Le tematiche principali della poesia di Saba

 

Saba rifiuta l'estetismo e il superomismo, ma anche l'eversione avanguardistica e la sciatteria crepuscolare: la sua forza è quella di riuscire a mantenere continuamente e costantemente una rara fedeltà al suo mondo ed al suo timbro. La sua posizione di isolato nei confronti della cultura e della letteratura a lui contemporanea fu mantenuta rifuggendo senza indugio anche alle minime influenze che furono solo impercettibili tentazioni.
È proprio Saba, del resto, che lo scrive nella sua autobiografia in versi:
Gabriele D'Annunzio alla Versiglia
vidi e conobbi; all'ospite fu assai
egli cortese, altro per me non fece.
A Giovanni Papini, alla famiglia
che fu poi della Voce, io appena o mai
non piacqui. Ero fra lor di un'altra specie.

Una decisa e ferma dichiarazione di estraneità ai due movimenti letterari e culturali che dominavano gli anni della sua formazione e che precedettero la prima guerra mondiale: da una parte la poesia dannunziana, dall'altra le esperienze del «Leonardo» e della «Voce» nonché le visioni intellettuali di Papini e Prezzolini. Se poi verifichiamo che anche un'altra grande figura come Benedetto Croce non si accorse nemmeno di Saba possiamo definire chiaramente il quadro del completo isolamento del poeta.

 

Propone la poesia «onesta»: capace di «non sforzare mai l'ispirazione e reagire alla pigrizia intellettuale che impedisce allo scandaglio di toccare il fondo». Serve per arrivare al nocciolo della verità. Scrive ad esempio:

 

Amai trite parole che non uno

osava. M'incantò la rima fiore

amore,

la più antica difficile del mondo.

Amai la verità che giace al fondo,

quasi un sogno obliato, che il dolore

riscopre amica. Con paura il cuore

le si accosta, che più non l'abbandona.

Amo te che mi ascolti e la mia buona

carta lasciata al fine del mio gioco.

                                ( Amai )

 

In Scorciatoie (1946) scrive

Non esiste un mistero della vita, o del mondo, o dell’universo. Tutti noi, in quanto nati dalla vita, facenti parte della vita, sappiamo tutto, come anche l’animale e la pianta. Ma lo sappiamo in profondità. Le difficoltà incominciano quando si tratta di portare il nostro sapere organico alla coscienza. Ogni passo, anche piccolo, in questa direzione, è di un valore infinito. Ma quante forze – in noi, fuori di noi – sorgono, si coalizzano, per impedire, ritardare, quel piccolo passo!

Quindi la poesia è strumento di autocoscienza.

La “poesia onesta” si contrappone alla “poesia disonesta”, quella che è ricerca del bello anche a danno del vero, è compiacimento estetico, è in poche parole quella di D’Annunzio, che è “letterato di professione”, celeberrimo ed ammiratissimo,  e per questo più attento al successo che alla ricerca della verità.

 

Vive in maniera positiva il rapporto io-mondo: oppone alla discontinuità e all'intermittenza dei moderni, un senso della vita come flusso unitario. La poesia può inglobare in sé la realtà e le esperienze di sempre e di tutti.

 

Il suo realismo non è di tipo naturalistico, cioè non vuole riprodurre oggettivamente la realtà, ma vuole cogliere il vitalismo istintivo, la legge fondamentale dell'esistenza, e ci riesce scovando dietro molte figure alcuni stati d'animo personali che ritiene comuni a molti.

Il realismo diventa così canale per confermare la solidarietà col reale (diverso quindi dal realismo di Montale, che serve invece a confermare la insanabile frattura con esso): il soggetto è perfettamente integrato con il mondo.


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