Capitolo terzo

L’adesione a Zemlja i Volja e Narodnaja Volja (1878-1881)

 

La politica estera di Alessandro II iniziò con la conclusione della guerra di Crimea e l’avvilente pace di Parigi del ‘56. Per sconfiggere i turchi occorreva un alleato e il ministro degli esteri Aleksandr Gorčakov pensò in un primo momento alla Francia come possibile appoggio, ma l’unione franco-russa andò a monte con la rivolta polacca del 1863 poiché il sovrano francese intervenne diplomaticamente a favore dei polacchi e la Russia ebbe il sostegno della Prussia consapevole dell’importanza della repressione polacca. Questa unione si rivelò molto vantaggiosa per i due alleati, da una parte l’unificazione della Germania sotto la supremazia implicò la sconfitta dell’Impero austro-ungarico nel 1866 e quella della Francia nel 1870, dall’altra l’Impero zarista ottenne nel 1871 l’annullamento del trattato di Parigi che gli proibiva la costruzione di navi da guerra nel Mar Nero e gli vietava di tenervi una flotta.

Con una nuova, segreta alleanza, la cosiddetta lega dei Tre imperatori, costituita nel 1872-1873, la Russia stipulò un accordo con la Germania per cui ciascuna delle due parti avrebbe dovuto contribuire con 200 mila uomini alla difesa dell’altra nel caso di attacco di una potenza europea.

Nel luglio del 1875 la popolazione slava dell’Erzegovina e della Bosnia si rivoltò contro il dominio turco e la ribellione coinvolse tutti i Balcani. Montenegro e Serbia intervennero apertamente in aiuto dei ribelli dichiarando guerra alla Turchia; nel 1876 venne soffocata brutalmente dai turchi un’insurrezione bulgara e in tutta la penisola balcanica si fecero sempre più frequenti conflitti e massacri.

La rivolta contro il dominio turco suscitò l’interesse di una parte molto importante della società russa. Gli slavofili e la stampa promossero una propaganda in favore dei "fratelli slavi" e venne organizzata una campagna di reclutamento di volontari per combattere contro gli "infedeli". Un certo numero di populisti partecipò alla rivolta dell’Erzegovina, molti rivoluzionari russi considerarono un dovere combattere per una guerra sociale, tra questi Klemenc, Sažin e Kravčinskij; l’Unione meridionale degli operai russi, capeggiata da Zaslavskij, partì per aiutare gli oppressi nei Balcani, ma malgrado gli almeno 5000 volontari reclutati dai comitati panslavi, i turchi ebbero la meglio sui serbi. L’intervento russo divenne una necessità per le nazionalità balcaniche. Inoltre, nonostante la situazione internazionale sconsigliasse un conflitto e le condizioni interne non fossero delle più favorevoli, l’Impero zarista era sempre più implicato nella guerra. Concluso un trattato con l’Austria-Ungheria, la Russia dichiarò guerra alla Turchia il 24 aprile 1877. Nonostante la difficoltà del conflitto, la guerra balcanica si concluse con la vittoria russa. Nel marzo del’78 venne sottoscritto il trattato di Santo Stefano che non entrò mai in vigore e, con gli accordi di Berlino dell’estate successiva, la Russia subì una penosa sconfitta diplomatica.

 

Russia europea: confini amministrativi della fine del XIX secolo.

 

La guerra, la mancanza di organizzazione dell’esercito, la vittoria pagata duramente dai soldati russi e lo smacco subito nel trattato di Berlino non soffocarono il movimento rivoluzionario come si era sperato; al contrario incrementarono quel fuoco che non era stato spento dagli arresti di massa di quegli ultimi anni.

Dopo che la polizia aveva smembrato i gruppi di propaganda e dissolto i nuclei operai di Pietroburgo, si sentiva l’esigenza di riprendere quella campagna di informazione conclusa con la fine dell’"andata nel popolo". L’iniziativa partì nel 1875 da Zurigo e si diffuse in tutta la Russia. Il materiale di propaganda del quale potevano servirsi era più che abbondante. Anche le pubblicazioni specifiche del movimento non mancavano, "Rabotnik" era il periodico nato da questo ambiente. Il primo numero uscì nel gennaio del 1875 e fu regolarmente mensile per tutto quell’anno. L’ideologia della rivista si basava su un grandioso e generico collettivismo: "I contadini della grande Russia devono costituirsi assieme agli altri lavoratori in una grande obščina per creare un mondo in cui la terra sarà di tutti, tutto sarà di tutti". Si continuava a credere nel carattere socialista dell’obščina e della vita contadina, continuavano a illudersi che questa potesse diventare una comunità nuova capace di eliminare i vecchi sistemi. Allo stesso tempo si rendevano conto che esisteva un abisso tra il modello di un’organizzazione diversa e nuova e le esigenze reali del popolo. I populisti, che nella loro attività si ispiravano al concetto di realizzazione della felicità del popolo, conoscevano bene le necessità e i bisogni della gente. Il loro principio era "terra e libertà" e come base di tutte le loro certezze c’era l’ideale "Tutto per il popolo". Sempre negli anni Settanta si ebbe qualche cambiamento in queste convinzioni, l’emancipazione del popolo sarebbe avvenuta realmente solo grazie al popolo stesso o, come sosteneva Bakunin, in Europa avrebbero dovuto attuare la rivoluzione gli operai, mentre in Russia questo compito sarebbe spettato ai contadini. Da questo concetto risale il "Tutto attraverso il popolo".

 

L'arresto del propagandista: dipinto di I. J. Repin, 1889.

 

Il primo numero del 1876 portava come parola d’ordine "Zemlja i Volja" [Terra e Libertà]. Il centro di propaganda fu inizialmente Mosca, poiché Pietroburgo era troppo pericolosa a causa degli arresti di quel periodo. Il lavoro del movimento cominciò così nelle grandi fabbriche tessili di Mosca e si diffuse velocemente nella regione industriale intorno alla città. Nonostante il gruppo di Mosca fosse presto sconfitto, in tutto il paese cominciarono a nascere nuovi nuclei che diedero vita nel 1876 a Zemlja i volja, il primo partito rivoluzionario russo. Si determinò un diverso rapporto tra rivoluzionari e popolo, un rapporto non dato da una cooperazione ma da sentimenti umani. I narodovolcy sostennero l’esigenza di organizzare una sommossa confidando sulle forze del partito e con la collaborazione di operai, studenti e militari ma dando ai contadini una relativa importanza.

L’opportunità di un contributo da parte del popolo si fece sentire alla fine dell’estate del 1880 quando, a causa di continue carestie la situazione delle masse peggiorò ulteriormente. Il fatto che la fame e le condizioni di vita insopportabili potessero far scoppiare sommosse capaci di diffondersi a tutte le regioni della Russia divenne sempre più reale. I membri di Narodnaja volja speravano nella formazione di un unico corpo costituito da operai e contadini che potesse creare un movimento di massa contro il governo.

La politica del governo era indirizzata a cercare di fare il vuoto intorno ai rivoluzionari, a dividerli da quella fascia della società, l’intelligencija, che avrebbe potuto rappresentare un pericolo per l’autorità russa. I grandi processi del 1877-1878 tentarono di portare a buon fine questo tipo di politica. Ma le diverse circostanze create dalla guerra non fecero altro che creare un nuovo legame sempre più saldo tra rivoluzionari e intelligencija. Tre furono i grandi processi: il primo si svolse tra il 18 e il 25 gennaio ed erano accusati coloro che presero parte alla manifestazione di fronte alla chiesa della Madonna di Kazan’ a Pietroburgo il 6 dicembre 1876; il secondo fu il processo detto dei cinquanta che ebbe luogo a Mosca nel marzo dello stesso anno e il terzo, quello dei "centonovantatre", svoltosi a Pietroburgo tra la metà di ottobre 1877 fino al 23 gennaio 1878. In quest’ultimo gli imputati erano i partecipanti all’"andata nel popolo". La serie di processi di massa avrebbe dovuto segnare la fine della propaganda rivoluzionaria ma tutto ciò non provocò altro che interesse e benevolenza verso i populisti. Michajlov, che assistette ad uno dei processi, notò che "vi comparirono delle persone che si possono paragonare ai primi martiri cristiani. Erano propagandisti del puro socialismo, predicatori dell’amore, dell’uguaglianza e della fratellanza, principi fondamentali della Comune cristiana". Il processo dei "centonovantatre" risentì di una certa incertezza anche perché il numero degli arrestati era così grande che i tempi si presentarono piuttosto lunghi, di conseguenza il processo stesso, al contrario delle aspettative, divenne forma di propaganda rivoluzionaria. I giornalisti, ammessi alle sedute, fecero resoconti così concisi e di poche parole da scatenare nella fantasia delle persone le immagini più diverse e fantastiche degli accusati. La maggior parte della gente che fino ad allora conosceva i radicali per sentito dire, ora aveva la possibilità di venire in contatto con le loro idee e i loro programmi. Kropotkin scrisse riguardo questa simpatia verso gli imputati:

"Gli accusati si acquistarono subito le simpatie del pubblico. Impressionarono molto favorevolmente la società di Pietroburgo e quando si seppe che la maggioranza aveva già passato tre o quattro anni in carcere aspettando il processo e che ventuno di loro avevano già messo a termine alla loro esistenza o erano impazziti, la corrente favorevole ad essi si accentuò anche in mezzo ai giudici ".

 

Tichomirov fece parte degli accusati del processo dei "centonovantatre" e dopo l’arresto avvenuto nel 1873 restò in carcere quattro anni, tre mesi e sei giorni. Quando uscì di prigione, aspettando il risultato del processo, i circoli più importanti come quello dei čajkovcy o quello dei dolgušincy non esistevano più. Si erano comunque formati dei gruppi, quello dei "trogloditi", capeggiato da Ol’ga Natanson (Mark Natanson, il fondatore, era già stato arrestato), e quello creato da Sofija Perovskaja.

Usciti dal carcere Tichomirov e i suoi compagni si unirono alla Perovskaja che dall’esterno aveva sempre mantenuto i rapporti con i prigionieri. Per circa tre settimane l’appartamento di Frederiks, dove viveva la Perovskaja con la sorella, fu il loro rifugio. Quando venne la necessità di un luogo più segreto si spostarono in un locale sulla Snamenskaja ma, essendoci un gran numero di coinquilini e un via vai continuo di gente, dovettero lasciare presto anche quel locale. Erano circa quaranta gli ex carcerati che seguivano la Perovskaja che proponeva di non conformarsi ai trogloditi ma di creare un proprio circolo, o meglio, una specie di dipartimento propagandistico del circolo dei čajkovcy, di continuare a vivere a contatto con il popolo, di acculturarlo in senso rivoluzionario. Nonostante l’insistenza della Perovskaja, Tichomirov, Nikolaj Morozov e Klemenc si avvicinarono ben presto ai sostenitori di Natanson. Gli ex čajkovcy, usciti di carcere qualche giorno prima dell’attentato al generale Trepov, non sapevano cosa fare se non partecipare alle manifestazioni, osservare e aspettare la conferma della condanna.

Nel frattempo Tichomirov, pensando di non entrare più a far parte di un gruppo rivoluzionario, decise di ritornare a Mosca a trovare il fratello e a iscriversi di nuovo all’università. Una volta a Mosca il rettore Tichonravov gli disse che non l’avrebbero più accettato:

"... il rettore mi disse che l’università non mi avrebbe rovinato la reputazione, che avrebbe fatto finta di non sapere niente del mio arresto e del processo e che mi avrebbero rilasciato un documento dal quale risultavo che non avevo concluso l’università perché non avevo pagato le tasse, però non mi avrebbero più accettato... Mi accorsi di essere un emarginato...".

 

Mentre era a Mosca Tichomirov conobbe tutti i radicali della città e si rese conto che il numero era di gran lunga minore rispetto a Pietroburgo. Nel frattempo arrivò a Mosca la notizia dell’assoluzione di Vera Zasulič e Tichomirov e altri due compagni decisero di ritornare a Pietroburgo a vedere e sostenere le manifestazioni che si svolgevano in quel clima di rivoluzione. Arrivato a Pietroburgo si separò dagli amici di Mosca e contattò Klemenc e Aleksandr Michajlov, conobbe Georgij Plechanov, prese parte alle dimostrazioni e scrisse volantini per le manifestazioni. Presto a Pietroburgo ritornò la calma e Tichomirov decise di partire per il Sud con l’idea di andare a trovare i genitori che non vedeva da tempo ma la Perovskaja gli fece una proposta che Tichomirov non poté rifiutare. La condanna del processo non era ancora stata confermata e in base alle voci sarebbe stata ancora più pesante del previsto.

"Inoltre si diceva che diversi di noi li avrebbero mandati al confino, nella prigione centrale di Char’kov. Di queste carceri centrali si parlava con terrore e non a torto. Non erano certo come le prigioni siberiane che, in confronto, erano considerate accettabili. Era una prigione vera, dura...".

 

La Perovskaja sperava di salvare Myškin mentre lo trasportavano in prigione e siccome Tichomirov si stava recando nel Caucaso, gli propose di aiutarla recandosi a Char’kov. Era un’impresa pressoché impossibile, Tichomirov era stato incaricato di fare una ricognizione della zona e quel compito gli permise di conoscere molti rivoluzionari della Russia del Sud: Ignat e Ivan Ivicevič, Sentjanin, Brandtner, Rafajl, Nikolaj Bjkovčevjm. Nel territorio di Char’kov abitavano anche i coniugi Žebunev, la moglie Maria Alexandrovna era una delle donne più importanti del movimento del Sud.

I precursori della lotta terroristica avevano origine dai più convinti seguaci della dottrina di Bakunin, soprattutto nel Sud, dove questo tipo di "attività" era in anticipo rispetto al movimento settentrionale. Al Sud il bakuninismo si era manifestato nel modo più autentico e nelle sue forme più eccessive. I bakuninisti di Kiev si preparavano già ad organizzare una rivolta popolare perché il contadino era ormai pronto per la rivoluzione. A Kiev, Char’kov, Odessa e in tutto il Sud era nata una nuova visione della lotta. Un fatto particolare della nuova fase della lotta rivoluzionaria meridionale fu la resistenza armata avvenuta il 30 gennaio del 1878 al momento dell’arresto dei membri del circolo di Ivan Martynovič Koval’skij a Odessa. I sadovcy erano già conosciuti per atti di resistenza e per esecuzioni di spie e di funzionari pubblici. Koval’skij fu arrestato e condannato da un tribunale militare; la sua resistenza armata e in seguito la sua morte ebbero enormi ripercussioni sul movimento rivoluzionario russo che cominciò a indirizzarsi verso il terrorismo.

A Kiev la prima persona che organizzò il terrorismo su vasta scala nel Sud della Russia fu Valerian Andreevič Osinskij. Nonostante Tichomirov non l’avesse conosciuto di persona, riportò nelle sue memorie l’influenza che ebbe tra i membri del movimento rivoluzionario:

"...ne avevo sentito parlare spesso dai suoi discepoli, dagli amici e dalla sorella Nastasija. Era un uomo in gamba, energico, pieno di fervore. Più polacco che russo nel carattere nonostante gli Osinskij fossero russi. Aveva iniziato a militare nello zemstvo. Si convinse che non c’era niente da fare per cambiare totalmente la Russia dunque diventò terrorista... Tutti facevano capo a Osinskij in quanto personaggio di un certo valore non come rappresentante del Comitato. Gli credevano, gli obbedivano".

 

Il gruppo dei buntari di Kiev aveva una tipografia dove stampavano volantini ma soprattutto l’attività principale era quella di compiere assassini politici: il capitano dei gendarmi Hejkind, il procuratore Kotljarevskij e, a Rostov sul Don, il traditore Nikonov. Quest’ultimo aveva causato la fine del movimento di Rostov, per questo motivo la sua morte fu "salutata" con manifesti attaccati per le vie della città con l’ammonimento "Tale è la sorte che attende ogni Giuda". Un’ascia, un revolver e un pugnale che s’intrecciavano era il simbolo che portava il manifesto e tutt’intorno si poteva leggere "Comitato esecutivo del partito socialrivoluzionario". Il manifesto fu distribuito in diverse città della Russia e per la prima volta apparve il nome del Comitato esecutivo che fu un punto importantissimo per il movimento rivoluzionario.

Il Comitato si interessava anche di tentare di liberare i compagni in carcere, per questo motivo, Tichomirov, che una volta giunto nel Sud non sapeva chi contattare, fu mandato dai coniugi Žebunev dal gruppo terrorista del movimento. L’idea di liberare gli arrestati dalla prigione di Char’kov fu accolta con interesse:

"Anche loro ci avevano pensato non appena ebbero saputo che avrebbero portato i prigionieri politici nelle carceri della Pečeneskaja. A Ivicevič era già venuto in mente di assalire il treno e aveva già fatto qualche sopralluogo. Proponeva di staccare il vagone dei prigionieri durante la marcia in un punto vicino alla galleria e poi togliere le catene appena il treno fosse arrivato in galleria... Alla fine la compagnia pensò che non era un lavoro facile quindi bisognava pensarci bene. Forse sarebbe stato più sensato pagare qualcuno in prigione o attaccare il treno a Char’kov. Ci volevano agenti e molto denaro... Non sarebbe stato difficile reclutare personale ma ci voleva denaro".

 

Tichomirov decise di tornare a Pietroburgo a chiedere del denaro per finanziare l’operazione, ma Myškin fu portato a Char’kov prima del previsto e trasferito immediatamente più a Sud nelle carceri della Pečenskaja, il progetto di salvarlo diveniva irrealizzabile.

Un altro tentativo fu quello di liberare Vojnaral’skij. La Perovskaja non abbandonava il progetto di salvare i prigionieri di Char’kov. L’impresa era sempre fallita quindi questa volta si decise di impiegare le migliori forze dei gruppi del Sud unite a quelle del Nord. Tra i rappresentanti del Sud vale la pena ricordare Maria Nikolaevna Ošanina, nata Olovennikova e il suo compagno Košurnikov (Barannikov); parteciparono alla liberazione di Vojnaral’skij la Perovskaja stessa, Morozov, Alexandr Michajlov e alcuni altri. Nonostante tutto fosse stato preparato con cura, l’operazione non ebbe successo e Medvedev fu arrestato. La Perovskaja si intestardì nel tentativo di liberarlo. L’evasione fu organizzata da Sentianin che, travestito da gendarme, con documenti e carte false, si era presentato alla prigione chiedendo la consegna del prigioniero. Stava andando tutto per il meglio, quando si accorsero di un’irregolarità nei documenti o nella divisa. Si scoprì tutto. Medvedev finì ai lavori forzati e Sentianin morì nella fortezza di Pietro e Paolo. Durante l’interrogatorio, quando gli chiesero chi fosse, rispose con orgoglio e vanità: "Sono Sentianin, il segretario del Comitato Esecutivo del partito Socialrivoluzionario".

Tichomirov ripartì per il Caucaso, andò a Vladikavkaz da sua sorella e poi a Novorossijsk dai genitori dove seppe che era stato condannato per il processo dei "centonovantatre". Lo zar Alessandro II non aveva accettato la proposta del tribunale di confermare la pena a quattro anni e quattro mesi di carcerazione preventiva quindi Tichomirov era stato mandato al confino. Inoltre se non avesse dimostrato di essere una persona affidabile, sarebbe stato inviato in Siberia ai lavori forzati. La sentenza lasciò Tichomirov nella disperazione ma il desiderio di vendetta prevalse:

"...la condanna risultò molto severa e crudele anche per molti di noi tra i quali io. Io non avevo una colpa troppo grave eppure sono stato in prigione quattro anni, tre mesi e sei giorni. Dopo fui mandato al confino. E cosa avrei potuto fare al confino se non mi era neanche concesso di lavorare e guadagnarmi il pane?

Inoltre sarebbe bastato un diverbio con la polizia o una soffiata per essere spedito in Siberia. Erano condizioni insopportabili per un giovane pieno di vita e di voglia di agire. Evasi subito e subito iniziò la mia vita da clandestino che durò quasi dieci anni. Il governo, mandandomi in prigione, mi aveva tolto quasi quindici anni di vita e le migliori forze che avevo. Pochi fecero del male al governo come me nel periodo in cui vissi nell’illegalità, cioè dal 1878 al 1885. In questo modo mi vendicai e non me ne pento. Se uno zar era stato crudele e ingiusto nei miei confronti io lo ripagavo con la stessa moneta".

Il tribunale privò Tichomirov di tutti i diritti e lo mandò al confino nel governatorato di Tobol’sk; riuscì a fuggire e si nascose grazie a suo padre che allora era medico in un ospedale militare in Crimea. Durante il suo soggiorno di sei mesi tra il Caucaso e l’Ucraina, Tichomirov ebbe occasione di conoscere il terrorismo in modo più approfondito, infatti nella regione di Kiev, il ritorno ad una coscienza politica era più sentito rispetto al resto del paese.

 

Disegni di P. Kropotin che illustrano la sua fuga dalla prigione nel 1876

 

All’inizio del ‘78 gli studenti di Kiev si scontrarono con la polizia andando in contro all’espulsione dall’università e nei casi più gravi alla deportazione. Il "comitato" attaccava manifesti che avvertivano dell’esecuzione dei colpevoli che in seguito sarebbero stati giustiziati, riuscendo in questo modo a creare una certa eco nell’ambiente già in rivolta.

Alle riunioni dei vari circoli giovanili ci si chiedeva se continuare per la via del terrorismo o cercare di conquistare la libertà politica attraverso la propaganda nelle classi colte ma i risultati negativi avuti dal lavoro tra i contadini, dalla campagna nel popolo, facevano pensare che la prima soluzione fosse quella giusta. Le classi colte non avevano abbastanza forza per guadagnarsi questa libertà mentre ciò che occorreva era la volontà di lottare e di combattere. Alcuni anni più tardi Tichomirov ricorderà nelle sue memorie:

"...ma cos’era in sostanza il terrorismo? Era un tentativo per accendere la rivoluzione con le forze che si aveva a disposizione. Il paese nutriva sentimenti rivoluzionari ma non si decideva ad avviare una rivoluzione. C’erano però decine, centinaia, forse migliaia di persone pronte ad abbracciare le armi... Ma coloro che erano disposti alla lotta armata erano talmente pochi che sarebbe stato assurdo pensare di riunirli tutti e fare un piccolo drappello a Pietroburgo. Queste due o tre centinaia di persone sarebbero state sgominate. Se invece si fosse iniziato con una guerriglia terroristica, ci sarebbe stata una maggior possibilità di crescita delle forze. Quel tipo di lotta avrebbe spaventato il governo e agitato il popolo. Il terrorismo era proprio una guerra partigiana ".

 

Tichomirov arrivò a Pietroburgo nel dicembre del ‘78 senza passaporto, né denaro. Nel giro di pochi mesi, non più di sei, erano successi fatti importanti nell’ambiente rivoluzionario. Zemlja i volja si era rafforzata con l’entrata nel gruppo di elementi di valore quali Klemenc, Morozov e la Perovskaja che, nonostante non lasciasse il progetto di liberare i prigionieri di Char’kov, aveva abbandonato l’idea di creare un nuovo circolo dei čajkovcy. Kravčinskij, dopo essere stato all’estero per tre anni, ritornò clandestinamente in Russia ed entrò subito in contatto con Zemlja i volja, tornò con l’idea di organizzare un attentato contro il capo dei gendarmi della Terza Sezione, il generale Mezencov. Fu uno degli attentati più riusciti di quei tempi. L’assassinio non fu rivendicato da Zemlja i volja bensì dal "Comitato esecutivo". La morte di Mezencov colpì particolarmente poiché, nonostante fosse stato progettato molto tempo prima, seguì di pochi giorni la fucilazione di Koval’skij e dei suoi compagni a Odessa. I due fatti così vicini fecero subito pensare ad un’immediata vendetta e questo produsse un grande effetto soprattutto perché ad essere colpito era stato non una spia qualsiasi ma il capo della Terza Sezione.

Kravčinskij stesso sostenne la difesa dell’attentato in un opuscolo intitolato Smert’ za smert’ [Morte per morte] stampato dalla "Libera tipografia russa" in cui si giustificava l’assassinio di Mezencov che lo vedeva responsabile della repressione degli ultimi due anni, dei maltrattamenti subiti dai carcerati, dell’introduzione dell’esilio amministrativo, della revoca della sentenza di assoluzione per alcuni dei "centonovantatre".

Giunto a Pietroburgo Tichomirov non era ancora membro di nessun gruppo ma l’incontro con Aleksandr Michajlov, la simpatia e l’amicizia reciproca facilitò la sua scelta. Aleksandr Michajlov, dopo aver discusso con i suoi compagni decise di far entrare Tichomirov nel circolo di Zemlja i volja. Tutti i membri del circolo dovevano essere accolti senza il bisogno di votare. Michajlov e un altro membro del gruppo si incontrarono con Tichomirov nell’appartamento di una terza persona, Ekaterina Sergeeva, la sua futura moglie, gli venne letto il programma del circolo e i suoi scopi e gli fu chiesto se approvava tutti i punti dello statuto. Il programma era quello contenuto, naturalmente censurato, in "Principi del populismo" di Kablic, Tichomirov accettò senza condizioni anche il principio di azione per il quale "il fine giustifica i mezzi". Dopo di che Michajlov gli fece un resoconto della situazione e delle loro risorse e gli rivelò il linguaggio in codice, i segnali convenuti e gli appartamenti dove si ritrovavano. Lo portò inoltre a conoscenza dei nomi degli altri membri, nonostante Tichomirov non li incontrò tutti di persona, poiché, in base allo spirito del regolamento, Michajlov era molto severo in fatto di segretezza. Sosteneva che ognuno doveva conoscere bene solo ciò di cui si occupava di persona ma non tutto il resto su cui sarebbe stato informato in solo caso di necessità.

La costituzione di Zemlja i volja si era sviluppata secondo una struttura diversa da quella originaria del 1860. La nuova organizzazione era formata da cinque sezioni operative ognuna con una differente specializzazione: chi si occupava della sezione amministrativa provvedeva a fornire i documenti falsi e aveva diversi compiti di politica generale, c’era chi si interessava di mantenere i rapporti con l’intelligencija, chi aveva il compito della propaganda tra gli operai, chi tra i contadini e come ultima sezione c’era quella disorganizzativa che si occupava di spionaggio e terrorismo. Ciascun gruppo aveva una sede separata e un proprio capo e ogni capo era un componente del "circolo di base" che rappresentava il vertice del partito. Il "circolo di base" era formato da una ventina di persone, tutti gli altri erano solo collaboratori che non erano ammessi alla conoscenza delle altre sezioni. Anche i capi dei vari settori non dovevano entrare in contatto con i componenti degli altri gruppi; nessuno conosceva il quartier generale di Zemlja i volja ad eccezione dei membri del circolo. Grazie a questo sistema di segretezza era difficile essere scoperti. Solo Aleksandr Michajlov, dvornik [il guardiano] com’era chiamato, conosceva alla perfezione tutta l’organizzazione e i suoi membri.

Aleksandr Michajlov entrò a far parte di Zemlja i volja alla fine del 1876 e nel giro di un paio d’anni occupò il primo posto nel circolo, diventò un vero maestro nell’arte della cospirazione. Tichomirov, suo grande amico e collaboratore, lo ricordò con grande affetto nelle sue memorie e ne diede una descrizione approfondita:

"In tutti questi anni di frequentazione dell’ambiente rivoluzionario tra le millecinquecento persone che ricordo, nessuno mi fece impressione migliore di questo disperato terrorista [Aleksandr Michajlov ]...Sin dalla prima giovinezza Michajlov accettò quella visione rivoluzionaria propria di tutti noi. Purtroppo nacque in un momento in cui la parola d’ordine era "tornare alla vita semplice" per cui tutti i nostri libri furono messi da parte. Michajlov rimase profondamente ignorante, più di tutti noi. Però la sua grande memoria, il suo enorme fiuto, grazie ai quali si capiva che era una persona intelligente, gli servirono per acquisire insegnamenti dalle persone vicine. Ascoltava volentieri gli altri ma nonostante ciò la sua preparazione teorica rimaneva irrisoria...ma tutto ciò che sperimentava di persona lo capiva benissimo, per questo aveva un gran senso pratico... Se Michajlov fosse vissuto in un altro ambiente sarebbe diventato un grande ministro e avrebbe fatto grandi cose per il suo paese. Spesso ho notato che le qualità morali sono molto importanti per lo sviluppo di tutte le altre qualità umane, compresa l’intelligenza. Le persone mature quando amano qualcosa la amano profondamente e Aleksandr Michajlov era fatto così. Era puro e sincero. Credeva nella rivoluzione per il bene della patria e del popolo e si dedicava alla causa interamente e non per calcolo, lo faceva con tutta l’anima..."

 

Dopo questa descrizione, Tichomirov non poté fare a meno di ricordare la sua abilità in ciò che faceva:

"...in strada notava tutti. Tra centinaia di persone riusciva subito ad individuare quelle conosciute o sospette e riusciva pure a non farsi notare. Infatti conosceva tanti negozi, portoni, scale in cui nascondersi. In ogni città in cui andava riusciva sempre a ricrearsi questo tipo di rifugio. In città a lui note come Mosca o Pietroburgo era imprendibile, come una belva nel bosco era capace di sparire come sprofondato sotto terra. Non trascurava di venire a conoscenza di tutti i membri della polizia segreta. Appena sentiva parlare di un agente segreto ne annotava nome, indirizzo, eccetera e lo cercava. Ne conosceva tanti di questi agenti eppure riusciva a restare sconosciuto a loro cambiando sempre abbigliamento e fisionomia... Era un bravo organizzatore, non ho mai visto uno più bravo di lui a raggruppare le persone e dirigerle. Era capace di comandare ma anche di obbedire. Non era pieno di sé e vanitoso, non pretendeva niente, l’importante era raggiungere lo scopo. Era lui l’anima dell’organizzazione che crebbe in seno a "Terra e volontà"... il suo arresto segnò il crollo del "Comitato esecutivo".

 

Tichomirov entrò in Zemlja i volja con una posizione inferiore rispetto gli altri membri del gruppo per diventare poi parte integrante di Aleksandr Michajlov e maestro nella propaganda rivoluzionaria. Definì e mantenne rapporti con l’intelligencija radicale e sotto falso nome collaborò spesso con la rivista "Delo", il cui redattore era l’amico Nicolaj Šelgunov, e con "Na rodine" [In patria]. Da solo si occupò della propaganda dei giovani che studiavano non solo nei vari istituti ma anche in quelli militari.

A Pietroburgo era stata fondata la tipografia di Zemlja i volja e proprio grazie alla tipografia il circolo non aveva bisogno di emigranti e non dipendeva da nessuno all’estero. Nessuno dei membri conosceva gli appartamenti della stamperia tranne Aleksandr Michajlov e Klemenc che era il capo redattore. All’inizio del ‘79 Klemenc fu denunciato da un suo servitore e arrestato. La cattura di Klemenc portò alla redazione di Zemlja i volja Tichomirov e Morozov. All’arrivo di Tichomirov, la tipografia, organizzata da Michajlov, funzionava a pieno ritmo, era riuscita a sopravvivere alle perquisizioni più pericolose della polizia e non era mai stata scoperta. Finché Klemenc era capo redattore Tichomirov non aveva molta influenza, scriveva soprattutto piccole notizie di vario argomento, ma dopo il suo arresto gli furono date maggiori responsabilità. Michajlov, infatti, avendo paura di essere bloccato pure lui dalla polizia, mostrò a Tichomirov la tipografia che non aveva mai visto nonostante scrivesse per il quotidiano del circolo già da tempo.

Aleksandr Michajlov stesso accompagnò Tichomirov alla stamperia prendendo un’infinità di precauzioni. Era nascosta in un luogo pratico, in un appartamento semplice in un palazzo della via Nikolaevskaja. La padrona di casa era la Krjlova e il suo falso marito era Buch. Naturalmente avevano passaporti falsi. Marija Vasil’evna Grjaznova faceva la parte della cameriera, il quarto inquilino era Abram Lubkin. La macchina per la stampa era un buono strumento, era silenziosa ma veniva appoggiata su di un morbido sofà per attutire anche il più piccolo rumore. Il sofà serviva anche per nascondere la macchina quando arrivavano gli inservienti per le pulizie e, quando la tipografia non lavorava, veniva nascosto tutto, le casse nello scrittoio, la macchina nel sofà. Portavano via la carta e i pavimenti venivano puliti affinché non fosse scoperto per caso qualche carattere caduto per terra. Quando dovevano lavorare di notte, coprivano le finestre non solo con le solite tende ma anche con una tela cerata in modo che da fuori nessuno sospettasse che all’interno c’era una luce accesa.

La cosa più importante era che quel gruppetto di gente sembrasse una famiglia normale con una governante, che avesse come abitazione un locale di medio livello e che facesse una vita tranquilla, ma non da reclusa. Infatti ogni tanto la famiglia doveva avere ospiti e fare entrare in casa quelli delle pulizie per dimostrare che erano persone per bene e che non avevano nulla da nascondere.

Nonostante le persecuzioni, il pericolo della polizia, per Michajlov la rivista "Zemlja i volja" aveva una grandissima importanza. Quando il giornale veniva criticato anche dagli stessi componenti del circolo, egli rispondeva:

"Che cosa ci sia scritto o no fa lo stesso. L’importante che la rivista sia illegale. La polizia ci cerca e non ci trova. Ecco cosa colpisce il pubblico. Quello che c’è scritto dentro non ha importanza. A mio parere la rivista ideale sarebbe quella in cui non fosse scritto nulla. Purtroppo la cosa è impossibile".

 

In realtà Michajlov aveva ragione. Il quotidiano aveva un certo effetto soprattutto per il fatto di esistere; era la dimostrazione viva dell’impotenza della polizia, della potenza misteriosa dell’organizzazione. La gente si chiedeva dove si trovasse la stamperia e perché la polizia non riuscisse a trovarla. Il rispetto e la stima per la forza dei rivoluzionari crebbe molto anche grazie all’esistenza della tipografia.

La capacità di sfuggire alla polizia, il miglioramento dei servizi di cospirazione, l’intensa attività di Zemlja i volja era possibile soprattutto per l’introduzione di un soggetto come collaboratore della Terza Sezione. Nelle sue memorie Tichomirov ricorda come venivano contattate alcune persone che servivano per compiti particolari. Deboli di salute, "fanatici, ottusi ma dotati di una profonda e malata vita interiore", o chi, stanco dell’esistenza, cercava la morte, si presentavano come volontari per attentati terroristici e per azioni pericolose. In Zemlja i volja era Michajlov che aveva il compito di reclutare questi uomini. Sia Michajlov sia Tichomirov erano dell’idea che era meglio far rischiare gli esterni piuttosto che mettere a repentaglio i membri del circolo. Secondo Tichomirov "... era questo il sistema dei seguaci di Natanson e di tutti i cospiratori di senso pratico". Tichomirov affermerà però che quando Michajlov si serviva di esterni, era verso di loro molto premuroso e attento alla loro incolumità, forse anche più attento che a quella dei suoi stessi compagni. Tutto questo perché bisognava difendere la reputazione dell’organizzazione in modo che nessuno potesse trovare il pretesto per accusarli di curarsi più di se stessi che degli altri alleati. Di questi volontari Tichomirov ricorderà con particolare simpatia in diverse sue opere Nikolaj Kletočnikov che ebbe in gran parte il merito dei successi del partito rivoluzionario tra il 1879 e il 1881. Malato di tisi, Kletočnikov voleva fare qualcosa di importante, sacrificarsi per una buona causa e Michajlov lo convinse a infiltrarsi nella Terza Sezione anziché entrare nel gruppo dei terroristi. Secondo Tichomirov "era raro trovare una persona come lui, così adatta a quel compito..." Quando l’impresa riuscì Michajlov fece di tutto per fare sparire le tracce di Kletočnikov dicendo in giro che se n’era andato da Pietroburgo. Non fece sapere nemmeno il suo nome, persino nel circolo solo un paio di persone ne erano al corrente e lo contattava solo lui di persona. "[Michajlov] lo proteggeva come un tesoro. Era pronto a morire lui stesso piuttosto di far uccidere il prezioso agente".

All’interno del circolo regnava un grosso dissidio tra due correnti. Era lo stesso profondo contrasto presente in tutta la Russia rivoluzionaria. Zemlja i volja era una struttura populista, in base al programma il circolo doveva creare un movimento rivoluzionario popolare. L’organizzazione di intellettuali doveva esistere solo per questo scopo. Inoltre veniva negato qualsiasi miglioramento del sistema governativo, la costituzione era considerata peggio dell’assolutismo: la costituzione dava la proiezione di una Russia trasformata in un paese occidentale, governata da un parlamento in cui il potere era soprattutto di avvocati ed industriali; la costituzione era considerata dai populisti il legame che unisce gli sfruttatori alla borghesia. L’obščina e il socialismo contadino sarebbero stati distrutti dal capitalismo e sarebbero spariti. Il fine della lotta populista era la spartizione della terra alle obščiny, la divisione dell’impero in autonomie locali.

Intanto nel circolo nasceva il terrorismo il cui bersaglio era il governo. I populisti accettavano i tentativi di liberare i prigionieri politici e l’assassinio delle spie perché era necessario ma quando iniziarono le azioni terroristiche contro il governo non furono più d’accordo.

In base al programma gran parte dei membri del circolo doveva vivere a contatto con il popolo nelle campagne, coloro che erano rimasti a Pietroburgo dovevano solo eseguire gli ordini dell’Assemblea generale e cioè trovare i finanziamenti e tutto ciò che era necessario a coloro che si trovavano nelle campagne, "i derevenšiki, come li chiamavamo noi con disprezzo". Anche la tipografia e la rivista "Zemlja i volja" doveva lavorare per le necessità dei derevenšiki. In teoria il gruppo di Pietroburgo non era un organo di potere ma una semplice commissione per l’esecuzione delle direttive del "circolo di base", in pratica però le cose non stavano così, soprattutto perché quelli di Pietroburgo avevano nelle loro mani tutto ciò che era necessario per l’attività del partito. In secondo luogo i membri di Pietroburgo si distaccavano sempre più dalle idee dei derevenšiki: Tichomirov affermava che le persone che vivevano col popolo diventavano sempre meno rivoluzionarie, più stavano a contatto con i contadini e meno pensavano a una rivolta e inoltre erano propensi a difendere gli interessi di quella gente per vie legali. Invece coloro che stavano a Pietroburgo diventavano sempre più rivoluzionari e non facevano altro che pensare alla lotta contro il governo. Quando dopo un lungo periodo i vecchi compagni si incontravano nuovamente si scoprivano insoddisfatti l’uno dell’altro. I derevenšiki avevano assunto maniere da provinciali, non si interessavano più agli eventi internazionali, "parlavano degli affari insignificanti della vita in campagna, si erano come derivoluzionarizzati rispetto ai compagni di città". Questi ultimi, invece, sembravano ai derevenšiki quasi liberali, parlavano di politica in senso astratto e se la prendevano con il governo invece che con i signori latifondisti. I derevenšiki sostenevano inoltre che erano trascurati, di non avere denaro mentre a Pietroburgo avevano tutto in mano, a disposizione.

Il motto più amato di quel periodo, "il fine giustifica i mezzi", stava minando le basi dell’organizzazione. Tichomirov ricorda i primi abusi in questo modo:

"Bastava che quelli di Pietroburgo cambiassero opinione sullo scopo da raggiungere che senza pensarci due volte si passava all’usurpazione. I colpevoli in questo senso eravamo io, Klemenc e Morozov...Ma Aleksandr Michajlov, Kvjatkovskij, Moiša Zundelevič infrangevano spesso le regole del circolo, utilizzavano il nome e i mezzi del circolo per ottenere scopi contrari ai suoi principi... Io e Morozov, in caso di vedute opposte eravamo pronti a lasciare Zemlja i volja. Klemenc sarebbe stato pure del nostro parere ma fu arrestato presto, prima che cominciassero i dissidi. Ma Aleksandr Michajlov non voleva staccarsi dagli altri e mi parlava dell’importanza del nome Zemlja i volja. Io gli dissi che la nuova organizzazione avrebbe acquistato la stessa fama e influenza ma Aleksandr Michajlov non mi credeva".

 

Kravčinskij era partito per l’estero e Klemenc era stato arrestato, di conseguenza a far parte della redazione erano rimasti Tichomirov, Plechanov e Morozov. Plechanov e Morozov rappresentavano all’interno di Zemlja i volja due atteggiamenti nettamente opposti, infatti il primo era rimasto fedele al programma mentre il secondo riteneva necessaria una lotta politica contro il governo ed appoggiava pienamente il terrorismo. Tichomirov sosteneva la posizione di Morozov. Il contrasto di opinioni si rifletteva sulla rivista dell’organizzazione e all’interno della redazione si intensificarono i dissensi a tal punto che si pensò di creare una pubblicazione separata per le due linee di pensiero. L’oggetto principale del dissidio era il terrorismo, i seguaci di Plechanov accettavano gli attentati solo in fabbrica o nelle campagne per vendicarsi delle spie, mentre Tichomirov, Michajlov, Morozov e Kvjatkovskij propendevano per il terrorismo politico. Kravčinskij sebbene fosse all’estero era d’accordo con queste ultime idee. Klemenc, nonostante non fosse un terrorista in senso stretto, credeva che il terrorismo avesse più senso dell’attività dei derevenšiki. La pubblicistica di Zemlja i volja era in preda alla confusione, in ogni numero vi erano espresse opinioni nuove. Nacque così "Listok Zemli i voli" [Il foglio di Terra e Libertà]. Nel numero due di "Listok" uscì l’articolo di Morozov L’importanza degli attentati politici in cui si sosteneva la lotta contro il dispotismo attraverso il terrorismo. Per questo motivo i futuri narodovolcy arrivarono alla conclusione che era necessario colpire al centro l’organizzazione governativa. Nella pubblicazione n. 5 di "Narodnaja volja", e più precisamente nell’articolo di Kibalčič, si ribadiranno queste considerazioni:

"Il movimento contadino anche più esteso, nonostante tutti gli sforzi compiuti dal partito per appoggiarlo e organizzarlo, non può avere ragione di un nemico centralizzato e ottimamente armato se non gli infliggerà duri colpi nei centri nevralgici della sua potenza materiale e militare".

 

Il gruppo di sostenitori della nuova linea di pensiero organizzarono l’attività e un piano d’azione ideale. Nel marzo del 1879 nacque così il Comitato Esecutivo del partito socialrivoluzionario che, con lo stesso nome del primo comitato, intendeva mettere in rilievo l’intenzione di ereditare l’opera di terroristica iniziata nel sud. Nel Comitato Esecutivo si riunivano tutti i più attivi sostenitori della lotta politica di Zemlja i volja. Nel maggio dello stesso anno fu creato all’interno del medesimo Comitato la sezione terroristica Svoboda ili smert’ [Libertà o morte].

I dissensi all’interno di Zemlja i volja si aggravarono ulteriormente a causa dell’attentato di A. K. Solov’ëv ad Alessandro II. La proposta dell’attentato fu fatta ai membri del Comitato ma, nonostante l’opposizione di Michajlov, il progetto dovette essere presentato all’Assemblea. La proposta di portare all’estremo il terrorismo politico causò una spaccatura all’interno di Zemlja i volja. Senza il permesso del Circolo di base i membri del Comitato esecutivo decisero di aiutare Solov’ëv. Il 2 aprile ci fu l’attentato che non andò com’era previsto.

Nella redazione questo episodio non poteva non fare nascere dei contrasti; mentre Plechanov non aveva nessuna intenzione di parlare dell’attentato del 2 aprile nel suo articolo, Tichomirov pubblicava un editoriale che esaltava il terrorismo. Il partito rivoluzionario, diceva l’articolo, doveva conquistare i contadini e sostituirsi all’imperatore "nella mente del popolo come simbolo di potere e di legittimità. Ma ciò non potrà mai essere realizzato attraverso la propaganda, ma soltanto con atti di violenza".

Agli inizi di giugno del 1879 Zemlja i volja decise di organizzare un congresso di partito per stabilire il suo futuro orientamento e dare un fine ai continui dissidi interni. Il Comitato esecutivo non voleva arrivare ad una netta separazione dell’organizzazione ma Tichomirov e i suoi compagni erano decisi ad indirizzare il partito verso un solo fine, il regicidio. Tichomirov e Michajlov agivano sempre all’unisono ma era il primo che poteva essere considerato il capo della cospirazione. Avrebbero tenuto una riunione preliminare per poter organizzare definitivamente l’azione che avrebbe portato alla ricostituzione sotto un profilo terroristico tutto il movimento. I componenti principali del gruppo di Pietroburgo e i membri degli altri maggiori circoli di Zemlja i volja si riunirono dal 15 al 17 giugno a Lipeck, nella regione di Kiev. Tichomirov lasciò a Michajlov il compito di pronunciare l’atto di accusa contro Alessandro II al congresso ed infine i membri riuniti di Zemlja i volja decisero all’unisono di dare l’incarico di condanna a morte dell’imperatore al Comitato esecutivo.

Il congresso generale di Zemlja i volja fu convocato a Tambov ma, essendo la località non considerata più sicura, il luogo fu trasferito a Voronež. La maggioranza votò a favore dell’assassinio di Alessandro II e Morozov e Tichomirov furono eletti candidati alla direzione dell’organo del partito. Ma ben presto si capì che la rottura era comunque inevitabile e tre mesi dopo fu necessario sciogliere formalmente Zemlja i volja. Il gruppo che si era ritrovato a Lipeck costituì il partito Narodnaja volja [Volontà del popolo] mettendo un accento sul fatto che avrebbero continuato a lottare perché il popolo russo potesse esprimere la sua volontà, mentre la fazione guidata da Plechanov si unì nel partito Čërnyj peredel [Spartizione delle terre nere] il cui nome confermava il fine ultimo del populismo cioè la distribuzione della terra alle obščiny.

All’interno di Narodnaja volja furono mantenuti i compiti come avveniva in Zemlja i volja. Furono costituite alcune sezioni con a capo uno o due membri del Comitato. Anche nelle varie province vennero organizzati dei settori che seguivano le caratteristiche organizzative del Comitato. Ogni circolo provinciale era diretto dal "gruppo centrale locale" che era composto al massimo da cinque membri. Questi "gruppi centrali locali" dovevano costituire a loro volta sezioni per la propaganda tra l’intelligencija, tra i lavoratori, i giovani e l’attività terroristica anche se queste ultime azioni dovevano essere autorizzate dal Comitato esecutivo. Tutte queste sezioni erano ad immagine del Comitato e dipendevano da questo.

Come Zemlja i volja anche Narodnaja volja aveva un giornale ed era principalmente redatto da Tichomirov. Il primo numero dell’organo del partito uscì il primo ottobre 1879. Le copie stampate di questo giornale ebbero una notevole diffusione, i primi tre numeri uscirono senza tregua uno dopo l’altro con una tiratura di 2500-3000 esemplari. Nel gennaio 1880 la tipografia venne scoperta e la rivista cessò temporaneamente di essere stampata. Per tutto l’anno uscì al suo posto "Listok Narodnoj voli" [Foglio di Volontà popolare] in cui si spiegava la posizione politica del momento, la situazione generale, ma non c’era la possibilità, per cause tecniche, di esprimere le proprie idee e di creare discussioni. Il quarto numero del giornale vide la luce alla fine di dicembre e il quinto venne stampato verso la fine di febbraio dell’anno seguente, poco prima dell’attentato all’imperatore.

Il primo periodo di attività terroristica ci concentrò nell’autunno-inverno 1879-1880. L’attentato era stato progettato a Odessa, dove Alessandro II doveva passare nel mese di novembre di ritorno dalle vacanze in Crimea. Il tragitto venne minato in tre punti diversi, nell’eventualità di un fallimento ad Odessa. L’azione era stata progettata meticolosamente da Kibal’čič, Kvjatkovskij, Vera Figner, Frolenko e Tat’jana Lebedeva ma gli sforzi risultarono inutili poiché l’imperatore cambiò programma e non passò per Odessa.

Il secondo attentato fu organizzato per il 18 novembre da Željabov ma in questo caso, la dinamite che era stata posta sulla linea ferroviaria che portava dalla Crimea a Char’kov non esplose. Il giorno dopo, il terzo colpo si avvicinò al successo, la carica di esplosivo colpì in pieno il treno dell’imperatore ma egli non vi si trovava sopra; era il treno della sua servitù, fortunatamente non vi furono vittime.

La notizia dell’azione terroristica del 19 novembre lasciò una profonda impronta in tutto il paese. Il Comitato rivendicò l’attentato assumendosi il compito di continuare finché l’imperatore non avesse deposto i suoi poteri. Tichomirov continuava inoltre il suo lavoro di propaganda alla redazione e nel numero di "Narodnaja volja" del primo gennaio 1880 uscì un articolo che elogiava l’impresa di novembre e i cospiratori.

Anche se gli attentati non avevano ottenuto il successo sperato, l’organizzazione ne era uscita decisamente bene. Nonostante il governo non sapesse come combattere la sovversione, vi fu comunque all’interno di Narodnaja volja qualche perdita importante: l’esperto di dinamite Stepan Širjaev, Aaron Zundelevič che, come disse Tichomirov, "nessuno più di lui sapeva l’iter per scappare all’estero", Aleksandr Kvjatkovskij, membro della commissione amministrativa insieme a Tichomirov e Michajlov, Nikolaj Buch ed altri ancora.

 

N. Kibalcic, S. Perovskaja e A. Zeljabov, capi del gruppo politico Narodnaja volja.

 

Il 5 febbraio del 1880, per la quarta volta, la vita di Alessandro II fu messa in serio pericolo. Già nel settembre del’79, Stepan Chalturin, con un passaporto falso, era stato assunto come operaio nel Palazzo d’Inverno. Il piano stabilito era quello di mettere una quantità sufficiente di dinamite sotto le volte di una stanza in cui si trovava l’imperatore. L’esplosivo fu portato poco per volta nella residenza senza alcun problema dato che Chalturin viveva nelle cantine stesse del palazzo, in una camerata. Da questo si poteva capire come i servizi di sicurezza fossero completamente inefficienti e come mancasse un controllo del personale che veniva assunto nel palazzo. La dinamite non fu sufficiente per far crollare il pavimento della sala da pranzo dell’imperatore ma l’esplosione distrusse gli alloggi della guardia, si ebbero così numerosi feriti e undici vittime.

Questa volta il governo non poté trascurare l’accaduto e ricorse a una misura drastica. Le voci a Pietroburgo dicevano che, in occasione del venticinquesimo anniversario di regno, il 19 di febbraio, Alessandro II avrebbe concesso la costituzione. Invece l’idea dell’imperatore non fu quella di rinnovare il regime bensì di organizzarlo meglio. Il compito fu assegnato al generale-governatore di Char’kov Loris-Melikov. Nel momento in cui Loris-Melikov prese in mano le redini della situazione, cominciò ad essere predisposto in modo diverso l’assolutismo. La Terza Sezione, che cambiò nome, passò ai suoi ordini, i servizi di ordine pubblico furono razionalizzati e concentrati, sciolse il sistema di sorveglianza speciale che limitava la libertà personale di molti cittadini, stabilì un certo ordine alla macchina giudiziaria per rivedere le liste dei sorvegliati per ragioni politiche e per qualsiasi altra causa. La repressione di Loris-Melikov mirava a non coinvolgere la popolazione ma cercava di colpire i rivoluzionari partendo inizialmente dall’obiettivo di isolarli.

Di fronte a questa politica il Comitato esecutivo non ebbe nessuna esitazione: bisognava affrettare l’esecuzione di Alessandro II prima che Loris-Melikov, con il suo modo di fare liberale, conquistasse anche l’intelligencija. Nei sei mesi successivi il gruppo terrorista subì gravi e continui colpi. In ottobre sedici di loro furono condannati dal tribunale militare, nel carcere di Odessa Grigorij Gol’denberg raccontò alle autorità tutto ciò che sapeva sull’organizzazione, ma la perdita più pesante avvenne il 28 novembre, l’arresto di Aleksandr Michajlov. La sua cattura provocò in modo quasi inevitabile lo smascheramento dell’agente Kletočnikov.

All’inizio dell’anno nuovo si progettarono i preparativi per l’ultimo atto. Ogni sabato l’imperatore si recava dal Palazzo d’Inverno all’ippodromo, dove le guardie si esercitavano e tenevano parate. L’attentato doveva avvenire in quel tragitto. Fu preparato tutto meticolosamente: fu scavata una galleria in cui fu posta della dinamite, se questa non fosse esplosa o la carrozza avesse preso un’altra direzione, quattro volontari sarebbero stati pronti a lanciare delle bombe. Se anche questa soluzione non fosse andata a buon fine, Željabov, che dirigeva tutta l’operazione, avrebbe ucciso l’imperatore con un coltello. Ma Željabov fu arrestato qualche giorno prima dell’attentato.

Il mattino del primo marzo, prima di recarsi alla parata Alessandro II annunciò ai suoi consiglieri che aveva deciso di convocare come consulenti legislativi alcuni rappresentanti eletti e di consentire ad alcuni di essi di partecipare al Consiglio di Stato. Fino ad allora i membri del Consiglio di Stato erano stati nominati dallo zar. Questo era un passo in avanti verso la costituzione. Quella mattina però tutto era stato stabilito per la sua morte, infatti Alessandro II, poco prima delle tre, venne colpito dalla bomba lanciata da quel secondo volontario, Ignati Hrynevičkij.

Vera Figner dirà:

"Je pleurai comme les autres; le cachemar qui, depuis des dizaines d’années, avait posé ur la Russie, était donc dissipé. Cette minute rachetait l’horreur des prisons et des exils, des violences et des cruautés subies par des centaines et des milliers des notres, cette minute rachetait le sang de nos martyrs, cette minute rachetait tant! Un lourd fardeau tombait de nos épaules, la reaction allait prendre fin, la renovation de la Russie allait à commencer. A cette heure solennelle, nous ne pensions qu’à l’avenir meilleur de notre pays ".

 

 

Note:

1 L’unica ragione di questa alleanza erano le mire della Germania sul Mar Baltico e quelle della Russia sul Mar Nero. Per tutte le altre questioni i due imperi erano in costante disarmonia. Il disaccordo divenne più profondo nel 1875 quando Russia e Gran Bretagna fecero forti sollecitazioni sulla Germania poiché non scatenasse una guerra contro la Francia. La lega dei Tre imperatori, di cui faceva parte anche l’Austria, si ruppe definitivamente sul problema della Turchia e dei Balcani.

2 Tra i conservatori c’era chi vedeva l’intervento della Russia nei Balcani come la possibilità di eliminare ogni pericolo di politica interna, di soffocare i fermenti rivoluzionari dando allo zar la nobile funzione di liberatore della cristianità dal giogo musulmano. F. VENTURI, Il populismo, cit., vol. III, p. 159.

3 Dal 1873 al 1877 erano stati arrestati 1611 propagandisti, di cui l’85% erano uomini e il 15% donne. E’ probabile che questi dati siano inferiori alla realtà. Essi non tengono conto dei numerosi fermi di breve durata. Di questi 1611 ne erano stati rilasciati, dopo un periodo più o meno lungo di detenzione, 577. La statistica definiva "particolarmente delinquenti" 425 persone tra coloro che erano stati passati ai tribunali, tra questi dominavano i giovani e i giovanissimi. Avevano meno di 21 anni 117 "delinquenti", erano tra i 21 e 25 anni 199, tra i 25 e i 30 anni 93, soltanto 42 avevano più di 30 anni. Cfr. F. VENTURI, op. cit., vol. III, pp. 211-212.

4 Cfr. F. VENTURI, op. cit., vol. III, p. 106.

5 Pribyleva-Korba e Figner in F. VENTURI, op. cit., vol. III, p. 198.

6 Per maggiori notizie sui processi, vedi F. VENTURI, op. cit., vol. III, pp. 196-213. Per la manifestazione alla chiesa della Madonna di Kazan’, vedi F. VENTURI, op. cit., vol. III, pp. 124-126.

7 P. A. KROPOTKIN, op. cit., p. 69.

8 Sull’attentato di Vera Zasulič al generale Trepov vedi F. VENTURI, op. cit., vol. III, pp. 213-214, S. M. STEPNJAK, op. cit., pp. 35-37 e pp. 108-117.

9 L. TICHOMIROV, op. cit., p. 97.

10 Per la liberazione di Vera Zasulič e l’assassinio di Sidoračkij vedi L. TICHOMIROV, op. cit., pp. 100-101.

11 Al processo dei centonovantatre cinque persone vennero condannate a dieci anni di lavori forzati, dieci a nove anni, tre a cinque, una quarantina alla deportazione, mentre la maggioranza veniva rimessa in libertà. Il senato stesso era poco convinto della sentenza, di conseguenza venne richiesto allo zar di commutare tutte le pene detentive. L’imperatore, che notò segni di debolezza nello svolgimento del processo, respinse le richieste dei senatori e confermò le pene. F. VENTURI, op. cit., vol. III, pp. 205-206.

12 L. TICHOMIROV, op .cit., p. 102.

13 Ippolit Nikitin Myškin (1848-1845) fu uno dei principali personaggi dell’attività rivoluzionaria degli anni Settanta. Nel 1874 stampò a Mosca una pubblicazione di letteratura rivoluzionaria; partì per l’estero ma nel 1875 fece ritorno in Russia. Arrestato e giudicato nel processo dei centonovantatre durante il quale tenne un discorso che fece di lui la figura rappresentativa di quella causa, fu condannato a dieci anni di lavori forzati nelle prigioni di Novobelgorodskij e di Novoborisoglebskij e poi a Kara. A causa del discorso pronunciato per il funerale di Dmochovskij gli venne prolungata la pena di altri cinque anni. Evase da Kara nel 1882 ma fu ripreso a Vladivostok e riportato a Kara. Nel 1883 fu trasferito a Pietroburgo nella fortezza di Pietro e Paolo e nel 1884 a Šlissel’burg, dove morì nel 1885.

14 Membri del circolo di via Sadovaja a Odessa.

15 Valerian Andreevič Osinskij (1853-1879) cominciò la sua attività rivoluzionaria nel gruppo della città di Rostov, poi divenne membro creatore di "Terra e volontà"; nell’autunno del 1877 portò le sue conoscenze nell’ambito insurrezionale a Kiev. Fu pioniere del terrore nei sistemi di lotta contro il governo; principale organizzatore di attentati terroristici al Sud. Fu arrestato il 24 gennaio 1878 a Kiev e il tribunale militare lo condannò a morte. Fu impiccato il 14 maggio dello stesso anno.

16 L. TICHOMIROV, op. cit., pp. 105-106.

17 Il manifesto fu ristampato più volte in diverse pubblicazioni del periodo.

18 L. TICHOMIROV, op. cit., p. 110.

19 L. TICHOMIROV, op. cit., p. 118.

20 L. TICHOMIROV, op. cit., pp. 112-113. Fu arrestato la notte del 12 novembre 1873 perché prese parte alla propaganda organizzata da Sinegub tra gli operai.

21 L. TICHOMIROV, op. cit., p. 104.

22 Per il periodo passato da Kravčinskij in Europa vedi R. SINIGAGLIA, op. cit., pp. 241-267.

23 Per l’assassinio del generale Mezencov vedi R. SINIGAGLIA, op. cit., pp. 177-178; F. VENTURI, op. cit., vol. III, pp. 233-234; L. TICHOMIROV, op. cit., pp. 119-120.

24 Ivan M. Koval’skij faceva parte del gruppo terroristico ucraino. Era un dichiarato sostenitore della lotta armata. La sera del 30 gennaio 1878 la polizia fece irruzione nella tipografia del gruppo di Odessa e Koval’skij e i suoi compagni si opposero alla perquisizione difendendosi con armi e coltelli. Quella sera molte carte pericolose furono distrutte ma Koval’skij e i suoi compagni furono arrestati e processati da un tribunale militare. La condanna a morte fu eseguita il 2 agosto.

25 Sergeeva Ekaterina Dmitrievna (Katja) , moglie di Tichomirov, prima di passare all’organizzazione di Pietroburgo apparteneva, insieme all’Ošanina, al gruppo "giacobino" di Zaičnevskij a Orël. Al congresso di Voronež si unì a Zemlja i volja e dopo la divisione del partito entrò a far parte del corpo centrale del Comitato Esecutivo di Narodnaja volja.

26 L. TICHOMIROV, op. cit., pp. 93-96.

27 L. TICHOMIROV, op. cit., p.135.

28 Ibid.

29 Michajlov fu arrestato nell’80 e Kletočnikov fu scoperto agli inizi del 1881 dalla polizia a causa delle poche precauzioni prese dai suoi collaboratori rivoluzionari. Kletočnikov fu condannato a morte. La sua pena fu commutata nei lavori forzati a vita ma morì due anni dopo nella fortezza di Alessio. Per maggiori informazioni: ADAM B. ULAM, In nome del popolo, Garzanti, 1978, pp. 309-310 e L. TICHOMIROV, op. cit., pp. 129-131.

30 Più tardi G. Plechanov assunse questa polemica tra "contadini" e "cittadini" come criterio storico per spiegare le discordie interne che divisero Zemlja i volja, rischiando di falsare la realtà. Vedi ad esempio la sua prefazione alla traduzione russa di ALPHONS THUN, Geschichte der revolutionaren Bewegungen in Russland, pubblicata a Ginevra nel 1906.

31 L. TICHOMIROV, op. cit., pp. 131-132.

32 V. A. TVARDOVSKAJA, op. cit., p. 206.

33 Per l’attentato di Solov’ëv vedi: F. VENTURI, op. cit., vol. III, pp. 262-265 e A. B. ULAM, op. cit., pp. 319-320. Degno d’interesse l’opuscolo pubblicato anonimo di P. A. KROPOTKIN La vie d’un socialiste russe, Ginevra, 1879, in cui valuta la reazione indifferente della borghesia di fronte all’attentato dello zar: "La bourgeoisie se sent ennuyée de se règne, commencé par des promesses si belles et finissant par l’incapacité... Pétersbourg, cette capitale si servile autrefois, témoigne une indifférence frappante le joure de l’attentat, et devient morne, triste, le jour de l’exécution de Solovieff".

34 O. V. APTEKMAN, La società di Terra e libertà,1870-80, Pietrogrado, 1924, pp. 363-364, in A. B. ULAM, op. cit., p. 321.

35 Sul congresso di Zemlja i volja a Voronež vedi V. FIGNER, op. cit., pp. 112-114.

36 A. B. ULAM, op. cit., p. 332.

37 Anche se Tichomirov, che aveva il compito di caporedattore dell’organo di partito, si trasferì all’estero, la rivista "Narodnaja volja" continuò ad uscire anche dopo il primo marzo 1881. L’ultimo numero, l’11-12, venne pubblicato nell’ottobre 1885.

38 Sugli attentati ad Alessandro II vedi V. FIGNER, op. cit., pp. 130-140.

39 Aleksandr Michajlov fu condannato a morte il 25 febbraio 1882. Il 17 marzo Alessandro III commutò la pena nei lavori forzati a vita ma fu rinchiuso nella fortezza di Pietro e Paolo dove morì il 18 marzo 1884. Subito prima del processo scriveva ai compagni: "Non fatevi prendere dal desiderio di vendicare o liberare i compagni... Non fatevi prendere dalle belle teorie. In Russia non c’è che una teoria sola: conquistare la libertà per avere la terra...La via è una sola: sparare al centro". Lettere del narodovolec A.D. Michajlov in F. VENTURI, op. cit., vol. III, pp. 393-394.

40 Per l’attentato del 1 marzo vedi V. FIGNER, op. cit., pp.167-173.

41 [Ho pianto come tutti gli altri; l’incubo che per decine d’anni aveva oppresso la Russia era dunque scomparso. Questo momento ci compensò dell’orrore delle prigioni e dell’esilio, delle violenze e delle crudeltà subite dalle centinaia e migliaia di chi la pensava come noi, questo momento ci compensò del sangue dei nostri martiri, questo momento ci compensò di tutto! Un pesante fardello era caduto dalle nostre spalle, la reazione stava per finire, il rinnovamento della Russia stava per cominciare. In questo momento solenne non pensavamo che al migliore avvenire per il nostro paese]. V. FIGNER, op. cit., p. 173.

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