Umanesimo: il rapporto con il soprannaturale

«Ma avendo il già ricordato Innocenzo composto un particolare trattato, intitolato alla miseria della vita umana, in cui cominciando dall'origine prima ed arrivando all'ultima fine ha riunito molti argomenti, noi ne abbiamo scelti quelli che ci sono sembrati più degli altri degni di menzione e più convenienti al nostro proposito di una piena confutazione. Egli, dunque, dopo avere parlato della vile putredine onde l'embrione è concepito, soggiunge che tutti, quando si nasce, quando ancora non si è viziati a causa dell'età, maschi e femmine, si piange e si geme con queruli lamenti per esprimere la verace miseria della nostra natura. [...]

Posti dunque in qualche modo questi e simili argomenti, che gli sembravano le migliori e più solide basi del suo futuro edificio, largamente e diffusamente procede valendosi della nudità, dei pidocchi, degli sputi, dell'orina, dello sterco, della brevità della vita, della vecchiaia, dei vari travagli e dolori dei mortali, dei diversi affanni, della morte incombente, dei molti generi di tormenti, dei molti consimili malanni del corpo umano.

Ora se noi, con la grazia di Dio, riusciremo a confutare come desideriamo, secondo la nostra capacità, tutte queste affermazioni, porremo convenientemente termine al nostro discorso, dopo avere sul fine dell'opera nostra ammonito accuratamente e diligentemente noi stessi e gli eventuali lettori a riconoscere come doni del Signore onnipotente le ottime e felici condizioni dell'umana natura, largamente e diffusamente dichiarate nei tre libri precedenti, onde possiamo vivere in questo mondo sempre lieti ed alacri bene operando, e godere poi eternamente della divina Trinità, da cui ci son venute tutte quelle doti. Desiderando quindi sommamente di confutare a fondo tutti gli argomenti riportati, seguiremo nel rispondere il medesimo ordine in cui li abbiamo riferiti; cominciando perciò dal corpo, non esitiamo a rispondere nel modo seguente a quanto si dice della sua debolezza e dei suoi incomodi».

 

[ Tutti i malanni di cui l'uomo soffre non derivano affatto da Dio e dalla natura, ma dal peccato commesso dall'uomo stesso, il peccato originale di Adamo ].

 

«Gli uomini a tale e tanta soggezione furono condannati che, da qualunque causa derivi, appare naturale e risale fino al principio della creazione, dal momento che non v'è dubbio che quella legge della morte e di tutti gli altri malanni incombe su tutti i corpi umani fin dalla nascita e per ogni tempo. Orbene, anche se noi concedessimo questo e altro, tuttavia, se non fossimo troppo queruli e troppo ingrati e ostinati e delicati, dovremmo riconoscere e dichiarare che in questa nostra vita quotidiana possediamo molti più piaceri che non molestie. Non c'è infatti atto umano, ed è mirabile cosa, sol che ne consideriamo con cura e attenzione la natura, dal quale l'uomo non tragga almeno un piacere non trascurabile: cosi attraverso i vari sensi esterni, come il vedere, l'udire, l'odorare, il gustare, il toccare, l'uomo gode sempre piaceri così grandi e forti, che taluni paiono a volte superflui ed eccessivi e soverchi. Sarebbe infatti difficile a dirsi, o meglio impossibile, quali godimenti l'uomo ottenga dalla visione chiara ed aperta dei bei corpi, dall'audizione di suoni e sinfonie e armonie varie, dal profumo dei fiori e di simili cose odorate, dal gustare cibi dolci e soavi, e infine dal toccare cose estremamente molli. E che diremo degli altri sensi interni? Non possiamo dichiarare a sufficienza con parole quale diletto rechi seco quel senso che i filosofi chiamano comune nel determinare le differenze delle cose sensibili; o qual piacere ci dia la varia immaginazione delle diverse sostanze e accidenti, o il giudicare, il ricordare, e infine l'intendere, quando prendiamo a immaginare, comporre, giudicare, ricordare ed intendere le cose già apprese mediante qualche senso particolare. Perciò se gli uomini nella vita gustassero quei piaceri e quei diletti, piuttosto che tormentarsi per le molestie e gli affanni, dovrebbero rallegrarsi e consolarsi invece di piangere e di lamentarsi, soprattutto poi avendo la natura fornito con larghezza copiosa numerosi rimedi del freddo, del caldo, della fatica, dei dolori, delle malattie; rimedi che sono come sicuri antidoti di quei malanni, e non aspri, o molesti, o amari, come spesso suole accadere con i farmachi, ma piuttosto molli, grati, dolci, piacevoli. A quel modo infatti che quando mangiamo e beviamo, mirabilmente godiamo nel soddisfare la fame e la sete, così ugualmente ci allietiamo nel riscaldarci, nel rinfrescarci, nel riposarci [...].

In tal modo tutte le opinioni e le sentenze sulla fragilità, il freddo, il caldo, la fatica, la fame, la sete, i cattivi odori, i cattivi sapori, visioni, contatti, mancanze, veglie, sogni, cibi, bevande, e simili malanni umani; tutte, insomma, tali argomentazioni appariranno frivole, vane, inconsistenti a quanti considereranno con un po' più di diligenza e di accuratezza la natura delle cose. [...]

Se il corpo del primo uomo fu fatto dal fango della terra, e invece i corpi degli altri esseri, così animati come inanimati, (...) appaiono per loro natura più nobili della terra, senza dubbio questa fabbrica umana, sia pur di materia terrestre, doveva apparire di tanto più nobile ed eccellente di fronte a tutte le altre, di quanto superava e i venti e i pianeti e le stelle, le quali cose, ancorché fatte d'aria e di fuoco, risultano tuttavia insensibili ed inanimate; e di gran lunga eccelleva anche sui pesci e gli uccelli, fatti d'aria, e sui bruti animali, che erano, come l'uomo, usciti animati dalla terra. Questo animale razionale, provvido e sagace, aveva appunto un corpo molto più nobile delle bestie, con cui pure sembrava convenire rispetto alla materia, poiché era ben più atto a operare, a parlare e ad intendere, funzioni di cui quelle invece erano prive. E così pure poteva ugualmente considerarsi più egregio non solo dei venti e delle stelle, cose del tutto prive di senso, ma anche dei pesci e degli uccelli, che sono animati. Il corpo umano infatti, pur non avendo comune la materia con nessuno di quegli esseri, tuttavia, per le ragioni medesime addotte sopra a proposito degli animali terrestri, risulta superiore, e la stessa superiorità deve ammettersi anche a proposito degli animali dell'aria e dell'acqua, essendo stato fatto per propria natura in modo che, senza il peccato, non sarebbe mai perito; cosa che non si conviene a nessun altro corpo. Perciò l'elemento terrestre deve essere considerato di tanto più ammirevole e nobile degli altri, di quanto, pur essendo per natura più ignobile e vile di essi, vediamo invece che nel corpo dell'uomo fu su quelli sublimato ed esaltato».

 

«Il sommo Padre, l’Architetto divino, aveva già fabbricato la dimora cosmica che noi vediamo, il tempio augustissimo della divinità. Aveva adornato d’intelligenze lo spazio di là dai cieli, animato con spiriti eterni le sfere celesti, popolato d’ogni specie di animali le parti escrementizie e melmose del basso mondo. Ma al termine della sua opera l’Artefice desiderava vi fosse qualcuno che capisse la razionalità di un’opera così grande, ne amasse la bellezza, ne ammirasse la vastità. Perciò, dato fondo ormai a tutta la creazione, come attestano Mosè e Timeo,  pensò da ultimo a produrre l’uomo. Non esisteva però fra gli archetipi uno su cui modellare la nuova stirpe, nulla nei preziosi depositi da dispensare in eredità alla nuova creatura, nessun posto in tutto il mondo ove potesse sedere per osservare l’universo. Tutto era già occupato, tutto distribuito nei gradi più alti, medi e bassi. Ma non sarebbe stata cosa appropriata alla potestà del Padre mancare, come esaurita, nell’ultima generazione; non appropriata alla sua sapienza esitare per carenza d’ingegno in un’opera necessaria; non appropriato al suo benigno amore costringere chi avrebbe esaltato la liberalità divina negli altri, a biasimarla in se stesso.

Alla fine il perfetto Artefice decise che quell’essere, a cui non poteva dare nulla di proprio, avesse in comune tutto ciò che i singoli esseri avevano avuto come singolare. Prese dunque l’uomo, creatura di forma indefinita, lo pose al centro dell’universo e così gli parlò: «Non ti ho assegnato, o Adamo, né una sede precisa né un aspetto particolare né una funzione speciale, affinché tu abbia e possegga la sede, l’aspetto e le funzioni che da te stesso sceglierai secondo il tuo desiderio e il tuo giudizio. Gli altri esseri hanno una natura definita e chiusa entro termini e leggi da me stabilite. Tu, non rinchiuso in stretti confini, secondo il tuo libero arbitrio, a cui ti ho rimesso, determinerai la tua natura. Ti ho posto al centro dell’universo affinché di lì tu scorga più agevolmente tutto ciò che nell’universo esiste. Non ti ho fatto né celeste né terreno, né mortale né immortale, affinché ti foggi da te stesso la forma che preferisci, come un libero e nobile modellatore e foggiatore di te stesso. Potrai degenerare verso gli esseri inferiori, i bruti, o rigenerarti verso i superiori, i divini, a tuo esclusivo giudizio».

Oh, sublime generosità di Dio Padre, sublime e mirabile felicità dell’uomo! All’uomo è dato di avere ciò che desidera e di essere ciò che vuole, I bruti al loro nascere portano con sé «dalla sacca materna», secondo l’espressione di Lucilio, tutto ciò che avranno. Gli spiriti superiori furono o subito all’inizio o poco dopo ciò che saranno per sempre in eterno. Nell’uomo il Padre infuse all’atto del nascere semi di ogni specie e germi di ogni genere di vita; cresceranno quelli che ciascuno coltiverà, e porteranno in lui i loro frutti».


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