La tematica amorosa nella lirica provenzale

 

Caratteristiche della concezione dell'amor cortese

 

La concezione dell'amore che troviamo negli autori greci e latini si fonda sulla pariteticità della condizione dell'uomo e della donna (presente solo nella fantasia letteraria degli autori e non certo nella realtà dei fatti), sulla reciprocità della passione e quindi sulla realizzazione del desiderio.

La lirica provenzale, invece, presenta degli elementi assolutamente nuovi:

Testo particolarmente significativo è Amore di terra lontana di Jaufré Raudel, vissuto nella prima metà del XII secolo.

Grande teorico di tale concezione è Andrea Cappellano, che scrive nella seconda metà del XI secolo il trattato che poi farà scuola nei secoli successivi, cioè il De amore, in cui fissa le norme e i canoni del fin'amor, l'amore cortese.

Ne citiamo alcuni passi, anche perché un manuale su come si deve amare risulta alla nostra sensibilità di oggi un po' anomalo ...

Che cosa sia l'amore

II. È dunque prima da vedere che cosa sia l'amore, onde l'amore sia detto, che sia lo suo effetto, entr'a quali possa esere, come l'amor s'aquisti e se ritegna, acresca, menomi e finisca; e di conosciere l'amore cambiato, e quello che ll'uno degli amanti debia fare quando l'altro lo 'nganna. 

 

Per certo amore è pena

III. Amore si è una passione naturale, la quale si muove per veduta o per grandissimo pensiero di persona ch'abia altra natura, per la quale cosa alcuno desidera d'averla sovre ogne altra cosa: ciò che ll'amore demanda per lo volere d'ambendui.

 

Amore si è pena che viene da natura

IV. Che l'amore sia passione, lieve cosa è da vedere: imperciò che anzi che ll'amore tocchi ambendue le parti, niuna è magiore angoscia, perciò che l'amante sempre teme che l'amore suo non vegna a compimento e che non lavori invano. Anche teme lo romore della gente, anche teme ogn'altra cosa che nuocere li potesse per alcuno modo, perciò che lle cose che non sono compiute, per poca cosa vegnono meno. Que' che teme lo povero amante, che lla femina no·ll'abia per ciò in dispregio, e se sozzo, che per ciò non l'abia in dispregio, overo che no·lasci per un altro più bello di sé; se ricco, dubbia che forse sua scarsità ch'abia avuta no·lli noccia. E vuoli ch'io ti dica il vero, niun è che potesse dire la speziale paura ch'à l'amante. È dunque quello amore, il qual è pur da l'una parte passione, il quale si può chiamare l'amore speziale. Ma poscia che l'amore se compie per ambendue le parti, si anno magiore paura, perciò che ciascheduno teme che quello ch'ànno acattato per lor fatica, che per un altro non sia lasciato. La quale cosa serebbe più grave che s'elli avesse avuta speranza ed ella no·lli avesse portato niuno frutto, perciò ch'è magiore dolore perdere le cose ch'egli àe, che quelle in cui àe avuta speranza. Anche teme che non faccia dispiacere al suo amore; anche sono tante le sue paure, che tropo sarebe grave cosa a dire.

 

Dell'effetto dell'amore

VIII. Questo è l'efetto dell'amore, che quelli ch'è diritto amante non può essere avaro, e quelli ch'è aspro e no adorno e quelli ch'è di vil gente, sì 'l fa ben costumato; e superbi fa umili e l'amoroso molti servigi fae con umilitade ad altrui. Molto è gran cosa l'amore, che fa l'uomo così vertudioso e ben costumato. Anche ne l'amar è una cosa molto da laudare, che fa l'amante quasi casto, perciò che quelli ch'è inamorato a pena potrebe pensarse a un'altra, e a pena può sofferire lo suo animo di guatare un'altra.

 

Origine della concezione dell'amor cortese: il conflitto delle interpretazioni

Secondo la filologia moderna, il primo a mettere in un rapporto amoroso l'uomo e la sua amata in termini di vassallaggio è stato Guglielmo IX duca d'Aquitania, VII conte di Poitiers. L'amante "servo" inizia un'ascesi verso l'onore, la nobiltà e tutte le virtù cortesi; egli aspira verso l'altezza della sua signora, che diventa "midóns", che, come ha notato C. S. Lewis (quello delle Cronache di Narnia), non equivale etimologicamente a "mia signora", bensì a "mio signore". Questa 'feudalizzazione dell'amore' è permessa solo a chi è cortese, nell'accezione più antica del termine: "Solo chi è cortese può amare, ma è l'amore che lo fa cortese."

 

Quale ne può essere l'origine?

1) Roncaglia offre un'interpretazione dell'amor cortese che collega il mondo etico della società feudale e il misticismo cristiano.

 

" Se la cortesia ha la sua matrice e il suo emblema nell'amore, il cristianesimo dal canto suo è, per definizione, la religione dell'amore. Si tratta da un lato dell'amore profano, dall'altro dell'amore sacro; ma uno stesso vocabolo designa l'uno e l'altro; […] la contrapposizione riguarda il diverso oggetto, non l'intrinseca natura della forza spirituale che ad esso si volge. Tale aspetto comporta che, in qualsiasi momento, sia possibile trasporre metaforicamente le immagini dal linguaggio religioso al linguaggio profano, il richiamo etico dall'esperienza profana all'esperienza religiosa. "Ti adoro," dice ancora oggi l'innamorato alla donna del suo cuore, usurpando un vocabolo che la religione vuol riserbare a Dio solo; ed è usurpazione tipica del linguaggio trobadorico, dal quale direttamente discende: "Donna, per vostro amore, a mani giunte v'adoro," aveva cantato Bernardo di Ventadorn ".

 

La figura della donna subisce una trasformazione notevole sotto l'influenza della letteratura cortese. La donna non è più figlia di Eva, la quale ha condotto l'umanità in una condizione di peccato, e quindi che deve stare sottomessa all'uomo-padrone; la donna è ribattezzata come figlia di Maria, Portatrice del Bene, la donna più nobile e degna di venerazione, e (quasi "cortesemente") Regina delle Schiere degli Angeli. Questa rivoluzione figurativa a livello poetico di Guglielmo d'Aquitania verrà alimentata da Peire d'Alvernha, ricordato da Dante come il primo ad introdurre questo concetto nella lirica italiana.

 

Il misticismo dell'amor sacro teorizzato da San Bernardo e da Guglielmo di St.-Thierry nella prima metà del XII secolo influirà direttamente su questo misticismo dell'amor profano, e il sacro e il profano si confonderanno nella lirica cortese. Ci si potrebbe chiedere, ad esempio, se midóns, derivi dal linguaggio dell'omaggio di corte, oppure dal linguaggio della preghiera devozionale a Dio. Inoltre si corre il rischio di non capire profondamente quelle forme intime di questo tipo di poesia, se non si tengono presenti le applicazioni semantiche del linguaggio religioso del tempo, lasciando sfuggire qualche significato evocativo che potesse avere nel linguaggio del tempo.

Prendiamo il caso della parola "gioia" tanto sfruttata e importante nella lirica trobadorica. Ad esempio, non si può capire la portata spirituale della parola se non si fa richiamo al concetto di gaudium (pienezza gioiosa di vita spirituale) nella filosofia agostiniana e nella mistica cistercense. Continua Roncaglia:

" Sfuggirà il senso della coppia caratteristica 'gioia e giovinezza', che ricorre già in Guglielmo IX, se non si rammenti l'identico accoppiamento nel versetto dell'intròito: ad Deum qui laetificat iuventutem meam ".

 

Non si può quindi negare il presupposto dell'esperienza cristiana in questa letteratura, né conseguentemente nelle letterature successive derivanti da questa, in particolar modo si ricorda la scuola siciliana e lo stilnovismo. Qualcuno ha ipotizzato che il tòpos dell'amore lontano, ad esempio, di Jaufré Rudel - contemporaneo di San Bernardo - potrebbe essere letto in chiave allegorico-religiosa.

 

L'episodio della letteratura cortese occitanica darà il modello per tutta la letteratura europea: ci saranno i Minnesänger della Germania meridionale, nel galiziano-portoghese si svilupperà una ricca lirica, e in Italia i temi, il lessico, la sintassi, verranno continuati nella poetica della scuola siciliana, prendendo ispirazione appunto dal classicismo provenzale. Non si può contestare l'importante patrimonio che la letteratura provenzale ha tramandato all'erede diretto della nostra letteratura, e anche a Dante, che si trova ancora legato alla tradizione cortese.

 

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2) Il nostro libro (Baldi e altri, Dal testo alla storia, Dalla storia al testo, Paravia 1993) espone anche le altre ipotesi che la moderna filologia ha sull'origine dell'amor cortese, aderendo a quella sociologica, che Erich Köhler ha elaborato negli anni Sessanta. Secondo lo studioso tedesco la poesia d'amore è espressione di uno specifico gruppo sociale, una piccola nobiltà che non può aspirare al feudo (l'irraggiungibilità della donna sarebbe la trascrizione metaforica di questa frustrazione sociale), e che, quindi, insistendo sul valore nobilitante dell'amore fino, rivendica la sua parità ideale con l'alta nobiltà, trasformando l'onore da possesso materiale a valore tangibile. Ci sembra un'interpretazione abbastanza riduttiva, che pretende di spiegare in maniera meccanicistica in base agli elementi economico-sociali di quel secolo un fenomeno e dei concetti che invece appartengono al patrimonio dell'uomo di tutti i tempi.

 

3) Riportiamo un'altra interpretazione che ha avuto un discreto seguito e che si rifà agli studi di D. de Rougemont e al suo libro L'amore e l'occidente del 1939. L'autore sostiene che la nascita del concetto di amore-passione sia da mettere in relazione all'eresia càtara, la quale, proprio in opposizione al legame sacramentale e tradizionale predicato dall'ortodossia cattolica, avrebbe stimolato un rapporto adulterino e fortemente coinvolgente altrimenti sconosciuto, fonte dell'ispirazione poetica dei trovatori.

Nel dettaglio, secondo Rougemont, il mito di Tristano (da cui parte nella sua trattazione) esprime un amore per l'amore, non un amore per l'altra persona coinvolta nel rapporto amoroso. Si tratta di un amore narcisistico, dove l'enfasi è posta più sull'autoesaltazione dell'amante che sulla relazione con la persona amata. L'amore che si sviluppa nei romanzi medievali e nella poesia trobadorica è un amore attraverso gli ostacoli, anzi addirittura una amore degli ostacoli. Cosicché in realtà non vi è alcun amore, se non un amore per gli ostacoli. All'interno della sfera masochistica dell'amore per gli ostacoli vi è una paura patologica di innamorarsi in un modo semplice e diretto. Secondo Rougemont, questo mito era destinato a cambiare l'atteggiamento verso l'adulterio in Occidente, atteggiamento che egli vede materializzarsi come disprezzo del matrimonio. Questo mito, che Rougemont chiama mito della passione, esalta e divinizza l'amore infelice e non sensuale, e in realtà è amore per il nulla, per la morte. De Rougemont considera lo sviluppo del mito della passione come origine della decadenza nella sfera dell'amore. Egli afferma che il tradizionale triangolo del desiderio è la configurazione consueta dell'amore senza amore. Le fonti di questo amore senza amore, di questo amore-martirio, sono individuate indietro nel tempo, nella religione dualista: dalla Gnosi al Manicheismo, alla religione dei Celti e dei Catari, onde diffondendosi attraverso i romanzi medievali e la poesia trobadorica esso è gradualmente divenuto parte del concetto quotidiano di amore erotico dell'uomo occidentale.


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