STUDIO LEGALE AMATI

 

Avv. Silvia Amati

Dott. Roberto Amati

 

 

 

 


 

 

Documenti: Tesi di Laurea

 

Concussione per Induzione

di Silvia Amati

 

 

2° CAPITOLO : ANALISI DELLA RIFORMA.

 

1.  LE RAGIONI DI UNA RIFORMA.

 

La legge di riforma n° 86 del 26 aprile 1990 ha visto la luce dopo anni di proposte e dibattiti.

Benchè sulla necessità di riformare i delitti dei pubblici ufficiali contro la Pubblica Amministrazione si fosse da sempre registrata una significativa concordia di opinioni , tale esigenza si fece più insistente negli ultimi tempi : da quando cioè - come ha affermato  SANTACROCE -  si aprì il dibattito sul funzionamento delle istituzioni , e segnatamente sulla funzionalità degli apparati di controllo , generalizzandosi la convinzione che fosse arrivato il momento di por mano a una  “ stagione “ di riforme istituzionali incisive, a partire dai controlli penali. [1]

“ A sollecitare la riforma - prosegue l’Autore - spingevano indubbiamente alcuni vizi storici dello  “ statuto penale della Pubblica amministrazione “ delineato dal codice Rocco , soprattutto sul piano dei valori che il diritto penale si propone di tutelare. Dopo anni di modifiche parziali e frammentarie , suggerite per lo più dalla Corte Costituzionale e dettate dall’emergenza , bisognava evitare che le norme penali , formulate quando non esistevano così fitte intersecazioni fra sistema economico e apparato politico , potessero continuare a creare seri intralci all’autonomia e alla duttilità che devono caratterizzare l’azione dell’amministrazione , aprendo spazi eccessivi alla discrezionalità dell’interpretazione giurisprudenziale e consentendo al giudice discutibili operazioni di censura e di controllo sull’esercizio dell’attività amministrativa , se non addirittura vere e proprie sostituzioni del giudice all’amministratore pubblico in settori riservati alla competenza di quest’ultimo. “  [2]

L’ ALBAMONTE ha sottolineato la “ inadeguatezza dell’intero sistema delineato dal Capo in esame rispetto all’assetto organizzativo che lo Stato aveva assunto in questi anni , sia per l’accresciuta sfera di intervento dello Stato nella vita sociale ed economica del paese, sia per la diffusione delle autonomie locali e degli enti pubblici di coordinamento di settori economici o di produzione e scambio di beni e servizi, sia per gli investimenti di capitali ed i contributi nel settore privato “.[3]

D’altronde , come osservò il  VIOLANTE ,  “ quando si parla di pubblica amministrazione si fa riferimento ad un’area più vasta di soggetti e di problemi rispetto alle Regioni ed agli Enti locali. Le norme penali di cui si discute sono applicabili egualmente al funzionario di banca ed al sindaco, all’usciere e al ministro. E mentre il concetto di pubblica amministrazione cui fa riferimento il codice penale è rimasto intatto , in questi ultimi cinquant’anni c’è stata una guerra mondiale , un mutamento istituzionale profondo dell’assetto e dei compiti dello Stato , l’affermazione delle Regioni e delle Autonomie locali , uno sviluppo della democrazia e dei diritti civili del tutto impensabile negli anni ’30. E la cosa è tanto più grave in quanto , per lato di questa parte , Alfredo Rocco mutuò direttamente concezioni ed istituti dal codice del 1889. Si può quindi dire che l’assetto della pubblica amministrazione che è sotteso alle norme del codice penale risale non a mezzo secolo fa , ma a quasi un secolo fa , in epoca antecedente alla grande scuola di diritto pubblico che si affermò in Italia tra la fine del secolo scorso e i primi lustri di questo secolo , in stretta comunicazione con quanto avveniva nelle scuole di diritto pubblico francesi e   tedesche “. [4]                  

Ora ,  come sottolineato dal  SANTACROCE , l’ingresso   della mano pubblica nel campo dell’economia e il processo           di democratizzazione che aveva investito larghi strati dell’amministrazione segnando il passaggio da una gestione con organi di derivazione burocratica a una gestione con organi di matrice elettiva ( o comunque designati da organi elettivi ) avevano determinato una situazione di così pesante degrado , anche e soprattutto morale , da lasciare intravedere una corruzione sistematica sotto ogni episodio di mera irregolarità amministrativa , o da far ravvisare pressochè costantemente nei vizi di legittimità dell’atto amministrativo altrettante spie di altrettante fattispecie di abuso di ufficio.  [5]

Oltre a ciò bisogna ricordare che l’ampliarsi dei settori di intervento dello Stato aveva comportato il crescente ricorso a moduli giusprivatistici in luogo dei consueti moduli giuspubblicistici. Dunque , lo Stato aveva finito per mutuare dal privato schemi e modelli utilizzando strumenti di diritto comune, sia nei rapporti con i terzi sia nei rapporti con i propri     dipendenti. Come ha affermato  il GIAMPAOLINO , la Pubblica  Amministrazione non si atteggiava più quale  “ sistema fondamentale uniforme ed accentrato , braccio esecutivo della legge ma come organizzazione nella quale si compenetrano modelli pubblicistici e privatistici. “  [6]

 Ancora , si deve tener conto del fatto che il rapporto tra legge e amministrazione, che era prima definito come rapporto tra             “ astratto “  e  “ concreto “ , si era modificato a causa del sempre maggior numero delle cd. leggi - provvedimento.  Così ad es. ,  nella Relazione introduttiva al progetto di legge n° 1219 , ANDO’ed altri , presentato alla Camera il  27 luglio 1987 si affermò che “ L’idea della pubblica amministrazione avuta presente dal codice ROCCO è quella di un sistema fondamentale uniforme e accentrato , dominato dal principio di legalità e concepito come un braccio esecutivo della legge. Questa amministrazione non esiste più , perché uno dei cardini su cui si fondava il codice ROCCO  per quanto riguarda la configurazione dell’illecito penale, era la separazione tra pubblico e privato ........ Oggi le due sfere di interesse - pubblico e privato - si compenetrano nell’ ambito dell’ attività amministrativa e le strutture e i modelli della pubblica amministrazione sono tali da far registrare un crescente ampliamento dei moduli giusprivatistici rispetto a quelli giuspubblicistici. Cambiano da un lato le forme dell’organizzazione amministrativa e dall’altro le attività atipiche della pubblica amministrazione tendono a dilatarsi in modo inarrestabile. Lo stesso rapporto tra legge e amministrazione come rapporto tra l’ “ astratto “ e il “ concreto “ , muta a causa del proliferare di leggi - provvedimento , attraverso le quali il legislatore ipotizza e ricalca fin nei dettagli i comportamenti amministrativi “.

Altre volte le stesse leggi sono munite di clausole in bianco che rinviano ogni scelta alla fase amministrativa : leggi cd.                   “  manifesto “ o  ideologiche che , come sottolineò   IADECOLA  , “ si limitano ad indicare alla pubblica amministrazione la necessità di raggiungere uno scopo, senza contemporaneamente fornire , o anche indicare , gli strumenti da utilizzare. In tal modo vengono ampliati notevolmente non solo gli spazi di intervento ma anche l’ambito dell’autonomia della pubblica amministrazione , i cui organi di vertice finiscono per svolgere , a fianco dei politici , compiti di “ alta amministrazione “ , investiti di un ruolo nuovo e di nuove funzioni che alterano gli stessi caratteri tipici della responsabilità amministrativa “.  [7]

  “ Attraverso questa legislazione , - si legge nella Relazione appena citata  -  alla pubblica amministrazione vengono spesso affidati compiti di enorme rilevanza politica , decisioni connesse alla distribuzione di risorse economico - sociali anche ingenti. Una amministrazione alla quale sono affidate decisioni di tale livello e spazi di tale autonomia non può poi non incrementare i propri spazi. Si sviluppa quindi al vertice dell’amministrazione , una fascia di funzionari che cooperano con i politici nell’attività cosiddetta di “ alta amministrazione “. Il decentramento politico amministrativo e la gestione di nuovi servizi da parte dell’amministrazione pubblica fa poi moltiplicare le istanze decisionali ; si richiede quindi ai vertici burocratici l’assolvimento di funzioni di sintesi e di raccordo che alterano i caratteri tipici della responsabilità amministrativa. “  

A fronte di tali trasformazioni si lamentava - come ricorda il  SANTACROCE - una violazione del principio di tassatività           ( sancito dall’art. 25 comma 2° della Costituzione ) in ordine alle fattispecie di reato dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione previste nel codice penale.

 “ L’accusa investiva essenzialmente quelle fattispecie correlate all’esercizio ( o al mancato esercizio ) di un potere discrezionale che si caratterizza per la deviazione da certi modelli di comportamento reputati obbligatori : come accade nel peculato per distrazione , o nell’abuso di ufficio , o nell’interesse privato in atti di ufficio , o nell’omissione di atti di ufficio. La formulazione tecnica di queste norme toccava il tema più generale della determinazione dei rapporti fra diversi poteri dello Stato , a differenza di altre figure di reato ( come il peculato per appropriazione , la corruzione e la concussione ) che presentano invece una struttura più assestata e irrigidiscono l’offesa su elementi di disvalore sostanziale , se non altro perché la loro incriminazione risponde a esigenze di politica criminale radicate in tutte le codificazioni moderne e non coinvolge il tema della discrezionalità amministrativa e il piano , comunque scivoloso , dei controlli esterni del suo uso concreto “. [8]   

L’indeterminatezza ed elasticità delle fattispecie incriminatrici originarie aveva accentuato la libertà interpretativa in sede di applicazione , e dunque ampliato i limiti della discrezionalità interpretativa dei giudici.  “ Questa ambiguità - rilevò il    GROSSO - ha consentito alla magistratura penale dubbie operazioni di censura e di controllo sull’esercizio dell’attività amministrativa , e talvolta vere e proprie sostituzioni del giudice all’amministratore in settori riservati alla competenza di quest’ultimo , ed ha favorito quella confusione di poteri e competenze che permea pericolosamente il panorama istituzionale del nostro paese “. [9] Con la conseguenza di vedere sfumare il confine tra illecito penale e illecito amministrativo. Secondo l’Autore infatti l’ambiguità della legge sembrava “ autorizzare il giudice ad intervenire nei confronti di atti che non costituiscono manifestazione di disonestà o di affarismo , ma semplice esercizio della discrezionalità amministrativa “ e dunque  ad utilizzare lo      “ strumento della repressione penale contro attività che più propriamente sembrerebbero censurabili , a seconda dei casi , sotto il profilo della responsabilità amministrativa , contabile , politica , o addirittura  non censurabili affatto. “  [10] 

Anche RUSSO ha ricordato come risultassero talora punibili     “ atti di natura  discrezionale che , per l’ambiguità delle  norme , potevano scambiarsi  per  manifestazioni  di disonestà o di affarismo ......... Era  in definitiva  non più procrastinabile  una  riforma  tesa  a  ridefinire  alcune  fattispecie criminose in modo da evitare eccessive valutazioni del  magistrato  penale  sulla discrezionalità  della  P.A. , nonché ad  utilizzare  lo strumento penale contro  attività  censurabili  magari solo sotto il profilo  amministrativo , contabile o politico , senza  peraltro determinare pericolosi abbassamenti del livello  di guardia  contro gli    affarismi , le  speculazioni  e i  favoritismi  dei  pubblici  amministratori “ [11] , che invece andavano più miratamente combattuti , come affermò l’ ALBAMONTE  , allo scopo di          “  restituire credibilità , efficienza  e trasparenza all’azione della Pubblica Amministrazione , in risposta alla cosiddetta questione morale. “  [12]

La suddetta mancanza di tassatività aveva portato al duplice fenomeno della “ supplenza “ giudiziaria e del cosiddetto               “ sindacato “ del giudice penale sull’atto amministrativo ovvero , secondo le parole del  RAMPIONI , ad un’inammissibile “ politica interventista “ del potere giudiziario sulle concrete scelte amministrative.  [13]

Come si legge nella Relazione  al disegno di legge  VASSALLI  n° 1250 del 1985 , la inerzia legislativa  finiva inevitabilmente       “ col legittimare , di fatto , la supplenza della magistratura , che      - nello sforzo di fare comunque giustizia , là dove il senso etico comune impedisce di ignorare , o , peggio ancora , di ritenere  indifferenti , comportamenti manifestamente antisociali , sol perché carenti di una specifica disciplina giuridica - è portata ad attuare manipolazioni interpretative delle norme esistenti , ampliandone e spesso deformandone la portata e l’ambito di applicazione , e , non di rado , spingendo il suo intervento sino al limite di una interferenza , per tanti aspetti pericolosa , nelle funzioni attribuite ad altri poteri dello Stato.” [14]   In altro punto della Relazione si aggiungeva che solo se i  controlli interni  al sistema amministrativo avessero ripreso a funzionare con efficacia e con tempestività , “ senza cedimenti e con inflessibile rispetto della necessaria osservanza della legittimità “ , sarebbe venuto meno in modo del tutto naturale la tentazione a cui la magistratura aveva ceduto , “ e cioè quella di sostituirsi essa stessa ai predetti organi amministrativi , attuando una sorta di supercontrollo del loro operato in sede penale : supercontrollo che , talvolta , si è spinto sino al punto di sindacare le scelte politiche e la congruità dell’azione svolta dalla pubblica amministrazione in rapporto ai fini perseguiti. “  [15]

Peraltro secondo il  BERTI il proliferare , nella pratica giudiziaria , dei delitti contro la P.A. probabilmente era anche la conseguenza del venir meno della pubblica amministrazione come di un ordinamento in sé concluso che aveva anzitutto in se stesso gli accorgimenti ed i rimedi per prevenire devianze ed ovviare a disfunzioni. [16]  Sicchè , uno dei primi rimedi per riportare l’azione amministrativa alle sue rette funzioni fu indicato proprio in questo ripristino dei controlli e delle altre misure di garanzia , nell’apprestamento , cioè , di rimedi proprio all’interno dei pubblici apparati. “ Unanime -  ha sottolineato il  GIAMPAOLINO - è il convincimento che solo nell’ambito del proprio apparato , nell’adattamento delle proprie regole , nell’ammodernamento dei propri istituti , la P.A. possa trovare le misure per una sua riforma , se non per una sua rifondazione. “  [17]

Il problema più spinoso  rimaneva comunque quello dei  limiti del sindacato  del giudice  penale  sull’operato della pubblica  amministrazione , riguardando il principio della divisione dei  poteri , del quale , secondo  il  RUSSO , “ non è mai stato  facile , neanche  sul  piano della teoria generale , delineare  con  sufficiente  rigore  limiti e portata. “  [18]

La polemica , come detto , riguardava anche la cd.                    “ supplenza “ del giudice penale , e, come osservò il    CONTENTO , ” non tanto quella di tipo surrogatorio ( valutata, cioè, rispetto alle inerzie o alle inattività della p.a. ), quanto quella sostitutiva o di merito , cioè caratterizzata dalla pretesa di dettare implicitamente all’amministrazione criteri e direttive per la sua azione concreta. “  [19]

Ad opinione del  GOLDONI  tale fenomeno trovava spiegazione anche in un diverso modo di sentire , da un lato il rapporto tra cittadino e apparato burocratico , e dall’altro il rapporto tra cittadino stesso e giudice penale , laddove “ il giudice penale viene da qualche tempo considerato come titolare di un potere esterno all’amministrazione nei confronti della quale può ergersi a baluardo difensivo degli interessi e individuali e collettivi della vita associata. “  [20]

Ora , ha sottolineato il  PETRONE , il giudice penale è tenuto a sindacare l’attività amministrativa ove si ravvisino gli estremi di un illecito penale , e nessun legislatore potrà mai togliergli tale    potere [21] , che  è oltretutto sancito dall’articolo 113 della Costituzione :

“ Contro gli atti della pubblica amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa.

Tale tutela giurisdizionale non può essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti.

La legge determina quali organi di giurisdizione possono annullare gli atti della pubblica amministrazione nei casi e con gli effetti previsti dalla legge stessa. “ 

E quindi , sempre secondo il  PETRONE , “ finchè nel codice penale saranno presenti reati degli agenti pubblici contro la pubblica amministrazione , il giudice sarà sempre funzionalmente chiamato a verificare se determinate fattispecie si sono integrate , e, nel far questo , non potrà non entrare nella sfera della pubblica amministrazione , controllandone la legittimità dell’operato , piaccia o non piaccia. “   [22]

D’altra parte, però, il legislatore ha posto delle norme che regolamentano i rapporti fra i due poteri per salvaguardare le rispettive prerogative. Sicchè , come puntualizzò  il  CONTENTO ,      “ il giudice non potrebbe esercitare il sindacato “ oltre “ un determinato limite , non già perché gli amministratori pubblici , in quanto tali , godano di uno “ status “ di privilegio ingiustificato , rispetto alla generalità dei cittadini , ma solo perché all’azione della Pubblica Amministrazione , che si svolge mercè la loro opera , è riservata dalla legge stessa ( che è e deve essere sovrana al di là e al di sopra di ogni diversa opzione politica ), una sfera di autonomia ed una libertà di apprezzamento che dev’essere immune da censure provenienti da organi o soggetti diversi da quelli istituzionalmente preposti alla specifica funzione del controllo della sua attività. “  [23]

Per tale Autore ,  il sindacato del giudice poteva essere esercitato su tutti i vizi di legittimità , come l’incompetenza , la violazione di legge e l’eccesso di potere , ma non sui vizi di   merito , costituiti dalla non conformità dell’atto alle regole di buona amministrazione , essendo questi ultimi  sottratti alla conoscenza del giudice.  [24]  

 Quanto ai limiti di sindacabilità da parte del giudice        penale , una parte ( prevalente ) della dottrina  riteneva che questi non potesse penetrare nella sfera della discrezionalità amministrativa della pubblica amministrazione  senza sconfinare nel merito dell’atto amministrativo. [25]

Tuttavia  la  Cassazione aveva da tempo seguito un diverso indirizzo sostenendo che il controllo sull’uso del potere discrezionale del funzionario non andava necessariamente ad interferire con il merito dell’atto amministrativo , e dunque non comportava necessariamente lo sconfinamento dei poteri della giurisdizione. Ciò risulta dalla motivazione della sentenza sul caso IPPOLITO ( Sez. IV, 15 novembre 1967 ) nella quale la Corte chiarì che , pur nei casi di scelte discrezionali , tali scelte erano pienamente sindacabili , perché “ non tutto ciò che appartiene alla discrezionalità amministrativa è , per ciò stesso, merito dell’atto amministrativo , ossia opportunità , convenienza dell’atto “ ,    mentre , come ha puntualizzato il  PETRONE , nell’uso del potere discrezionale il pubblico funzionario potrebbe incorrere in sviamento di potere che è un vizio di legittimità e non di merito . [26] 

Questi problemi rappresentarono  uno  dei nodi  centrali  di discussione  quando , nel 1978 , l’allora Ministro di Grazia e Giustizia  istituì   una  commissione  per riformare il libro II del  codice penale , ovvero lo “ statuto penale “ della pubblica  amministrazione sussistendo , - ha ricordato il  PETRONE -             “ un problema  istituzionale di  fondo  quale  è  quello  che  deriva  da uno squilibrio nella distinzione dei poteri. “  [27]

 I lavori della Commissione del 1978 sono importanti poiché hanno avuto il merito di chiarire ( come si afferma nella relazione conclusiva ) che per risolvere in maniera adeguata il problema del sindacato e dunque dell’attrito tra amministrazione e giurisdizione , era necessario operare una tipicizzazione delle fattispecie, in modo tale che non fossero più così elastiche da lasciare spazi all’attività creatrice del giudice penale. D’altronde , ha osservato il PETRONE : “ per impedire le esorbitanze del giudice penale occorre fornirgli norme che , rispettose del principio di sufficiente determinatezza , traccino un disegno preciso dei vari tipi di reato. Onde , quando si tratti di reati collegati all’attività amministrativa , sia ben delimitato il quadro di ciò che il giudice penale deve controllare ed , in particolare , sia ben preciso il limite di verifica della correttezza dell’attività discrezionale .......... Il potere giurisdizionale , infatti , è un potere diffuso, e se le norme penali sono formulate in modo generico , ogni giudice può trovare in ciascuna di esse i contenuti più vari , secondo vedute personali : onde la parità dei cittadini di fronte alla legge resta evidentemente compromessa. “  [28]

V’è da dire però che  il problema riguardante l’esorbitanza del potere del giudice penale non è stato affrontato in modo diretto dal legislatore , in sede di riforma , ad eccezione dei disegni di legge di iniziativa del Sen.  VASSALLI ed altri ( n° 1250 ) presentato al Senato , e ad iniziativa dell’On.le  ANDO’ ed altri ( n° 2709 ) presentato alla Camera dei Deputati. Sembrando forse troppo difficile elaborare disposizioni , anche solo definitorie o assertorie , secondo il  CONTENTO “ si è preferito seguire una strada   diversa , cioè quella della ristrutturazione delle fattispecie che più frequentemente hanno dato luogo ad “ abusi “  ermeneutici  o  a  episodi di “ supplenza “ giurisprudenziale , nel tentativo di rendere più chiaro il dettato normativo e di imporre così una diversa scelta interpretativa, e, conseguentemente, di determinarne una diversa area di applicazione. “  [29]

Il problema del sindacato del giudice penale fu argomento fra gli altri del convegno organizzato dalla rivista “ Giustizia e Costituzione “ a Varese , nel 1976 , sulla funzionalità e correttezza della pubblica amministrazione. Problema che in quella sede venne esaminato sotto un duplice profilo : quello amministrativo e quello penale. Sotto il profilo amministrativo si  sottolineò l’espansione dell’intervento pubblico per fini sociali e la conseguente espansione della funzione dell’amministrazione per la produzione di beni e servizi giuridici. Fu evidenziato inoltre il superamento della contrapposizione tra modello organizzatorio privato e modello organizzatorio pubblico , cui non corrispondeva , però , un’adeguata applicazione dei due modelli. Ed ancora la carenza di una normativa penale adeguata in chiave di tutela privatistica della realtà di impresa, sia essa privata che pubblica.

Sotto il profilo penale , invece , si evidenziò l’inadeguatezza delle norme codicistiche - in quanto prive dei fondamentali requisiti di tipicità e di tassatività - ad una efficace funzione sanzionatoria e ad una precisa differenziazione tra illecito penale e illecito amministrativo.

Nel corso del convegno , peraltro , il problema  dell’incongruenza delle norme , si era saldato con quello dei fini , dell’intensità , dello spazio da riconoscere all’intervento del giudice penale nei confronti della discrezionalità e dell’autonomia della pubblica amministrazione. Infine si erano sottolineati i pericoli di una siffatta tendenza a trasferire in sede penale il controllo della pubblica amministrazione.

Altro convegno sul tema , organizzato sempre dalla rivista         “ Giustizia e Costituzione “ , si svolse a Milano tra il 24 e il 25 Settembre del 1983.

Trattandosi di “ Autonomie locali e giudice penale “ , in quella  occasione ebbe modo di ripresentarsi il problema dei rapporti tra pubblica amministrazione e potere giurisdizionale.

Al riguardo secondo il  GROSSO  era necessario “ non soltanto rendere il sistema dei delitti contro la pubblica amministrazione più preciso sul terreno della definizione dei reati , ma soprattutto creare un sistema “ mirato “ a colpire con severità determinate condotte dei pubblici ufficiali , senza che esso possa tuttavia fornire alla magistratura strumenti per controlli indiscriminati sulla legalità dell’attività amministrativa e sullo stesso esercizio della discrezionalità. Si comprende l’urgenza di una riforma diretta a trovare il giusto equilibrio fra le esigenze contrapposte di mantenere forte l’attenzione dell’autorità giudiziaria sulla gestione della cosa pubblica e la necessità di evitare che questa vigilanza si trasformi in un’inaccettabile strumento di ingerenza dei giudici sull’esercizio dell’attività amministrativa. “  [30]

Quanto alla cosiddetta “ supplenza “ , il D’AMBROSIO affermò che l’ampliamento e la trasformazione dell’intervento del giudice penale andavano considerati come una risposta ad esigenze reali : “ Il dibattito attuale sui rapporti tra giustizia penale e amministrazione pubblica rischia di essere totalmente falsato se non si tiene conto che il dato di fondo resta quello di una fortissima invarianza dei punti di riferimento giuridici ed istituzionali. In sostanza il titolo del codice penale riguardante i delitti contro la P.A. è rimasto immutato dal 1931 e l’ordinamento giudiziario non è cambiato dopo l’emanazione della Costituzione. Quindi il fenomeno di un maggiore , più numeroso e più incisivo intervento del giudice penale sull’attività della P.A. deve essere ricondotto ad un mutamento del contesto e del costume sociale , o più esattamente , alla incapacità degli strumenti giuridici ed istituzionali a governare la realtà nella quale sono calati. “  [31]

Nella Relazione di sintesi il  VASSALLI da un lato  ribadì l’aspetto di necessarietà della supplenza del giudice penale , stante il dato costituzionale rappresentato dall’obbligatorietà dell’azione penale ; dall’altro però sottolineò l’esigenza di controlli tipici dell’attività amministrativa , previsti dall’ordinamento , che non fossero il ricorso alla repressione penale , e l’esigenza di una maggiore tassatività delle fattispecie penali.

Infatti , sebbene talora si sia determinato il sovrapporsi della competenza penale a quella delle autorità amministrative , anche lo  IADECOLA concorda sul fatto che il fenomeno della “ supplenza giudiziaria “ non è stato causato da un deliberato proposito del giudice di occupare spazi di pertinenza altrui, ma dall’esigenza di  “ fare giustizia “ , in particolare , laddove le trasformazioni subite dall’apparato amministrativo avevano determinato il verificarsi di nuove forme di comportamento illecito. [32]  Valgano in proposito gli esempi citati dal  SANTACROCE come l’assenteismo dei pubblico dipendenti , il cd. “ peculato di energie lavorative “ , la concussione ambientale e , più in generale , tutte quelle nuove forme di criminalità amministrativa che sono prospettate dalla realtà moderna.  [33]

Era dunque  necessario - secondo il GROSSO - prevedere  nuove figure  delittuose in grado  di colmare  le lacune legislative , soprattutto in materia  di repressione di abusi nell’esercizio  delle gestioni economiche pubbliche. [34] Ma , come osservato dal  VASSALLI , non si trattava di un intervento scevro da difficoltà tecniche : “ In alcuni settori della legislazione attuale è facile abbattere ( soprattutto quando si tratti , come nell’attuale art. 324 , non di leggi vere e proprie ma di arbitrarie creazioni giurisprudenziali sulla legge ) ; meno facile è ricostruire in modo convincente e plausibile. Le strade aperte ad una nuova struttura delle figure più controverse ed ora ricordate possono essere molte : da quelle , più coraggiose ma più ardue , della creazione di sbarramenti amministrativi , nella forma di pregiudiziali o di riserva di alcune valutazioni ad organi di controllo o di giustizia amministrativa , a quelle volte a modificare nel loro interno le norme incriminatrici , registrandone o meglio specificandone presupposti e contenuti , abrogando , sostituendo , innovando , ma sempre in ambito strettamente penalistico. Il primo tipo di iniziative può rischiare di aprire nuove e difficili problematiche , il secondo rischia di lasciare le cose al punto di prima. “   [35] 

In conclusione, le ragioni che resero necessaria ed urgente una riforma del capo I , titolo II , del libro secondo del codice penale , intitolato ai delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione , si possono così riassumere :

1) esigenza di adeguamento delle previsioni penali in materia al principio costituzionale  di tassatività - determinatezza della fattispecie ;

2) necessità di  eliminare , anche mediante il detto adeguamento , il fenomeno della supplenza giudiziaria ;

3) esigenza di limitare l’ambito della repressione penale ai fatti effettivamente lesivi degli interessi della pubblica amministrazione  e / o  dei cittadini ;

4) urgenza di potenziare la risposta punitiva dell’ordinamento di fronte al numero sempre crescente di condotte illecite di pubblici amministratori.

 


 

[1] G. SANTACROCE “ Pubblica amministrazione e giurisdizione penale : problemi attuali “ , in Pubblica Amministrazione e giurisdizione penale , atti del ciclo di conferenze Roma , gennaio-giugno 1992 , coll. Studi e ricerche , Roma 1994 , Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato , p. 11.

[2] G. SANTACROCE , op. cit. , passim.

[3] A. ALBAMONTE   “ Modifiche ai delitti contro la Pubblica Amministrazione ( legge 26 aprile 1990 n° 86 ) “ ,  in  Consiglio di Stato , 1990 ,  p. 763.

[4] L. VIOLANTE “ Per una moderna e chiara separazione dei poteri “ , in  Quaderni della giustizia , n° 45 / 1985 , p. 14.

[5] G. SANTACROCE , op. cit. , p. 13.

[6] L. GIAMPAOLINO  “ La riforma dei reati contro la pubblica amministrazione e il diritto amministrativo “ ,  in  Enti Pubblici  1991, intervento svolto al Convegno organizzato dall’Associazione Amalfitana di Studi Giuridici e Sociali  su   “ I delitti contro la P.A. : riflessioni sulla riforma “ , p. 761.

[7] G.IADECOLA “ La riforma dei delitti dei pubblici ufficili contro la Pubblica Amministrazione “ , Torino , Giappichelli , 1992 , p. 16.

[8] G. SANTACROCE  “ Pubblica amministrazione e giurisdizione penale : problemi attuali “ , cit. , p. 13-14.

[9] C.F.GROSSO “ Prospettive di riforma dei reati contro la pubblica amministrazione “ , Cass. Pen. Mass. Ann. , 1989 , 1580-1581.

[10] C.F.GROSSO , op. cit. , passim.

[11] V. RUSSO  “ I reati contro la P.A. a seguito della legge 86 / 90 “ , Jovene ed. , Napoli  1991 , p. 2 - 3.

[12] A.ALBAMONTE  “ Modifiche ai delitti contro la Pubblica Amministrazione ... “ , cit. , p. 764.

[13] R. RAMPIONI  “ Progetto di riforma e oggetto della tutela dei delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione “ , in  AA.VV.  “ La riforma dei delitti contro la P.A. “ , a cura di Alfonso Stile , Jovene ed. , Napoli 1987, p. 61.

[14] Relazione al disegno di legge VASSALLI n° 1250 , 15 marzo 1985 , p. 2.

[15] Relazione al disegno di legge VASSALLI , cit. , p. 4.

[16] G. BERTI  “ Strutture politico-giuridiche dell’amministrazione e responsabilità dei funzionari “ , Relazione al Convegno su  “ Autonomie locali e giudice penale “ , Milano , 24-25  settembre 1983 , in Giust. e Cost. 1984 , p. 39 ss..

[17] L. GIAMPAOLINO , op. cit. , p. 764.

[18] V.RUSSO , op. cit. p. 3.  Cfr. L.VIOLANTE  “ Per una moderna e chiara separazione dei poteri “ , cit. , p. 8 e ss..

[19] G.CONTENTO “ Il sindacato del giudice penale sugli atti e sulle attività della pubblica amministrazione “ , in  AA.VV.               “ La riforma dei delitti contro la P.A. “ a cura di A. STILE , cit. , p. 81.

[20] U.GOLDONI  “ Giurisdizione penale e pubblica amministrazione “ , in  PARLAMENTO  1984 , p. 15.

[21]M. PETRONE  “ La nuova disciplina dei delitti degli agenti pubblici contro la P.A. : Dalle prospettive di riforma alla legge n° 86 / 90 “ , in  Riv.It.Dir.Proc.Pen. 1993 , p. 950.

[22] M.PETRONE , op. cit. , p. 923.

[23] G.CONTENTO , op. cit. , p. 93.

[24] G.CONTENTO , op. cit. , p. 103. 

[25] M.PETRONE , op. cit. , p. 926.

[26] M.PETRONE , op. cit. , passim

[27] M.PETRONE , op. cit. , p. 922.

[28] M.PETRONE , op. cit. , p. 924.

[29] G.CONTENTO , op. cit. , p. 109.

[30] C.F.GROSSO “ I reati dei pubblici ufficiali contro la Pubblica Amministrazione : prospettive di riforma “ ,  Relazione tenuta al Convegno di Milano del 1983 , cit. , p. 63 ss..

[31] V.D’AMBROSIO  “ La denuncia e il processo penale come strumenti “ anomali “ di giustizia amministrativa “ , Relazione tenuta al Convegno di Milano , 1983 , p. 80 ss..

[32] G. IADECOLA “ La riforma dei delitti dei pubblici ufficiali contro la Pubblica Amministrazione “ , cit. , p. 14.

[33] G. SANTACROCE , op. ult. cit. , p. 12.

[34] C.F.GROSSO , op. cit. , p. 1583.

[35] G.VASSALLI “ La riforma dei delitti dei pubblici ufficiali contro la P.A. “ , in  Quaderni della giustizia , n° 45 / 1985.

 

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