Introduzione al Purgatorio di Dante

 

Pur nella analogia strutturale con l'Inferno, si intravedono molte e notevoli differenze fra i due mondi.

 

Struttura

 

Il Purgatorio si trova agli antipodi di Gerusalemme; ha la foma di un tronco di cono e riflette la forma cava dell'Inferno, essendo costituito da quella porzione di terra che si ritrasse per evitare il contatto con Lucifero precipitato dal cielo.

 

E' un'isola interamente dominata da un'immensa montagna, molto più alta di qualsiasi altura terrestre, che ha alla bese una spiaggia. Il Purgatorio propriamente detto comincia solo ad una certa altezza e si trova fuori dell'atmosfera terrestre.

La parte inferiore della montagna e la spiaggia costituiscono l'Antipurgatorio, dove si trovano quattro gruppi di anime che si pentirono nell'ultimo momento della propria esistenza terrena, e che pertanto devono attendere un tempo più o meno lungo prima di essere ammessi all'espiazione.

 

Il Purgatorio propriamente detto è diviso in sette cornici, in cui si espia uno dei sette vizi capitali in ordine decrescente di gravità dal basso verso l'alto. Tali vizi sono divisi in tre zone, come ci spiegherà Dante nel XVII canto, dicendo « Lo (amore) naturale è sempre sanza errore, | ma l'altro puote errar per malo obietto |o per troppo o per poco di vigore» (vv. 94 - 96):

Comunque la struttura è meno geometrica di quella infernale, perché i dannati scontano peccati specifici dei quali restano eternamente responsabili; le anime purganti, invece, li hanno cancellati con il loro pentimento. Devono espiare la generica propensione verso un certo tipo di colpe, ma hanno già ottenuto da Dio il perdono che assicura loro, prima o poi, la visione beatifica di Dio per l'eternità.

 

Rimane centrale la dimesione ascensionale di questo mondo, resa in maniera fisica, ma anche metaforica dalla montagna, secondo un gusto tipicamente medioevale (cfr. Ascesa al monte nevoso di Petrarca), ma comunque comune a molta letteratura (basti pensare a Montale). In tutta la Commedia c'è questa valenza oppositiva basso / alto, che è fisica, ma è anche «figurale» del binomio male / bene e ribadito dall'antinomia buio / luce

 

 

Atteggiamento di Dante

 

Le anime dell'Inferno sono religiosamente troppo più base di Dante, pur essendo, in qualche caso, umanamente apprezzate (basti pensare all'emozione di Dante provata ascoltando la storia di Paolo e Francesca, o all'ammirazione non dissimulata per la figura di Ulisse). Le anime del Paradiso sono troppo più alte, e quindi può solo aspettarsi carità e illuminazione intellettuale e morale.

Nel Purgatorio, invece, è fra i suoi pari, cioè vede se stesso peccatore pentito e avviato alla salvezza. Da tale ottica deriva:

 

1. Recupera il tempo, annullato nell'eternità degli altri due regni. Gli espianti sono a metà fra il rimorso del peccato compiuto e la certezza della salvezza. Tale riconquistata dimensione temporale conferisce all'intera cantica un dinamismo continuo: tutti nel Purgatorio sono in cammino. Il passo degli espianti - e di Dante - è sollecito, rapido, per raggiungere la visione beatifica di Dio quanto prima. Tutti godono della speranza, della quale nonn godono i dannati e, per motivi differenti, neanche i beati (vedendo Dio faccia a faccia, vivono di fede e di amore, ma non hanno bisogno della speranza).

 

Nel II canto Catone rimprovera Dante, Virgilio e Casella che si sono intrattenuti troppo tempo a parlare e ad ascoltare la musica , rinviando le pratiche purificatorie che risultano infatti essere urgenti:

 

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Noi eravam tutti fissi e attenti 
a le sue note; ed ecco il veglio onesto 
gridando: «Che è ciò, spiriti lenti? 
      qual negligenza, quale stare è questo? 
Correte al monte a spogliarvi lo scoglio 
ch'esser non lascia a voi Dio manifesto». 
      Come quando, cogliendo biado o loglio, 
li colombi adunati a la pastura, 
queti, sanza mostrar l'usato orgoglio, 
      se cosa appare ond'elli abbian paura, 
subitamente lasciano star l'esca, 
perch'assaliti son da maggior cura; 
      così vid'io quella masnada fresca 
lasciar lo canto, e fuggir ver' la costa, 
com'om che va, né sa dove riesca: 
      né la nostra partita fu men tosta.

Noi tenevamo tutti lo sguardo fissosu di lui e la nostra attenzione era interamente rivolta al suo canto; ed ecco apparire il venerando vecchio (Catone), il quale gridò: « Cosa significa questo, anime pigre ? che senso ha questa negligenza, questo indugio? Affrettatevi verso il monte per liberarvi della scorza peccaminosa che non consente che Dio vi appaia ».
Con la stessa rapidità con la quale i colombi, adunati per il pasto, tranquilli, senza ostentare la solita baldanza (a causa della quale, impettiti, gonfiano il collo), mentre sono intenti a beccare la biada o il loglio, se appare alcunché di cui abbiano timore, all'improvviso si distolgono dal cibo, perché sono sotto l'assillo di una preoccupazione più grande, vidi quella schiera da poco arrivata distogliere l'attenzione dal canto (di Casella), ed avviarsi verso il pendio (del monte), come chi si avvia senza sapere dove vada a finire né la nostra partenza fu meno veloce.

 

L'incontro fra Dante e Forese Donati nel XXIV canto si conclude con queste parole di Forese, che, nonostante la profonda amicizia che lo lega a Dante e il bel momento piacevole passato insieme a ricordare i bei tempi andati, 'taglia corto' e saluta l'amico:

 

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99  
      Tu ti rimani omai; ché 'l tempo è caro 
in questo regno, sì ch'io perdo troppo 
venendo teco sì a paro a paro». 
      Qual esce alcuna volta di gualoppo 
lo cavalier di schiera che cavalchi, 
e va per farsi onor del primo intoppo, 
      tal si partì da noi con maggior valchi; 
e io rimasi in via con esso i due 
che fuor del mondo sì gran marescalchi. 

Ormai resta pure indietro; perché il tempo è prezioso in questo regno, e io ne perdo troppo procedendo così al passo con te ».

Come talvolta da una schiera di soldati a cavallo esce al galoppo un cavaliere, e corre per avere l'onore del primo scontro col nemico, allo stesso modo si allontanò da noi Forese con passi più lunghi dei nostri; e io restai per via insieme con i due poeti, che furono così grandi maestri dell'umanità.

 

 

 

2. Una minore "drammaticità" delle anime, che non hanno passioni virulente, ma spesso affetti sfumati, in un'atmosfera piena di trasognamenti e abbandoni inconcepibili nella tensione spirituale dell'Inferno.

 

Nel II canto Dante incontra Casella, vecchio amico musicista, al quale chiede di intonare proprio una canzone raccolta nel terzo libro del Convivio e il musucista prontamente comincia:

 

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    E io: «Se nuova legge non ti toglie 
memoria o uso a l'amoroso canto 
che mi solea quetar tutte mie doglie, 
      di ciò ti piaccia consolare alquanto 
l'anima mia, che, con la sua persona 
venendo qui, è affannata tanto!». 
      Amor che ne la mente mi ragiona 
cominciò elli allor sì dolcemente, 
che la dolcezza ancor dentro mi suona. 
      Lo mio maestro e io e quella gente 
ch'eran con lui parevan sì contenti, 
come a nessun toccasse altro la mente.

Ed io: « Se una prescrizione propria del purgatorio non ti priva del ricordo dei canti d'amore che solevano placare tutte le mie inquietudini, o della facoltà di intonarli, voglia tu in tal modo confortare un poco la mia anima, la quale, insieme al mio corpo, è tanto stanca per il cammino sin qui percorso (attraverso l'inferno)! ».
« Amor che ne la mente mi ragiona » cominciò egli allora a cantare così dolcemente, che la dolcezza di questo canto echeggia ancora nel mio animo.Virgilio e io e le anime che erano insieme con lui apparivamo così felici, come se a nessuno di noi un altro pensiero occupasse la mente.

 

 

3. Recupera il paesaggio terrestre e il proprio passato: non pochi sono i ricordi giovanili, tutti caratterizzati da una dolce nostalgia.

 

Oltre ai già citati Casella (canto II) e Forese Donati (canti XXIII e XXIV), Dante incontrerà Guido Guinizzelli (che riconoscerà come "padre / mio e de li altri miei miglior che mai / rime d'amor usar dolci e leggiadre" nel canto XXVI,97-99), Oderisi da Gubbio (canto XI) e altri.

 

Puoi leggere un approfondimento sul paesaggio del Purgatorio scritto da Attilio Momigliano.

 

 

 

4. Recupera la solidarietà fra gli uomini: molti saranno i canti collettivi, gli atteggiamenti altruistici, ... Lo stesso atteggiamento di Dante rispetto alle anime non può esser così vario come era stato quello rispetto ai dannati (comprensione, sdegno, pietà, violenza, ...). E' necessariamente unitonale, cioè di fronte ad anime sofferenti ma salve, non ci può essere che dolore e riverenza, motivate anche dalla loro mansuetudine, derivata dall'essenziale perdono chiesto e ricevuto da Dio.

Il poeta non è impegnato nella considerazione delle loro colpe, di cui a volte addirittura non si parla (possiamo solo ipotizzare le colpe commesse da Casella e Sordello), o che vengono rappresentate con sorridente indulgenza (Belacqua nel canto IV) o addirittura come colpe proprie (Dante sembra condividere la colpa di gola con Forese Donati). Le colpe, infatti, sono ormai lavate dal pentimento e le propensioni generiche già perdonate: non possono quindi attirare troppo la coscienza e la fantasia di Dante.

 

 

5. Rimane fondante il plurilinguismo, che diventa programmatico nel Purgatorio, in quanto 'cerniera' fra il basso e l'alto: si alternano realtà ancora legate alla corporeità e realtà già pienamente divine.


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