I rapporti Mussolini – D’Annunzio e la costituzione del fascio di combattimento a Fiume

 

L’impresa di Fiume rappresenta, nelle parole di Roberto Vivarelli (43), una svolta decisiva del processo di decadimento, nella vita pubblica, della crisi dello Stato liberale.

 

L’impresa dannunziana contribuì a rafforzare l’immagine di uno Stato debole, vittima di interessi e sentimenti di parte: Mussolini sfrutterà a proprio vantaggio l’azione dannunziana e coglierà, nell’impresa fiumana, una ulteriore “occasione politica” per la propria affermazione.

Mussolini espresse in più occasioni la stima ed il proprio consenso a Gabriele D’Annunzio reinterpretandone l’azione secondo gli stereotipi nazionalisti della necessità di un’azione decisa che riparasse al torto subito dall’Italia a Versailles e che faceva dunque di Fiume il simbolo della “Vittoria Mutilata”.

 

L’atteggiamento di Mussolini, i rapporti che egli intrattenne con D’Annunzio e la fisionomia del Fascio Fiumano, sono elementi esplicativi, sia di quanto avvenne in Italia nei primi anni di affermazione del partito fascista, sia delle violente rappresaglie cui l’Istria e Fiume in particolare furono sottoposte alla fine del secondo conflitto mondiale.

 

Un’analisi chiara del rapporto fascismo-dannunzianesimo è quella fornita da un articolo di Ruggero Greco, del 1° maggio 1921, sull’”Ordine Nuovo”, intitolato “Fascismo”.

Egli distingue due fasi o due aspetti del fascismo. Un primo, che pretendeva di avere un programma rivoluzionario ma che, pur facendo concessioni all’idealismo nazionalista, tuttavia celava già preoccupazioni di difesa classista ed era perciò, di fatto, rivoluzionario e conservatore.

Il secondo fascismo poi non fece che chiarire questa sua natura reazionaria. Dal primo aspetto del fascismo si staccò il ramo dannunziano, che sostenne ed affermò concezioni rivoluzionarie contro il governo centrale, lo Stato ed il regime. I legionari dannunziani, afferma Greco, vollero portare fino alle logiche conseguenze le premesse del primo fascismo.

 

Il fiumanesimo fu la fiaccola dell’idea nazionalista tenuta da un’avanguardia audace ed idealista, diversa dall’esercito fascista (cui tuttavia preparò la strada e l’azione) che aveva i suoi stati maggiori nell’agraria, nella banca e nell’industria.

Per questi stati maggiori, contrariamente alle esperienze socialisteggianti di D’Annunzio, fu ben presto dominante la necessità di una reazione all’azione del proletariato e del socialismo.

 

Comprendere i rapporti che si instaurarono tra Mussolini e D’Annunzio e l’atteggiamento che questi ebbero nei confronti della questione fiumana ci permette innanzitutto di scindere il binomio D’Annunzio – fascismo ed il consequenziale avvicinamento dell’attività del legionari a quella dei fascisti.

 

Notevoli sono le differenze caratteriali, ideologiche e politiche tra D’Annunzio e Mussolini e diversa fu la valutazione e l’interpretazione che diedero del fiumanesimo. Mussolini, non seppe in anticipo dell’impresa dannunziana, cosa che esclude che vi sia potuto essere un precedente accordo tra questi e D’Annunzio. Del poeta, inoltre, Mussolini, sebbene ne riconoscesse l’infallibile intuito,  sottovalutava le capacità politiche e scorse perciò nella sua impresa una grande occasione propagandistica per sé e il suo partito.

Al tempo stesso intuì la debolezza di un atto che, per quanto eroico, non aveva potenzialità eversive tali da renderlo un pericolo per il governo Nitti (44).

D’Annunzio visse l’esperienza fiumana con una esaltazione più patriottica che nazionalista: essa fu la grande occasione della sua vita per restituire all’Italia quella unità che il patto di Londra le aveva tolto.

D’Annunzio cercò l’appoggio delle più diverse fazioni politiche; ogni apporto che si fosse potuto sperimentare in un clima di grande libertà a Fiume fu per egli valido. In questo senso è significativa la collaborazione tra D’Annunzio e De Ambris il cui contributo sarà fondamentale per la stesura della Carta del Carnaro. Nel confrontare i due carteggi (Mussolini – D’Annunzio e D’Annunzio – De Ambris) entrambi raccolti ed analizzati da Renzo De Felice, si percepisce quanto i propositi di D’Annunzio fossero diversi da quelli mussoliniani. Diversi furono inoltre anche i personaggi che accompagnarono il poeta nella sua impresa.

Furono dei rivoluzionari che rifiutarono un ordine costituito, un governo che privava i popoli del loro diritto all’autodecisione; dei nazionalisti, quindi, animati da un patriottismo sconosciuto agli spostati che formarono le squadre fasciste. Lo stesso De Ambris, la cui conoscenza con Mussolini risaliva al 1913 (45), che condivideva, dei fasci di combattimento sorti a Milano  le prime posizioni nazionalistiche ed il programma sociale avanzato, giunse ad una rottura dei rapporti con Mussolini all’indomani del Natale di sangue.

Non accettò le offerte e le lusinghe che gli furono avanzate dal fascismo (cui peraltro aderirono numerosi suoi ex compagni sindacalisti) poiché non intese rinunciare ai propri progetti rivoluzionari, e neppure volle che questi, sotto l’egida del fascismo, diventassero strumenti reazionari. Esplicito, al riguardo, è un articolo de “La conquista” citato da De Felice nella raccolta del carteggio De Ambris – D’Annunzio, in cui De Ambris ribadisce il proprio intento di marciare al fianco di D’Annunzio, ma sotto il vessillo della libertà, e non della reazione.

L’intento quindi di De Ambris di fare di Fiume un luogo per un primo esperimento rivoluzionario sindacalista da cui sarebbe partita quella rivoluzione in grado di conquistare l’Italia, era condivisa anche dai nazionalisti e dai fascisti che appoggiarono inizialmente l’idea della rivoluzione, ma con il fine di costringere Nitti ad abbandonare il governo (46).

Mussolini stesso sabotò i progetti deambrisiani e, quanto più si avvicinava a Giolitti, tanto più, per lui, il fiumanesimo mussoliniano divenne un manto sotto cui celare intenti reazionari ormai ben diversi.

 

A parole, nei suoi articoli, Mussolini appoggiò D’Annunzio, ma nei fatti non gli offrì mai il proprio concreto e aperto sostegno. Al contrario, all’indomani del Natale di sangue del 1920, il Comitato Centrale dei Fasci approvò all’unanimità, meno un solo voto, un ordine del giorno di protesta contro Giolitti e di solidarietà con D’Annunzio: quel solo voto contrario era di Mussolini (47).

D’Annunzio, tuttavia, continuò a cercare l’appoggio di Mussolini, in grado di fungere da mediatore con il governo di Roma e di reperire, tramite “Il Popolo d’Italia” fondi per la causa fiumana. Il poeta era convinto che il fascismo avrebbe avuto un ruolo di scarsa rilevanza nella politica italiana e che, ben presto, egli si sarebbe sostituito a Mussolini nel ruolo di guida di un movimento rivoluzionario.

La sua erronea valutazione tanto del fascismo quanto dell’abilità politica di Mussolini lo porterà, alla fine dell’impresa fiumana, a credere in un ruolo unificatore, super partes, di conciliazione, che egli sarebbe stato chiamato a svolgere nel momento in cui la debolezza del fascismo fosse venuta alla luce.

Sfuggì quindi a D’Annunzio, almeno nei primi anni di affermazione del fascismo il carattere di regime che questo andava via via assumendo e che avrebbe reso quindi ben presto inutile qualunque opera di conciliazione. In seguito D’Annunzio, ritiratosi dalla vita politica dopo la sconfitta subita a Fiume, irritato per l’adesione di Mussolini al trattato di Rapallo e per il suo evidente tradimento degli interessi fiumani, ammonirà più volte i suoi legionari a non far parte delle squadre fasciste, a mantenere la propria indipendenza o passare addirittura all’opposizione (48).

L’opposizione a Mussolini fu netta, ma non esplicita; il momento non gli permetteva di entrare in aperta polemica con il Duce, ma tuttavia egli era libero di rifiutare offerte politiche quali, ad esempio, la candidatura a Zara, che da questo gli provenivano.

Difficile quindi, soprattutto in questo momento, condividere la definizione data di D’Annunzio quale Giambattista del fascismo (49).

 

La sua azione era stata eversiva, forse la scintilla di inizio del fascismo, senz’altro una occasione propagandistica che questo colse, ma tuttavia le differenze tra i due uomini, le loro idee e sentimenti, erano chiare ed evidenti. All’indomani del colpo di Stato del marzo 1922, a Fiume, cacciato il governo autonomista zanelliano, l’iniziativa passò ai fasci locali (50).

L’indifferenza che accompagnò il colpo di Stato da parte dell’Italia, dell’on.le Facta e dei Carabinieri che, ufficialmente, avrebbero dovuto mantenere l’ordine pubblico, è un segno evidente che il fascismo del 1922 era ormai così forte da non poterglisi opporre alcuna resistenza (51).

 

Il primo fascio fiumano di combattimento nacque quindi come espressione di una volontà di creare una forza di opposizione unitaria in grado di sostenere la lotta per l’italianità di Fiume. I programmi che lo sostenevano erano ancora confusi e contraddittori: i legionari che vi presero parte al momento della fondazione, nelle sale della Giovine Fiume, ne esaltarono innanzi tutto gli elementi forti del combattentismo e del nazionalismo, ma non meno importanti furono le suggestioni idealistiche e patriottiche.

Il movimento godette inizialmente di una certa autonomia dovuta essenzialmente alla debolezza che caratterizzava gli organi dirigenti fascisti dei primi anni (52).

In questa prima fase il fascio di combattimento, alla cui guida fu posto Nanni Leone Castelli, subì numerose influenze da parte degli esponenti futuristi ed ebbe un ruolo principalmente di divulgazione e di informazione dell’orientamento fascista, e non quindi finalizzato ad un’opera di proselitismo acceso.

Il fascismo, infatti, fu accolto a Fiume con generale diffidenza ed indifferenza; mancava di una propria sede ed il suo organo di stampa “Il Fascio” toccava appena le 20 copie vendute (53).

I ministri ed i membri dell’Assemblea Costituente dimostrarono un evidente opportunismo politico optando per il nuovo regime, e fu infatti a questo livello che si ebbero le adesioni più numerose.

Il 18 giugno 1924, Vittorio Sablich, Giuseppe Dalmartello e Giovanni Dalma, membri della maggioranza costituente, inviarono una petizione alle autorità fasciste. In essa chiedevano che fossero presi provvedimenti necessari a rendere serena e pacifica la città, così da consentirle di svolgere il ruolo che, data la sua posizione al confine estremo della nazione, essa era chiamata ad assolvere.

Solo in seguito si sentì, da parte del Comitato Centrale dei Fasci, che seguiva l’attività di D’Annunzio con crescente perplessità, l’esigenza di formulare un programma che imbrigliasse “il dannunzianesimo chiassoso dei primi fascisti” (54).

Il secondo fascio fiumano di combattimento si costituì ufficialmente il 29 agosto e fu sin dall’inizio inquadrato secondo uno schema politico ed organizzativo simile al fascio di Trieste, e quindi conforme alla linea adottata dal Comitato Centrale del Fascio e al modello che con sempre maggiore vigore il regime andava imponendo.

In questo senso, costituitosi in nuclei armati tipici dello squadrismo fascista, il fascio dei legionari andava a costituirsi in fascio dei cittadini (squadre volontarie di difesa cittadina).

La piccola e media borghesia e le autorità militari ne favorirono lo sviluppo e ne indirizzarono l’azione principalmente ai fini della lotta antisocialista (55).

Questa evoluzione del fascismo a Fiume, dall’ideologia dannunziana a quella più reazionaria di regime significò, per le minoranze slave e croate, persecuzioni e soprusi. E’ in questi anni che si scorge la radice dell’odio antitaliano (anch’esso tuttavia manovrato politicamente, come lo fu quello antislavo da parte fascista), che avrebbe portato, all’indomani del secondo conflitto mondiale a crudeli e barbare esecuzioni sommarie nei confronti di coloro che, in quanto italiani, furono condannati come fascisti.

La politica del nazionalismo politico e del nazionalismo economico esacerbò gli animi di quanti, abitanti di questa regione, dovettero patire difficoltà economiche e, dal punto di vista sociale, vessazioni e intimidazioni.

Il commercio nei porti di Fiume e Trieste languì, e questo significò, per la maggior parte della popolazione, disoccupazione e stenti. Le manifestazioni di intolleranza e di brutalità divennero sempre più frequenti e gravi. Due episodi riferiti da Elio Apih (Italia fascismo e antifascismo nella Venezia Giulia 1918-1943) sono significativi per comprendere a quali livelli di esasperazione si fosse giunti in questa regione.

Il 12 aprile 1931, come riportato un anno dopo da “La Porta orientale” alcuni giovani di Trieste si imbatterono in un gruppo di ragazzi e, scambiatili per slavi sovversivi, li aggredirono e picchiarono. Uno di questi ragazzi, che si rivelarono poi essere “ottimi fascisti”, rimase ucciso.

Non meno grave fu una lettera del Questore di Fiume, scritta il primo giugno 1931, in cui si chiede il ricovero in una casa di correzione di un ragazzo di dodici anni che frequentava la quarta classe, il quale, a detta della maestra ed altre autorità interpellate, aveva dimostrato, nell’eseguire un compito in classe, di nutrire sentimenti anti italiani.

Quando il fascismo salì al potere le persecuzioni divennero più gravi e sistematiche. Intellettuali, preti e capi politici sloveni e croati subirono il confino alle isole Lipari fino alla liberazione da parte delle forze alleate, durante la seconda guerra mondiale.

Le scuole pubbliche e private divennero scuole di Stato italiane in cui fu reso obbligatorio l’uso della lingua italiana. Furono aboliti i partiti politici e chiuse le case editrici slovene e croate e quante, anche italiane, non vollero conformarsi agli ordini fascisti.

Un tribunale militare straordinario giudicava i terroristi slavi che cadevano nelle mani della polizia italiana: uno di questi fu Vladimir Gortan che, nel 1929, divenne eroe e simbolo della resistenza croata in Istria (56).

I nomi di persona furono italianizzati senza rispettare quanti, pur con nome slavizzato, avevano radici ed identità italiane ed avevano convissuto pacificamente in un ambiente multietnico quale quello fiumano in cui era inconcepibile una divisione in etnie solo in base all’impronta fonetica di un cognome.

Questi nomi italianizzati sarebbero poi comparsi sui libri neri delle forze di occupazione jugoslave.

Numerose furono le vittime ed i morti della violenza fascista, sia per i nazionalisti slavi, sia per i socialisti slavi e croati: la reazione forte, eccessiva al punto da apparire ingiustificata, furono le persecuzioni ed il dramma delle foibe che terrorizzarono tutta la zona soggetta alla occupazione jugoslava negli anni che seguirono il secondo conflitto mondiale, momento questo in cui, ad un odio iniziale, si sommarono interessi ed una situazione storica e politica diversi (basti pensare alla formazione della Repubblica Sociale Italiana ed all’occupazione tedesca del litorale adriatico) i cui caratteri e momenti meritano di essere trattati più avanti per farne oggetto di un ulteriore approfondimento (57).

 

Note:

43.     R. VIVARELLI, Storia delle origini del fascismo (l’Italia dalla grande guerra alla marcia su Roma) vol. I. Società Editrice Il Mulino, pg. 586-587.

 

44.     R. DE FELICE  Sindacalismo rivoluzionario e fiumanesimo nel carteggio De Ambris – D’Annunzio (1919 – 1922). Biblioteca di Storia Contemporanea, p. X. L’Autore cita in proposito un articolo di Mussolini: “Dov’è il Governo?” apparso su “Il Popolo d’Italia” il 9 giugno 1919.

 

45.     R. DE FELICE  op. cit.  pg. 55-62. Nella lettera del fratello Amilcare è evidente l’interesse rivolto da Alceste De Ambris alla questione di Fiume “per esigenze di sicurezza” e per il rispetto del principio di nazionalità.

 

46.     R. DE FELICE    op. cit. p. 95.  Non è inoltre da sottovalutare quanto l’italianità di Fiume fosse importante anche da un punto di vista economico. Essa significava la prevalenza sul mare Adriatico e la possibilità, per Trieste, di non doversi confrontare con la concorrenza commerciale di Fiume, sbocco unico per i Balcani e per la Slovenia. Cfr. a proposito l’articolo di Maria Teresa Marcellini “La questione di Fiume nell’opinione pubblica di Trieste”(1918-1922), p. 68. In: “Rivista di Studi fiumani” anno VI, nn. 1-2, gennaio-giugno 1958. L’Autrice inoltre sostiene, a pagina 66, che l’importanza di Fiume italiana ebbe un significato diverso per la destra nazionalista (organizzata nei fasci di combattimento) che espresse le sue idee ne “Il Popolo di Trieste” (gemello del Popolo d’Italia) e per quelle del gruppo di uomini erroneamente definiti, ad esempio, da A. TASCA in op. cit., “indistinguibili dagli spostati che combatterono animati da uno spirito diverso”. Fiume fu per questi il completamento di un programma risorgimentale. Ne sono testimonianza i diversi articoli apparsi sul settimanale “L’Emancipazione”, che ne conteneva il programma. Solo in quest’ottica poteva essere accettabile il proposito di D’Annunzio di una Fiume anticipatrice di una rivoluzione repubblicana e socialista, italiana ed europea.

 

47.     P. ALATRI  op. cit. nota a p. 59.

 

48.     I fascisti locali stessi accolsero il trattato di Rapallo con sdegno, in linea con l’atteggiamento di D’Annunzio e in contrasto con i circoli direttivi di Milano. Ci fu quindi una vera e propria lotta per il potere ed il trattato di Rapallo servì a togliere prestigio al nome di D’Annunzio, pericoloso concorrente in questa corsa. Vedi C. SILVESTRI  D’Annunzianesimo e fascismo a Trieste. In “Trieste” anno IV, n. 20 luglio-agosto 1957.

 

49.     R. DE FELICE  op. cit. p. 29.

 

50.     A. TASCA, Nascita ed avvento del fascismo  vol. I. Universale Laterza Editori, 1972. p. 300. L’Autore sostiene che la linea di demarcazione tra legionari e fascisti resta imprecisata. Di diversa opinione è R. DE FELICE  op. cit. nota 16.  A. BALLARINI  op. cit. p. 51; secondo l’Autore, Fiume, in base ai progetti dannunziani e zanelliani, era semplicemente un formidabile equivoco. Vedi anche “Rivista di  Studi fiumani” anno XVII, II. semestre, 1997, n.s. p. 64. “L’Ordine nuovo” 22 luglio 1921, art. in cui si cita la lettera di D’Annunzio ai legionari processati in difesa di quanti furono condannati per l’insurrezione ed il complotto terroristico in relazione alle cinque giornate di Fiume, ed art. del 26 settembre 1921 “I legionari non aderiscano ai fasci” che si riferisce all’intervista del segretario generale della Federazione Legionari Fiumani Foscanelli che, in un convegno tenutosi a Roma, pose la questione del rapporto con i fasci. Un’adesione a questi, disse, sarebbe stata in contrasto con il principio animatore dell’impresa fiumana, che era stata essenzialmente rivoluzionaria, mentre i fasci erano uno “strumento della classe borghese”. “I legionari si staccano dai fascisti” del 1° dicembre 1921 e “Un appello ai legionari fiumani dopo la scissione con i fascisti” del 18 dicembre 1921.

 

51.     A. BALLARINI  op. cit. p. 58. Mussolini, il 29 ottobre, portava al Re d’Italia Vittorio Veneto, di cui parte importante era Fiume.  G. STELLI  Alcune osservazioni sulla versione zanelliana del colpo di Stato del 3 marzo 1922, con particolare riferimento al “Libro Rosso sui rapporti del governo di Fiume col Regio Governo d’Italia”. In “L’autonomia fiumana (1896-1947) e la figura di Riccardo Zanella”. Atti del Convegno tenutosi a Trieste il 3 novembre 1995. Roma, 1997, pg. 103-117.

 

52.     A. ERCOLANI  La fondazione del Fascio di Combattimento a Fiume, tra Mussolini e D’Annunzio. Bonacci Editore, 1996, p. 19.

 

53.     C. SILVESTRI  op. cit.  pgg. 33-37.  R. VIVARELLI  op. cit. pg. 540-541. “Il Popolo d’Italia” diede notizia dell’avvenuta costituzione del Fascio di Combattimento fiumano in un comunicato  dell’edizione del 22 agosto 1920. E. APIH  op. cit. p. 197, riporta parte del discorso che Mussolini tenne alla Camera il 16 novembre 1923, in cui dichiarò che il problema di Fiume apparteneva alla categoria dei problemi quasi insolubili. Nel 1924, su un articolo de “Il Piccolo” del 19 dicembre “4 ottobre e 19 febbraio” in occasione delle elezioni Mussolini espresse dubbi circa l’assenso che la popolazione, che aveva ormai perso fiducia nel fascismo, avrebbe espresso alle liste fasciste e decise pertanto di non indire elezioni a Fiume. Vedi copia del Manifesto Costitutivo del Fascio fiumano, allegato in appendice (allegato 1).

 

54.     A. ERCOLANI  op. cit. p. 77.

 

55.     A. ERCOLANI  op. cit. p. 79.

 

56.     BOGDAN NOVAK  op. cit. pg. 47-51. Significativo è inoltre il memoriale di Italo Sauro al Duce, nel 1939, con il quale si volle porre soluzione al problema slavo in Venezia Giulia. Il testo, tratto dai “Quaderni del Centro Ricerche Storiche di Rovigno” vol. III. Archivio Militare dell’Armata Jugoslava, Belgrado K911, è riportato in appendice (allegato n. 2).

 

57.     M. RISOLO  Il fascismo nella Venezia Giulia: dalle origini alla marcia su Roma. Trieste, 1932. Gli stessi scrittori fascisti che espressero la loro ammirazione per l’opera di trasformazione della Venezia Giulia in una zona italiana, ammettono l’esistenza delle persecuzioni fasciste. A questo proposito vedansi i numerosi articoli apparsi sulla rivista “Trieste” dopo la seconda guerra mondiale, tra cui:  E. APIH  Il fascismo a Trieste. In: “Trieste” n. 7, maggio-giugno 1955, pg. 38-43.  Cfr. C, SCHIFFRER  Fascisti e militari nell’incendio Balkan. In “Trieste”, n. 55, maggio-giugno 1963, pg. 15-18.

 

Fonte:

http://www.rigocamerano.org/icsfiumebase.htm


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