Pascoli: la visione del mondo

 

La matrice positivistica

La formazione di Pascoli fu essenzialmente positivistica, come era inevitabile, dato il clima culturale che dominava negli anni in cui egli compì i suoi studi liceali e universitari, gli anni Settanta dell’Ottocento; ma impregnati di cultura positivistica restavano anche gli ambienti accademici in cui lo scrittore operò in seguito, a cavallo tra i due secoli. Tale matrice è ravvisabile nell’ossessiva precisione con cui, nei suoi versi, egli usa la nomenclatura ornitologica e botanica, e di impianto positivistico sono spesso le fonti da cui trae le osservazioni sulla vita degli uccelli, protagonisti di tanti suoi componimenti poetici; così come da letture di testi di astronomia ispirati alle cognizioni scientifiche del tempo scaturiscono i temi astrali che occupano un posto rilevante nella sua poesia.

 

La sfiducia nella scienza e il mistero

Ma in Pascoli si riflette quella crisi della scienza che caratterizza la cultura di fine secolo, segnata dall’esaurirsi del positivismo e dall’affermarsi di tendenze spiritualistiche e idealistiche. Anche in lui insorge una sfiducia nella scienza come strumento di conoscenza e di ordinamento del mondo: come per tanti della sua epoca che vivono la stessa crisi, anche per lui, al di là dei confini limitati raggiunti dall’indagine scientifica, si apre l’ignoto, il mistero, l’inconoscibile, verso cui l’anima si protende ansiosa, tesa a captare i messaggi enigmatici che ne provengono, non traducibili in nessun sistema logicamente codificato. Questa tensione verso ciò che trascende il dato sensibile in Pascoli non si concreta, come nota Getto, in una fede religiosa positiva. Di Dio vi è lui nostalgia, mai possesso. Il fascino su di lui esercitato dal cristianesimo non attinge mai la sfera teologica, della verità rivelata, ma resta nei limiti del messaggio morale di fraternità e mansuetudine evangelica.

 

La scomparsa dei moduli d’ordine del reale

Al dissolversi dei moduli con cui il positivismo dava ordine razionale al mondo non subentra un sistema concettuale alternativo. mondo, nella visione pascoliana, appare frantumato, disgregato. Le sue componenti si allineano sulla pagina come si offrono ad una percezione casuale, ad un’impressione momentanea, non si compongono mai in un disegno unitario e coerente, in obbedienza ai dettami della logica comune. Non esistono neppure gerarchie d’ordine fra gli oggetti: ciò che è piccolo si mescola a ciò che è grande, il minimo, apparentemente trascurabile particolare può essere ingigantito come attraverso una lente d’ingrandimento sino ad occupare tutto il quadro, e ciò che è grande può essere rimpicciolito, miniaturizzato, come se fosse visto con il cannocchiale alla rovescia. Tutto ciò ha riflessi di grande portata sulla costruzione formale dei testi, sulle strutture logico-sintattiche e ritmiche, sulle parole scelte per designare gli oggetti, come verificheremo nella lettura.

 

I simboli

Gli oggetti materiali hanno un rilievo fortissimo nella poesia pascoliana, ma ciò non significa affatto che vi sia in essa un’adesione di tipo veristico all’oggettività del dato: i particolari fisici, sensibili sono filtrati attraverso la peculiare visione soggettiva del poeta, e in tal modo si caricano di valenze allusive e simboliche, rimandano sempre a qualcosa che è al di là di essi, all’ignoto di cui sono come messaggi misteriosi e affascinanti. Anche la precisione botanica e ornitologica con cui Pascoli designa fiori, piante, varietà di uccelli, pur avendo le sue radici nel rigore classificatorio della scienza positivistica, assume poi ben diverse valenze: il termine preciso diviene come la formula magica che permette di andare al cuore della realtà, di attingere all’essenza segreta delle cose. Dare il nome alle cose è come scoprirle per la prima volta, con occhi vergini e stupiti, possederle intimamente, arrivare ad un’immedesimazione profonda con esse. Perciò, data questa soggettivazione del reale, alla nettezza vivida delle impressioni e alla precisione scientifica della terminologia botanica ed ornitologica, o riferentesi agli strumenti e ai lavori dei campi, può accostarsi senza stridori né contraddizioni una percezione visionaria, onirica: il mondo è allora visto attraverso il velo del sogno e perde ogni consistenza oggettiva, le cose sfumano le une nelle altre, in un gioco di metamorfosi tra apparenze labili e illusorie.

 

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Le «corrispondenze» e l’identità tra io e mondo

Si instaurano così legami segreti fra le cose, che solo abbandonando le convenzioni della visione corrente, logica e positiva, possono essere colti. La conoscenza del mondo avviene attraverso strumenti interpretativi non razionali, che trasportano di colpo, senza seguire tutti i passaggi del ragionamento logico, nel cuore profondo della realtà. Tra io e mondo esterno, tra soggetto e oggetto non sussiste quindi per Pascoli vera distinzione. La sfera dell’io si confonde con quella della realtà oggettiva, le cose acquistano una fisionomia antropomorfizzata, si caricano di significati umani: si veda il gelsomino notturno nella poesia omonima, il grido dei puffini dell’Adriatico e dell’assiuolo, il vischio che si abbarbica all’albero da frutto, la siepe, la digitale purpurea. Come si vede, la visione del mondo pascoliana si colloca a buon diritto entro le coordinate della cultura decadente e presenta cospicue affinità, al di là delle difformità di tono, con la visione dannunziana.


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