Il petrarchismo laurenziano o neoplatonico

Nel Quattrocento si scrivono numerosi Canzonieri con il preciso intento di impostare su una «trama amorosa di fondo», che richiama quella di Petrarca, numerosi giochi retorici, artifici lambiccati e bizzarre metafore.

Nella seconda metà del Quattrocento cade l'illusione che il latino possa rinascere come lingua letteraria privilegiata e inizia il cosiddetto «Umanesimo volgare». A Firenze, sotto l'illuminata guida di Lorenzo il Magnifico, si crea un straordinario cenacolo di artisti, letterati e filosofi, tra cui Marsilio Ficino, Pico della Mirandola, Poliziano, Pulci, il giovane Michelangelo e lo stesso Lorenzo.

Secondo la concezione platonica, il desiderio connaturato dell'uomo è di raggiungere la bellezza ideale attraverso un amore speculativo e contemplativo, al di là della caducità e contingenza delle cose terrene. In quest'ottica la bellezza della donna amata è soltanto un riflesso di quella Bellezza eterna, innata, che l'uomo persegue. L'esperienza amorosa diventa dunque un'avventura spirituale, un itinerarium ad Deum che si serve delle suggestioni terrene.

Alla concezione petrarchesca della donna come "pensiero amoroso", del tutto avulso da ogni realizzazione concreta, si aggiunge il concetto di "idea" platonica, per cui l'amore cantato in versi è un'immagine solo pensata, un oggetto di scrittura, che si muove su schemi prestabiliti e canonici.

Il Canzoniere di Lorenzo il Magnifico ripercorre quello petrarchesco, fondendo la poetica del Petrarca, dello Stilnovismo e del neoplatonismo.

Dal 1464, quand'aveva 15 anni, comincia a scrivere componimenti d'amore per la coetanea Lucrezia Donata; nel 1474 decide di raccoglierli in un corpus, che qualche anno dopo correderà di un Commento de' miei sonetti sul modello della Vita nova dantesca.

L'intento di Lorenzo rimane, comunque, quello di scrivere un'opera filosofica, seguendo i dettami del neoplatonismo.

Alcuni testi tratti dal Canzoniere

Nel brano che segue è chiaro il calco petrarchesco: il poeta elogia il luogo dove vive la sua donna che viene rappresentata come un secondo sole (cfr RVF 100; 115; 219).

 
 
 
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Felice terra, ove colei dimora,
la qual nelle sue mani il mio cor tiene,
onde a suo arbitrio io sento e male e bene,
e moro mille volte e vivo l'ora.

Or affanni mi dà, or mi ristora:
or letizia, or tristizia all'alma viene;
e così il mio dubbioso cor mantiene
in gaudii, in pianti: or convien viva, or mora.

Ben sopra l'altre terre se' felice,
poi che duo soli il dì vedi levare,
ma l'un sì chiar, che invidia n'ha il pianeta.

Io veduto ho sei lune ritornare
sanza veder la luce che mi queta,
ma seguirò il mio Sol, come fenice.

 

 

- Come lucerna nell'ora matutina (LXIV)


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