Capitolo quinto

La svolta politica e spirituale: ultimi anni di vita a Parigi e ritorno in patria (1886-1923)

"Non c’è stato periodo della mia vita più tormentato e pesante come quello trascorso a Le Raincy. Quel periodo è stato così cupo, eppure ci sono stati momenti in cui la luce interiore brillava in me e oggi lo ricordo più come un periodo pieno di poesia. Ci trasferimmo a Le Raincy del tutto involontariamente. Eravamo stremati per la terribile malattia di Saša... Attendavamo la sua morte ma quella non arrivava e non passavano gli attacchi della malattia... Scelsi Le Raincy, era un luogo a un’ora da Parigi... poi il mio editore me l’aveva raccomandato perché era un bel posto, pieno di boschi e di verde lussureggiante... Lì non c’erano emigrati... Mi ero stufato degli emigrati, volevo stare solo, a contatto con la vita reale, il bosco, i borghesi, i cavalli, le mucche, con tutto fuorché lontano da quelle frasi e da quelle persone che mi nauseavano con le loro stupidaggini".

 

Questo era lo stato d’animo di Tichomirov quando lasciò Parigi nel 1886: dare un taglio al passato, conoscere meglio i francesi e diventare un grande letterato. A Le Raincy presero un appartamento in affitto da un certo signor Deprel in Avenue Thiers n. 49. Si abituarono subito alla solitudine, prima relativa, poi assoluta. All’inizio amici e conoscenti si recavano a trovarli da Parigi, anche se di rado; col passare del tempo le visite diminuirono e non appena arrivò l’inverno cessarono del tutto.

Tichomirov continuava a pregare per il suo piccolo Aleksandr che cominciò a sentirsi meglio; Tichomirov pensava di essere davanti alla realizzazione di un miracolo, sentiva nascere dentro di lui un qualcosa di nuovo di cui non conosceva il significato, avvertiva la presenza tangibile di qualcosa di grande:

"Šura, il mio Šura, quante cose mi ha insegnato senza parole, senza concetti, solo con le sensazioni che mi fece provare quando soffriva, con l’amore sempre più forte che provavo per lui... Lui mi ha avvicinato a Dio. Il cammino è stato duro ma mi aveva portato alla luce e ora non ricordo più la fatica fatta, le sofferenze, ricordo solo la luce...".

 

Restarono a Le Raincy più di un anno, due estati e un inverno. Tichomirov passava le sue giornate combattendo una lotta interiore; prima di tutto aveva la piena coscienza che i suoi vecchi interessi, i sogni di tutta la sua vita avevano ruotato intorno a qualcosa di artificiale, di fantastico e assurdo. La sua passata attività cospirativa, la conoscenza sempre più profonda della realtà politica francese lo convinsero che gli ideali liberali, radicali e socialisti fossero solo un miraggio, una grossa menzogna. Non rinnegò tutto all’improvviso, avvenne in lui un lento cambiamento che lo portò a rifiutare in un primo momento il terrorismo e l’anarchia. Per un breve periodo rimase un liberale che criticava duramente i rivoluzionari, li prendeva in giro, si indignava per le loro azioni.

Nei primi tempi di vita a Le Raincy emigrati e radicali si recavano da lui con vari progetti:

"Una volta venne da me un certo X e mi disse che non credeva a nessuno eccetto me e che, visto che aveva 7000 rubli da investire per la causa, mi proponeva di utilizzarli insieme a lui. Lo accolsi volentieri, parlai a lungo, gli dissi che la causa non serviva a niente, rifiutai il denaro e gli consigliai di andare in Russia. Non era ricercato e gli suggerii di usare tutto quel denaro fondando un giornale per bene, un giornale che poteva essere anche censurato dato che la censura non ha mai impedito di esprimere le proprie idee a nessuno. Rimase molto stupito...Un’altra volta venne da me una signorina, una certa D., con in testa un sacco di piani organizzativi. Le parlai di un colpo di stato militare ma lei disse che non era possibile, che era possibile solo il terrorismo. Tentai di dissuaderla con tutte le forze, di farle notare l’assurdità del terrorismo ma a quanto pare non si convinse".

 

Gli emigrati erano inorriditi per queste sue affermazioni e quando, sempre nell’estate dell’86, Tichomirov scrisse un articolo in cui condannava il terrorismo e Lavrov, l’Ošanina e S. N. Rusanov si rifiutarono di pubblicarlo avvenne il vero strappo tra di loro. Non riuscivano a capire come un fautore del terrorismo come Tichomirov potesse rifiutare e criticare quasi tutto della rivoluzione e rinnegare le proprie azioni.

Oltre alla crisi politica Tichomirov non riusciva a dare un senso più profondo alla sua vita morale. Il fatto che il suo passato gli sembrasse privo di significato lo faceva soffrire molto. Leggeva tantissimo e le sue esigenze spirituali continuavano ad aumentare: "Perché vivo come essere dotato di ragione? Qual è il mio compito eterno?"

Inoltre i ricordi dei cari lasciati in Russia lo torturavano, si disperava per il fatto di aver rovinato la vita dei suoi genitori, di aver abbandonato le sue due bambine Vera e Nadia che vivevano con i nonni. Sentiva la mancanza della sua terra, dei mužiki con la barba lunga, delle montagne di angurie e dell’odore della pece, ma soprattutto non poteva dimenticare le chiese russe con le loro lampade, lo scintillio misterioso delle icone dorate, i canti sacri, la gente con le candele in mano. Ricordava tutto questo perché sentiva dentro di se un qualcosa di strano, di mistico che neanche lui sapeva definire; non era mai stato totalmente insensibile alla religione, non aveva avuto una teoria su Dio ma neanche una senza Dio, era semplicemente un materialista ma, nonostante questo, anche allora sentiva la presenza di un mistero inspiegabile.

Quando la malattia del figlio lo sottopose a una vera e propria tortura cominciò a dedicarsi a quello che lui sentiva come un mistero, pregava, faceva voti, prometteva varie cose di ordine morale, di correggere i propri difetti. Era un grande cambiamento che solo il dolore per la sofferenza di Aleksandr poteva aver provocato in lui. Quando ormai sembrava giunta la fine, il bambino cominciò a migliorare, le crisi diminuirono e la sua guarigione riempì Tichomirov di gratitudine verso questa entità indefinita che aveva salvato il piccolo Aleksandr. Per ore intere restava solo, a volte per lavorare, a volte semplicemente per pensare; iniziò a leggere la Bibbia che gli era stata regalata anni prima dalla sorella Marija e cominciò a credere seriamente in Dio. Si convinse che la risposta a ogni problema e a ogni dubbio si trovasse in quella Bibbia:

"I miei pensieri erano offuscati, allora prendevo la Bibbia, l’aprivo, la guardavo ed ecco la risposta. Una risposta non semplice... L’aprivo di nuovo e sempre la stessa risposta... All’inizio non capivo niente... le risposte erano azzeccate, sistematiche al punto tale che ne fui ammaliato come se stessi parlando con una persona saggia, esperta".

 

Giorno dopo giorno Tichomirov vedeva la salute del figlio migliorare e sentiva crescere quella sua fede confusa, vaga e in un momento di "nervosismo mistico" gli capitò di aprire la sua bibbia su queste pagine: "...e lo liberò da tutte le sue tribolazioni, rendendolo ricco di sapienza, sicché gli fece trovar grazia dinanzi a Faraone, re d’Egitto...".

Quel passo gli capitava spesso e ripetutamente ogni volta che apriva la Bibbia. Leggendo quelle righe pensava che si trattasse di qualche personaggio importante con cui aveva a che fare nella sua vita da emigrato. In quel periodo non avrebbe mai pensato che quel versetto l’avrebbe portato di nuovo in Russia. Solo sette mesi più tardi, quando il suo tormento interiore avrebbe cominciato a dileguarsi e quando si sarebbe staccato definitivamente dai suoi vecchi ideali, si sarebbe convinto che il faraone rappresentava lo zar che lo avrebbe perdonato dei suoi peccati e che gli avrebbe dato la possibilità di redimersi. Quel segnale dalla Bibbia fu la prima cosa che lo spinse a rivolgersi allo zar.

Nel frattempo il suo editore fallì e lasciò Le Raincy. L’inverno tra il 1886 e il 1887 fu per la famiglia Tichomirov lungo e solitario; l’appartamento era freddo e cadeva a pezzi, l’acqua si ghiacciava nei tubi, nelle camere la temperatura non superava i cinque gradi e la situazione economica non dava segni di miglioramento. Oltretutto, non frequentando più neanche gli emigrati, non poteva chiedere loro del denaro in prestito. Vivevano veramente in povertà. Tichomirov lavorava per diversi giornali, russi e francesi, ma il guadagno non era sufficiente; scrisse a Kropotkin di trovargli lavoro in Inghilterra, disposto anche a lasciare la Francia e trasferirsi oltre la Manica ma non ebbe nessuna risposta. Intanto preparava un nuovo libro, Les conspirateurs et les policiers che avrebbe dovuto essere pronto per la primavera successiva.

Dalla Russia non ricevette più notizie se non quella della morte di suo padre che lo fece sentire sempre più in colpa e desideroso di ritornare nella sua terra. Tichomirov non dimenticherà mai quell’inverno poiché fu proprio in quel periodo che avvenne in lui il totale cambiamento e in primavera era un uomo nuovo, diverso. Psicologicamente però, questa rinascita gli costò cara, infatti la sua depressione lo fece ammalare: era in continua contraddizione con se stesso, si sentiva cristiano ma era stato allontanato dalla Chiesa e quindi non poteva fare il suo dovere; si sentiva "russo fino al midollo" ma aveva dovuto lasciare la Russia; era diventato monarchico e continuava a pesargli il suo passato da rivoluzionario. Inoltre la superstizione prendeva sempre più piede nelle sue convinzioni: era certo che l’appartamento dove abitavano fosse sfortunato, poiché "durante tutto il mese la luna si vedeva sempre e solo dalla facciata sinistra".

Verso gli emigrati assunse un comportamento diverso, scelse una linea dura; a quel tempo non aveva ancora iniziato a fare propaganda antirivoluzionaria in modo serio ma esprimeva il suo parere a conoscenti e non e cercava tra loro qualcuno con cui avrebbe potuto formare un gruppo antirivoluzionario. Non pensò subito di tornare in Russia, gli sembrava una cosa impossibile. L’idea che aveva era quella di restare in Francia, vivere con le sue opere letterarie e diffondere le sue nuove idee.

All’inizio dell’87 il giornale "Vestnik Narodnoj voli" chiuse definitivamente ma già da tempo Tichomirov non si sentiva più parte di quell’ambiente e già l’ultimo numero era uscito senza la sua collaborazione.

Verso la fine di marzo Tichomirov apprese dal giornale che era stato compiuto un nuovo attentato contro lo zar.

Dopo i continui insuccessi che avevano avuto inizio dopo il 1° marzo 1881, si faceva strada in Russia e tra gli emigrati all’estero la certezza della necessità di una nuova impostazione dei metodi di lotta contro l’autocrazia. Maggiore attenzione fu dedicata all’ambiente operaio che iniziava ad agire con uno spirito più consapevole delle proprie potenzialità. Nonostante questo però, passerà ancora diverso tempo prima che il marxismo penetri nell’ambiente operaio e dia forma al movimento rivoluzionario russo. Al contrario c’era chi continuava a tenere fede ai vecchi principi della Narodnaja volja e tra questi c’erano Boris Orzich e Vladimir Germanovič Bogoraz. Questi fedeli sostenitori delle concezioni populiste operarono un ultimo tentativo di ricostituire l’organizzazione: ripresero così i contatti fra i vari gruppi operanti nella Russia meridionale, convocarono un piccolo congresso a Ekaterinoslav nel settembre del 1885 e crearono una tipografia clandestina a Taganrog, sul mare d’Azov, dove nell’ottobre del 1885 uscì il n. 11-12 della "Narodnaja volja". Ma i cosiddetti narodovol’cy dell’ "ultimo appello" furono scoperti e arrestati al principio del 1886 dando fine all’attività rivoluzionaria della Narodnaja volia.

Ogni movimento clandestino si placò non tanto per sparire, quanto per riorganizzarsi con nuovi sistemi cercando di non ripetere più gli stessi errori del passato. Le uniche dimostrazioni di evidente scontento erano manifestate dagli studenti delle università, infatti durante il regno di Alessandro III negli atenei venne introdotta una disciplina che assomigliava a quella militare e nel 1884 fu abolita l’autonomia universitaria. Durante le agitazioni del 1886 venne diffuso un manifesto a nome della Narodnaja volia nel quale si sottolineava l’importanza di riprendere la lotta contro l’autocrazia. Poco tempo dopo Aleksandr Il’ič Ul’janov, Orest Michajlovič Govoruchin e altri studenti formavano un nuovo gruppo terroristico, Terrorističeskaja Gruppa Narodnoj Voli, che rimaneva fedele agli ideali della vecchia organizzazione ma rifletteva alcuni principi social democratici propri di Marx e di Engels.

Nel dicembre del 1886 il gruppo, formato da una ventina di persone, decise di organizzare un attentato contro Alessandro III, l’operazione contro lo zar si sarebbe dovuta compiere nel marzo dell’anno successivo. La polizia però, avendo intercettato una lettera che da Pietroburgo andava a Char’kov, sorvegliò molto attentamente i movimenti dei vari studenti. Il giorno dell’attentato, il 1° marzo, circa quarantadue persone vennero arrestate ancora prima che potessero lanciare le bombe al passaggio dell’imperatore.

Di per sé l’attentato non ebbe una grande ripercussione nella società ma segnò il destino del fratello di Il’ič Ul’janov, Vladimir.

Tichomirov si dispiaceva che i rivoluzionari perdessero tempo in quegli attentati e sprecassero le loro forze quando potevano impiegarle meglio in azioni più costruttive. Intanto il 31 marzo uscì il suo nuovo libro Les Conspirateurs et les policiers ma Tichomirov si rese subito conto che non avrebbe avuto successo poiché "...i francesi sono tutti attaccati alla Russia e fanno di tutto per zittire il mio libro che è stato scritto contro il governo russo". Nonostante l’uscita della sua opera, Tichomirov continuava a vivere in estrema povertà e i rapporti con gli emigrati non facevano che peggiorare, era in perenne contrasto con loro e lettere anonime con minacce e calunnie iniziarono ad arrivare a Le Raincy. In quel periodo non incontrava quasi mai Lavrov e la Polonskaja, i capi degli emigrati russi: avendo saputo delle "eresie" di Tichomirov cercavano di tenere i giovani lontani da lui temendo che potesse influenzarli. Quando lo incontravano lo accoglievano con una gentilezza fredda e parlavano con lui senza tuttavia toccare argomenti troppo pericolosi e tentavano comunque di non rompere i rapporti. Anche quando Fedosia Vasil’evna Vandakurova arrivò a Parigi, tentarono di dissuaderla ad andare da colui che lei considerava il suo maestro ma non riuscirono a convincerla. Lavrov fece di tutto per strapparla da Le Raincy ma lei, non conoscendo la lingua, decise di iscriversi a un corso di studi presso un monastero che si trovava nei dintorni e restò lì per tre mesi. Fedosia Vandakurova andava spesso a trovare Tichomirov nonostante i suoi discorsi le sembrassero un po’ insoliti, ella chiedeva volentieri consigli all’ex rivoluzionario e una volta, dopo essere stata a Parigi si rivolse a Tichomirov agitata e perplessa. Era successo che alcuni studenti russi le avevano fatto chiedere a Lavrov se era giusto iniziare le rivolte studentesche. La protesta, le manifestazioni e le agitazioni studentesche erano, secondo loro, necessarie ma il governo era pronto a rispondere alla rivolta con la chiusura delle università. La Vandakurova disse che chiudere gli atenei avrebbe interrotto l’istruzione dei giovani, li avrebbe tenuti nell’ignoranza. Gli studenti avevano chiesto consiglio al rappresentante dei rivoluzionari. La Vandakurova mostrò a Tichomirov la risposta di Lavrov pronta per essere spedita in Russia. Tichomirov, nel leggerla si indignò: Lavrov diceva ai giovani che dovevano ribellarsi, che non era una disgrazia se finivano al confino, il progresso non sarebbe esistito senza vittime. Non sarebbe stata neanche una disgrazia chiudere due o tre università visto che lì non si insegnava già più il sapere dato che i migliori professori erano stati mandati via e gli studenti non venivano istruiti bensì addormentati e per farli svegliare occorreva che frequentassero i liberi insegnanti del sapere come lui. Quella lettera mandò Tichomirov su tutte le furie e la stessa Vandakurova si meravigliò per l’atteggiamento di Lavrov verso il sapere, così bruciò la lettera e rispose agli amici solo a nome suo dicendo di studiare e di tenersi care le università. In qualche modo Lavrov venne a sapere dell’episodio e diventò, insieme agli altri radicali, ancora più ostile nei confronti di Tichomirov.

P. Lavrov in un disegno di F. Vallotton.

Nell’ambiente socialista, pochi erano rimasti gli amici dell’ex rivoluzionario, tra questi i Rodovič, che erano rumeni. Grazie a loro ricevette dalla Romania 1500 franchi in prestito ed egli pensò di impiegarli tornando a Parigi ed estinguere tutti i suoi debiti.

L’8 ottobre del 1887 Tichomirov era a Parigi e risiedeva in Avenue du Maine n. 204; aveva scelto quella zona perché non vi abitavano radicali russi. Ormai i rapporti erano interrotti quasi del tutto, Tichomirov pensava solo a come formare un nuovo gruppo che sostenesse un movimento contrario a tutte le rivoluzioni e che si presentasse come forza culturale; era convinto di essere stato chiamato a una missione storica. Per quanto riguardava il lavoro si considerava piuttosto fortunato: la sua opera La Russie politique et sociale era alla seconda ristampa, faceva il corrispondente per "Il bollettino di San Pietroburgo", collaborava con "La revue Franco-russe" e lavorava da Achette per la compilazione della sezione balcanica di un dizionario di geografia, in più si occupava di traduzioni. Il lavoro che faceva lo soddisfaceva, gli permetteva di entrare in contatto con molte persone, politici, giornalisti, uomini d’affari.

Il 1888 però, iniziò male. Ekaterina si ammalò e Tichomirov per curare la moglie e badare al bambino tralasciò il lavoro; inoltre più nessuno lo appoggiava e diversi tra coloro che gli commissionavano articoli da pubblicare cercavano di liberarsi di lui. Tichomirov decise così di scrivere in un opuscolo ciò che ora pensava realmente, cosa provava per i rivoluzionari e il perché del suo cambiamento di idee. La controparte pensò di scrivere una "protesta" nei suoi confronti.

Con la preparazione alla partenza per la Russia di un amico, un certo Pavlovskij, a Tichomirov si aprì uno spiraglio di speranza di riappacificarsi con il governo russo e ritornare in patria. Pavlovskij, infatti fece sapere a uno dei segretari di stato che Tichomirov aveva rotto i rapporti con i rivoluzionari e che stava scrivendo un opuscolo dove spiegava meglio le sue idee. Attraverso Pavlovskij chiarì che prima era contro il governo, ora era "per la distruzione delle attività terroristiche, per la monarchia, per il mantenimento dell’ordine e per il progresso", ciononostante non aveva nessuna intenzione di tradire i suoi vecchi compagni. Tutto questo gli aprì una strada verso nuove prospettive.

Il 12 maggio 1888 l’opuscolo Perché non sono più un rivoluzionario era finito; non era ancora stata fatta circolare la brochure che Tichomirov era considerato un traditore e qualcuno voleva già la sua morte. Il fascicolo finalmente uscì, era il 3 agosto, e Tichomirov si diede subito da fare per spedire i primi numeri in Siberia, poi sarebbe venuto il turno di Pietroburgo e così via per tutto il paese.

L’8 di ottobre decise di mandare un numero di Perché non sono più rivoluzionario, seguito da una lettera a Vjačeslav Konstantinovič Pleve. Nella lettera Tichomirov parlò del suo pentimento, della sua sofferenza di esule, della mancanza della sua patria e delle sue figlie che aveva abbandonato dai genitori e il motivo per cui si era rivolto a lui: l’amnistia.

La stampa iniziò a occuparsi di lui e il n. 1762 di "Cri du peuple" annunciava il suo cambiamento di idee con un articolo della Svetlova intolato L’apostasie de Tikhomirov; ricevette da Ginevra un altro articolo di Esper Serebrjakov, Lettera aperta a Lev Tichomirov e venne a sapere che sia il "Moskovskie Vedomosti" di Mosca che il "Graždanin" di Pietroburgo parlavano di lui.

Ben presto la lettera indirizzata a Pleve dette i primi risultati, infatti Tichomirov fu invitato nell’ufficio del console generale di Russia con la copia della sua supplica per discutere con il rappresentante del ministero Imperiale degli Interni. Il suggerimento del console Karčev fu quello di mandare una petizione di amnistia direttamente al sovrano e Tichomirov colse subito il consiglio. Il 12 settembre 1888 Tichomirov indirizzò allo zar Alessandro III la sua istanza. La sua fu una lunga lettera piena di pentimento e di buoni propositi. Cominciò parlando della sua vita, di come diventò membro del circolo dei čajkovcy, di come fece propaganda rivoluzionaria tra i lavoratori, delle brochures che aveva scritto andando contro la censura. Poi più di quattro anni di carcere e la condanna, l’evasione e l’inizio della sua vita nell’illegalità; parlò dell’entrata in Zemlja i volia e della sua scissione, gli anni del terrorismo. Nonostante le sue idee fossero "un po’ diverse dagli altri che pensavano solo alla morte dello zar", il suo ruolo aveva una certa importanza: frequentava tutti i congressi e tutte le riunioni "però alla realizzazione dei crimini non ho fatto parte", era a capo del giornale, controllava tutta la stampa ed era redattore di tutti i proclami del Comitato Esecutivo di cui faceva parte. Nella sua lettera allo zar Tichomirov ammise che tutte quelle attività lo misero, insieme ad Aleksandr Michajlov, al primo posto come organizzatore del partito Narodnaja volia e gli procurarono un’autorità fuori dal comune. Malgrado ciò iniziava a capire che non si sentiva più un terrorista: "...il 1° marzo 1881 è stato il giorno più brutto della mia vita...", parlò dell’attentato ad Alessandro II con rammarico e sostenne che quando dopo i primi di marzo Suchanov propose al comitato un attentato immediato alla vita di Alessandro III, egli si oppose con tutte le forze. Pensò quindi di scrivere un documento indirizzato allo zar con le loro richieste, ma dopo questo ci furono tanti arresti che costrinsero il comitato a sciogliersi. Tichomirov continuò la sua lettera ricordando le difficoltà che affrontò cercando di riorganizzare il gruppo con idee nuove e soprattutto senza terrore. Stanco di continue delusioni lasciò Mosca per Kazan’ e successivamente per Rostov sul Don dove restò fino all’agosto 1882 quando partì per l’estero. Oltre a raccontare la sua vita da rivoluzionario, Tichomirov parlò ad Alessandro III della sua famiglia e delle figlie che aveva lasciato in Russia. Con dispiacere spiegò che anche all’estero non riuscì a stare lontano dalla politica e nello stesso tempo non fu in grado di mettere in pratica le sue idee. Decise di abbandonare il circolo di cui faceva parte nell’estate 1884 e visse così "un periodo di autocritica e di autocoscienza". Continuò la sua lettera dicendo che aveva capito che l’autocrazia del popolo era solo una falsità e la falsità di queste idee faceva male alla società. Sosteneva che lo sviluppo del popolo poteva prosperare solo nella propria terra, dov’era nato e dov’era cresciuto e poteva progredire solo con la pace. Infine Tichomirov affermò con disperazione che guardando indietro nella sua vita passata non poteva fare a meno di sentire dolore poiché pensava che non ci sarebbe mai stato perdono per lui. Nello stesso tempo implorò allo zar la grazia per tutte le sue colpe e di farlo ritornare in patria in modo che potesse riscattarsi e vivere una vita nella legalità cancellando il passato e ritornando dalle sue figlie. A questo proposito gli chiese di rendere legale il suo matrimonio visto che era stato celebrato con nomi e documenti falsi.

La supplica per il sovrano venne consegnata a Pëtr Nikolaevič Durnovo al quale Tichomirov scrisse per farsi aiutare nel caso la sua preghiera fosse stata accolta. Tichomirov gli chiese di riguardare la sua lettera per lo zar sperando che non pensasse male dei suoi cambiamenti di idee; con le solite promesse di riparare ai suoi errori lo pregò di contribuire al suo ritorno in patria e con una certa sfrontatezza avanzò le sue richieste: se lo zar lo avesse perdonato, dove sarebbe andato a vivere? Siccome era un letterato e avrebbe voluto mantenere sé stesso e la sua famiglia con la sua attività, la cosa migliore era trovare un luogo dove potesse vivere facendo il letterato. Un’altra cosa a cui Tichomirov teneva molto era il fatto di rendere legale la sua unione e di dare il proprio cognome ai figli e anche questo rientrò nelle sue richieste a Durnovo.

Nel frattempo la situazione economica di Tichomirov cominciò a peggiorare, infatti, dopo la distribuzione dell’opuscolo il lavoro risultò essere sempre meno e con quello che guadagnava non riusciva a mantenere la famiglia. La mancanza di denaro era un grave problema per Tichomirov e ne parlava con crescente disperazione in tutte le pagine del suo diario.

Erano già passati due mesi dalla domanda di amnistia, ma ancora non aveva ricevuto nessuna risposta. Pensò che l’imperatore non voleva perdonarlo per punirlo di tutto ciò che aveva fatto durante la sua vita da rivoluzionario. Non sopportava di rimanere in Francia in quelle condizioni, voleva tornare con i suoi cari nella sua terra; l’unica soluzione che gli venne in mente fu quella di consegnarsi nelle mani dell’amministrazione russa, avrebbero mandato lui e la sua famiglia in Russia, Ekaterina e Aleksandr sarebbero andati da sua madre e lui sarebbe stato arrestato, ma questa rimase solo un’idea, forse Tichomirov aveva perso tutto il suo coraggio da rivoluzionario...

Intanto la stampa non dava tregua a Tichomirov: sui giornali "Liberté", "Gazette de France", "Soir" e "Pall-Mall Gazette" continuava la campagna contro di lui e anche i vecchi amici facevano di tutto per evitarlo, ma Tichomirov restò fermo sulle sue idee: il 4 novembre 1888 scrisse un’altra lettera al ministro degli Interni comunicandogli la sua posizione che lo presentava come un traditore nei confronti di tutta la colonia russa e manifestandogli il desiderio di poter esprimere i suoi sentimenti nei confronti dello zar e di tutto il popolo russo.

Dopo poco tempo, Aleksej Sergeevič Suvorin, noto giornalista, redattore-editore di "Novoe Vremja", scrisse a un amico di Tichomirov che nella relazione di Tolstoj circa la sua supplica si diceva che lo zar sarebbe stato "...molto contento di fare qualcosa per lui". Finalmente la risposta: il 10 dicembre Tichomirov venne convocato all’ambasciata dove gli fu reso noto che l’imperatore gli aveva concesso l’amnistia sotto una sorveglianza di cinque anni. Dopo sei anni passati in esilio Tichomirov era pronto a tornare in Russia, ma aveva ancora alcune richieste da fare e si decise a scrivere ancora una volta a Durnovo spiegandogli i suoi problemi; innanzitutto chiese il permesso per la moglie e il figlio di tornare insieme a lui ma, siccome il bambino non era ancora in salute e Tichomirov aveva bisogno di un po’ di tempo per mettere a posto i suoi affari e per finire il lavoro che aveva iniziato con la biblioteca pubblica, chiese a Durnovo se poteva aspettare fino alla primavera successiva per partire e infine gli domandò se poteva firmare tutti i suoi lavori perché voleva essere responsabile di tutto ciò che scriveva. Il 31 dicembre Tichomirov venne convocato al consolato per avere la risposta alle sue domande, gli venne comunicato che Ekaterina sarebbe stata registrata sul passaporto come sua moglie quindi non avrebbe avuto nessun problema legale a partire con lui e inoltre i suoi lavori li avrebbe potuti firmare solo nel momento in cui sarebbe stato in Russia, ma la partenza non avrebbe potuto essere rimandata alla primavera successiva.

Il 7 gennaio del 1889 Tichomirov partì dalla stazione di Parigi solo, senza moglie e figlio che lo avrebbero raggiunto in Russia più avanti, si fermò al Central Hotel di Berlino e alle undici di mattina del 20 gennaio Tichomirov era a Pietroburgo. Si riposò al Bol’šaja Severnaja Gostinica e il giorno dopo cominciò le sue visite: Suvorin, Durnovo, Pleve, autorità e politici e si incontrò persino con il ministro Tolstoj.

Il 10 febbraio Tichomirov lasciò Pietroburgo per Novorossijsk scontento del fatto che le pratiche per i documenti dei suoi figli andavano a rilento, in compenso era stato reso valido il matrimonio del 30 luglio del 1880 con Ekaterina Sergeevna. Il viaggio per Novorossijsk, dove vivevano la madre e le due figlie Nadia e Vera, fu piuttosto lungo e con diverse tappe: quattro giorni a Mosca, un giorno a Orël, due a Char’kov, uno a Rostov, uno a Tichoreck e due a Ekaterinodar.

A Novorossijsk il tempo per Tichomirov passava troppo lentamente, il lavoro era poco e il denaro, come a Parigi, scarseggiava; mandò alcuni articoli sugli emigranti a Suvorin ma questi non gli rispose; gli spedì ancora un suo lavoro intitolato Epoca tendenziosa del centro francese per il giornale "Istoričeskij Vestnik" ma Tichomirov era fermamente convinto che glielo avrebbero rifiutato poiché era di idee troppo moderne, infatti "Istoričeskij Vestnik" era una rivista di concetti conservatori. La redazione di "Moskovskie Vedomosti" invece voleva da Tichomirov solo le sue memorie e non i suoi articoli che non venivano stampati nonostante Tichomirov ve li spedisse.

Vedendo che gli affari andavano male Tichomirov iniziò a farsi prendere dall’ansia come quando era a Le Raincy. Non dormiva più di tre o quattro ore per notte, la paura di non riuscire ad affrontare la situazione, il fatto di non avere soldi e di non poterli chiedere alla madre che già stava mantenendo lui e le due bambine, lo fecero ammalare. Inoltre viveva nel continuo timore per Aleksandr e la moglie che erano ancora a Parigi, avrebbero dovuto partire alla metà di marzo ma a causa del maltempo Tichomirov aveva telegrafato di aspettare.

Finalmente la redazione di "Moskovskie Vedomosti" pubblicò un suo articolo, Qualche appunto sulla polemica degli emigrati ma nonostante questo la disperazione di Tichomirov gli faceva pensare che a trentotto anni la sua nuova vita era più vicina alla fine che all’inizio:

"Lavorare? Dove? Novoe Vremja evidentemente è cambiato, Moskovskie Vedomosti si aspetta da me ciò che non posso fare. Gli altri articoli non so se li pubblicheranno...Che vita sfortunata, che uomo fallito. E’ peccato mortale disperare... La fede non c’è. Chi mi può aiutare?".

 

L’8 maggio Aleksandr e Ekaterina arrivarono a Novorossijsk ma Tichomirov aveva già deciso di chiedere un trasferimento a Mosca o a Pietroburgo per trovare lavoro, infatti, dalle sue parole riusciamo a capire quanto fosse difficile la sua situazione, sia i liberali sia i radicali e i conservatori lo odiavano e rifiutavano ogni sua collaborazione. In questo modo la sua depressione aumentava, si considerava una persona fallita, un padre che a quarant’anni non aveva insegnato nulla di buono ai suoi figli, si sentiva un uomo che non era stato in grado di realizzare i suoi sogni, che non era stato capace e non lo sarebbe mai stato, di fare qualcosa per la società russa. A questo punto non faceva altro che piangere di se stesso, sosteneva di non avere abbastanza forza per pensare né a sé né agli altri. Nei momenti difficili trovava spesso le risposte nella Bibbia: è Dio che muove i fili del destino di ognuno, finché le persone fanno qualcosa di vero e giusto non muoiono. E allora perché, si domandava Tichomirov, Dio ha fatto in modo che lo zar Alessandro II andasse nella direzione del suo attentatore? Perché Dio gli ha dato questa punizione?

Lev Tichomirov

Alla fine del 1889 Tichomirov tirava le somme del suo primo anno passato in patria dopo l’esilio e lo considerò molto tormentato. Era soddisfatto per il fatto che ora la sua famiglia era unita, anche legalmente e che Aleksandr era stato battezzato; inoltre si sentiva più maturo e aveva conosciuto "lo spirito della verità", nonostante non fosse felice della sua situazione spirituale. Malgrado ciò era rimasto senza diritti come persona ed era molto dispiaciuto per questo perché era comunque fedele all’imperatore ed era disposto a esserlo per sempre. Il suo cruccio perenne era quello di essere continuamente senza denaro, senza lavoro e senza la possibilità di vivere una vita normale e la solitudine era uno dei suoi pesi maggiori anche se si trovava finalmente a casa dopo molto tempo passato all’estero.

Il 15 gennaio 1890 ricevette la lettera di I. N. Durnovo che gli spiegava che per il momento non avrebbe potuto lavorare per lo zar come desiderava poiché, essendo in libertà vigilata, nella sua situazione era impossibile. Prevedendo un risultato positivo, gli consigliò di scrivere direttamente all’imperatore stesso spiegando la sua posizione. Tichomirov accettò subito il suggerimento e il 30 gennaio scrisse la sua seconda supplica allo zar. Come nella prima lettera gli spiegò di aver rotto definitivamente con il passato già da tempo, di sapere qual è il suo compito di suddito e di padre di famiglia, ma con le restrizioni e la sorveglianza si trovava impossibilitato a vivere. Poteva lavorare come letterato ma solo con quello non poteva mantenere i suoi cari che continuavano a tirare avanti con la pensione di sua madre; le limitazioni che aveva non gli davano la possibilità di crescere come pubblicista, la sua situazione di sorveglianza lo obbligava a restare inattivo perché nessuno voleva pubblicare i suoi articoli. La sua preghiera era quella di avere il perdono, la fiducia e i diritti di un qualsiasi cittadino russo. Verso la fine di maggio, dalla lettera di un amico, venne a sapere che forse la sua proposta sarebbe stata rifiutata, infatti la sua situazione era troppo grave perché la pena dei cinque anni di sorveglianza fosse commutata; il 12 luglio, però, ebbe la buona notizia: era stato liberato dalla pena della sorveglianza.

Il 31 agosto Tichomirov partì per Mosca dove affittò un appartamento e dove la famiglia lo avrebbe raggiunto non appena si fosse messo a posto con il lavoro.

All’inizio del nuovo anno Tichomirov poteva considerarsi felice: era in Russia da due anni, la sua famiglia era unita e riusciva a mantenerla senza il bisogno di chiedere prestiti a nessuno, era libero e si sentiva membro del suo popolo e della sua chiesa.

Ormai i giorni tristi a Le Raincy erano solo un ricordo. Solo una cosa di quel periodo non lo aveva abbandonato: la sua crescente mania religiosa. Spiritualmente si considerava "il più piccolo tra i piccoli" ma sognava spesso "la legge di Dio" ed era convinto di dover fare qualcosa di grande per non rimanere tra i più piccoli. Incolpava le istituzioni e la sua situazione di non dargli la possibilità e la forza di far avverare il suo desiderio; sosteneva che non poteva fidarsi di nessuno, che non doveva essere sicuro di nessuna ricchezza perché "...ogni persona è falsa e ogni ricchezza è polvere". La sua ossessione religiosa gli faceva credere che doveva avere fiducia solo in Dio e che avere fede voleva dire poter conoscere la verità: si è poveri se non si sa veramente cos’è la verità, la verità è il nocciolo della vita.

Il 1891 fu quindi un anno senza particolari problemi nonostante il piccolo Aleksandr si fosse ammalato di difterite. Tichomirov, però, affrontò la malattia del figlio molto più serenamente rispetto a qualche anno prima; metteva tutto nelle mani di Dio, con la fede tutto si poteva sopportare, anche le disgrazie che sono strumenti del mestiere di Dio il quale pensa che per il bene degli uomini questi dispiaceri siano utili.

Per la sua amata Russia invece fu un anno da dimenticare. Il cattivo raccolto dell’estate del 1891 ebbe conseguenze disastrose su gran parte del paese, ventuno governatorati e due regioni furono colpiti da una carestia che ridusse alla fame più di quaranta milioni di contadini, senza contare poi le epidemie di tifo prima e di colera poi che decimarono la popolazione. Eppure solo qualche mese prima Alessandro III poteva festeggiare il decimo anno di regno considerando di aver portato a termine gran parte degli obiettivi che si era proposto. I benefici del progresso economico non erano avvertiti nelle campagne in cui la situazione restava particolarmente difficile, poiché i contadini risentivano in modo faticoso il peso del programma di industrializzazione. La carestia colpì dunque soprattutto quella fascia di popolazione. Tutta la società contribuì a creare iniziative di soccorso e la carestia del 1891, il tifo e il colera del 1892-93 spinsero migliaia di giovani, animati non solo da spirito umano ma anche dal desiderio rivoluzionario, ad andare nelle campagne mescolandosi tra i soccorritori. Questa seconda "andata nel popolo" fallì non tanto per la repressione della polizia quanto per la mancata partecipazione dei contadini. Si spense così la fiducia sulla rivoluzione contadina e l’attenzione dei giovani si rivolse agli operai delle città e delle zone industriali che sembravano sentire di più il significato della causa e tra i quali il sistema di propaganda aveva dato più risultati.

Nell’autunno del 1891 si formò a Pietroburgo il Gruppa narodovol’cev che era legato alla tradizione della Narodnaja volja ma agiva nell’ambiente operaio. Già all’inizio del 1892 avevano una tipografia clandestina che stampava due manifesti programmatici il cui testo era stato steso da N. M. Michajlovskij che aveva già collaborato nel 1881 a scrivere la lettera del Comitato esecutivo ad Alessandro III.

Il primo manifesto dichiarava che le condizioni delle campagne dovevano essere risanate dalla società e non dal governo e quindi occorreva convocare un’assemblea elettiva. Il secondo manifesto invitava tutti i vecchi rivoluzionari a riprendere la lotta, formando prima dei gruppi locali e poi unendosi in un’unica organizzazione nazionale. L’attività di questo gruppo si sviluppò notevolmente e, anche se nell’aprile del 1894 la polizia riuscì a scoprire la stamperia clandestina e ad arrestare molti dei dirigenti del gruppo, i superstiti decisero di continuare accentuando l’orientamento marxista che non mancherà nell’attività dei gruppi rivoluzionari che seguirono.

Tichomirov, ormai fedele al governo e allo zar, vedeva quei manifesti, così simili alla lettera scritta da lui pochi giorni dopo l’attentato ad Alessandro II, come oscenità, si dispiaceva che ci fossero giovani che non capivano quale fosse la giusta politica; era d’accordo con la polizia che si dava da fare per arrestare i rivoluzionari ed era convinto che bisognasse eliminare quelle persone che fomentavano gli studenti.

Come giornalista continuava ad avere un discreto successo e il lavoro non mancava. Presto diventò successore di Katkov alla direzione del "Moskovskie Vedomosti" la sua popolarità crebbe, poteva ormai ritenersi soddisfatto ma non lo era; vedeva la sua vita buia, nonostante la sua posizione, era sempre motivo di imbarazzo per il campo conservatore a causa del suo passato che non poteva essere dimenticato. Vedeva le istituzioni nelle quali egli credeva con fervore, l’autocrazia e la Chiesa ortodossa, e per le quali scriveva con la stessa passione con cui si era dedicato alla rivoluzione tempo prima, andare in decadimento poco a poco. Soffrì per la sconfitta della Russia contro il Giappone nel 1905 e affrontò il crollo del vecchio impero nel 1917 con rassegnazione. Vide creare da Lenin il partito che sognava, un partito che "rappresenti una forza reale, che sappia governare", quel partito che lui non era stato in grado di far nascere e far crescere. Fare qualcosa di grande era stato il suo sogno, ma forse il suo destino era quello di restare "il più piccolo tra i più piccoli". Appena ritornato in Russia si era chiesto:

"...cosa potrei fare io?... Non ho molte possibilità... Con persone più capaci sono riuscito a fare qualcosa ma da solo sono proprio uno zero".

 

Forse Lev Tichomirov è stato considerato da qualcuno uno zero, un traditore, nessuno dei suoi compagni riuscì a spiegare il suo comportamento, ma nonostante questo Vera Figner continuò a sostenere che Tichomirov non fu mai né un provocatore, né un traditore, non aveva mai ingannato i suoi compagni né tantomeno aveva consegnato i loro nomi alle autorità.

Nei giorni che seguirono l’Ottobre 1917, Tichomirov si ritirò come un eremita in un monastero dove morì nel 1923. Forse i suoi ultimi anni li trascorse rivedendo i momenti più significativi della sua vita, rimpiangendo il fatto di non aver realizzato i suoi sogni e non sapendo di aver comunque compiuto qualcosa di importante: essere entrato a far parte della storia.

 

 

Note:

  

1 L. TICHOMIROV, op. cit., pp. 274-275.

2 L. TICHOMIROV, op. cit., p. 280.

3 L. TICHOMIROV, op. cit., pp. 282-283.

4 L. TICHOMIROV, op. cit., p. 289.

5 Dagli Atti degli Apostoli ( 7, 10 ).

6 La tipografia di "Vestnik Narodnoj voli" a Ginevra era stata saccheggiata dagli agenti Bint e Mileski per ordine di Rockovskij, e da altri sconosciuti svizzeri nella notte tra il 20 e il 21 novembre 1886; tutto il resto venne distrutto. Dopo di ciò i narodovol’cy fecero ogni sforzo per ricostruire la tipografia e fecero uscire il n. 5 della rivista e i successivi numeri ma Rockovskij organizzò all’inizio del febbraio 1887 un secondo saccheggio che portò alla chiusura definitiva del giornale.

7 Non mancarono manifestazioni piuttosto gravi: nel 1883 a Pietroburgo venne chiuso l’Istituto di economia agraria e centosettanta studenti vennero espulsi; a Mosca nel 1884 centodieci universitari furono arrestati davanti alla redazione del giornale reazionario "Moskovskie Vedomosti" ma la dimostrazione che suscitò maggior clamore fu quella del 1886 a Mosca quando gli studenti decisero di commemorare il venticinquesimo anniversario della morte di N. A. Dobroljubov. Per maggiori informazioni vedi V. ZILLI, op. cit., pp. 75-76; sulla manifestazione del 1886 vedi M. A. BRAGINSKIJ, "Dobroljubovskaja" demonstracija 1886 goda, in Byloe, 1907, n.5, pp. 306-309 e L. TICHOMIROV, Vospominanija, cit., pp. 327-328.

8 Di tutti gli arrestati solo quindici furono giustiziati l’8 maggio 1887, tra questi Ul’janov, Generalov, Andrejuškin, Osipanov e Ševirev. I restanti furono condannati all’ergastolo o morirono ai katorga.

9 A quel tempo Vladimir Il’ič Ul’janov, noto più tardi come Lenin, era solo un diciassettenne che doveva ancora terminare le scuole nella lontana Simbirsk. La morte del fratello fece sì che la passione rivoluzionaria non si spegnesse in lui, lo ritroveremo sedici anni dopo a capo dei bolscevichi, con l’idea di un’organizzazione compatta di rivoluzionari di professione contro il governo di Nicola II.

10 L. TICHOMIROV, op. cit., p. 197.

11 Fedosia Vasil’evna Vandakurova era di origine siberiana ma stanca della vita di provincia si recò a studiare a Pietroburgo dove si introdusse nel mondo degli attivisti. Molto intelligente e fermamente convinta delle sue idee, fu una tra i promotori della celebrazione in memoria di Dobroljubov. A causa di quella manifestazione fu arrestata e mandata al confino al suo paese di origine ma da lì riuscì a trasferirsi a Kazan’ e procuratasi un passaporto fuggì a Parigi. Dopo aver frequentato per qualche anno i radicali a Parigi decise di rompere i rapporti con loro, si pentì della sua vita da rivoluzionario e ritornò in Russia dove fu perdonata dallo zar.

12 Le rivolte studentesche del novembre-dicembre 1887 avvennero per gli immediati provvedimenti governativi provocatori applicati nelle scuole superiori e nelle università dopo l’attentato del 1° marzo 1887. Questi provvedimenti si estesero negli istituti superiori di Mosca, Pietroburgo, Kazan’, Char’kov e Odessa.

13 La "protesta" fu stampata poco tempo dopo a Ginevra con il titolo Rivoluzione o evoluzione e firmata "I vecchi compagni di Tichomirov per attività e convinzioni". Lavrov controfirmò che gli autori di quell’opera erano i "veri vecchi norodovol’cy".

14 In questo opuscolo Tichomirov approfondisce la posizione finale già affrontata nella Prefazione di La Russie politique e sociale e rompe definitivamente con la rivoluzione. L’attività rivoluzionaria e l’osservazione del regime politico dell’Europa occidentale lo convincono che solo la Russia possiede una forma di governo stabile che assicura benessere e progresso. Questo regime, rappresentato dallo zar, bisogna sostenerlo e non comprometterlo. L’opuscolo fu ristampato in Russia nel 1895.

15 Questo è l'elenco delle persone e dei luoghi in cui Tichomirov spedì la sua brochure: 3 agosto: "Ekaterinburgskaja Nedelja" a Ekaterinburg, "Sibirskaja Gazeta" a Tomsk, "Vostočnoe Obozrenie" a Irkutsk; 4 agosto: "Volžskij Vestnik" a Kazan’, "Pravda", "Severnyj Vestnik" e "Novoe Vremja" a Pietroburgo, "Moskovskie Vedomosti" a Mosca, a G. P. Danilevskij a Pietroburgo, a Mme. Echen a Parigi, a Blank a Morneux, a Haeckelman a Clarens, a Lavrov, a Leonov e alla Biblioteca; 5 agosto: a Pavlovskij, a Marinkovič, a Čajkovskij, a Kristoforov, a Dobrozan, a Dragomanov, a Debagorij e alla Vandakurova; 6 agosto: a Moščenko; 7 agosto: a Pomeranc; 8 agosto: a Plheve; 9 agosto: a Kašinčev; 13 agosto: a Arkadaksij, a Voroncov-Daškov, a Pobedonošev e alla biblioteca pubblica di Pietroburgo; 14 agosto: a Svjaščennik, a Durnovo; 20 agosto: a Bach e a Klaran. Il 29 agosto Tichomirov spedì il suo opuscolo al "SPB Vedomosti", al giornale locale di Nizni-Novgorod e al "Ijužnogo Kraja" a Char’kov. Il 2 settembre scrisse a Karčev, il 13 a Pomeranc e il 18 dello stesso mese al fratello Vladimir, a Darzans e a Rafailovič; il 23 ottobre al "Novoe Vremja" a Kolomna; il 24 ottobre a Ol’ga Alekseevna Novikova e il 26 a Grafinja Tolstaja a Bad-Bad. Si può trovare questo elenco in L. TICHOMIROV, op. cit., pp. 230-231.

16 Vjačeslav Konstantinovič Pleve (1846-1904) fu dal 1881 al 1884 direttore del dipartimento di polizia, dal 1884 al 1893 fu assistente del ministro degli affari interni, mentre dal 1902 al 1904 fu ministro egli stesso.

17 Si può trovare la lettera di Tichomirov a Pleve in L. TICHOMIROV, op. cit., pp. 231-235. Fu pubblicata nel 1923 nel settimo numero di "Krasnoi Letopisi".

18 "Monsieur Tikhomirow est prié de vouloir bien se rendre, demain, 7 courant, vendredi, a deux heures, dans le cabinet du consul général de Russie, avec son projet de petition, afin d’y conférer, à ce sujet, avec le représantant du ministère Impérial de l’Intérieur". Lettera indirizzata a Tichomirov il 6 settembre 1888. L. TICHOMIROV, op. cit., p. 379.

19 La lettera di supplica di Tichomirov allo zar Alessandro III si trova nelle sue memorie alle pp. 240-251.

20 La lettera di Tichomirov a P. N. Durnovo si trova nelle sue memorie alle pp. 251-254.

21 Per la lettera al ministro degli interni vedi L. TICHOMIROV, op. cit., p. 262.

22 Per la seconda lettera di Tichomirov a Durnovo vedi L. TICHOMIROV, op. cit., pp. 265-266.

23 "Istoričeskij Vestnik" era un giornale storico-letterario molto conosciuto. Fu creato nel 1880 da A. S. Suvorin e in seguito i suoi eredi furono S. N. Zubinski e poi B. B. Glinski. La rivista chiuse nel 1917.

24 L. TICHOMIROV: op. cit., p. 349.

25 La seconda lettera di Tichomirov allo zar Alessandro III si trova nelle sue memorie alle pp. 376-379.

26 L. TICHOMIROV, op. cit., p. 391.

27 Si veda G. V. PLECHANOV, Vserossijskoe ražorenie [La devastazione di tutta la Russia], in Sočinenija, III, Mosca-Pietroburgo, 1923, p. 310.

28 In questi dieci anni di regno la Russia aveva avuto un notevole sviluppo economico sia per quanto riguardava l’industria sia per la produzione agricola. La produzione industriale aveva avuto un incremento del 36%, mentre nell’agricoltura si ebbe un considerevole aumento soprattutto nella coltivazione dei cereali. Anche la rete ferroviaria crebbe in estensione, dando così la possibilità di facilitare gli scambi economici da regione a regione. Per un maggior approfondimento, vedi GERSCHENKRON La continuità storica in "Rivista Storica Italiana", LXXI, 1959, fasc. II, p. 245.

29 Primo tra tutti a intervenire fu il conte Lev N. Tolstoj, che con la sua lettera al "Daily Telegraph" ebbe un’eco notevole in tutta Europa dalla quale arrivarono numerose e cospicue offerte. Anche Tichomirov era in contatto con Tolstoj e con la moglie. Il "Moskovskie Vedomosti", dove Tichomirov lavorava, pubblicò la lettera di Tolstoj nonostante il divieto del governo di far uscire articoli che parlassero di carestia.

30 V. ZILLI, op. cit., p. 240. Per le caratteristiche del Gruppo, vedi le memorie di un suo membro: M. N. ALEKSANDROV, Gruppa narodovol’cev, in Byloe, 1906, n. 11, pp. 1-27.

31 L. TICHOMIROV, op. cit., p. 380.

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