La figura di Ulisse in Maia (1902)

 

LAUDI DEL CIELO DEL MARE DELLA TERRA E DEGLI EROI

Da Laus vitae IV

 

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Incontrammo colui

che i Latini chiamano Ulisse,

nelle acque di Leucade, sotto

le rogge e bianche rupi

che incombono al gorgo vorace,

presso l'isola macra

come corpo di rudi

ossa incrollabili estrutto

e sol d'argentea cintura

precinto. Lui vedemmo

su la nave incavata. E reggeva

ei nel pugno la scotta

spiando i volubili včnti,

silenzioso; e il pěleo

tčstile dei marinai

coprivagli il capo canuto,

la tunica breve il ginocchio

ferreo, la palpebra alquanto

l'occhio aguzzo; e vigile in ogni

muscolo era l'infaticata

possa del magnanimo cuore.

 

E non i tripodi massicci,

non i lebeti rotondi

sotto i banchi del legno

luceano, i bei doni

d'Alcinoo re dei Feaci,

né la veste né il manto

distesi ove colcarsi

e dormir potesse l'Eroe;

ma solo ei tolto s'avea l'arco

dell'allegra vendetta, l'arco

di vaste corna e di nervo

duro che teso stridette

come la rondine nunzia

del dě, quando ei scelse il quadrello

a fieder la strozza del proco.

Sol con quell'arco e con la nera

sua nave, lungi dalla casa

d'alto colmigno sonora

d'industri telai, proseguiva

il suo necessario travaglio

contra l'implacabile Mare.

 

«O Laertiade» gridammo,

e il cuor ci balzava nel petto

come ai Coribanti dell'Ida

per una virtů furibonda

e il fegato acerrimo ardeva

«o Re degli Uomini, eversore

di mura, piloto di tutte

le sirti, ove navighi? A quali

meravigliosi perigli

conduci il legno tuo nero?

Liberi uomini siamo

e come tu la tua scotta

noi la vita nostra nel pugno

tegnamo, pronti a lasciarla

in bando o a tenderla ancóra.

Ma, se un re volessimo avere,

te solo vorremmo

per re, te che sai mille vie.

Prendici nella tua nave

tuoi fedeli insino alla morte!»

Non pur degnň volgere il capo.

 

Come a schiamazzo di vani

fanciulli, non volse egli il capo

canuto; e l'aletta vermiglia

del pěleo gli palpitava

al vento su l'arida gota

che il tempo e il dolore

solcato aveano di solchi

venerandi. «Odimi» io gridai

sul clamor dei cari compagni

«odimi, o Re di tempeste!

Tra costoro io sono il piů forte.

Mettimi alla prova. E, se tendo

l'arco tuo grande,

qual tuo pari prendimi teco.

Ma, s'io nol tendo, ignudo

tu configgimi alla tua prua.»

Si volse egli men disdegnoso

a quel giovine orgoglio

chiarosonante nel vento;

e il fólgore degli occhi suoi

mi ferě per mezzo alla fronte.

 

Poi tese la scotta allo sforzo

del vento; e la vela regale

lontanar pel Ionio raggiante

guardammo in silenzio adunati.

Ma il cuor mio dai cari compagni

partito era per sempre;

ed eglino ergevano il capo

quasi dubitando che un giogo

fosse per scender su loro

intollerabile. E io tacqui

in disparte, e fui solo;

per sempre fui solo sul Mare.

E in me solo credetti.

Uomo, io non credetti ad altra

virtů se non a quella

inesorabile d'un cuore

possente. E a me solo fedele

io fui, al mio solo disegno.


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