratterizzanti e differenziali per categorie , che non hanno alcuna precisa fisionomia nel diritto , e neppure nella realtà della vita e del costume. Da interprete il giurista ha dovuto trasformarsi in ortopedico  “.  [95]

Sulla stessa linea di ricerca di una nozione autonoma di            “ pubblica funzione “ si mosse il  RAMACCI  avvalendosi , come il  MALINVERNI , della interpretazione di alcune figure criminose nelle quali viene in considerazione il pubblico ufficiale.  “ Potrebbe sembrare  - affermò l’ Autore - che il compito dell’interprete si riduca alla semplice ricerca di una norma che spieghi cosa debba intendersi per  “ esercizio di pubbliche  funzioni  “.  Senonchè la facilità di tale ricerca è soltanto apparente, dal momento che una norma del genere non esiste.   Da questo rilievo la dottrina ha tratto la convinzione che fosse necessario spostare l’indagine su di un piano diverso e precisamente di doverla articolare attraverso la ricerca, e la susseguente analisi, di quei dati normativi che , per riferirsi indiscutibilmente a condotte realizzabili esclusivamente dal pubblico ufficiale, dovrebbe consentire, sia   pure indirettamente , di  individuare  la  dimensione  normativa della proposizione           “ esercizio di pubbliche funzioni “ ........ L’interpretazione sistematica è lo strumento ermeneutico più indicato per la rilevazione e la comprensione di tutti i dati normativi, significativi per la soluzione del problema in esame, riscontrabili nell’ordinamento  “.  [96]

Il  RAMACCI  prendeva  in considerazione l’art. 51 ,             2° comma c.p. il quale così stabilisce :

       “ Se un fatto che costituisce reato è commesso per ordine dell’autorità, del reato risponde sempre il pubblico ufficiale che ha dato l’ordine  “.

Questo consentiva di ritenere - secondo l’ A. - che i soggetti investiti di autorità , di cui si parla in numerose norme del codice vigente, fossero pubblici ufficiali. Era quindi la legge a dire che si ha esercizio di pubbliche funzioni là dove il soggetto sia titolare dei poteri di emettere ordini che devono essere ubbiditi ,  di sancire divieti che devono essere rispettati, di deliberare autorizzazioni che perfezionano i diritti in attesa di espansione, di emettere provvedimenti per ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica , o di ordine pubblico o di igiene. “ Particolarmente indicativa - rilevava il  RAMACCI  -  è non tanto la esplicita affermazione del fatto che il pubblico ufficiale può dare ordini che devono essere obbediti ,   quanto l’assimilazione della nozione di pubblico ufficiale a quella di autorità. L’indubbia constatazione che questa norma si riferisce al pubblico ufficiale come espressione dell’autorità ci consente di ritenere che i soggetti investiti dei poteri dell’autorità, di cui si parla in numerose norme del codice in vigore, sono pubblici                 ufficiali  “.  [97]

Tuttavia lo stesso Autore sottolineava come la espressione        “ agli effetti della legge penale “ non significa che la nozione sia esclusivamente penalistica ; e come , anche a prescindere da ciò,  non sarebbe consentito costruire una nozione propriamente ed esclusivamente penalistica.  Peraltro , sarebbe lo stesso codice a smentire l’assolutezza del parametro dell’esercizio di poteri autoritativi : infatti in alcune figure criminose che hanno per soggetto attivo il pubblico ufficiale è possibile rinvenire esercizio di pubbliche funzioni senza che al pubblico ufficiale sia collegata alcuna posizione di supremazia nei confronti del privato ( si pensi all’attività di certificazione per atti pubblici che è sicuramente tipica dei pubblici ufficiali ). Cosicchè il criterio dell’art. 51 non sarebbe decisivo.

In conclusione , secondo il  RAMACCI , l’insufficienza dei criteri desunti attraverso l’interpretazione “ dal sistema “ dimostrava che , “ quanto meno riguardo alla disposizione che ci interessa, il significato del dato normativo, la sua ragion d’essere non possono essere colti attraverso una “ fredda ricognizione “ delle ipotesi normative ad esso collegate. Il ricorso all’interpretazione sistematica, nella pretesa di colmare nella disposizione dell’art. 357 un vuoto che in realtà non esiste, ha        “ costruito “ per questa norma una   dimensione  e  una  portata   diverse da quelle  che  le  sono “ tipiche “.  Il significato della  legge , che si è creduto di precisare, è stato invece travisato, appunto perché si è ritenuto di poter prescindere nella sua interpretazione da una molteplicità di elementi di valore desumibili dall’esperienza storica politica e sociale del momento in cui si applica la norma. Significati di valore che sono invece dalla norma tipicamente anticipati e preveduti proprio attraverso il parametro che essa stessa fornisce : l’esercizio di una pubblica            funzione  “.  [98]

Con ciò l’art. 357 veniva a costituire  una norma  “ aperta “ , il cui unico parametro di riferimento ( quello dell’esercizio di una pubblica funzione “ )  doveva essere desunto di volta in volta dall’esperienza storica , politica e sociale  del momento.

“ L’illusorio convincimento  di comprendere il significato di una disposizione attraverso l’interpretazione di altre norme del sistema  -  proseguiva l’A. - ha fatto si che la prescrizione dell’art. 357 fosse definitivamente ancorata a degli pseudo criteri sulla cui validità si era disposti a giurare , non solo perché risultavano desunti dalla legge , ma altresì perché ben si adattavano alle concezioni ideologiche del tempo della codificazione . La               “ chiusura “ che in tal modo del tutto arbitrariamente  si operava rispetto alla norma dell’art. 357 ha impedito ogni possibilità di adeguamento interpretativo alla mutata realtà sociale  “. [99]

 Muovendo da una prospettiva penalistica, dunque, la definizione delle attività svolte dai pubblici poteri risultava  inafferrabile e del tutto inappagante. Di ciò peraltro si era reso conto il  MIELE , fin dall’entrata in vigore del codice Rocco , affermando che “ di fronte alle difficoltà naturali dell’indagine e tenuto conto degli studi sin qui compiuti, sarebbe lecito domandarsi se la via battuta dagli artefici del nuovo documento sia stata conforme ai canoni di una buona tecnica legislativa, consapevoli com’erano di edificare su fondamenta tanto discusse  “.  [100]

Lo stesso ANTOLISEI , rilevando come in campo giuspubblicistico  regnasse  ( in materia )  la maggiore discordia , rinunciò alla formulazione di una propria teoria  , “  la quale finirebbe col subire la sorte di tutte quelle che la hanno      preceduta  “ , limitandosi ad indicare solo alcuni  “ criteri di massima  “.  [101]

Per questo Autore  le difficoltà erano accresciute dal fatto che la distinzione delle mansioni era stata adottata allo scopo di realizzare due finalità differenti : da un lato stabilire una maggiore responsabilità a carico dei pubblici ufficiali in caso di violazione dei rispettivi doveri ; dall’altro assicurare agli stessi una maggiore protezione di fronte a possibili offese degli estranei. Così dopo aver ribadito che la qualità di pubblico ufficiale sarebbe stata determinata dalla qualità della funzione effettivamente esercitata, mentre quella di incaricato di pubblico servizio dalla prestazione effettiva di un pubblico servizio, l’ ANTOLISEI  enunciò i criteri di massima che dovevano individuare  una pubblica funzione :

1) potere di concorrere a formare e manifestare la volontà dello Stato o di altro ente pubblico ;

2) poteri autoritativi di coazione ;

3) poteri di certificazione .

Tali indici - secondo l’A. - erano assenti nella figura di incaricato di pubblico servizio.

Questa teoria però - rilevò in seguito la SEVERINO DI   BENEDETTO  -  si preoccupava  esclusivamente  di individuare i criteri di delimitazione interna  della pubblica funzione , allo scopo di distinguerla dal pubblico servizio. E , nel fare ciò , trascurava completamente la ricerca di un parametro che consentisse di circoscrivere correttamente la funzione pubblica rispetto a quella privata. Ciò si risolveva non solo in una costante incertezza sulla linea di confine tra i due ambiti di attività , ma si traduceva anche in un evidente empirismo dei criteri di riferimento usati. [102]

 Alle teorie autonomistiche parte della dottrina obiettò una serie di difetti e di limitazioni. Ad esempio si rilevò come esse ponessero scarsa attenzione al profilo funzionale della pubblica amministrazione e ai diversi modelli di intervento pubblico nelle attività economiche , limitandosi a prendere in esame il profilo organizzativo della pubblica amministrazione e dunque la posizione dell’organo e dell’ente pubblico nell’ordinamento giuridico.

Per il  DEL CORSO in particolare tali teorie concentravano troppo la loro attenzione sulla natura del soggetto  ( organo o ente ) che svolge una certa attività, stabilendo un legame tra la natura del soggetto e la natura dell’attività : se il soggetto è pubblico l’attività è pubblica . [103] La P.A. veniva considerata sotto un aspetto esclusivamente organizzativo, evidenziandosi lo svolgimento soggettivo diretto da parte dei pubblici poteri di attività fra loro estremamente differenziate. E ciò sul presupposto che , solo se un’attività è svolta da pubblici poteri, essa risulta rilevante dal punto di vista pubblicistico , proprio perché il soggetto pubblico che la esercita è destinato istituzionalmente al raggiungimento di finalità di identica specie.

  Sfuggiva così il profilo  funzionale della P.A. : “  soprattutto l’esistenza , nel  nostro sistema , di quella molteplicità di modelli differenziati di P.A. che consentono ormai ai pubblici poteri ...... di perseguire le loro finalità svolgendo anche direttamente  l’attività economica , oppure  limitandosi a difigere la stessa  qualora venga esercitata da operatori privati  “.  [104]   L’ Autore postulava dunque , come necessario, un ritorno alla scienza del diritto amministrativo.

Altra parte della dottrina contestò sia le premesse teoriche sulle quali si basavano le teorie autonomiste  -  e cioè la necessità e la stessa possibilità di frammentare l’unità dell’ordinamento giuridico - sia la validità metodologica di un sistema che pretendeva di trarre dalle situazioni di fatto descritte nelle fattispecie di reato parametri per l’individuazione di un pubblico servizio o di una pubblica funzione. “ Si deve considerare come regolare  -  affermò ad es. la   SEVERINO DI BENEDETTO - l’uniforme accezione delle nozioni , da qualunque ramo del diritto elaborate nell’ordinamento giuridico considerato nel suo  complesso , mentre va considerato come eccezione la cui validità deve essere provata caso per caso , l’esistenza di un’autonoma  ricostruzione di concetti generali da parte di una specifica disciplina ....... La generica osservazione secondo cui le finalità del diritto penale sarebbero diverse da quelle perseguite da altre branche del diritto non ha mai trovato il supporto di una puntuale motivazione “. [105] 

Se dunque il diritto amministrativo operava una delimitazione dei concetti di pubblica funzione e di pubblico servizio allo scopo di meglio individuare  quella sfera di attività che ricade sotto la disciplina pubblicistica , il diritto penale ben poteva avvalersi dei risultati di tale elaborazione al fine di circoscrivere l’ambito delle attività il cui scorretto esercizio può dar luogo - laddove si traduca in una lesione degli interessi del buon funzionamento , della correttezza e della imparzialità della pubblica amministrazione intesa in senso oggettivo - all’intervento della sanzione penale.

 Secondo l’ Autrice , pertanto , le nozioni di “ pubblica funzione “ e di “ pubblico servizio “ andavano ricomprese nella categoria degli elementi normativi non penali , come tali specificabili , quanto al contenuto , mediante ricorso a quei rami dell’ordinamento in cui tali concetti  erano stati elaborati e  delineati : “  L’unica via che rimane  da intraprendere  è quella del  riferimento alla nozione  elaborata dal diritto amministrativo  “.  [106]

Al riguardo , peraltro , il  RAMPIONI  ebbe a ricordare come  il principio - cardine dell’ordinamento giuridico sia quello di non contraddizione , il quale comporta la necessità  di  “ armonizzare le diverse branche  “  dell’ordinamento giuridico laddove ci si trovi di fronte ad una materia che presenti una pluralità di fonti    legislative. [107]  Sicchè rinviare ad istituti propri del diritto amministrativo non significava  recepire “ in toto “ le nozioni elaborate nella scienza pubblicistica.

“ E’ soltanto attraverso l’armonizzazione delle nozioni derivanti dalle diverse branche dell’ordinamento  -  sottolineò nello stesso senso il  CORRADINO  -  che si può giungere ad una nozione che sia data  “ ai fini della legge penale “  nel rispetto del dettato normativo degli art. 357 - 358 c.p., e che tenga conto al tempo stesso della reciproca interferenza esercitata dagli elementi facenti capo ad un medesimo sistema.” [108]

Nella panoramica fin qui brevemente percorsa , si prospettò dunque come necessaria una riforma degli articoli 357 - 358 c.p. che sola avrebbe risolto le dispute dottrinali  fissando precisi criteri di individuazione delle nozioni di “ pubblica funzione “ e di           “ pubblico servizio “  : criteri che chiarificassero  sia l’aspetto della delimitazione “ esterna “, - tra attività di natura pubblicistica e attività di natura privatistica  -  sia quello della delimitazione          “ interna “ -  tra pubblica funzione e pubblico servizio. 

A tale scopo , secondo la  SEVERINO DI BENEDETTO ,     la necessità di un ricorso ai concetti giuspubblicistici appariva sostenuto da una approfondita elaborazione della dottrina operante in quel campo , rivelandosi così indispensabile per individuare i criteri “ attraverso i quali poter fondatamente discernere la normativa pubblica rispetto a quella privatistica , ed in conseguenza pervenire ad una esatta delimitazione delle due forme di attività “.  [109]

Peraltro , oltre al problema dell’interferenza tra diritto privato e diritto pubblico nella definizione delle qualifiche soggettive             ( dovuto al progressivo ampliamento dell’intervento statuale in settori sottratti all’iniziativa privata  ) si rilevò l’esigenza di tenere in considerazione sia i profili soggettivi , sia i profili oggettivi da cui è costituita una moderna P.A. : profili che , come visto , convivevano sin dal ’30 , ossia dalla emanazione del codice.  Considerata tale insopprimibile necessità , connaturata ad ogni teoria dei pubblici poteri , concludeva  DEL CORSO : “ Libero così da preconcette  e  discutibili  concezioni “ soggettive “  od      “ oggettive  “ ,    l’interprete  penale deve ...... operare una sorta di ricognizione , sul terreno del  diritto  amministrativo , al  fine di puntualizzare   - in  relazione a tali  mutamenti  intervenuti nella trama dei  pubblici poteri  -   “  che cosa  “  debba intendersi  oggi  per  P.A. ; e , nel  far  ciò , dovrà  prestare  particolare  riguardo  a quelli  che  si sono definiti  i   profili organizzativi  e /o  funzionali   presenti    nei  modelli  differenziati  di  P.A. disciplinati  nel nostro sistema . Solo  a  queste condizioni , infatti ,  le  nozioni     di  pubblica  funzione  e  di  pubblico servizio potranno trovare una  loro  più  solida  dimensione  normativa e sfuggire a linee  interpretative a nostro avviso eccessivamente  semplificatrici  “.  [110]

 


 

[50] S. DEL CORSO “ Pubblica funzione e pubblico servizio di fronte alla trasformazione dello Stato : profili penalistici “ in  Riv. It. Dir. e Proc. Pen. 1989, p. 1039.

[51] A. MALINVERNI  “ Pubblico ufficiale e incaricato di pubblico servizio “ ,  in  NOVISS. DIG. IT. , vol. XIV , 1967 , p. 561.

[52] A. MALINVERNI , op. cit. , p. 560.

[53] RAMACCI “ Prospettive dell’interpretazione dell’articolo 357 c.p. “ ,  in Riv. It. Dir. Proc. Pen. , 1965 , p. 866.

[54] BETTIOL “ Aspetti politici del diritto penale contemporaneo “ , 1953 , p. 30.

[55] BETTIOL , op. cit. , p. 35.

[56] NUVOLONE “ Le leggi penali e la Costituzione “ , 1953 , p. VII.

[57] RAMACCI “ Prospettive dell’interpretazione dell’art. 357 c.p. “ , cit. , p. 863.

[58] RAMACCI , op. cit. , p. 864.

[59] MALINVERNI , op. cit. , p. 561.

[60] A. SEGRETO - G. DE LUCA  “ I delitti dei pubblici ufficiali contro la P.A.. Dopo le leggi 86/90, 146/90, 241/90 “. MILANO , GIUFFRE’ , 1991 , p. 2.

[61] Relazione finale al progetto di codice penale , vol. V , parte II , Roma , 1929 , p. 115-6.

[62] A. MALINVERNI , op. cit. , p. 562.

[63] SEGRETO - DE LUCA , op. cit. , p. 6.

[64] MALINVERNI , op. cit. , p. 562.

[65] Relazione al Progetto definitivo del nuovo codice penale , in  Lavori preparatori del codice penale , vol. V , parte II , Roma 1929 , p. 118.

[66] MALINVERNI , op. cit. , p. 562.

[67] RAMACCI , op. cit. , p. 873.

[68] Relazione al progetto definitivo , II , n°  357.

[69] E. ALTAVILLA ,  voce Pubblico ufficiale , in   Nuovo Dig. It. ,  1939 ,  p. 992.

[70] R. PANNAIN “ I delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione “ , NAPOLI , 1970 , p.17-8.

[71] Relazione finale , cit. , p. 118-9.

[72] Relazione finale , cit. , p. 117-8.

[73] PANNAIN , op. cit. , p. 18.

[74] Cass. 2 dicembre 1950 , in Giust. Pen. , 1951 , II , c. 497 , 324.

[75] Cass. 12 dicembre 1960 ,  in Arch. Pen. 1961 , II , p. 539 , 541.

[76] DEL CORSO , op. cit. , p. 1045.

[77] DEL CORSO , op. cit. , passim.

[78] GIROLA “ Funzione pubblica e servizio pubblico nel nuovo codice penale “ , in Riv. It. Dir. Pen. , 1932 , 506-7.

[79] ZANOBINI  “ L’esercizio privato delle pubbliche funzioni “ , in  Trattato dell’Orlando , 1920 , MILANO , p. 192.

[80] GRISPIGNI F. “ Pubblico ufficiale e incaricato di pubblico servizio “ ,  in Studi Manzini  , 1954 , p. 54.

[81] M. GALLO  “ Nozione del pubblico ufficiale, dell’incaricato di un pubblico servizio e dell’esercente un servizio di pubblica necessità nel nuovo codice penale “ , in Ann. Dir. e proc. pen. , 1933-4 , 1066-7.

[82] G. MIELE  “ Pubblica funzione e pubblico servizio “ , in Arch. Giur. , 1933 , 202.

[83] Relazione finale , cit. , p. 118 - 119.

[84] DEL CORSO , op. cit. , p. 1053.

[85] G. MIELE  “ Pubblica funzione e servizio pubblico “, cit. , p. 172 ss..

[86] DEL CORSO , op. cit. , p. 1053.

[87] RAMACCI , op. cit. , p. 871.

[88] DEL CORSO , op. cit. , p. 1057.

[89] MALINVERNI , op. cit. , p.564.

[90] E. BATTAGLINI  “ Osservazioni sui requisiti e sui caratteri differenziali della pubblica funzione , del pubblico servizio e del servizio di pubblica necessità “ , in Studi in onore di Mariano D’Amelio , Roma  1933 , p. 120 ss..

[91] DEL CORSO , op. cit. , p. 1055.

[92] NUVOLONE  “ Brevi note sul concetto penalistico di pubblico ufficiale “ , in  Riv. It. Dir. pen. , 1940 , p. 45.

[93] Cass. 12 dicembre 1960, in Arch. Pen. 1961, II , p. 541.

[94] MALINVERNI  “ Pubblico ufficiale e incaricato di pubblico servizio nel diritto penale “ , 1951, p. 55.

[95] MALINVERNI ,  voce “ Pubblico ufficiale , incaricato di pubblico servizio , esercente un servizio di pubblica           necessità “  ,  in  Enc. Forense , V , Milano , 1060 , p. 1213.

[96] RAMACCI  “ Prospettive dell’interpretazione dell’art. 357 c.p. “ , cit. , p. 873-4.

[97] RAMACCI , op. cit. , p. 875.

[98] RAMACCI , op. cit. , p. 888.

[99] RAMACCI , op. cit. , p. 893.

[100] MIELE , op. cit. , p. 174.

[101] F. ANTOLISEI  “ Sulla nozione di pubblico ufficiale “ , in  Scritti in onore di V. MANZINI , 1954 , p. 33-6.

[102] SEVERINO DI BENEDETTO  “ I delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione , parte I , Le qualifiche soggettive “ , 1981 , Jandi Sapi ed. ,p. 27.

[103] DEL CORSO , op. cit. , p. 1063.

[104] DEL CORSO , op. cit. , p. 1065.

[105] P.SEVERINO DI BENEDETTO “ Delitti dei pubblici ufficiali contro la p.a..Le qualifiche soggettive “ Milano ,   1986 , p. 20.  Cfr. PANNAIN R. “ I delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione “ , cit. , p. 17.

[106] P. SEVERINO DI BENEDETTO “ I delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione. Parte I. Le qualifiche soggettive “  Jandi Sapi Editori 1981, p. 16.

[107] RAMPIONI , op. cit. , p. 31.

[108] M. CORRADINO  “ Il parametro di delimitazione esterna delle qualifiche pubblicistiche : la nozione di diritto   pubblico ”  , in  Riv. It. Dir. e Proc. Pen. ,  1992 , p. 1330.

[109] SEVERINO DI BENEDETTO , op. ult. cit. , p. 19.

[110] DEL CORSO , op. cit. , p. 1078.

 

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