Introduzione all'Inferno di Dante

 

Quando è stato scritto?

Incerta è la data di composizione dell'Inferno: secondo Boccaccio già nei primi mesi successivi all'aprile del 1300 Dante pose mano al Poema, interrompendo la scrittura per le note vicende dell'esilio e riprendendola alcuni anni più tardi, quando ormai si era rassegnato all'impossibilità di poter rientrare in Firenze, grazie all'insistenza di Moroello Malaspina; quasi sicuramente la data di inizio della Cantica è da far risalire al 1305-1306. Probabilmente già nel 1314 venne diffuso a partire da Verona e al 1315 risale la prima citazione dovuta a un notaio di Bologna, celebre sede universitaria, che testimonia la rapidità con cui l'opera si era diffusa.

L'Inferno viene scritto negli anni in cui Dante vaga esule per la Toscana, tanto che la polemica con Firenze e le lotte intestine che la dilaniavano è uno dei fili conduttori che collega personaggi e vicende narrate che riempiono tutti i cerchi infernali, mentre i riferimenti a personaggi e vicende appartenenti ad altre regioni d'Italia risultano piuttosto occasionali e frutto soprattutto delle vaste conoscenze del Poeta.

La metafora del viaggio

La prima Cantica della Commedia descrive la discesa di Dante nella voragine infernale: il viaggio si compie dall'alba del venerdì santo del 1300, anno in cui papa Bonifacio VIII indisse il Giubileo, sino al tramonto del del sabato santo; complessivamente l'Inferno descrive gli eventi che si svolgono in un arco di tempo di trentasei ore. Dante si è smarrito in una selva disabitata e spaventosa. Viene a salvarlo il poeta Virgilio: la selva configura simbolicamente il traviamento e la corruzione dell'umanità. Virgilio simboleggia la ragione umana che può ricondurre l'uomo sulla retta via.

L'Inferno è concepito come luogo di eterna sofferenza, voluto da Dio per realizzare la sua giustizia. Le anime che si ostinarono a peccare, senza mai pentirsi, nemmeno in punto di morte, confluiscono sulle rive dell'Acheronte e vengono traghettate dal nocchiero Caronte, uno dei dèmoni infernali che si ispirano a personaggi mitologici. Dante prende alcuni spunti dal VI libro dell'Eneide, ma immagina le pene secondo una mentalità cristiana che si avvale della legge del contrappasso. I peccati e i peccatori sono organizzati secondo la casistica tradizionale: chiaro il riferimento ai sette vizi capitali classificati dalla Chiesa, esplicito il riferimento all'Ethica Nicomachea di Aristotele e ai testi giuridici che suggeriscono anche un criterio per valutare la gravità della colpa. Così a ogni peccato viene attribuita una pena che rimane immutabile per l'eternità.

Due sono i tipi di contrappasso riscontrabili:

       - il contrappasso per analogia, che implica una pena che esaspera i tormenti della colpa;

       - il contrappasso per contrasto, che implica una pena che ripropone esattamente il contrario della colpa.

Per esempio: i lussuriosi (If V), che vissero nella tempesta della passione, sono tormentati da una "bufera infernale che mai non cessa"; gli ignavi (canto III), indifferenti a ideali e sollecitazioni anche politiche, rincorrono freneticamente una bandiera nel vestibolo dell'Inferno, indegni perfino di essere accolti dall'Inferno stesso.

Ogni cerchio infernale viene sorvegliato da un custode: sono i dèmoni che ricordano i mostri pagani (Cerbero, i Centauri, il Minotauro, le Arpie) o enfatizzano personaggi virgiliani (Caronte, Minosse), oppure sono diavoli stizzosi e dispettosi, secondo la mentalità popolare cristiana.

I dannati sono inchiodati alla loro pena per l'eternità, non hanno speranza di mitigarla: anzi, quando, dopo il giudizio universale, si riapproprieranno del proprio corpo, la loro sofferenza sarà completa e perfetta. Essi non sono pentiti del loro peccato, ma rimpiangono la terra su cui sono vissuti e provano nostalgia della vita terrena, sentendo spesso come una condanna non solo la pena eterna da scontare per l'eternità nell'Inferno, ma anche l'impossibilità di vedere e amare Dio e i propri simili. Questo a volte comporta l'abbrutimento dei dannati. Vedono il futuro, ricordano il passato, ma ignorano il presente. Sulla consistenza della loro anima ci sono diversi passi dell'intera Commedia che però sono in contrasto fra loro (basta pensare ai suicidi - If XII - trasformati in alberi che vengono scempiati dalla corsa violenta degli scialacquatori, che presuppone la fisicità corporale di entrambi, e, al contrario all'evanescenza di Casella - Pg II - abbracciato invano per tre volte da Dante, che presupporrebbe l'incorporeità delle anime)

Non mancano a Dante profezie del suo esilio.

 

La struttura dell'Inferno dantesco

L'Inferno ha forma di imbuto. La porta si apre presso Gerusalemme, che si trova esattamente al polo nord del mondo. Virgilio spiega in una intensa lezione cosmogonica che esso si formò dopo che Lucifero, il più bello degli angeli, ribellatosi a Dio, venne scaraventato giù dal Paradiso. Incastratosi al centro della terra, fece il vuoto intorno a sé. La terra si ritrasse di paura e «sgusciò» fuori dall'altra parte del globo, formando la montagna del Purgatorio che esattamente simmetrica all'Inferno; tra il centro della terra e la montagna del Purgatorio si formò anche un cunicolo, una «burella», come la chiama Dante, che permetterà al poeta e a Virgilio di giungere «a riveder le stelle» sulla spiaggetta del Purgatorio.

L'Inferno digrada a cerchi concentrici, diviso in due settori ben precisi: i nove cerchi, ai quali si aggiunge un vestibolo dove le anime sostano in attesa di conoscere la loro sorte. I primi cinque comprendono il Limbo (dove sospirano Dio i giusti che non conobbero la rivelazione o i bambini che non ebbero il battesimo) e i cerchi degli incontinenti (lussuriosi, golosi, avari e prodighi, accidiosi e iracondi).

I quattro successivi sono chiusi entro le mura della città di Dite, per indicare la gravità dei peccati: mentre la colpa di incontinenza è piuttosto da imputarsi al difetto di volontà nel contrastare il male e di fare il bene, la colpa degli eretici, dei violenti, dei fraudolenti e dei traditori è legata all'uso errato della ragione, messa al servizio del male. L'ideazione del Limbo deriva dallo scrupolo di Dante di creare una zona ove relegare gli intellettuali del passato, cui la civiltà medievale è debitrice: e fra questi è lo stesso Virgilio.

 

L'atmosfera infernale e i personaggi

All'Inferno dominano disperazione, dolore e malevolenza dei dannati nei confronti gli uni degli altri. Non sono infrequenti le risse, le malignità, l'ostilità anche verso Dante.

Il luogo della pena, l'Inferno, è buio, non solo perché è scavato sotto terra, ma per il carattere allegorico del viaggio stesso di Dante: il regno del male è privo della luce di Dio, della sua Grazia che corrobora la ragione umana e guida l'uomo a ben operare.

Più volte, soprattutto nei primi Canti, Dante parla di aere sanza stelle, aura morta, aura sanza tempo tinta. Non mancano paesaggi vari e differentemente rappresentati, che in certo qual modo riproducono le conformazioni più inquietanti e aspre della terra: paludi, fanghiglia, fiumi ribollenti, foreste selvagge, abissi, scarpate, mura inaccessibili, cimiteri costellati di avelli infuocati, sabbioni coperti d'una pioggia di fuoco, ghiacci sterminati.

Talvolta i poeti hanno bisogno dell'aiuto dei mostri, per attraversare fiumi o superare il dislivello di burroni inaccessibili. È un paesaggio realistico e strutturato architettonicamente in modo da configurare simbolicamente le difficoltà che l'uomo incontra nel suo cammino verso la salvezza.

Un fiume attraversa longitudinalmente l'Inferno: nasce dalle lacrime di una misteriosa statua, il Veglio di Creta, situata in una grotta alle pendici del monte Ida, che rappresenta l'umanità corrotta e che ricorda il mito dell'amore della dea Afrodite con un uomo, Anchise, da cui nascerà Enea, eroe troiano e capostipite della stirpe romana. Questo lo schema interpretativo dell'allegorico Veglio e dell'origine dei fiumi infernali, suggerito da alcuni critici. Il fiume dapprima si chiama Acheronte, poi si trasforma nella palude Stigia, nel Flegetonte e infine nel ghiaccio del lago Cocito.

I dannati presentano caratteristiche diverse: quasi tutti sono personaggi della storia, passata o contemporanea, ma non mancano figure mitologiche reinterpretate alla luce del gusto medievale del grottesco: così il severo Minosse, che anche Virgilio immagina giudice infernale, diviene una specie di statuario mostro dal lungo codone avvolgente, con cui segnala il numero del cerchio destinato ad accogliere l'anima. Taluni personaggi sono scavati nelle loro caratteristiche psicologiche: pochi sono i tratti, ma decisi e indimenticabili.

La passione amorosa di Francesca da Rimini, l'impegno politico di Farinata, l'orgoglio intellettuale di Brunetto Latini, l'amore paterno di Cavalcante, l'ansia conoscitiva di Ulisse diventano exempla di situazioni universali nelle quali gli uomini si possono riconoscere. Tali figure hanno contorni netti e definiti. Il loro fascino risiede nella grande umanità che li riscatta della loro condizione di dannati: il lettore condivide la simpatia di Dante per loro.

Il poeta è protagonista della Commedia: egli si evolve di Cantica in Cantica: nell'Inferno si presenta nelle vesti dell'uomo disorientato dal peccato, alla ricerca della «diritta via», pieno di paura per un mondo che non conosce, popolato da insidie impensabili. Attraverso gli incontri con i personaggi, cerchio dopo cerchio, Dante ricostruisce il panorama politico e storico, oltre che culturale, del suo tempo.

Accanto a papi corrotti come Niccolò III ( frequenti sono anche i richiami a Bonifacio VIII, destinato alla bolgia dei simoniaci), compaiono le più svariate categorie di politici: il fiorentino Bocca degli Abati rappresenta i traditori, il funzionario di Federico II Pier della Vigna denuncia l'invidia delle corti, il conte Ugolino della Gherardesca rievoca il fosco clima delle lotte civili e delle disumane vendette in cui vengono coinvolti anche ragazzi innocenti. Conosciamo così nei particolari il clima di violenza dei comuni italiani del Duecento, dilaniati dalle rivalità faziose, nel caos anarchico del vuoto di potere.

Nei confronti di alcuni dannati Dante mostra pietà e rispetto, se non addirittura reverenza, come quando incontra il suo «maestro» Brunetto Latini. Ma verso altri dannati è severo e sprezzante e persino aspro.

La sperimentazione linguistica

La critica più recente ha sottolineato il gusto per la sperimentazione linguistica che accompagna Dante in tutto l'arco della sua produzione letteraria: come in gioventù si è cimentato nella lirica stilnovistica della Vita Nuova, ma non ha trascurato la poesia giocosa nella Tenzone con Forese Donati, l'allegoria nel Fiore, la canzone filosofica e dottrinaria (in composizioni poi passate nel Convivio), così durante gli anni d'esilio, impegnato nella faticosa redazione della Commedia, Dante ha cercato di sviluppare una ricerca stilistica svariata e orientata in molte direzioni.

L'Inferno ne è esempio significativo: troviamo

       - il registro solenne in talune apostrofi o nelle profezie,

       - il registro familiare negli incoraggiamenti di Virgilio e negli incontri con persone amiche o conoscenti,

       - il registro popolare nelle scene venate di grottesco che hanno come protagonisti i diavoli di Malebolge.

La varietà del linguaggio illustra la multiformità delle situazioni in cui si pone l'agire umano: è la varietà stessa della vita riprodotta nei cerchi infernali. Poiché certamente, malgrado la sua caratteristica di regno oltremondano, l'Inferno dantesco ripropone le passioni, gli interessi, le angosce, le inquietudini terrene. Il regno del male dilata i problemi degli uomini, li rende irrevocabile espressione di corruzione e fallimento, ma non può evitare che essi si propongano sempre come espressione di umanità. L'uomo, dunque, è l'oggetto dello scandaglio artistico del poeta.


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