La raccolta Le occasioni (1939)

Le occasioni sono pubblicate nel 1939, quando inzia la seconda guerra mondiale, e costituiscono un diario ideale della « fase fiorentina » del poeta, in cui approfondisce la conoscenza di Eliot e della poesia inglese.

La poetica dell’oggetto è nettamente distinta sia dal vecchio parnassianesimo, sia dal recente neosimbolismo dei sostenitori della «poesia pura», cioè gli ermetici. Montale stesso nel 1960 dirà di essere nato nel solco nella « corrente di poesia non realistica, non romantica e nemmeno strettamente decadente, che molto all’ingrosso si può dire metafisica. (…) Tutta l’arte che non rinunzia alla ragione, ma nasce dal cozzo della ragione con qualcosa che non è ragione, può anche dirsi metafisica » (Dialogo di Montale sulla poesia, ora in Il secondo mestiere. Arte, musica, società, Mondadori 1996).

La teoria del «correlativo oggettivo» fornisce lo spunto per la svolta degli anni Trenta: tende alla piena valorizzazione dell’oggetto lirico rispetto all’effusione sentimentale e allo scavo psicologico e al commento filosofico. Ne nasce una poesia che mira al discorso ellittico (sottintendendo il non detto, l’alluso), alla forte concentrazione semantica con punte di obscurisme (ma diverso da quello ermetico, di carattere analogico-sinestetico e fonosimbolico), all’introiezione delle emozioni e dei dati psicologici nell’emblematicità di eventi, atti, situazioni e oggetti.

Complementare alla linea ellittica è quella tendente all’ampio discorso narrativo, in cui Montale inventa i tratti specifici del suo simbolismo metafisico-figurale: i folgoranti accostamenti degli oggetti, il discorso ora disteso nei caratteristici moduli ostensivi e quasi oranti, ora contratto in angosciosi e problematici soliloqui, a volte tendenti al «flusso di coscienza».

All’immobile scenario del paesaggio ligure si sostituisce la dimensione itinerante ed entra così nelle Occasioni la dimensione temporale: il titolo vuol significare la nuova disponibilità del poeta di fronte alle cose e agli avvenimenti, che con il loro carico di messaggi cifrati fermano il tempo e riportano la memoria a rivivere con ansia e trepidazione i rari «barlumi» di vita, già presenti negli Ossi come aperture conoscitive e epifanie in grado di squarciare la monotona ottusità dell’esistere. La negatività le situazioni esistenziali dell’io è a volte interrotta dai «barlumi» o degni dell’amata, se non dall’attesa frustrante di un suo ritorno. Nel celebre mottetto VI (La speranza di pure rivederti) il senhal di Clizia sono i due sciacalli sotto i portici di Modena, ma sono solo un lampo nel panorana della visione schopenaueriana per cui la realtà fenomenica è «schermo d’immagini» (v. 4) che si interpone fra il poeta e la donna amata, escludendolo da ogni percezione e sentimento di lei («senso»).

Il pessimismo di fondo degli Ossi non scompare, ma ora intravede un punto di orientamento esistenziale, che si trova al centro dell’opera: è l’unica destinataria, Clizia, Irma Brandeis, l’ebrea americana di origine austriaca, studiosa di Dante, che Montale conobbe a Firenze nel 1932. Donna amata, mai citata (verrà svelata nella Bufera), essere umano e insieme angelicale, lontano e assente (come la Beatrice dantesca), sempre invocato come luce nell’insensatezza di una realtà sempre più obnubilata e opprimente. In particolare i Mottetti sono un microcanzoniere d’amore nel più vasto canzoniere del libro e mostrano «la tipica situazione (…) d’ogni poeta lirico che vive assediato dall’assenza-presenza di una donna lontana» (Montale in Sulla poesia).

La donna montaliana è in parte contraddittoria: da una parte mosra la distanza dal mondo e una sintomatologia tutta angelica (ali, volo, folgoranti apparizioni), dall’altra ha una vitalità terrestre che la rende quasi ferina; luminosità e dolcezza contro demonicità oscura e annientatrice (occhi d’acciaio, sguardo di cristallo).

Attraverso le impressioni di paesaggio e avvalendosi dell’archetipo dell’acqua, Montale affronta il tema del ricordo e della memoria (ricollegandosi a Cigola degli Ossi) sullo sfondo degli anni Trenta [E. Lowenthal, su «La Stampa» del 7 dic 02], quindi dell’incipiente guerra e della diaspora degli ebrei: basta leggere Verso Capua e la più famosa A Liuba che parte, in cui appaiono «occasioni» di positività nell’imminente catastrofe che si sta abbattendo sulle due protagoniste delle poesie. Il mottetto XVIII (Non recidere, forbice, quel volto) è incentrato sul ricordo della donna amata, che il poeta sente insidiato dalla crudele azione di annichilimento del tempo. Nella seconda strofa troviamo un evento simbolico, cioè un giardiniere pota un’acacia a novembre facendo cadere un guscio secco di cicala, che richiama lo sforbiciare brutale del tempo nel tessuto vivo della mente.

Eppure il mondo delle Occasioni è tutt’altro che positivo, nonostante l’incontro con Clizia: l’io resta sempre perplesso, dubbioso, smarrito e in crisi; il male di vivere è esperienza esistenziale e storica che sta per dilagare in forme maligne e apocalittiche. Semplicemente l’attesa del «miracolo», seppur torturante e delusiva, ora si incarna in una presenza d’amore e di speranza che fa più assillante la ricerca di un senso delle cose, tragicamente assente.

Montale si avvicina allo stile sublime e predominano le misure metriche tradizionali, come l’endecasillabo e il settenario.

 

Poesie da leggere:

1) tempo e ricordo:

2) crisi di identità e «varco»:


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