Giuseppe PARINI (1729 - 1799)

 

1. Date importanti della vita

 

Nato a Bosisio in provincia di Como nel 1729 da un modesto commerciante di seta, Giuseppe Parini fu avviato sin dall'infanzia alla vita ecclesiastica. Nel 1752 esordì con la raccolta Alcune poesie di Ripano Eupilino, in cui lo pseudonimo del titolo giocava sull'anagramma del suo cognome e sul nome latino (Eupili) del lago di Pusiano, sulle cui rive sorge Bosisio. La raccolta ebbe un discreto successo e gli valse nel 1753 l'ingresso nell'Accademia dei Trasformati di Milano.Parini (1729 - 1799)

 

Ordinato sacerdote nel 1754, si impiegò per alcuni anni come precettore presso le famiglie nobili milanesi dei Serbelloni e degli Imbonati. In questi anni, grazie alla frequentazione dei letterati Trasformati e dell'aristocrazia milanese, Parini ampliò e approfondì i suoi interessi, intervenendo anche nelle polemiche letterarie del tempo.

 

Nel 1761 lesse ai Trasformati il Discorso sopra la poesia, dichiarazione di poetica già matura, in cui i principi dell'estetica sensistica si combinano con la tradizione classicista: la poesia dovrebbe spingere alla virtù e al bene attraverso una forma sapientemente controllata e studiata.

Del 1757 è il Dialogo sulla nobiltà dopo diversi anni di servizio come precettore.

 

Il periodo tra il 1757 e il 1795 è segnato dalla produzione delle 19 Odi, in cui le forme arcadiche di moda all'epoca (Parini entrò poi in Arcadia nel 1777 col nome di Darisbo Elidonio) sono superate per dare luogo ad una poesia di alto contenuto civile e morale: La vita rustica (1757), La salubrità dell'aria (1759), L'innesto del vaiuolo (1765), Il bisogno (1765) sono alcune delle più note.

 

Nel maggio 1796 le truppe giacobine guidate da Napoleone Bonaparte irruppero in Milano insediandosi nel municipio; Parini fu onorato come precursore delle idee rivoluzionarie e fu invitato insieme a Pietro Verri a presiedere un comitato preposto, tra le altre cose, alle scuole e ai teatri. Le sue posizioni, molto più moderate che rivoluzionarie, furono causa dell'esclusione dalla municipalità dopo soli due mesi. Nel 1799 gli Austriaci riconquistarono la Lombardia; Parini conservò la cattedra di professore ma non poté evitare le persecuzioni dei reazionari.

Morì a Milano nel 1799; per volontà testamentaria fu seppellito nel cimitero di Porta Comasina, in una tomba non distinta. Tale dato sarà da ricordare in relazione alla prima sezione de I sepolcri di Ugo Foscolo.

 

 

2. L'ideologia e la poetica fra Arcadia e Illuminismo

 

Principio essenziale dell'ideologia pariniana è la moderazione, cioè il non aderire alle tante e contrastanti tendenze con cui viene in contatto (ad esempio va contro la Chiesa, ma non raggiunge l'ateismo materialista francese). Da ciò deriva un atteggiamento ambivalente su diversi fronti: critica la nobiltà, ma esalta la cultura come se formasse un'élite, ... Vuole trasformare radicalmente i contenuti senza alterare le strutture, e tale principio è vero sia applicandolo alla società, che alla letteratura, divenendo così dichiarazione di poetica.

La frequentazione degli ambienti nobiliari getta le basi della critica anti-nobiliare, che verrà esemplificata del Dialogo sopra la nobiltà (1757) e costituisce la base portante del Giorno. Ciò nonostante assume la prospettiva tradizionale, secondo la quale spetta alle vecchie strutture sociali rinnovare la società; la nobiltà non dev'essere soppiantata, ma solo perdere i propri vizi, divenire una classe propositiva. Infatti, al contrario del gruppo di intellettuali del « Il Caffè » non crede nell'importanza della borghesia e delal sua funzione di rinnovamento.

 

Ma sono anche altri i motivi di distanza dal gruppo degli illuministi lombardi. Nell'ultima sestina dell'ode La salubrità dell'aria è, in un certo senso, racchiusa la formula della poetica pariniana:

Va per negletta via
ognor l'util cercando
la calda fantasia
che sol felice è quando
l'utile unir può al vanto
di lusinghevol cantone.

È evidente che per utile si debba intendere un contenuto nutrito di interessi civili e sociali, frutto di una cordiale e sollecita aderenza ai problemi umani di un'epoca, e che il lusinghevol canto altro non possa significare che una veste poetica amabile e persuasiva ad un tempo, e cioè ricca di ornamenti leggiadri ma strumentalizzata ad un fine etico-sociale. A voler intendere tale definizione si capisce che l'impegno sociale ed il gusto del bello stile sono semplicemente due elementi dell'arte pariniana, la quale va considerata, al di là pure di una loro elementare ed opportuna sintesi, solo in rapporto alla sua capacità di realizzare in immagini fantastiche l'ispirazione del poeta.

Il Parini visse settant'anni interamente nel secolo decimottavo, e non sfuggì all'influenza del tempo: subì il fascino dell'Arcadia, che sembrava assecondare la sua naturale disposizione alla disincantata contemplazione del bello ed orientava il gusto sulla scia dell'arte classica, tanto ammirata ed amata dal Poeta giovane; senti tutta la urgenza di quel rinnovamento sociale e morale auspicato dall'Illuminismo, che sembrava condividere col Parini l'ardente sete di giustizia ed il forte desiderio di non restare inoperoso di fronte alla squallida realtà del tempo.

Ma come dell'Illuminismo seppe accettare con cordiale ed umana simpatia, anzi con ansiosa attesa, quel nobile messaggio di fraternità, di amore, senza peraltro condividere i metodi ed i programmi particolari di chi si adoperava concretamente, operando nel tessuto vivo della società, per l'instaurazione del nuovo mondo; così dall'Arcadia derivò il senso di una poesia eletta, esemplare nell'espressione, armonica nella costruzione, luminosa nelle immagini, mirabilmente musicale nel verso composto con consumata perizia e tormentosa ansia di perfezione, ma si tenne istintivamente lontano dalla vanità, dalla leziosaggine, dalla superficialità morale.

 

La spiegazione di codesta sostanziale riserva nei confronti dell'Arcadia e dell'illuminismo, è tutta da ricercare nella particolare statura del Parini, nelle sue dimensioni di uomo e di artista. Il classicismo del Parini deriva da ben altro che dalla semplice adesione intellettualistica ad un gusto sancito dalla moda. Esso risponde ad una profonda esigenza interiore di ordine e di chiarezza ed è l'urica espressione convenevole per un mondo morale che urge di comporsi in una forma estetica e che travalica smisuratamente i limiti della presente miseria civile per ricollegarsi all'antica saggezza. Esso è, quindi, il risultato di una disposizione psicologica, il linguaggio naturale di un'anima che sente d'esser capitata in un mondo non suo e che tuttavia non sa rifiutare la propria viva partecipazione alle doglie del secolo. E sempre, nelle sue opere, la ripresa di un qualche aspetto dalla realtà vivente ha un non so che di distaccato, come se fatta da occhi forestieri, disinteressati. In realtà non è così: l'interesse c'è ed è profondo; ma la superiorità morale dell'osservatore impone di guardare le cose dall'alto, quasi a non volersene contaminare. Anche quando l'argomento trattato è dei più vicini alle esigenze pratiche - come accade, ad esempio, nelle odi La salubrità dell'aria, Il bisogno, La musica -, l'eleganza classica del verso, apparentemente inopportuna per una materia volgare, sottolinea quel distacco cui abbiamo accennato, ma per assecondare un'intima aspirazione poetica del Parini, non già come pura e semplice sovrastruttura letteraria.

 

In definitiva, il Parini è tuttaltro che sordo alle voci, tutta altro che indifferente agli interessi del suo secolo, ma nella misura in cui quelle voci e quegli interessi si dispongono ad entrare, sia pure per la porta di servizio, nel suo mondo più intimo. Che è il mondo della Virtù e della Bellezza, anzi - a dir meglio - della Virtù trasfigurata in Bellezza.

 

 

3. Il Giorno

 

Poema didascalico satirico in endecasillabi sciolti, diviso in quattro parti, il Mattino, il Mezzogiorno, il Vespro, la Notte, edite le prime due rispettivamente nel 1763 e 1765, rimaste incompiute le altre e pubblicate postume nel 1801.

 

La trama

Il poeta, fingendosi "precettore d’amabil rito", descrive con tono di volta in volta ironico, malizioso, sarcastico, sdegnato le ore vacue di un giovin signore, cui la pratica mondana impone il culto di un cerimoniale artificioso e assurdo. Il suo risveglio è tardo, ignaro di fatiche plebee; scelta tra esotiche bevande la colazione, condita dalle ciarle maligne dei maestri alla moda (di canto, ballo, musica e francese); complessa infine e lenta la toeletta, cui segue, precipitosa e funesta al volgo, la corsa in carrozza per le vie della città. Al pranzo, in casa della dama di cui il giovane è galante cavaliere (antica, risibile usanza la fedeltà coniugale) a lui si uniscono altri campioni di nobile umanità, segnato alcuno, come il carnivoro e il vegetariano, da eccentriche manie; e nel fatuo tessuto dei discorsi alla moda anche la dama può inserire un bel tratto di sensibilità femminile col compianto della sua "vergine cuccia" colpita dal piede villano del servo, cui furon giusta condanna la disoccupazione e la miseria. Poi il pranzo volge alla fine; e mentre a coglierne gli ultimi effluvi una turba cenciosa e miseranda si affolla alle porte del palazzo, i convitati passano a godere l’aroma del caffè e il gioco malizioso del tric-trac. Al vespro lo scenario è più arioso e più mosso, più amabile e morbido il tono; la passeggiata al corso riporta, in gara d’eleganza, maldicenze, gelosie e ripicchi, il sapore di un mondo settecentesco frivolo e galante, ritratto con sottile e compiaciuta precisione. A notte infine c’è il ricevimento mondano, col suo concilio di figure irrigidite in caricature disumane (lo schioccatore di frusta, il suonatore di corno, il costruttore di cocchi, lo sfilacciatore di tappeti), finché si chiude, con il gioco e i rinfreschi, la disutile vicenda di una giornata patrizia sotto la cui estenuata eleganza si celano vuoto di pensiero e aridità di sentimento.

 

Opera di stampo umanistico, tramata di richiami mitologici e di inserti preziosamente elaborati (le favole di Amore e Imene, del Piacere, del Canapè), essa registra, in un linguaggio denso e allusivo, le reazioni di una coscienza risentita di fronte alle storture della società; e dal confronto tra l’ozioso costume aristocratico e la dolente condizione del popolo trae le ragioni di una denuncia tanto più acuta e penetrante quanto più coperta e raffinata nelle forme; palesando al tempo stesso, nella attenta ricerca di perfezione stilistica, un ideale d’arte laborioso e severo, in cui è l’approdo estremo e più maturo del classicismo settecentesco.

 

La critica del mondo ozioso dei nobili è in Parini non tanto politica quanto morale: l'autore auspica infatti che i nobili tornino a meritare il ruolo di guida loro assegnato, riacquistando uno spessore morale adeguato. I temi di eguaglianza sociale e la valutazione positiva delle qualità ancora integre del popolo, sono quindi da considerarsi sempre all'interno di una cornice ideologica moderata.

 

Assolutamente fondamentale la lettura dei primi 155 versi dell'opera, nella sezione denominata Il mattino, nell'edizione originale pubblicata a Milano nel 1763, preceduta dalla seguente premesse dell'autore

 

Alla Moda

Lungi da queste carte i cisposi occhi già da un secolo rintuzzati, lungi i fluidi nasi de’ malinconici vegliardi. Qui non si tratta di gravi ministeri nella patria esercitati, non di severe leggi, non di annoiante domestica economia, misero appannaggio della canuta età. A te, vezzosissima dea, che non sí dolci redine oggi temperi e governi la nostra brillante gioventù, a te sola questo piccolo libretto si dedica e si consagra. Chi è che te, qual sommo nume, oggimai non riverisca ed onori, poiché in sí breve tempo se’ giunta a debellar la ghiacciata Ragione, il pedante Buon Senso e l’Ordine seccagginoso, tuoi capitali nemici, ed hai sciolto dagli antichissimi lacci questo secolo avventurato? Piacciati adunque di accogliere sotto alla tua protezione (ché forse non n’è indegno) questo piccolo poemetto. Tu il reca su i pacifici altari, ove le gentili dame e gli amabili garzoni sagrificano a se medesimi le mattutine ore. Di questo solo egli è vago, e di questo solo andrà superbo e contento. Per esserti più caro egli ha scosso il giogo della servile rima, e se ne va libero in versi sciolti, sapendo che tu di questi specialmente ora godi e ti compiaci. Esso non aspira all’immortalità, come altri libri, troppo lusingati da’ loro autori, che tu, repentinamente sopravvenendo, hai seppelliti nell’oblio. Siccome egli è per te nato, e consagrato a te sola, così fie pago di vivere quel solo momento, che tu ti mostri sotto un medesimo aspetto, e pensi a cangiarti, e risorgere in più graziose forme. Se a te piacerà di riguardare con placid’occhio questo Mattino, forse gli succederanno il Mezzogiorno e la Sera; e il loro autore si studierà di comporli ed ornarli in modo, che non men di questo abbiano ad esserti cari.

 


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