APPUNTI DI TEOLOGIA DOGMATICA

 

 

 

 

“DE GRATIA”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

S.T.A.B. Anno accademico 1997-98

Redattore Gabriele Davalli

1. LA GRAZIA NELLA SCRITTURA E NEL MAGISTERO.....................................................

1.1. La grazia nell’Antico Testamento..........................................................................

1.2. La grazia nel Nuovo Testamento.............................................................................

In Paolo:........................................................................................................................................

In Ebrei:.........................................................................................................................................

In Giovanni:..................................................................................................................................

Conclusioni sul concetto di grazia nel Nuovo Testamento...........................................................

1.4. La teologia della grazia nel pensiero occidentale.....................................

1.4.1. Pelagio e Agostino...............................................................................................................

1.4.2. Il semi pelagianesimo........................................................................................................

1.4.2.a. Indiculus Celestinii........................................................................................................

1.2.4. b. 2° sinodo di Orange (3 luglio 529)...............................................................................

1.5 La concezione della grazia nella Scolastica................................................

1.6 La Riforma protestante, il Concilio di Trento e la teologia della grazia post tridentina..................................................................................................................................

1.6.1 Lutero e il Concilio di Trento.............................................................................................

1.6.2. La teologia post tridentina................................................................................................

1.7 Il rinnovamento della teologia della grazia................................................

1.7.1 Recupero della dimensione trinitaria..................................................................................

1.7.2. Recupero della dimensione ecclesiale della grazia............................................................

1.7.3. Il rinnovamento soprannaturale........................................................................................

Cenni storici..............................................................................................................................

Tommaso..................................................................................................................................

Natura pura...............................................................................................................................

Rahner......................................................................................................................................

Henri de Lubac.........................................................................................................................

Quattro tesi conclusive sul soprannaturale.................................................................................

2. LA GRAZIA COME GIUSTIFICAZIONE..............................................................................

2.1. La giustizia di Dio nella Scrittura........................................................................

2.1.1 Nell’Antico Testamento......................................................................................................

2.1.2 In San Paolo.......................................................................................................................

La lettera di Giacomo.................................................................................................................

2.1.3 La giustizia di Dio e la giustificazione nella Riforma..............................

Legge-Vangelo. Antropologia negativa......................................................................................

Sviluppo del tema della giustificazione secondo Lutero..............................................................

2.3 La giustificazione nel Concilio di Trento..........................................................

2.4 Considerazioni finali sulla giustificazione....................................................

3. LA GRAZIA COME FILIAZIONE DIVINA...........................................................................

3.1 Lo Spirito Santo discende su Gesù ed è comunicato agli uomini...........

3.2 La relazione del giustificato con le tre persone divine...........................

3.3 La filiazione divina come pienezza dell’essere personale........................

3.4 La dimensione comunitaria della filiazione divina.....................................

4. LA GRAZIA COME NUOVA CREAZIONE...........................................................................

4.1. Nel Nuovo Testamento................................................................................................

4.2.1 Grazia come libertà............................................................................................................

La grazia come liberazione da....................................................................................................

La grazia come libertà per..........................................................................................................

4.2.2 La crescita nella grazia......................................................................................................

4.2.3 La dimensione escatologica della grazia............................................................................

 


 

DE GRATIA

 

Il corso sulla Grazia e quello sulla Creazione formano quella che viene chiamata l’antropologia teologica, ossia quella parte di teologia che si occupa di capire chi è l’uomo: la classica suddivisione è la seguente:

·      protologia “De Deo creante et elevante”

·      la grazia “De Gratia”

·      l’escatologia.

 

La protologia:

C’è un rapporto strettissimo fra l’azione creante e quella della salvezza; esse si possono distinguere, ma sono intimamente connesse. Creare per Dio  non significa solo “creare della materia”, ma significa scrivere la prima pagina della storia della salvezza. Gesù Cristo, centro di tutta la storia della salvezza, ha un rapporto essenziale con la creazione e con il suo compimento. Leggiamo infatti in Col 1,16

Per mezzo di lui sono state create tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili: Troni, Dominazioni, Principati e Potestà. Tutte le cose sono state creata per mezzo di lui ed in vista di lui.

 

o(/ti e)n au)t%= e)kti/sqh ta\ pa/nta e)n toi=j kai\ e)pi\ th=j gh=j, ta\ o(rata\ kai\ ta\ a)o/rata, ei)/te qro/noi ei)/te kurio/thtej ei)/te a)rxai\ ei)/te e)cousi/ai: ta\ pa/nta di' au)tou= kai\ ei)j au)to\n e)/ktistai:

Cristo ha quindi un ruolo centrale all’interno sia della creazione che della redenzione, e questo permette d’avere una visione unificante della storia delle creature.

Facendo riferimento al testo di Ef 1, vediamo che Paolo parla della Grazia: Dio nella sua benevolenza (eu/doki/a) ha riversato sull’uomo in abbondanza la Grazia e ci ha fatto conoscere nel tempo il mistero della Sua volontà, volontà che si trovava già nell’ante-tempus. Nell’ante-tempus Cristo era già esistente, prima dell’esistenza delle creature. Questo beneplacito di Dio è concepito in vista dell’economia del tempo, della successione di tempi.

Ante-tempus ---- benevolenza in Lui

Tempo ---- economia in vista di Cristo

Si ha quindi una unificazione diacronica; i vari momenti della storia sono attuazione dell’eudokia di Dio; ogni tappa della storia della salvezza è presupposto per quella seguente, illuminandola e chiarificandola.

Si ha anche una unificazione sincronica dato che Cristo è messo in rapporto con la totalità delle creature; non solo l’uomo fa riferimento a Cristo, ma tutta la creazione. La creazione non rappresenta uno scenario passivo nel quale si colloca l’uomo, ma esiste una comunione intrinseca fra la creazione e l’uomo.

 

Nella passione morte e risurrezione di Gesù all’uomo è rivelato il compimento futuro: il Cristo risorto è l’anticipazione del compimento, e l’uomo ha un’anticipazione, una caparra di questo compimento. Con la Pasqua abbiamo un compimento nuovo, una novità radicale.

Ci si chiede in quale rapporto stiano la grazia delle origini con la grazia dell’evento pasquale: possiamo dire che esiste una novità all’interno della continuità. La grazia è effusa in relazione al peccato dell’uomo (Dove abbondò il peccato sovrabbondò la grazia); all’uomo è data la possibilità di un nuovo inizio che però si colloca all’interno della fedeltà a Dio, al suo disegno originario. La vocazione dell’uomo è stata fin dall’inizio d’essere in Cristo, quindi anche la grazia delle origini era già una grazia di Cristo. Con Cristo però la novità fondamentale è che la grazia è data in modo sovrabbondante (Rm 5,15-21).


 

1. LA GRAZIA NELLA SCRITTURA E NEL MAGISTERO

 

1.1. La grazia nell’Antico Testamento

Il termine grazia è specificatamente cristiano e lo troviamo nel nuovo testamento nel quale riassume l’agire salvifico ed è solo con Paolo che il termine assume un valore tecnico.

Nell’Antico Testamento ci sono cinque termini che riferiscono la realtà della grazia:

1. hen / hannah: indica il favore al quale non si ha diritto; lo si può invocare ma non ha diritto di riceverlo. Si può trovare favore presso qualcuno. In Genesi 6,8 Noè trova hen (grazia) agli occhi del Signore. In Es 33,12.16 Mosè riconosce d’aver trovato grazia (hen) presso il Signore.

Questi termini indicano anche il favore che un uomo può trovare presso un altro uomo: 1Sam 16,22 Davide trova grazia presso Saul.

Questi termini sono applicati anche all’orante che invoca il favore di Dio: Sal 4,2 (pietà di me Signore letteralmente sarebbe abbi di me favore).

Nella LXX il termine hen viene spesso tradotto con xarij.

2. Esed (in greco tradotto e)/leoj). Talvolta ha lo stesso significato di hen, oppure la grazia concessa da un uomo ad un altro uomo: il popolo di Israele trova esed davanti al re Esd 7,28 “Ha volto verso da me la benevolenza del re, dei suoi consiglieri e di tutti i potenti principi reali”.

Il termine Esed indica il vincolo che intercorre fra coloro che sono legati da un vincolo reciproco: vincolo fra famigliari (Gen 20,13: “Allora, quando Dio mi ha fatto errare lungi dalla casa di mio padre, io le dissi: Questo è il favore che tu mi farai: in ogni luogo dove noi arriveremo dirai a me: è mio fratello”; Gen 24,49), fra ospiti (Gs 2,12), nei confronti degli alleati (1Sam 2,8).

Il termine Esed qualifica anche la fedeltà di Dio alla sua alleanza: Dt 7,9: Riconoscete che il Signore vostro Dio è Dio, il Dio fedele, che mantiene la sua alleanza e benevolenza per mille generazioni, con coloro che l’amano e osservano i suoi comandamenti.

Il termine esed ricorre anche nei salmi: gli effetti della esed si estendono qui a tutte le creature: Sal 33,5 (della esed -tradotto con grazia- di Dio è piena tutta la terra). Nei salmi esed significa anche bontà, come nel salmo 32,10 e nel salmo 136 (il ritornello di questo salmo potrebbe essere tradotto: perché eterna è la sua bontà, la sua esed).

La fedeltà di Dio all’alleanza non è mai riconducibile ad un obbligo o a dei doveri: l’esed di Dio nei confronto dell’uomo è sempre maggiore a qualsiasi aspettativa dell’uomo stesso; Dio non solo osserva la sua alleanza, ma va al di là dell’alleanza stessa, superandola.

3. Zedek (traducibile con giustizia di Dio): esprime il rimanere fedele all’alleanza anche di fronte alle infedeltà dell’uomo: Is 45,8 (Stillate cieli dall’alto e le nubi facciano piovere la giustizia; si apra la terra e produca la salvezza e germogli insieme la giustizia) Is 51,6.

4. Rahamim / rehem: sono rapporti che esprimono relazioni molto forti fra uomini, rapporti viscerali (letteralmente: viscere e grembo materno). Is 49,15: Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere?

Anche in riferimento a Dio rimane questa connotazione fortemente affettiva: Nel Sal 51,3 troviamo in sequenza tutti i concetti visti fino a questo momento: Pietà di me o Dio (hannn di me), secondo la tua misericordia (secondo la tua esed) nella tua grande bontà (nelle tue grandi rahamim) cancella il mio peccato.

La dimensione del rahamim completa con una connotazione affettiva quello che era già espresso da esed.

5. Emet (spesso tradotto nella LXX con pistij): indica la solidità di Dio; l’uomo si può affidare a Lui  poiché Egli è stabile, non muta il suo atteggiamento nei confronti dell’uomo.

Il termine emet è spesso accoppiato al termine esed, come in Es 34,6:  Dio ricco di grazia e fedeltà.

 

FACCIAMO ALCUNE CONSIDERAZIONI D’INSIEME SUL CONCETTO DI GRAZIA NELL’AT:

¨    Nell’AT la grazia è tutta dalla parte di Dio, è un suo atteggiamento nei confronti dell’uomo, ma è Dio il solo protagonista, e soggetto.

¨    La grazia vale solo per il popolo dell’alleanza: per il singolo individuo vale solo nella misura in cui egli appartiene al popolo dell’alleanza. Il popolo è come il “domino” della grazia.

¨    I doni di grazia non riguardano solo le realtà spirituali, ma anche i beni materiali.

¨    C’è un aspetto formale importante della grazia: essa è, “per definizione”, gratuita, è un dono e proviene dalla libera iniziativa di benevolenza di Dio. Questa benevolenza non è assolutamente dovuta e va al di là di ogni aspettativa dell’uomo. Sotto questo aspetto formale, tutti i termini considerati, possono essere visti come sinonimi. In Dt 7,7 appare molto chiaramente come la scelta del popolo da parte di Dio non risieda in una qualità del popolo stesso, ma in Dio: questa “preferenza” di Dio è la grazia.

¨    La grazia non evoca solo i benefici che Dio elargisce al popolo, ma indica anche la salvezza offerta al popolo che è decaduto dalla sua fedeltà: nella grazia è dunque contenuta anche la dimensione del giudizio e del perdono dei peccati.

 

1.2. La grazia nel Nuovo Testamento

In Paolo il termine xa/rij assume un grande spessore teologico ed ha lo scopo di descrivere ciò che è avvenuto in Gesù Cristo.

Mc e Mt non usano il termine xa/rij: da questo fatto si capisce che il concetto di xa/rij può essere espresso anche in altri modi.

In Gv è presente solo tre volte e in Lc e At poche volte.

In Paolo:

Xa/rij esprime la struttura formale della salvezza operata da Cristo: la salvezza viene data gratuitamente, per un atto di favore di Dio e l’uomo non la può assolutamente meritare. Testi importanti sono: Rm 3,23-24: tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, ma sono giustificati per dono (dwrea\n) per la sua grazia. Rm 11,6: siamo giustificati solo per la grazia, e la grazia è grazia, proprio perché è gratuita.

In questa visione l’uomo è sostanzialmente colui che riceve il dono, e l’uomo giustificato è colui che si  oppone all’uomo che invece vuole produrre la salvezza con le proprie mani.

Xa/rij indica anche il contenuto della salvezza  e riassume i diversi contenuti e aspetti della salvezza; per esempio 2 Cor 6,1.

Essere nella grazia significa entrare in un nuovo spazio, in un nuovo ambito spaziale: Rm 5,2-1: attraverso la fede abbiamo ottenuto di accedere alla grazia nella quale ci troviamo. (di' ou(= kai\ th\n prosagwgh\n e)sxh/kamen [tv= ei)j th\n xa/rin tau/thn e)n v(= e(sth/kamen kai\ kauxw/meqa e)p' e)lpi/di th=j do/chj tou= qeou=.) La vita nella grazia viene vista come un ingresso nella grazia, e come un stare nella grazia. Con la redenzione è come se l’uomo facesse “trasloco” in una nuova domus  con un nuovo dominus. L’aspetto concreto di questo nuovo stare è il fatto che l’uomo non è più soggetto alla legge (Gal 5,14), ma si fa guidare dalla legge dello Spirito.

Xa/rij ha anche un significato antropologico: si tratta dell’aspetto più nuovo ed innovativo della teologia di Paolo a questo riguardo. La grazia riguarda anche l’uomo, e non più, come nell’AT nel quale la grazia era a completo appannaggio di Dio. La grazia ora tocca l’uomo nel suo essere e nel suo agire (2Cor 12,9, Rm 15,15). Da questo punto di vista la nozione di xa/rij è molto vicina, e non solo dal punto di vista  etimologico a xa/risma.

I carismi sono doni in vista di un’azione da compiere e conferiscono all’uomo una capacità operativa per l’utilità comune, pur non essendo necessari alla salvezza (non sono né talenti naturali né virtù, ma doni straordinari fatti da Dio); si capisce allora la valenza antropologica della grazia.

Sottolineiamo ancora che i carismi pur essendo grazie speciali, non sono necessari alla salvezza, mentre la grazia è indispensabile per la salvezza di tutti gli uomini.

In Ef 4,7 i due termini, grazia e carisma, sono messi in strettissimo rapporto, quasi sinonimi.

 

In Ebrei:

Troviamo una forte sottolineatura cristologica della grazia. Eb 4,14-16: Cristo intercede per noi presso il Padre, affinché possiamo avere accesso alla comunione con Dio.

 

In Giovanni:

Esprime l’evento della grazia con il termine vita (zwh); bisogna allora vedere quale rapporto intercorre fra la grazia e la vita. Nel Prologo v.14.16 troviamo un accostamento fra grazia e verità che può essere messo in parallelo con il frequente abbinamento esed e emet nell’Antico Testamento.

Secondo il v.4 in Gesù Cristo c’è la vita. Accostando i due termini, grazia e vita, possiamo capire come in Cristo sia presente una pienezza che viene comunicata agli uomini; infatti la grazia è la vita divina partecipata agli uomini attraverso Gesù Cristo; Egli è la vita, la vita che si dona, la vita eterna, poiché è donata dall’alto, cioè viene da Dio (v.13; Gv 3,5-6).

La grazia è quindi l’autocomunicazione di Dio (Uno e Trino) sia nell’uomo che nel creato.

 

Conclusioni sul concetto di grazia nel Nuovo Testamento

1. Il punto centrale da mettere in evidenza è l’aspetto formale della grazia che emerge dal Nuovo Testamento: la grazia non è il primo luogo qualcosa che è posseduto dall’uomo, bensì un’iniziativa di Dio, fonte di salvezza. La grazia è l’agire grazioso di Dio nei confronti dell’uomo, l’uomo non può far altro che ricevere il dono.

2. La grazia è anche la gratia Chisti,  la salvezza che ci raggiunge in Cristo, il perdono dei peccati attraverso la sua morte e risurrezione.

La grazia è anche la stessa persona di Cristo, infatti con la grazia partecipiamo alla Sua vita nel Padre.

3. La grazia è da intendere come la sfera dalla salvezza, un ambito nel quale entriamo: l’uomo è come “traslocato” nella sfera della salvezza. L’uomo partecipa a questa azione tramite la sua fede; sono da escludere quindi ogni azione magica e automatiche.

Nella grazia per il Nuovo Testamento non esistono confini sociologici, come invece esistevano per l’Antico Testamento, dove la grazia era solo per il popolo eletto.

La grazia è come il campo di forza che orienta la vita del credente in Cristo.

 

1.3. La teologia della grazia nei padri greci

Nei primi secoli non troviamo una vera e propria teologia della grazia; essa si sviluppa in occidente soprattutto sotto l’influsso di Sant’Agostino. Un altro momento importante in occidente per la riflessione sulla grazia è il concilio di Trento e nel ‘600 la controversia “De Auxiliis” (Giansenio).

La teologia orientale si muove nell’alveo della riflessione biblica che considera la grazia come l’agire di Dio; in occidente invece si dà maggior peso alla grazia intesa come realtà creata nell’uomo (aspetto antropologico).

VEDI CAPITOLO 4° DI GRESHAKE. LIBERTA’ DONATA PG.32

 

Nella patrologia greca è molto presente l’idea della divinizzazione dell’uomo (qeosij ; qeopoihsij) con la quale viene fortemente evidenziato il rapporto fra Dio e l’uomo.

Un primo aspetto importante di questa divinizzazione dell’uomo risiede nel fatto che l’uomo è creato a immagine e somiglianza di Dio, ossia nell’uomo c’è un riferimento originario a Dio.

Questo tema porta in sé un forte carattere dinamico nella concezione dell’uomo, tipico della visione orientale. L’uomo è stato creato ad immagine di Dio, quindi ha in sé un riferimento alla divinità, e a partire da questo riferimento inscritto in sé, l’uomo deve arrivare, tramite un cammino, un processo, alla piena somiglianza con il modello originario.

Per esempio Clemente Alessandrino nel suo Protreptico (XII,120,4) afferma:

Voi fin dall’inizio immagini, voglio conformarvi con l’archetipo in modo che diventiate simili a me.

Parlando di divinizzazione bisogna allontanare un equivoco: divinizzazione non vuol dire che l’uomo cessa d’essere uomo e che abbandona la propria umanità, ma significa che raggiunge la pienezza della sua stessa umanità dato che si avvicina all’archetipo.

Questo dinamismo di tensione è trinitario: esso infatti riguarda il Padre e il Figlio, poiché  il Figlio è inviato da Padre: Dio si avvicina all’uomo inviando il Suo Figlio affinché l’uomo possa essere innalzato. Questo dinamismo è anche noto come teologia dello scambio: se l’uomo diventa Dio è perché Dio si è fatto uomo.

A titolo d’esempio vediamo cosa dice Ireneo nell’opera Adversus Haereses.

Infatti non potevamo ricevere altrimenti l’incorruttibilità e l’immortalità se non unendoci all’incorruttibilità e all’immortalità. Ora come avremmo potuto unirci all’incorruttibilità e all’immortalità, se prima l’incorruttibilità e l’immortalità non fosse divenuta ciò che siamo noi, affinché ciò che era corruttibile fosse assorbito dall’incorruttibilità e ciò che era mortale dall’immortalità, affinché ricevessimo l’adozione filiale? (III, 19,1).

 

Ora chi altro potrebbe essere superiore all’uomo, che fu creato a somiglianza di Dio, se non il Figlio di Dio, a somiglianza del quale l’uomo è stato creato? Per questo alla  fine il Figlio di Dio, mostrò la somiglianza, divenendo uomo, prendendo su di sé l’antica opera plasmata, come abbiamo dimostrato. (IV, 33,4)

Si capisce bene come al centro di questa teologia dello scambio ci sia l’incarnazione.

Anche lo Spirito Santo ha un ruolo centrale: lo Spirito scende verso l’uomo, e non solo nel Figlio: lo Spirito scendendo su Gesù “si apre la strada” per scendere su tutti gli uomini.

A proposito del battesimo, [...] è il Verbo di Dio, il Salvatore di tutti e Signore del cielo e della terra, che è Gesù, il quale, dopo aver preso carne ed essere stato consacrato dal Padre nello spirito, divenne Gesù Cristo. [...] Dunque in Lui discese lo Spirito di Dio - lo Spirito di Colui che per mezzo dei profeti aveva promesso di consacrarlo - affinché noi, partecipando dell’abbondanza di quella consacrazione, fossimo salvati. (III, 9,3)

 

Appunto per questo discese anche sul Figlio di Dio, divenuto figlio dell’uomo: con lui si abituava ad abitare nel genere umano e a riposare sugli uomini e ad abitare nella creatura di Dio: realizzava in essi la volontà di Dio e li rinnovava facendoli passare dall’antichità alla novità di Cristo. (III,17,2)

Lo Spirito Santo si “abitua” a riposare sull’uomo: è un’immagine molto bella che indica quanto Dio prenda sul serio l’uomo.

Questa tematica legata alla dimensione dello Spirito sarà molto importante a partire dal IV secolo quando si discuterà sul problema della divinità dello Spirito: se lo Spirito dà la divinizzazione, anch’esso è Dio. Si veda per esempio la riflessione di San Basilio nel De Spiritu Sancto (9,23): Lo Spirito ci fa diventare dèi.

 

Il movimento trinitario discendente porta all’ascesa dell’uomo, infatti egli, per merito della grazia comunicata, può conformarsi alla somiglianza con Dio e giungere al compimento per il quale è stato creato.

Anche l’ascesa dell’uomo, la sua salvezza ha un carattere trinitario:

Lo Spirito prepara in precedenza l’uomo per il Figlio di Dio, il Figlio lo conduce al Padre e il Padre gli dà l’incorruttibilità per la vita eterna che tocca a ciascuno per il fatto di vedere Dio. (IV, 20,5)

 

FACCIAMO ALCUNE CONSIDERAZIONI D’INSIEME SUI PADRI GRECI.

1. L’iniziativa della grazia spetta sempre a Dio: è Dio il primo protagonista della storia della salvezza e si può dire che Egli sia un po’ come il pedagogo dell’uomo; l’uomo è condotto alla piena maturità, all’età adulta. Questa pedagogia divina permette di dare uno sguardo profondamente unitario a tutta la storia della salvezza, nella quale Dio  rappresenta sia l’origine che il fine ultimo; la stessa centralità può essere vista per l’uomo che è creato in vista della comunione con Dio; Dio rappresenta la vera determinazione dell’uomo, cioè ciò per cui l’uomo è stato creato.

Quest’iniziativa ha sempre la caratteristica del dono libero di Dio nei confronti dell’uomo, e quindi della grazia.

2. Parlare di scambio delle nature ci si vuole riferire alla partecipazione dell’uomo alla filiazione divina; essere divinizzati significa essere condotti al Padre come figli.

 

1.4. La teologia della grazia nel pensiero occidentale

Mentre nel pensiero greco tutta l’attenzione era posta sull’azione di Dio verso l’uomo, di Dio visto come pedagogo, nel pensiero occidentale la prospettiva è maggiormente spostata sull’uomo: si vuole riflettere su ciò che l’uomo può e deve compiere nel processo di salvezza.

 

1.4.1. Pelagio e Agostino

PELAGIO è un monaco irlandese la cui attività è testimoniata a Roma verso il 400; era molto dedito alla cura delle anime e all’insegnamento della ascesi. Quando la sua dottrina comincia ad essere contestata a Roma fugge in Africa e poi in Palestina. Nel 415 alcuni sinodi locali orientali accolgono positivamente la sua dottrina, ma nel 417 papa Innocenzo I la condanna, come anche nel 418 papa Zosimo.

Contesto ecclesiale del V secolo: Con le leggi imperiali del IV secolo la religione cristiana diviene religione di Stato; a Roma ormai il paganesimo è del tutto estinto e si verificano grandi conversioni di massa (derivate anche da un certo opportunismo). Questa nuova situazione portò ad un degrado della vita cristiana, ad un cristianesimo scarsamente ascetico. Pelagio in questo contesto è convinto di poter riportare il cristianesimo alla sua dimensione di sforzo e di impegno da parte dell’uomo.

Antropologia di Pelagio: Il punto di partenza fondamentale è che l’uomo è stato creato ad immagine di Dio; Dio ha dato all’uomo l’inclinazione fondamentale verso il bene e la libertà per compiere ciò che Dio stesso comanda di fare. Se è vero che il peccato è arrivato a toccare la libertà dell’uomo, è altrettanto vero che l’uomo rimane libero di fare delle scelte anche dopo il peccato: l’uomo rimane comunque capace di aderire a Dio e questa capacità tipica dell’uomo è detta da Pelagio, Grazia. La grazia sarebbe allora la capacità che per natura appartiene all’uomo di compiere ciò che Dio comanda.

Pelagio sostenendo questa tesi si oppone al manicheismo (vede la realtà dominata da due principi contrapposti, il bene e il male, presenti fin dalla creazione) che arrivava a concepire un vero e proprio fatalismo poiché l’uomo era spinto inevitabilmente verso il male, rendendo vano ogni appello alla libertà umana di determinarsi.

Anche dopo che il peccato è entrato nel mondo e nell’uomo, Dio ha continuato a venire incontro all’uomo in vari modi:

·      innanzitutto con la legge, ossia con quella via da seguire tramite la quale è possibile vincere il male. Pelagio chiama la legge grazia,

·      l’incarnazione della Parola, la persona di Cristo rappresenta l’altra grazia concessa da Dio.

La capacità di fare il bene o il male dipende allora, secondo Pelagio, interamente dall’uomo e dalla sua libertà, dato che Dio ha concesso all’uomo la grazia, ossia tutte quelle condizioni favorevoli (essere creati ad immagine di Dio, la legge, Cristo) per fare il bene.

Si capisce che i cristiani sono molto avvantaggiati rispetto agli altri uomini che non possono scegliere il bene con la stessa facilità poiché non hanno la ricchezza di grazie dei cristiani; tuttavia anche i non cristiani possono compiere il bene in forza della grazia derivata dall’essere creati, in quanto uomini, ad immagine di Dio.

Questa grande insistenza sulla libertà dell’uomo nello scegliere e di conseguenza sul libero arbitrio dell’uomo, spiega l’accento così forte sull’ascesi personale nella vita cristiana.

 

Problemi che insorgono nella dottrina pelagiana:

a)    L’azione di Dio nei confronti dell’uomo è presentata da Pelagio come qualcosa di esterno all’uomo, come uno stimolo esteriore: Cristo è un esempio da seguire, la legge un insegnamento. La grazia sarebbe ridotta ad una serie di condizioni esteriori grazie alle quali è più facile compiere il bene. Invece san Paolo ci parla della presenza di Cristo e di Dio nell’uomo, e non solo di una presenza esterna.

b)   La salvezza del’uomo sembra si riduca al fare il bene, e viene esclusa la dimensione della comunione con Dio.

c)    Si innesca il problema di distinguere tra l’azione di Dio e quella dell’uomo: Dio pone le condizioni favorevoli (grazia) affinché l’uomo possa, con un atto autonomo, decidersi per il bene o per il male.

 

AGOSTINO: Dalla sua personale travagliata esperienza umana Agostino conosce l’inclinazione naturale dell’uomo verso il male: l’uomo è incapace di compiere il bene. Se Pelagio aveva insistito sulla dimensione esterna della grazia, Agostino invece sottolinea il carattere dell’interiorità. È nell’intimo dell’uomo che deve accadere qualcosa di importante e significativo per la propria esistenza: quest’avvenimento è l’effetto della grazia, cioè la liberazione dell’uomo dalla schiavitù del peccato. Solo Cristo può liberare l’uomo (Gal 2.20: è Cristo che vive in me). Per Agostino la grazia è sopra, è più importante della libertà dell’uomo: senza la grazia l’uomo non può vivere al di fuori del peccato; in questo Agostino si oppone a Pelagio dato che quest’ultimo sosteneva che anche i gentili potevano fare il bene.

La grazia per Agostino ha due caratteristiche:

·     È una grazia sanante, medicinale che guarisce dal peccato.

·     È una grazia auditorium (aiuto) affinché l’uomo possa compiere il bene. L’uomo non può fare il bene senza la grazia, ed è un aiuto necessario in ogni momento dato che anche il giusto ne ha bisogno.

·     La grazia è identificata con la presenza di Dio nell’uomo: Dio attrae a sé l’uomo.

Si pone il grande problema del libero arbitrio dell’uomo: Pelagio esaltava la libertà dell’uomo; egli si trovò in contrasto aperto con Agostino, infatti nell’opera De Dono Perseverantie (XX,53) Agostino afferma che l’espressione “Dà ciò che ordini, ordina ciò che vuoi” non era assolutamente accettata da Pelagio il quale vi vedeva il totale misconoscimento della libertà dell’uomo.

È da sottolineare però che Agostino non intende assolutamente distruggere il libero arbitrio dell’uomo, anzi, secondo lui, la grazia non fa altro che consolidare la libertà dell’uomo. Appunto perché la grazia è sanante, essa libera l’uomo dalla schiavitù del male, dalla sua inclinazione negativa al male. In questo modo si potrà affermare che la più grande manifestazione della libertà dell’uomo consiste nella sua capacità di vincere il male e di lasciarsi attrarre dal bene.

L’uomo giustificato non può vantarsi di nulla, dato che la salvezza è un dono, ma è anche vero che il bene che l’uomo riesce a fare gli sarà computato come merito; in altre parole facciamo il bene grazie ad un dono immeritato, ma questo bene diviene un nostro merito.

Eius miseratione bona operamur quibus corona redditur” (De Gratia et libero arbitrio, 8,21)

Alcune considerazioni sul tema della predestinazione: questo tema non sembra essere uno dei temi caratteristici di Agostino (i temi veramente tipici sono tre: in Adamo tutti gli uomini hanno peccato; la grazia è gratuita e non ottenibile per i meriti dell’uomo; l’uomo deve sempre chiedere perdono per i propri peccati).

Considerazioni di Trappé sulla predestinazione.

 

Nel De dono perseverantie 2,4 espone i tre punti fondamentali della chiesa cattolica contro i pelagiani:

·      La grazia non è data per i nostri meriti, ma è un dono gratuito; anche i meriti che l’uomo può avere sono dei doni.

·      Nessuno può vivere senza commettere alcuna forma di peccato e anche chi è santo si riconosce bisognoso del dono di grazia.

·      Ogni individuo nasce colpevole del peccato del primo uomo (peccato originale).

 

Da queste considerazioni si capisce come il problema riguardo alla grazia stia divenendo del come avviene la salvezza; nella scrittura e nei primi padri la grazia era la salvezza stessa, ora invece la grazia è concepita come strumento, aiuto (adiutorium) per essere salvati.

Vediamo ora come questa dottrina venne recepita dal magistero della chiesa:

Concilio di Cartagine (418) [DS 222-230]

Canone 3: La grazia non è solo quella che giustifica una volta per tutte, ma quella della quale l’uomo ha costantemente bisogno per non cadere nel peccato: il non cadere in peccato, la perseveranza nella grazia, è quindi da considerarsi un dono. In questo canone, nella versione latina, compare il termine tipico di Agostino, adiutorium.

Canone 4: Da Dio non viene solo la comprensione dei comandamenti in modo che l’uomo conosce ciò che deve scegliere per fare il bene (questa era la posizione di Pelagio); la grazia è invece anche dono interiore che Dio fa all’uomo per compiere il bene.

Canone 5: La grazia non è solo qualcosa che facilita l’assolvimento dei comandamenti, ma va alla radice: infatti senza la grazia l’uomo non può far nulla.

I canoni 6,7,8 trattano del tema della grazia necessaria anche per coloro che sono già giustificati; anche i santi invocano, con le parole del Padre Nostro, il perdono dei peccati.

 

1.4.2. Il semi pelagianesimo

È un movimento che si qualifica in rapporto a Pelagio nei contenuti della propria dottrina, e non in base alla genesi storica; infatti il semi pelagianesimo si sviluppa nel sud della Francia nei monasteri.

La problematica di fondo consiste nel fatto che sembrava che la dottrina di Agostino non concedesse spazio alla libertà all’uomo, e si poneva il problema della predestinazione.

Come risposta a questi quesiti si volle salvaguardare la caratteristica intrinseca di gratuità della grazia assieme alla libertà dell’uomo.

I semi pelagiani affermavano che, affinché Dio concedesse la sua grazia era necessario un’iniziativa umana, ossia la decisione iniziale d’aderire alla fede. All’uomo spetta il compito di decidere dell’initium fidei. L’uomo si muove per primo verso Dio e quindi dà la possibilità alla grazia di intervenire. In questo modo viene anche risolto il problema della predestinazione, dato che l’uomo, con il suo atto di fede iniziale decide se accettare la fede oppure no.

Il problema che si pone è di capire che si crea una contrapposizione fra Dio e l’uomo: per affermare la salvezza dell’uomo è necessario un momento nel quale Dio non interviene per lasciare al lui l’inizio (si crea un meccanismo d’esclusione: o l’uomo, o Dio).

 

POSIZIONE DELLA CHIESA RISPETTO AL SEMIPELAGIANESIMO

1.4.2.a. Indiculus Celestinii

I capitoli pseudo celestini sono falsamente attribuiti a papa Celestino I (422-432); si tratta in realtà di scritti di Prospero d’Aquitania. Prospero è un grande amico e sostenitore di Agostino, si reca a Roma per sostenere la dottrina di Agostino. Agostino già dopo la sua morte divenne una vera e proprio autorità in ambito teologico: in una lettera del 431 papa Celestino I afferma che Agostino è uno dei migliori maestri, e che nulla offuscò mai la sua dottrina [DS 237].

L’Indiculus Celestinii divenne l’espressione della dottrina romana sulla grazia; Prospero fa un lavoro di compilazione, riprendendo testi e affermazioni dei papi precedenti.

Capitolo 3 [DS 241]: nessun uomo, anche se rinato nella grazia col battesimo, può superare le insidie del diavolo senza il quotidianum adiutorium Dei. La grazia è vista come quella forza grazie alla quale (ausilum quo) possiamo vincere le seduzioni del male, e senza della quale l’uomo sarebbe vinto.

Capitolo 5.[DS 243]: si tocca qua la disputa con i semipelagiani: secondo il documento l’uomo è mosso inizialmente dalla ispirazione divina, e non come sostenevano i semipelagiani, dalla propria volontà. Lo stesso inizio della fede è un dono di grazia; non è l’uomo che compie il primo passo verso Dio, ma Dio che si muove per primo verso l’uomo.

Capitolo 6 [DS 244]:  Dio agisce nello stesso libero arbitrio dell’uomo: si vuole quindi ancora una volta confutare i semipelagiani che sostenevano la reciproca esclusione fra Dio e l’uomo: l’uomo, con un atto solitario di volontà poteva muovere il primo passo della fede.

Capitolo 8 [DS 246]: si ribadisce ancora che tutta l’esperienza della fede, dall’inizio alla sua continuazione (perseveranza) fino alla sua fine, necessita del dono di grazia (si vuole escludere l’aut...aut tipico dei pelagiani).

Capitolo 9 [DS 248]: è un testo molto esplicito e riassuntivo: l’uomo inizia a volere il bene già sotto l’influsso benefico della grazia (ab. initio fidei ad Deum tenditur).

Con questo aiuto (tema tipicamente agostiniano) e dono il libero arbitrio dell’uomo non è soppresso, bensì liberato: l’uomo è liberato dalla schiavitù del peccato di Adamo. La grazia è sanante, poiché fa sì che l’uomo venga reso sano (altro tema agostiniano).

La bontà di Dio si manifesta nel fatto che la grazia pur non essendo merito dell’uomo, viene comunque alla fine considerata un merito dell’uomo: “Egli vuole che siano nostri i meriti, che sono suoi doni e che egli donerà premi eterni per quanto egli ha elargito”.

 

1.2.4. b. 2° sinodo di Orange (3 luglio 529)

Si tratta di un importante sinodo dato che vi troviamo l’espressione di un agostinianesimo moderato: siamo ancora nel contesto dell’opposizione al semi pelagianesimo, e si parla di un agostinianismo moderato nel senso che viene rifiutata la dottrina della predestinazione.

Canone 3 [DS 373]: la grazia è necessaria fin dal primo momento dell’atto di fede; viene citato Rm che riprende a sua volta Is: mi feci trovare da chi non mi cercava.

Canone 4 [DS 374]: Non è vero che Dio dona la grazia solo dal momento che l’uomo lo prega e invoca. L’iniziativa spetta sempre a Dio.

Canone 5  [DS 375]: si affronta il problema dell’ initium fidei: anche la propensione, l’inclinazione al credere, il credulitatis affectum, è dono di Dio.

Canone 6 [DS 376]: La grazia del credere non è dipendente dall’iniziativa umana; la grazia non è data all’uomo per merito dei suoi sforzi, della sua ascesi, ma è dono. Anche il nostro chiedere la grazia è da considerarsi un dono.

Canone 7 [DS 377]: Per natura umana  si intende qui l’uomo preso in sé, con le capacità che risiedono in lui solo, senza l’aiuto di Dio.

Þ Dal canone 9 in poi è messo al centro dell’attenzione il discorso sull’aiuto di Dio: De aduitorio Dei.

Canone 9 [DS 379]: Ogni volta che l’uomo compie il bene, è Dio che opera. La grazia agisce in modo puntuale, in ogni azione.

Canone 10 [DS 380]: La grazia deve essere sempre essere richiesta, anche dai giusti al fine di non cadere e di perseverare nel bene.

Canone 13 [DS 383]: la grazia è anche sanante: in questi tre ultimi canoni vediamo i due tipici aspetti della grazia secondo Agostino: grazia come aiuto, grazia sanante.

Conclusione redatta da Cesario di Arles del sinodo di Orange [DS 396-397]. Viene messo in risalto il peccato di Adamo come momento a partire dal quale gli uomini non sono più in grado di compiere il bene e di amare Dio in modo retto: la grazia di Dio quindi previene sempre l’azione dell’uomo (contro i pelagiani che mettevano prima l’azione e la volontà dell’uomo). Anche nelle epoche passate della storia della salvezza (ci citano Abele, Noè, Abramo, Isacco, Giacobbe) la fede è sempre stata data come dono da Dio e non ottenuta con uno sforzo della natura umana.

Alla fine di questa conclusione [DS 397] si affronta il problema della predestinazione: i battezzati, con l’aiuto e la cooperazione di Cristo adempiono alla loro salvezza. Gli uomini hanno una parte attiva nella loro salvezza o dannazione. Si viene allora ad escludere la predestinazione che potrebbe essere vista come la conseguenza estrema del pelagianesimo: se vale la reciproca esclusione tra Dio e l’uomo (aut...aut), Dio decide anche della dannazione eterna dell’anima, a prescindere dalle opere dell’uomo. Qui invece si afferma che c’è anche un merito umano: si afferma il valore e il peso dell’azione umana assieme alla volontà divina. Il rapporto fra Dio e l’uomo non va mai pensato in ambiti separati, infatti tanto più Dio è vicino all’uomo, tanto più l’uomo è se stesso.

A riguardo della predestinazione la dottrina di Agostino non è entrata nel magistero della chiesa; venne tenuta maggiormente in considerazione la posizione dell’agostinianesimo moderato.

Nell’ultimo capoverso del DS 397 si mette ancora in evidenza come la salvezza sia un cammino nel quale l’uomo necessita in ogni momento della grazia del Signore. Viene preso in considerazione ancora una volta il problema dell’inizio dell’atto di fede: Dio è presente anche prima del nostro atto di fede, è lui infatti che ispira la fede e l’amore.

Ritroviamo il binomio natura / grazia: la natura è ciò che l’uomo è senza l’intervento della grazia.

 

Il problema della predestinazione rimane vivo anche nei secoli successivi e riceve una soluzione nel sinodo di Quiercy (853). Questo sinodo è rivolto contro la dottrina della doppia predestinazione del monaco  tedesco di Fulda Gottschalk.

Nel canone 3 [DS 623] si afferma che Dio vuole salvare tutti gli uomini senza eccezione: se alcuni si salvano, questo è dono del Signore, se altri invece si dannano, è loro colpa.

Nel canone 4 [DS 624] viene data la motivazione cristologica: poiché Cristo ha assunto la natura di ogni uomo, la sua passione ha valore redentivo per ogni uomo. La salvezza individuale è da vedere in connessione con l’apporto di ciascuno alla redenzione di Cristo:

Infatti il calice dell’umana salvezza, che fu preparato per la nostra debolezza e con la forza divina, ha sì in sé di giovare a tutti; ma se non viene bevuto, non salva.

 

            Osservazioni conclusive:

La grazia è vista come aiuto: i vari atti salvifici si compiono sempre con l’aiuto puntuale della grazia.

La grazia è quindi vista meno come salvezza in sé che come aiuto: il primo aspetto non è che manchi, ma è poco sviluppato. Per dimostrare che il primo aspetto comunque non manca, vediamo  il canone 25 del concilio di Orange [DS 395]: se Dio ama l’uomo non è  perché l’uomo in sé è amabile, ma con l’amore di Dio si può compiere nell’uomo ciò per cui esso è stato creato [COMPLETARE].

 

 

1.5 La concezione della grazia nella Scolastica

            L’influsso di Agostino caratterizza tutto il Medio Evo; con la Scolastica si ha però l’ingresso della filosofia aristotelica nella teologia, e anche un nuovo concetto di virtù.

 

·      Per Agostino la virtù è un movimento interiore che proviene da Dio ed è una manifestazione del suo amore. In forza della virtù l’uomo può fare determinate cose. La grazia è un aiuto puntuale (che riguarda le singole situazioni) dato all’uomo.

·      Per Aristotele la virtù è un principio d’azione, un principio operativo appartenente all’uomo: qualità possedute in modo permanente dall’uomo.

Con questa nuova concezione di virtù si può parlare di grazia creata: virtù presente in modo permanente nell’uomo.

 

San Tommaso

Nella Summa Teologica sei questio sono dedicate alla grazia: I-II q 109-114:

I.     nella questio 109 si tratta della necessità della grazia;

II.   nella questio 110 si tratta della grazia di Dio nella sua essenza;

III.nella questio 111 si tratta della divisione della grazia;

IV.nella questio 112 si tratta della causa della grazia;

V.  nella questio 113 si tratta degli effetti della grazia;

VI.nella questio 114 si tratta dei meriti.

 

Nella questio 109 la grazia è vista come aiuto di Dio per compiere atti retti (come Agostino); negli articoli di questa questio sono ripresi gli argomenti della disputa fra Agostino e Pelagio.

 

QUESTIO 110: La grazia di Dio nella sua essenza

Note generali sulla struttura di un articolo della Summa:

·      Utrum ... viene posto il problema che si vuole affrontare sotto forma di ipotesi da dimostrare, in questo caso se la grazia pone qualche cosa nell’anima.

·      Videtur ... viene esposta la tesi contraria a quella che Tommaso sostiene.

·      Praeterea ... sono portate varie motivazioni che sostengono il Videtur. Ai Praeterea si risponderà alla fine con i Ad primum dicendum, Ad secundum dicendum.

·      Sed Contra ... espone la tesi di Tommaso con l’ausilio di autorità (Scrittura, Padri).

·      Respondeo dicendum ... è la parte centrale nella quale viene esposta la dottrina di Tommaso sotto forma di argomentazione.

·      Ad primum dicendum ... Vedi i Praeterea.

 

Þ Utrum: Si dice che la grazia non pone nulla nell’anima dell’uomo basandosi su tre considerazioni:

Parte dall’uso comune del termine grazia per spiegare la grazia di Dio: grazia nel suo significato più comune significa la compiacenza, la benevolenza di un individuo rispetto un altro individuo. La grazia sarebbe quindi qualcosa di esterno all’uomo in quanto proveniente da un altro essere; nel rapporto con Dio la grazia indicherebbe quindi la compiacenza di Dio nei confronti dell’uomo, una compiacenza ad esso esterna.

Si mette in evidenza il parallelo fra anima e corpo (l’anima vivifica il corpo) e fra Dio e l’anima (Dio vivifica l’anima). Come l’anima vivifica il corpo in modo immediato, così Dio vivifica l’anima senza mediazioni.

Si riferisce alla Glossa, un commento alla Sacra Scrittura di Anselmo di Laon del XI secolo. Riferimento alla remissione dei peccati.

Þ Sed contra: La grazia pone qualcosa nell’uomo.

Þ Respondeo: Parte ancora dall’uso comune del termine grazia: ci possono essere tre significati.

1.    “Amore di qualcuno”: rex habet eum gratum. Quando si è amati da qualcuno, quest’amore rende grati nei confronti di chi ama. Si tratta qui allora di una grazia che rende grati: gratum faciens.

2.    “Dono gratuito”: la grazia è gratis datum.

3.    “Riconoscenza per un beneficio gratuito”: gratis agere.

Tommaso prosegue spiegando il rapporto fra questi tre tipi di grazia: il secondo dipende dal primo, poiché dall’amore di una persona per un’altra dipendono i dono gratuiti che vengono elargiti; il terzo dipende dal secondo, poiché dai doni ricevuti dipende la riconoscenza.

Negli ultimi due casi la grazia implica sempre qualcosa in colui che riceve tale grazia. Nel primo caso invece bisogna fare una distinzione: l’amore di questo “qualcuno” può essere l’amore-grazia di Dio o l’amore-grazia di un uomo. Il bene che la creatura accoglie proviene sempre dalla volontà di Dio con la quale Dio vuole il bene della creatura.

Mentre il bene delle cose umane viene mosso dal bene preesistente nelle cose (si ama ciò che è amabile), il bene divino precede l’amabilità del destinatario:

Qualsiasi bene causato dalla creatura, segue sempre a un atto di amore da parte di Dio, e non è mai coeterno all’eterno amore.

È in forza di questo amore eterno che Egli ama tutte le cose e dona loro l’esistenza.

C’è poi un amore speciale di Dio: con questo amore l’uomo è elevato sopra la condizione umana e partecipa del bene divino. Quindi la grazia divina indica un dono soprannaturale prodotto da Dio nell’uomo.

La grazia quindi inerisce all’uomo; È prodotta da Dio stessa; eleva l’uomo a partecipare del bene divino.

 

Considerazioni finali: l’amore di Dio causa una modificazione nell’essere dell’uomo. Dobbiamo però chiederci cosa sia questa modificazione che si opera nell’uomo: l’uomo, pur rimanendo uomo nella sua sostanza, riceve una modificazione accidentale (che non sussiste cioè in sé, ma si appoggia su di una sostanza preesistente).

Nell’articolo 2 Tommaso spiega la grazia come una qualità permanente nell’uomo, un habitus: una realtà oggettiva, permanente che perfeziona l’uomo elevandolo ed essendo il principio dei singoli atti virtuosi.

Per Tommaso la grazia non è quindi solo ciò che muove l’uomo  a compiere il bene, ma è qualcosa che trasforma in modo permanente e definitivo l’uomo. Su questo punto si capisce bene la differenza rispetto al pensiero agostiniano: secondo quest’ultimo la grazia era caratterizzata dalla puntualità, dal fatto ciò che essa spingesse l’uomo, in ogni suo singolo atto, a compiere il bene. Per Tommaso invece la grazia rinnova completamente l’essere e lo rende capace di compiere azioni virtuose. Tommaso considera quindi la grazia come qualcosa che, siccome donata da Dio, arriva ad appartenere all’uomo: questa grazia allora eleva l’uomo verso Dio e lo trasforma.

Schematizzando il contenuto dell’articolo 2:

Tommaso fa la distinzione fra la grazia vista come moto dell’anima compiere il bene

 


                                                                                              gratia actualis: aiuto  puntuale dato                                                                                      da Dio  per compiere un certo atto                                                                                                    (questo termine non è usato                                                                                                                direttamente da Tommaso).

 

E grazia intesa come dono infuso nell’animo umano, principio dei singoli atti di bene:

 

                                   gratia habitualis: novità dell’essere dell’uomo. Quando l’uomo fa il bene, è                           proprio l’uomo ad averne il merito, poiché il suo essere è stato elevato e                                             reso capace di compiere il bene. La grazia abituale serve all’uomo per                                               seguire con prontezza le mozioni che provengono dalla grazia attuale.

 

Per Tommaso non esiste un momento particolare nel quale la grazia abituale entra nell’uomo: c’è un vero e proprio cammino verso la grazia.

 

Tommaso insiste tanto sulla questione della grazia per prendere le distanze anche dagli errori che si potevano generare dalla dottrina di Pietro Lombardo (1095-1160): in epoca medioevale per molto tempo la teologia era fatta seguendo e commentando le sentenze del Lombardo.

Secondo il Lombardo la charitas con la quale amiamo Dio e il prossimo è lo stesso Spirito Santo: lo Spirito Santo sarebbe il principio immediato degli atti d’amore dell’uomo. Per Tommaso invece il principio immediato dell’atto d’amore è l’essere umano trasformato dalla grazia habitualis. Con questo Tommaso vuole garantire il fatto che comunque è sempre l’uomo che agisce come soggetto, e quindi quando esso ama, è lo stesso uomo ad amare, e non un altro (e neppure immediatamente Dio). Tuttavia l’atto d’amore non è per Tommaso allontanabile dalla sorgente dell’amore, che è Dio. Tommaso con la dottrina della inabitazione delle tre persone della Trinità nell’uomo, afferma che è lo Spirito Santo in noi ad essere il principio della grazia abituale; questa grazia increata viene prima e sopra a tutto.

Tommaso usa anche la dottrina della appropriazione: un’azione divina viene attribuita alla persona della Santa Trinità a seconda delle proprie caratteristiche ipostatiche: l’adottare, per esempio, è conforme alle qualità ipostatiche del Padre.

 

QUESTIO 111: Divisone della grazia

In questa questione troviamo molte suddivisioni della grazia; quella più interessante, trattata nell’articolo 1, riguarda la distinzione fra grazia santificante (o gratia faciens) e grazia gratis data.

Abbiamo già visto che nella questio 110, articolo 1, Tommaso fa la distinzione fra questi due tipi di grazia: la grazia faciens e la grazia data; ora questo discorso è approfondito.

Tommaso inizia (nel Videtur) affermando che qualcuno sostiene che sia ingiusto distinguere questi due tipi di grazia; vengono poi portati argomenti in favore di questa tesi e nel Sed contra Tommaso cita San Paolo quando afferma che la grazia ha queste proprietà:

I.     rendere grati (o santificare), rendere graditi a Dio;

II.   essere data gratis, gratuitamente.

Nella parte argomentativa Tommaso, prendendo spunto da Dionigi l’Areopagita, afferma che la grazia ha come caratteristica di ricondurre l’uomo a Dio. Questo tornare dell’uomo a Dio si realizza anche con una mediazione interumana della grazia. A questo punto può spiegare la differenza fra i due tipi di grazia:

 

à      c’è una grazia che ricongiunge l’uomo direttamente a Dio Þ GRAZIA SANTIFICANTE

 

à      c’è una grazia mediante la quale un uomo aiuta un altro uomo a ricongiungersi a Dio Þ GRAZIA GRATIS DATA

La grazia gratis data è ciò che noi definiamo carisma, cioè quei doni dati da Dio non per la nostra particolare santificazione, ma per la santificazione degli altri; i carismi non sono dati secondo le nostre forze né secondo i nostri meriti.

Nel brano della Summa non è presente la parola carisma, infatti nella vulgata il greco xarisma non viene traslitterato , ma tradotto con la parola dono.

Il dono, il carisma non è grazia santificante, ma data per la santificazione degli altri. È comunque vero che la santificazione personale aumenta nella misura in cui i carismi sono messi a disposizione del prossimo.

 

 

Ultime riflessioni su Tommaso:

nel Medio Evo troviamo anche delle dottrine contrarie a quella di Tommaso, come per esempio quella dello scozzese Duns Scoto (1265-1308) detto il “doctor subtilis”. La preoccupazione fondamentale di Scoto era quella di salvaguardare l’assoluta libertà di Dio nel suo agire nei confronti dell’uomo e del mondo. La comunione dell’uomo con Dio non dipende esclusivamente dalla carità che l’uomo usa nel proprio comportamento, ma anche, e soprattutto, dall’acceptatio di Dio del comportamento dell’uomo. Per questo, secondo Scoto, la misericordia di Dio non può essere condizionata da niente, neppure dalla bontà dell’uomo.

Abbiamo già visto nella questio 110 (nel Videtur) come Tommaso rifiuti l’idea che per grazia si debba considerare la sola accettazione da parte di Dio: per Tommaso la grazia è anche qualcosa che entra nell’uomo e lo trasforma.

 

1.6 La Riforma protestante, il Concilio di Trento e la teologia della grazia post tridentina

 

1.6.1 Lutero e il Concilio di Trento

Lutero reagisce contro alcuni particolari esiti della teologia scolastica: reagisce contro quella visione che portava a considerare la grazia creata e la grazia abituale come un possesso dell’uomo, come una specie di diritto che si poteva avanzare davanti a Dio. Lutero pensa fondamentalmente che la giustificazione non dipenda dalle qualità inerenti all’uomo, ma solo dal favore divino. Si sottolinea molto l’aspetto estrinseco dell’amore di Dio (cioè l’aspetto esterno rispetto all’uomo) rispetto all’aspetto intrinseco.

 

Decreto sulla giustificazione (1547)

Sono tre i punti fondamentali espressi in questo documento:

 

            1. Si mette l’accento sul fatto che la grazia riguarda un vero e proprio rinnovamento dell’essere dell’uomo, e non è solo un fatto estrinseco ad esso.

Cap 7. A questa disposizione o preparazione segue la stessa giustificazione, che non è una semplice remissione dei peccati, ma anche santificazione e rinnovamento dell’uomo interiore. [DS 1528]

L’accento viene messo sul rinnovamento dell’interiorità dell’essere.

Cause di questa giustificazione sono: causa finale, la gloria di Dio e del Cristo e la vita eterna; causa efficiente la misericordia di Dio, che gratuitamente ci purifica e ci santifica. [DS 1529]

Si afferma anche che la grazia non è solo il favore di Dio, un suo atteggiamento benevolo, ma molto di più è qualcosa di interno all’uomo e gli porta un rinnovamento interiore:

Can 11. Se qualcuno afferma che gli uomini sono giustificati o per la sola imputazione della giustizia del Cristo, o per la sola remissione dei peccati, escluse la grazia e la carità che è riversata nei loro cuori per mezzo dello Spirito Santo e inerisce a essi; o anche che la grazia, con cui siamo giustificati, è solo favore di Dio: sia anatema.[DS 1561]

 

            2. Il concilio di Trento utilizza la terminologia scolastica, anche se non parla della grazia come di habitus. Facendo riferimento alla grazia attuale, il concilio impiega invece una ricca serie di definizioni: grazia preveniente (dalla quale prende l’avvio il processo di giustificazione), grazia excitantem, grazia  adiuvantem. Quindi l’inizio della fede è sotto la grazia (ricorda la tematica della controversia pelagiana); è Dio che sollecita ed aiuta nel cammino di conversione [cfr. DS 1525].

La grazia è vista anche come aiuto nella perseveranza:

Cap. 13 Similmente si deve dire per il dono della perseveranza [...]. Nessuno, quanto a questo dono, si riprometta qualcosa con assoluta certezza, quantunque tutti debbano nutrire e riporre fermissima speranza nell’aiuto di Dio. (Dei auxilio). [DS 1541]

Anche l’osservanza dei comandamenti è frutto della grazia, e anche i santi devono continuare a chiedere il perdono e la remissione dei peccati (vedi anche concilio di Cartagine):

Cap. 11: Infatti in questa vita mortale, anche se santi e giusti, qualche volta i cristiani cadono almeno in peccati leggeri e quotidiani, che si dicono anche veniali, senza per questo cessare di essere giusti. Ed è propria dei giusti l’invocazione umile e sincera: “Rimetti a noi i nostri debiti”. [DS 1537]

Però se da un lato la grazia è qualcosa che inerisce profondamente all’uomo, è anche vero che essa non deve essere mai disgiunta dalla fonte divina dalla quale proviene: si sottolinea allora il profondo legame fra la grazia e la redenzione operata da Cristo [DS 1526], il fatto anche che le tre persone divine inabitino nell’uomo [DS 1530]. L’immagine forse più forte è quella dei tralci e della vigna:

Lo stesso Gesù Cristo, come capo delle membra e la vite nei tralci, trasfonde continuamente la sua virtù in quelli che sono giustificati, virtù che sempre precede, accompagna e segue le loro opere buone, e senza la quale non potrebbero per nessuna ragione piacere a Dio e essere meritorie. [DS 1546].

 

            3. Si reagisce contro chi sosteneva che la grazia fosse alla fine dei conti un possesso dell’uomo affermando che la grazia deve essere vista nella prospettiva della relazionalità: con la grazia si instaura un rapporto nuovo fra Dio e l’uomo. Quest’idea di reciprocità è espressa con la categoria dell’essere figli [DS 1522], dell’adozione :

Cap.4: Queste parole spiegano che la giustificazione del peccatore è il passaggio dallo stato in cui l’uomo nasce figlio del primo Adamo, allo stato di grazia e di “adozione dei figli di Dio”, per mezzo del secondo Adamo, Gesù Cristo, nostro Salvatore. [DS 1524]

L’uomo giustificato viene anche detto “amico” di Dio [DS 1528].

 

1.6.2. La teologia post tridentina

            Dopo il Concilio di  Trento la teologia scivola sempre maggiormente verso il razionalismo e il moralismo; l’accento è messo sempre più sull’uomo, cioè sul cosa l’uomo debba fare, quali siano le sue capacità nel processo di conseguimento della salvezza è il tema della cooperazione dell’uomo con la grazia, cioè il tema del contributo della libertà umana nel processo di giustificazione (è sempre il problema agostiniano del rapporto fra grazia e libero arbitrio). Si fa sempre più problematica la domanda del come la grazia divina, intesa come aiuto, sollecitazione al bene, sia realmente efficace nell’uomo. Si dimentica quindi la grazia abituale per dar maggior spazio a quella attuale.

            Il XVI secolo è caratterizzato dall’esplosione del Rinascimento e dell’Umanesimo: piena fiducia nell’uomo e nelle sue capacità. Questo periodo si caratterizza anche dal punto di vista del ritorno alle fonti in teologia e soprattutto abbiamo il recupero di Agostino (si parla anche di un certo arcaismo agostiniano).

All’interno di questo quadro così ottimistico troviamo però anche le ombre portate dalla teologia di Baio e di Giansenio.

 

I.     BAIO (1513-1584, professore a Lovanio) ricorre fondamentalmente all’autorità di Agostino. Uno dei problemi principali per capire la teologia di Baio è che egli utilizza i termini in senso arcaico.

Egli intende la natura umana come quello stato nel quale si trovò l’uomo appena uscito dalle mani di Dio al momento della creazione, e poi collocato nel paradiso terrestre. La natura umana viene allora a coincidere con la pienezza di vita che Dio concede all’uomo all’inizio della storia. Il termine natura significava prima di tutto ciò che appartiene necessariamente ad un essere, ma in Baio assume la connotazione di elevazione della creatura. Abbiamo visto che Tommaso distingueva la natura dalla grazia che eleva l’uomo verso Dio: Baio ora identifica questi due aspetti.

In questa visione la grazia diventa qualcosa di esigito dalla natura stessa dell’uomo, e non è più dono; lo stesso dono dello Spirito Santo appartiene alla natura umana.

Con il peccato entra una visione totalmente negativa: l’uomo una volta caduto rimane per sempre corrotto, schiavo della concupiscenza. La sua natura è stata corrotta e quindi perduta. Secondo Baio fuori dalla grazia non vi può essere altro che vizio e peccato. L’uomo è paragonato da Baio ad un asino cavalcato o dal diavolo o da Dio; quest’immagine sarà ripresa anche da Lutero.

Soltanto con la grazia libera ed assoluta di un Dio che s’impone a prescindere dalla libertà umana, addirittura contro di essa, l’uomo può ricuperare la sua libertà. L’uomo è visto allora come inevitabilmente schiavo, o di satana o di Dio, comunque senza libertà.

            Pio V nel 1572 con la bolla Ex omnibus afflictionibus confuta con 79 tesi la dottrina di Baio. Tra queste tesi è celebre la censura [DS 1980] che ha dato origine al cosiddetto comma Pianum¸ cioè una disputa attorno all’interpretazione da dare alla censura papale dove tutto dipende dalla posizione nella quale viene messa una virgola:

 

“Quas quidem sententias stricto coram Nobis examine ponderatas,

quamquam aliquo pacto sustineri possent [,] in rigore et proprio verborum sensu ab assertoribus intento [,]

haeretias, erroneas, suspectas, temerarias, scandalosas et in pias aures offensionem immittentes respective, ac quaecumque super iis verbo scriptoque emissa, praesentium auctoritate dammamus, circumscribimus et abolemus.”

 

Queste preposizioni, che sono state valutate con un rigoroso esame in Nostra presenza, sebbene alcune da un certo punto di vista possano anche essere sostenute [,] nel senso proprio e rigoroso delle parole inteso da coloro che le propongono [,]

Noi, con l’autorità del presente scritto, le condanniamo, le rifiutiamo e le rigettiamo, come eretiche, erronee, sospette, temerarie, scandalose e in qunato introducono un danno nelle orecchie pie, come anche tutte le cose formulate con parole o con scritti a loro riguardo.

 

Non si capisce se le parole in “rigore ... intento”, siano da collegare con la frase precedente (quamquam aliquo pacto sustineri possent; 1° interpretazione) oppure con la seguente (haeretias, ... praesentium auctoritate dammamus, circumscribimus et abolemus; 2° interpretazione)

In altre parole ci si chiede se bisogna inserire una virgola dopo intento (1° interpretazione) o dopo sustineri possent (2° interpretazione).

Se vale la prima interpretazione, le proposizioni di Baio sono condannate nel modo in cui vengono formulate (è questa la proposta dei baiani);

Se vale invece la seconda interpretazione le proposizioni vengono condannate nel senso inteso dall’autore (è l’interpretazione preferita dagli avversari di Baio).

            Dalle altre affermazioni di questa bolla papale emerge come Baio fosse condannato poiché il suo pensiero veniva inteso come negazione della gratuità della grazia, la quale è, secondo la sua dottrina, esigita dalla natura.

I meriti sia dell’angelo che del primo uomo ancora integro non sono chiamati giustamente grazia.[DS 1901]

Viene condannato anche il fatto che secondo Baio l’uomo trova in sé, nella sua natura ciò che gli serve per conseguire la vita eterna:

La vita eterna fu promessa all’uomo integro e all’angelo in considerazione delle opere buone, e le opere buone in base alla legge di natura di per sé sono sufficienti per conseguirla. [DS 1904]

Baio inoltre, come abbiamo visto, negava il carattere soprannaturale della grazia:

L’elevazione e l’innalzamento della natura umana alla compartecipazione della natura divina fu dovuta all’integrità della condizione primitiva, e per questo deve dirsi naturale e non soprannaturale. [DS 1921]

 

            Da queste considerazioni emergono due tratti fondamentali della grazia secondo Baio:

·     L’esteriorità: la grazia è un impulso esterno all’uomo: la grazia di Cristo ridà all’uomo la capacità di osservare i Suoi comandamenti: questo emerge chiaramente nella condanna n° 42:

La giustizia, con la quale l’empio è giustificato per la fede, consiste in modo formale nell’obbedienza ai comandamenti, che è la giustizia delle opere, e non invece in qualche grazia infusa nell’anima, con la quale l’uomo viene adottato come figlio di Dio, viene rinnovato secondo l’uomo interiore e viene reso compartecipe della natura divina, in modo tale che, così rinnovato per mezzo dello Spirito Santo, possa poi vivere e obbedire ai comandamenti di Dio. [DS 1942]

Con Baio la grazia raggiunge il massimo dell’estrinsecimo (è massimamente esterna all’uomo, e non produce alcun mutamento interiore): l’uomo, secondo Baio, può anche avere il dono della carità, compiere opere di bene, ed essere dannato al tempo stesso:

L’uomo che si trova a vivere in peccato mortale o in un reato degno di eterna dannazione, può avere la vera carità; ed anche la carità perfetta può sussistere con un reato di eterna dannazione. [DS 1970]

 

Þ  Con Baio la grazia abituale, quella che produce un profondo rinnovamento dell’uomo viene abbandonata, per esaltare invece la grazia attuale.

 

·      L’automatismo del peccato: Dopo la caduta dallo stato originario l’uomo vive inevitabilmente in uno stato di peccato e di vizio:

Tutte le opere di coloro che non credono sono peccato, e le virtù dei filosofi sono vizi. [DS 1925]

 

L’uomo pecca anche in modo degno di condanna, in quello che compie per necessità. [DS 1967]

 

II.   GIANSENIO (1585-1638) fu vescovo e autore dell’importante opera “Augustinus”. Giansenio sottolinea con grande forza il primato della grazia nella vita dell’uomo.

L’antropologia di Giansenio: sottolinea con grande forza il tema della Delectatio vitrix, dell’attrazione vincente: l’uomo fa sempre ciò che lo diletta, che è a lui gradito e che lo attrae. Anche rispetto al bene o al male, l’uomo compie l’uno o l’altro a seconda se sia più attratto dal bene o dal male.

Tema della libertà: nella misura in cui una necessità è interiore nell’uomo, l’azione che ne risulta è considerata libera e spontanea. Per questo Giansenio introduce la distinzione fra libertas a necessitate e libertas a coartione: per necessità si intende un impulso interiore dell’uomo che lo porta a fare qualcosa; questa necessità è però del tutto conciliabile con la libertà, perché l’uomo obbedisce in fin dei conti a qualcosa di interno al suo essere; la libertà è invece negata solo quando si è costretti dall’estero, ma quando l’impulso viene dall’interno dell’uomo, la necessità diventa libertà. La grazia è sempre rispettosa della libertà dell’uomo.

Tema dello stato originale: prima del peccato originale l’uomo aveva bisogno dell’aiuto divino per osservare i comandi di Dio: auxilium sine quo non, aiuto senza il quale l’uomo non avrebbe potuto osservare i comandamenti. Si trattava di un impulso interiore, una necessità interiore.

Dopo il peccato la concupiscenza è più forte dell’attrazione verso il bene: Dio dà allora un altro tipo di aiuto, l’auxilium quo, (aiuto con il quale) cioè la grazia attuale con la quale è possibile fare il bene in modo infallibile. È questa la grazia invincibile, cioè quella grazia con la quale invincibilmente, in modo cero e sicuro, l’uomo può fare il bene. Questo aiuto non è però dato a tutti ... tema della predestinazione.

La condanna della dottrina di Giansenio venne con Innocenzo X nel 1635 [DS 2001-2005].

Gli errori elencati in questa bolla papale sono tolti dall’opera di Giansenio.

N°1: viene qui condannata quella posizione giansenista secondo la quale l’uomo sarebbe dopo il peccato originale, totalmente corrotto nella sua natura. Giansenio qui afferma che alcuni comandamenti sono impossibili all’uomo giusto.

N°2: Qua Giansenio parla della grazia invincibile, ossia quella grazia che spinge in modo irresistibile l’uomo al bene, e alla quale la volontà dell’uomo è totalmente sottomessa.

N°3: Viene qui confutata la distinzione di Giansenio fra la libertas a necessitate e la libertas a coartione.

N°4: Vengono presi in causa i semipelagiani i quali affermavano che la grazia era tale che l’uomo potrebbe anche resisterle.

N°5: Secondo Giansenio in sangue di Cristo sulla croce non è stato effuso per tutti.

Nella censura [DS2006] vengono dati i giudizi sulle posizioni gianseniste.

 

            Con Giansenio e Baio ci troviamo di fronte a questioni molto importanti:

Þ  La condizione dell’uomo dopo la caduta del peccato originale: all’uomo è totalmente negata la libertà, l’uomo è come un asino cavalcato a volte da Dio, a volte da Satana.

Þ  La volontà salvifica di Dio non coinvolge più tutti gli uomini, ma solo alcuni.

 

LA CONTROVERSIA DE AUXILIIS

Tutta l’attenzione si concentra sull’idea della grazia intesa come aiuto di Dio. Il problema che si pone è come al solito come poter conciliare assieme la libertà umana e la sovranità di Dio sull’uomo. In questa controversia si formarono due schieramenti decisamente opposti; da un lato i gesuiti con Luis de Molina e dall’altro i domenicani con Bañez.

 

·     Luis de Molina (1535-1600) autore de Liberi arbitrii cum gratiae donis concordia (1588) e il molinismo vuole salvare con forza la libertà dell’uomo con la tendenza ad eliminare l’intervento di Dio (per questo furono accusati di semipelagianesimo).

Il concetto fondamentale di Molina e quello di gratia sufficiens cioè quella grazia che precede l’uomo e che è necessaria per ogni atto salvifico. Da questo punto di vista la grazia sufficiens mostra come Dio precede sempre ogni atto dell’uomo e consiste nella chiamata alla conversione; la gratia sufficines stimola la libertà dell’uomo, libertà che non è stata completamente annullata con il peccato di Adamo. La grazia sufficiens precede sempre il consenso libero dell’uomo; una volta che l’uomo ha acconsentito alla chiamata alla conversione, la grazia allarga il proprio influsso e porta l’uomo a compiere atti salvifici che lo elevano verso Dio. La grazia elevante, quella efficiente diviene subordinata al consenso che l’uomo dà alla grazia sufficiente, cioè è la libertà e la volontà dell’uomo a rendere efficiente la grazia sufficiente. È proprio su questo punto che i molinisti sono accusati di semipelagianesimo. Molina si difende dalle accuse di semipelagianesimo facendo due affermazioni:

la grazia preveniente è necessaria, ossia è sempre Dio a venire incontro per primo all’uomo;

con la teoria della “Scientia media Dei”: si tratta di una teoria che riguarda un tipo di conoscenza tipica di Dio elaborata con lo scopo di salvaguardare l’assoluta sovranità di Dio. Molina afferma che Dio non solo conosce le futura contingentie  dell’uomo (cioè le scelte che gli uomini faranno quando si troveranno in determinate circostanze), ma anche i futuribilia cioè le contingentia conditionate futura(cioè le cose che l’uomo avrebbe scelto se le condizioni non fossero state quelle che si sono concretamente realizzate). Dio quindi, con questa conoscenza, sceglie tutte le condizioni nelle quali l’uomo si verrà a trovare e nelle quali l’uomo dovrà esercitare la sua libertà.

In questo modo Molina salvaguardia sia la sovranità di Dio, sia la possibilità dell’uomo di compiere scelte libere.

 

·     Domingo Bañez (1528-1604), domenicano autore del De vera et legittima concordia liberi arbitri cum auxiliis gratiae Dei efficaciter moventis humanam voluntate (1600) insiste, in contrasto con Molina, sulla sovranità assoluta di Dio nell’opera di salvezza dell’uomo.

Come Molina anche Bañez afferma che Dio viene per primo incontro all’uomo con la grazia preveniente e mette l’uomo in grado l’uomo di dare il suo assenso. Mentre Molina vedeva a questo punto l’intervento della volontà e della libertà umana, Bañez afferma che subentra la grazia efficace con la quale la volontà dell’uomo passa dalla potenza all’atto: il punto centrale è quindi che secondo Bañez il passaggio dalla potenza all’atto ha una causa divina e non umana.

Bañez parla di una Praemotio Physica causata dalla grazia: è Dio stesso che muove la volontà umana; questa Praemotio Physica non annulla affatto la libertà umana, anzi la feconda.

Bañez conclude affermando che si tratta di un grande mistero ... è comoda ...!

 

La polemica fra le due scuole si fece molto accesa e ci furono atti di accusa e di scomunica reciproca. Nel 1607 papa Paolo V scrive la formula di chiusura delle dispute circa gli aiuti della grazia [DS 1997]. Il papa non si schiera né con gli uni né con gli altri, afferma solo che queste ricerche teologiche non devono far perdere di vista la carità cristiana, e quindi proibisce che avvengano reciproche scomuniche.

Ci sono anche altre prese di posizione; nel 1654 Innocenzo X [DS2008], nel 1748 Benedetto XIV [DS2564].

 

OSSERVAZIONI CONCLUSIVE

Si è trattato, come abbiamo visto, di una disputa molto accesa, ma anche molto sterile: questa sterilità deriva dal fatto che il rapporto fra Dio e l’uomo è visto in modo conflittuale: o Dio o l’uomo.

I.     Sarebbe necessario ricollocare la grazia all’interno dell’orizzonte della Scrittura: infatti la libertà dell’uomo, nella prospettiva biblica, non è in contrasto con Dio, anzi è proprio Dio che crea l’uomo libero, crea la libertà, la fonda e la sostiene. La libertà dell’uomo è segno della sua alta vocazione: l’uomo è chiamato ad un destino soprannaturale, e tale destino non è possibile conseguirlo se non liberamente. La creatura è libera perché chiamata ad un destino di comunione trinitaria.

La controversia de Auxiliis rimane fuori da questa prospettiva teologica e biblica; si ha una concezione molto riduttiva della libertà, vista cioè come capacità del soggetto di autoporsi e autodeterminarsi. Si tratta qui di un carattere tipico dell’epoca moderna: si pensa che l’uomo è tanto più libero quanto più è solo e lontano da Dio. Si deve invece ricuperare la libertà nella sua relazionalità: si può parlare di libertà solo in relazione con un tu altro da se stessi.

La grazia è considerata come solo aiuto necessario dato da Dio per fare il bene: il rapporto con Dio si limita ad un discorso morale e di contraccambio: Dio darà la ricompensa per l’obbedienza avuta. È invece importante ricuperare la grazia come comunione santificante dell’uomo con le persone divine, la grazia è anticipazione della visio beatifica.

Emerge con chiarezza la tematica della condizione dell’uomo dopo la caduta del peccato: la Chiesa cattolica ha sempre tenuto ferma la dottrina seconda la quale l’uomo decaduto non pecca in tutte le sue azioni, ma rimane sempre la possibilità di fare il bene. Rimane sempre il problema di capire come anche per il peccatore esista una vocazione divina.

 

1.7 Il rinnovamento della teologia della grazia

Nel ‘700 la teologia della grazia è molto elaborata; vengono suddivisi vari tipi di grazia. Il rinnovamento della teologia della grazia si ha soltanto quando si recupera il nucleo centrale, cioè il vangelo della grazia, questo recupero avviene sotto alcune prospettive:

 

1.7.1 Recupero della dimensione trinitaria

            Questo ricupero avviene mediante la rinascita e la riscoperta dei Padri della Chiesa, uno dei maggiori frutti dell’umanesimo.

DIONIGI PETAVIO (1583-1652) ha una teologia molto particolare e per questo si distingue; secondo lui la grazia deve essere intesa come grazia increata nel senso della presenza dello Spirito Santo nell’uomo, secondo le sue caratteristiche personali. Lo Spirito Santo presente nell’uomo non gli conferisce solo delle capacità, ma soprattutto la presenza divina. Si può parlare non solo di una causa efficiente (cioè dove esiste separazione fra l’ente che causa un certo effetto e l’effetto stesso), ma di una causa formale (l’effetto prodotto nell’ente è assimilato alla causa che genera l’effetto): applicato alla grazia si deve dire che lo Spirito Santo comunica ciò che proprio della sua stessa realtà personale: questa comunicazione modifica l’ente che riceve.

Petavio instaura un’analogia fra l’incarnazione e l’inabitazione dello Spirito nel credente: questa sua teoria non è però molto giusta in quanto non si può parlare di una vera e propria ipostasi fra lo Spirito Santo e l’individuo poiché esso rimane sempre separato dallo Spirito.

SCHEEBEN (1835-1888) autore de Mysterium des Christentums (1865): dà una grande centralità alla presenza di Dio nell’uomo, alla teologia trinitaria, ancora prima che agli effetti della grazia creata. La vera novità nell’uomo viene dalla processione dello Spirito Santo dal Padre.

 

Questi fermenti di rinnovamento hanno avuto il riflesso nel magistero della Chiesa, ed in particolare nell’enciclica Divinum illud munus del 1897, di Leone XIII.

1.7.2. Recupero della dimensione ecclesiale della grazia

            Il recupero di questa dimensione essenziale della grazia è avvenuto grazie alla teologia del corpo mistico sviluppatasi negli anni ‘30-’40, fino ad arrivare all’importante enciclica di Pio XII Mystici Corporis. Yves Congar ha approfondito questo tema: vedi il suo articolo intitolato l’Eglise corps mystique du Christ vu au terme de huit siècles d’histoire de théologie du corps mystique. La riscoperta fondamentale è che la Chiesa è un mistero di grazia, e che nel suo corpo ogni membra è partecipe della vita del Cristo. Nella Mystici Corporis si vuole accordare assieme l’aspetto giuridico della Chiesa (societas perfecta) con quello più prettamente spirituale (Chiesa dominio di grazia). Si dice quindi che la Chiesa è Corpo mistico in quanto corpo sociale. Nella Chiesa sono presenti tutti i doni che derivano dalla croce di Cristo; da questo punto di vista si riprendono immagini dei padri che consideravano la Chiesa nascere dalla Croce. Sulla croce avviene il passaggio dal corpo di Cristo al corpo ecclesiale.

Il problema lasciato aperto dalla Mystici Corporis è quello legato ai confini sociologici della Chiesa: si pensa che solo all’interno dei confini sociologici della Chiesa romana ci sia l’azione dello Spirito.

 

1.7.3. Il rinnovamento soprannaturale

            I due movimenti di rinnovamento appena considerati mostrano come si volesse reagire contro un certo estrinsecismo della grazia: il soprannaturale era arrivato a configurarsi come l’elevazione della natura umana ad un ordine soprannaturale, superiore che però aveva poco a che fare con la natura dell’uomo presa in se stessa. In altre parole si parla di estrinsecismo quando alla natura umana si aggiunge qualcosa, il soprannaturale, che però rimane esterno alla natura stessa dell’uomo; si potrebbe parlare di un accidente nella natura umana, un accidente anche se soprannaturale.

Per seguire questo rinnovamento del soprannaturale è necessario recuperare il discorso dell’uomo creato in Cristo, in quanto egli è creato per arrivare alla perfetta somiglianza con Cristo. È importante, come abbiamo detto all’inizio del corso, aver presente il carattere fortemente unitario della storia della salvezza il cui centro, il punto unificante della benevolenza divina è Cristo. L’uomo concreto creato da Dio è chiamato fin dall’inizio alla piena comunione con Dio, alla figliolanza divina.

Cenni storici

La problematica del soprannaturale non entra nel dibattito teologico fino al momento in cui appare un concetto astratto di natura, ossia con la Scolastica: si comincia ad intendere la natura come quello che sarebbe l’uomo senza l’elevazione a soprannaturale.

Tommaso

Tommaso introduce l’importante distinzione fra le perfezioni: distingue fra i beni che appartengono alla natura umana (ossia quei beni che l’uomo riceve in quando uomo. Questi beni sono in un certo senso dovuti all’uomo in quanto uomo, pur rimanendo dono di Dio. Es: la ragione è qualcosa che spetta all’uomo di diritto, in quanto ontologicamente uomo) e i beni e perfezioni completamente gratuiti che elevano l’uomo al soprannaturale (sono quei beni che eccedono alla natura umana; i doni soprannaturali non aggiungono nulla alla natura umana che in sé è già completa).

Si possono rivedere le questio 111 e 110: nella questio 111 nell’Ad secundum dicendum leggiamo:

Ora, il debito può essere di due tipi. Un primo debito dipende dal merito, e riguarda la persona capace di compiere opere meritorie... C’è un altro debito che dipende dalle esigenze di natura [® primo tipo di beni.]

Nella questio 110:

C’è poi un amore speciale, di cui Dio si serve per innalzare la creatura ragionevole, sopra la condizione della natura, alla partecipazione del bene divino [® secondo tipo di beni].

Da questi passi di Tommaso si potrebbe evincere che la natura umana e razionale non è privata di nulla nel caso in cui la grazia divina non la raggiungesse, poiché essa è già completa in se stessa.

Esiste tuttavia in Tommaso un’altra serie di considerazioni che vale la pena di ricordare:

La vera felicità dell’uomo consiste nella visio Dei, nella visione e contemplazione di Dio: nell’uomo c’è il desiderio naturale di vedere Dio, cioè un desiderio che appartiene alla natura stessa dell’uomo. L’essenza stessa dell’uomo ha in sé qualcosa di dinamico poiché esiste nell’uomo la tensione verso il suo compimento, cioè la visio Dei. Solo con l’aiuto della grazia l’uomo può raggiungere questa visione beatifica.

Ipsa Dei visio ultimus finis humanae anumae et eius beatitudo opertet autem quod ad tam nobilem visionem intellectus creatus per aliquem divinae bonitatis influentis elevatur (Conta Gentiles, libro III, cap.53)

[La visione di Dio è il fine ultimo dell’anima umana ed è la sua felicità, per raggiungere questo fine l’intelletto creato deve essere elevato per influsso della bontà divina].

Visio seu scientia beata est quodam modo supra naturam animae rationalis in quantum scilicet propriam virtute ad eam pervenire non poteste, alio vero modo est secundum naturam ipsius, in quantum scilicet secundum naturam suam, capax est eius, scilicet est ad immagine Dei facta (Summa III, q.9 art2).

[La viso Dei è in un certo modo sopra la natura dell’anima razionale, in quanto per sua propria forza non può arrivare a questo fine; in altro modo, però, questa visio, è secondo la natura dell’anima razionale, in quanto secondo la sua natura è capace di essa in quanto è fatta ad immagine di Dio].

Quindi secondo Tommaso la visio Dei è secondo natura, essa è capax, capace, ha la capacità di accogliere la grazia. Per capacità non bisogna qui intendere una facoltà propria ed autonoma dell’uomo, bensì il poter ricevere un dono. La capacità in questi caso si attua solo ricevendo.

 

            Dopo Tommaso ha preso il sopravvento una concezione secondo la quale viene astratto dall’uomo la capacità di elevarsi al soprannaturale, e si comincerà a parlare di:

Natura pura

Per natura pura dell’uomo si intese l’uomo nella sua capacità autonoma di elevarsi al soprannaturale. Con questo concetto si voleva salvaguardare la completa gratuità del dono di grazia da parte di Dio, arrivando però all’estrinsecismo: vediamo come ...

Il primo teologo che utilizza il termine natura pura e il CAIETANO (1469-1539, commentatore della Summa). Afferma che il desidero naturale non è presente nell’uomo absolute, in modo assoluto, ma solo in virtù della Provvidenza di Dio che ordina l’uomo alla patria celeste. In altri termini l’uomo in sé non porta in sé il desiderio di Dio .

SUAREZ (1548-1617) afferma che nell’uomo esiste un appetito innato fondato sulla potentia naturalis (capacità innata):

Appetitus innatus fundatur in potentia naturali

Nell’uomo non c’è tuttavia la capacità naturale di raggiungere la visione:

Sed in homine non est potentia naturalis ad supernaturalem beatitudinem.

 

Al centro di tutto è messo l’uomo con la sua natura pura, e da questa natura si determina ciò che è soprannaturale: i soprannaturale è quindi definito in modo negativo, come ciò che non è natura pura.

Si afferma così il concetto di potentia oboedientalis cioè la capacità passiva della natura umana di ricevere la grazia. Potenza indica qui la capacità dell’uomo di ricevere senza annullarsi. Oboedientalis indica invece che i dono di Dio non è qualcosa di dovuto all’uomo, ma un dono.

Questa visione teologica ha senz’altro il pregio di garantire la gratuità della grazia: siccome Dio non è una parte costitutiva dell’uomo, se l’uomo arriva ad essere in comunione con Lui, questo è per forza per grazia, gratuitamente. L’uomo in ultima analisi si chiude nel suo ordine: è un essere razionale e trova compimento anche senza Dio.

Il chiaro limite di questa teologia è l’estrinsecismo della grazia: l’uomo è compiuto in sé e la grazia è qualcosa di più che si aggiunge.

 

            Negli anni ‘50-’60 si è avuto un ritorno all’idea della grazia vista nell’ambito della creazione: la creazione è in Cristo e in vista di Cristo.

Ci si pone nuovamente il problema di chi sia l’uomo nella sua costituzione ontologica.

Questa reazione all’estrinsecismo della grazia ha portato però al versante opposto, quello dell’immanentismo. Nel 1950 l’enciclica di Pio XII Humani generis prende posizione contro l’immanentismo:

Altri snaturano il concetto della “gratuità” dell’ordine soprannaturale, quando sostengono che Dio non può creare esseri intelligenti senza ordinarli e chiamarli alla visione beatifica. [DS 3891].

 

            Vediamo ora il pensiero di Rahner e di Delubac:

Rahner

Per Rahner la nozione più importante è che la grazia è autocomunicazione di Dio all’uomo: Dio con la grazia non comunica qualcosa, ma comunica se stesso. Possiamo dire che con Rahner abbiamo la sottolineatura della grazia increata. Questo dono che è la grazia non può essere dedotto dalla natura dell’uomo, né può essere esigito da esso.

La natura umana è secondo Rahner spirito - Geist, spirito capace di conoscere e di autodeterminarsi. Lo spirito umano è poi caratterizzato da un dinamismo sperimentato nell’esperienza trascendentale. L’uomo conoscendo un oggetto ha sempre una conoscenza di se stesso. Questo dinamismo mostra come lo spirito sia in fin dei conti indefinibile, poiché è aperto all’infinità dell’essere ed è proteso verso un compimento che non può darsi autonomamente.

Lo spirito (che secondo questa visione non ha nulla a che fare ancora con la dimensione religiosa) fa parte dell’ordinazione dell’uomo a Dio: questo pensiero è espresso partendo dalla rivelazione cristiana, dove scopriamo che l’uomo è costitutivamente fatto per la comunione con Dio. L’uomo si scopre quindi in un dinamismo non verso il nulla, ma verso il mistero della Santità di Dio manifestatasi storicamente in Cristo.

L’uomo in questo dinamismo, nel suo essere spirituale, diventa il possibile destinatario, capax, del dono di Dio.

Dio crea un “vuoto” nella creatura affinché si instauri la tensione verso di Lui: ciò che è più intimo e costitutivo dell’uomo è dunque il fatto di essere chiamato alla comunione con Dio. L’uomo è esistenziale soprannaturale; l’uomo è costitutivamente aperto al soprannaturale: esso fa parte del Dasein dell’uomo. Visto in questi termini l’uomo è privo della natura pura, cioè della natura umana nella quale è escluso il soprannaturale, poiché, come abbiamo visto, il soprannaturale appartiene ontologicamente all’uomo.

In un articolo del ‘50 Rahner afferma però che è possibile parlare di natura pura come un concetto importante per salvare il carattere gratuito della grazia solo però come concetto residuale e non concretamente determinabile (Restbegriff).

            Nelle pagine (metà degli anni ‘70) lette in classe Rahner parla della grazia come di una realtà gratuita, ma senza parlare di natura pura.

Dio dona all'uomo se stesso, e in quanto dono libero , non può essere che gratuito e libero: dove c'è amore c'è sempre gratuità.

Il carattere però indebito, assolutamente gratuito e grazioso della grazia, non significa che essa rimane qualcosa di estrinseco all'uomo: al contrario la grazia è ciò che l'uomo sommamente ricerca e attende. Rahner parte dall'esperienza concreta, interpretata però alla luce della rivelazione cristiana: dall'esperienza concreata Rahner deduce che l'uomo è in partenza una creatura spirituale ed è posta come il possibile destinatario della rivelazione di Dio perché è Dio stesso che vuole comunicare se stesso all'uomo. La trascendenza dell'uomo trova la propria totale realizzazione nell'autocomunicazione di Dio.

L'affermazione che meglio esprime il rifiuto dell'estrinsecismo della grazia è: l'elemento più intimo dell'uomo è l'autocomunicazione di Dio; Rahner non parla della grazia come di qualcosa accanto all'uomo, ma di una realtà che tocca l'essere dell'uomo.

Rahner si appoggia sulla dottrina cristiana, sulla predicazione del Vangelo della Chiesa e afferma che all'interno di questa fede è possibile capire chi è l'uomo: la dottrina cristiana parla a tutti gli uomini, ed esprime l'esistenziale di ogni uomo, ossia ciò che qualifica l'essere dell'uomo in modo antecedente ad ogni determinazione storica.

Il fatto che si parli in termini esistenziali non significa che la grazia diventi qualcosa di  dovuto all'uomo; la grazia è sempre un dono immeritato e gratuito.

La autocomunicazione di Dio nella grazia è data a tutti gli uomini nella forma dell'offerta, e questo non si significa che il dono sia sempre accolto: la natura dell'uomo è di per sé libera e quindi esiste la possibilità di rifiutare il dono della grazia e dell'autocomunicazione di Dio. L'uomo può arrivare al rifiuto del proprio essere uomo rifiutando il dono della grazia: il dono esiste sempre, anche se è oggetto di rifiuto.

Rahner offre qui una visione dell'uomo a partire dalla fede in Cristo.

 

Henri de Lubac

Nel 1946 esce l'opera intitolata Surnaturel, opera dalla quale sorgeranno tutte le discussioni legate alla grazia e al soprannaturale.

Anche de Lubac si propone di superare il carattere estrinseco della grazia e la concezione fortemente dualistica che considera la natura umana chiusa in se stessa e il soprannaturale come qualcosa che si aggiunge alla natura umana.

De Lubac, a differenza di Rahner, prescinde totalmente dal concetto di natura pura. L'uomo non ha altro fine se non la visione di Dio, e al di fuori di questo non ci può essere la felicità.

 

Dio ha donato all’uomo l’essere e il suo fine soprannaturale non in due momenti distinti e diversi (prima l’uno e poi l’altro) ma in un solo atto creativo. L’io e l’essere dell’uomo sorgono insieme, nello stesso atto creativo. In questo modo De Lubac recupera la visione unitaria dell’agire di Dio.

Anche se la visione di Dio è considerata da De Lubac come la finalità dell’uomo, essa non è tuttavia necessaria, non avviene per necessità. L’elevazione della creatura umana alla vita divina, pur essendo il fine dell’uomo, non è comunque necessitata.

Prius intenditur deiformis quam homo.

 

Prendendo le distanze dal concetto di natura pura il pensiero di De Lubac attinge ampiamente alla tradizione della chiesa.

 

CONSIDERAZIONI DI SINTESI SUL SOPRANNATURALE

1. È importante richiamare un concetto fondamentale della antropologia teologica: si parla sempre dell’uomo a partire da Cristo. La gratuità dell’elevazione soprannaturale dell’uomo va compresa a partire dalla gratuità dell’incarnazione. L’incarnazione è l’evento gratuito per eccellenza. L’incarnazione, il dono dello Spirito Santo sono il punto di compimento del disegno d’amore che inizia con la creazione. Cristo è voluto da Dio fin dall’origine del mondo: al centro della creazione c’è dunque Cristo. Non si può dunque parlare dell’uomo dissociandolo da Cristo. Questa conclusione è importante soprattutto a livello metodologico:

- Di fatto non esiste un uomo indipendente e staccato da Cristo; non si può parlare dell’uomo indipendentemente dall’economia cristica.

- L’amore di Dio verso la creatura ha la caratteristica di essere dialogico, aspetta ciò una risposta da parte dell’uomo. Questo carattere dialogico entra nella definizione propria dell’uomo.

 

2. Possiamo distinguere l’essere dell’uomo dalla sua elevazione, ma non come due momenti successivi (un prima e un dopo), anche se a livello storico si è avuta prima la creazione dell’uomo e poi la redenzione attraverso l’incarnazione. Nel progetto di Dio fin dall’eternità è presente la volontà di creare l’uomo come capace di accogliere il dono di grazia. La creazione è capax Dei,  capace dei accogliere poiché possiede la potentia oboedentialis, cioè la capacità di accogliere il dono di grazia.

 

3. Non si può parlare di altro fine per l’uomo se non la filiazione divina: non c’è un fine naturale dell’uomo accanto a quello soprannaturale.

 

4. Dio non è obbligato: l’intera storia della salvezza non si basa sull’obbligatorietà, ma sulla gratuità. Dio è fede alla sua creazione, ed è questa fedeltà che mostra la libertà di Dio. Libertà non deve essere mai confusa con capriccio, ma come fedeltà. Dio così facendo si lega alla propria creatura e anche alle sue infedeltà e ai suoi rifiuti. Da questo punto di vista la storia di peccato dell’uomo diventa la più grande manifestazione della fedeltà e dell’amore di Dio verso la propria creatura.

 

Quattro tesi conclusive sul soprannaturale

1. La gratuità dell’incarnazione è l’elemento fondamentale della gratuità del soprannaturale. Nel Verbo incarnato, in Gesù Cristo abbiamo l’autocomunicazione di Dio all’uomo, un’autocomunicazione del tutto gratuita.

 

2. Solo partendo dal disegno di Dio sull’uomo è possibile, in teologia, parlare dell’uomo. La volontà di Dio è che l’uomo diventi Suo figlio: questa volontà è tale fin dall’antetempus. Tale disegno e volontà determinano la natura profonda dell’uomo:

“Voluntas tantu Creatoris conditione rei cuiusque natura est”

(La volontà del creatore costituisce la natura della creatura).

La natura dell’uomo è determinata dal disegno di Dio, per cui l’essenza dell’essere umano porta in sé il segno di questa determinazione. Parlare di una natura pura, priva di questa determinazione divina, significherebbe parlare in astratto di un essere che non esiste.

 

3. L’antropologia teologica definisce l’uomo nella sua relazione con Dio. È possibile comunque distinguere fra una relazione creaturale e una relazione sopracreaturale, e anche fra due tipi di gratuità.

L’uomo nella sua relazione creaturale si stabilisce come totalmente diverso dal creatore, ma anche totalmente dipendente da esso, poiché è lo stesso creatore che sostiene l’essere della creatura. La relazione creaturale è quel tipo di relazione che caratterizza ogni ente creato, ma nel caso dell’uomo c’è un’altra dimensione, quella soprannaturale.

L’uomo nella sua relazione soprannaturale è definito come l’essere che è destinato ad avere un rapporto di singolare figliolanza con il creatore. Il fatto che sia una relazione sopra - naturale non significa che sia una relazione estrinseca all’uomo, ma che la creatura è portatrice in sé di una pienezza indeducibile dalla creatura; nonostante l’uomo rimanga uomo egli diventa una creatura nuova, e questa novità è data dalla relazione di figliolanza con Dio.

 

4. Evidenziamo comunque una sostanziale unità fra creaturale e soprannaturale, infatti non è possibile separare ed isolare ciò che appartiene alla creaturalità da ciò che appartiene al rapporto con Dio.

La spiritualità dell’uomo è apertura verso Dio, l’uomo ha in sé una potentia oboedentialis, la capacità di corrispondere al dono di grazia proveniente da Dio.

 

2. La grazia come giustificazione

La Grazia fondamentale per il cristiano è l’invio del Figlio di Dio sulla terra; è una grazia che si realizza in un momento determinato della storia. In questo progetto di grazia e di comunione con Dio è intervenuto il peccato, per cui l’uomo si trova nella condizione d’essere in contraddizione con il suo proprio essere. Gesù Cristo è colui nel quale questa frattura è ricomposta, colui in vista del quale tutte le cose sono state create.

2.1. La giustizia di Dio nella Scrittura

2.1.1 Nell’Antico Testamento

Il termine ebraico zedakà non deve essere inteso come conformità del comportamento dell’uomo ad una norma astratta, bensì la giustizia di Dio nell’AT indica il modo di comportarsi di Dio nei confronti del popolo con il quale ha stretto un’alleanza. Le azioni di questa giustizia divina sono quelle nelle quali Dio manifesta la sua fedeltà all’alleanza.

Nei Salmi zedekà indica ciò che Dio opera per la salvezza del popolo:

Il Signore agisce con giustizia e con diritto verso tutti gli oppressi (Sal 103, 6)

 

Si parlerà del Signore alla generazione che viene;

annunzieranno la sua giustizia;

al popolo che nascerà diranno:

“Ecco l’opera del Signore”.( Sal 22,32)

 

Nell’Antico Testamento si parla anche della giustizia dell’uomo davanti a Dio: Nei salmi della “Salita al tempio” (preesilici) il salmista si chiede che potrà salire al monte del Signore (Sal 24, Sal 15): costui agisce in conformità con i comandamenti del Signore, agisce con giustizia. Le porte del tempio del Signore si apriranno al giusto, a colui che osserva i comandamenti. Da questi salmi si deduce un aspetto centrale per la giustizia nell’Antico Testamento:

l’uomo giusto è colui che osserva i comandamenti.

Nel tempo postesilico è maggiore la consapevolezza del singolo davanti a Dio, ossia il rapporto con il Signore è sempre più personale: non si è giusti per il solo fatto d’appartenere al popolo dell’Alleanza, ma in forza della propria condotta conosciuta da Dio. Vedi Salmo 1,6: Il Signore veglia sul cammino dei giusti, ma la via degli empi andrà in rovina.

È sorprendente come in alcuni salmi l’autore si dichiari giusto in modo decisamente sfacciato:

Accogli, Signore, la causa del giusto,

sii attento al mio grido.

Porgi l’orecchio alla mia preghiera:

sulle mie labbra non c’è inganno. (Sal 17,1)

La giustizia dell’uomo non è però mai di tipo legalistica: l’uomo è giusto solo per la misericordia di Dio.

Non chiamare in giudizio il tuo servo:

nessun vivente davanti a te è giusto (Sal 143, 2)

Tuttavia nel rabbinismo tardivo prevarrà una concezione decisamente più legalistica che lega la giustizia dell’uomo all’osservanza dei comandamenti come un vanto dell’uomo.

2.1.2 In San Paolo

Il testo chiave per interpretare Paolo a questo riguardo è Rm 3,21-31: dopo aver presentato l’umanità sotto l’ira di Dio, Paolo passa a descrivere l’azione della giustizia di Dio. Il centro della giustizia di Dio è Cristo diventato strumento di espiazione. La giustizia di Dio si caratterizza poi con il perdono dei peccati grazie alla misericordia di Dio.

In questo testo Paolo rimane sicuramente nella linea dell’Antico Testamento nel quale la giustizia porta la salvezza all’uomo, ma mentre nell’AT erano previsti molte opere salvifiche, molti sacrifici, ora, con la morte di Cristo, abbiamo un unico atto di giustizia: Cristo è stato lo strumento di espiazione per mezzo del suo sangue.

Nella visione paolina l’essere giusto davanti a Dio per l’uomo non è affatto una propria conquista, bensì un dono ricevuto. Si può parlare di giustizia dell’uomo solo partendo dalla giustizia di Dio, che è Sua assoluta qualità, una qualità però di RELAZIONE. La manifestazione della giustizia di Dio è espressa in Rm come in un rapporto di relazione:

dikaiosu/nh de\ Qeou= dia\ pi/stewj )Ihsou= Xristou=, ei)j pantaj tou\j pisteu/ontaj

La giustizia di Dio viene quindi espressa come un venir raggiunti. Al v.24 troviamo un passivo teologico: dikaiou/menoi dwrea\n.

L’altro elemento fondamentale, oltre questo essere raggiunti, è la fede infatti la giustificazione avviene sempre per mezzo della fede (Rm 3,26). La fede per Paolo è l’accoglienza della Parola della predicazione del Vangelo; la fede viene sempre da un ascolto della Parola predicata. Questa Parola, è la parola della croce e accogliere la parola significa essere con crocifissi, con consepolti, con risorgere con Cristo.

La Parola della croce accolta con fede ponit nos extra nos, pone l’uomo al di fuori di se stesso dato che lo pone in un rapporto di relazione con Dio. Mentre nell’AT il rapporto dell’uomo con Dio dipendeva dagli effetti dell’opera dell’uomo, ora il rapporto con Dio è sulla linea dell’accoglienza del dono della Redenzione che cambia l’essere dell’uomo stesso.

Se da un lato l’accoglienza della Parola è un atto umano, dall’altro l’uomo si mette in un atteggiamento di passività poiché è trasferito presso Dio, è raggiunto da questa grazia.

Quando quindi nelle lettera ai Rm si dice che Dio ha giustificato l’uomo Paolo si riferisce non ad un atto forense di Dio nei confronti dell’uomo, ma indica una effettiva novità dell’uomo sul piano dell’essere. L’uomo si è trasferito, ha cambiato casa (domus) e signore (dominus) per entrare nella Signoria di Dio. (Rm 6,14: Il peccato non dominerà infatti più su di voi poiché non siete più sotto la legge, ma sotto la grazia). L’uomo vive quindi non più secondo la carne, cioè da solo, in balia delle sue sole possibilità, ma vive nello spirito, cioè in una relazione di vita con Dio. Questa nuova relazione, è una relazione da figli.

La lettera di Giacomo

È nota la diversità di accenti che emerge confrontando Giacomo con Paolo: per Giacomo Abramo è stato salvato per le opere, mentre invece per Paolo lo è stato per la fede.

Giacomo afferma come l’uomo non deve essere diyuxo/j , cioè non deve avere una doppia anima ossia una persona che dice di credere, ma poi non confessa con il proprio comportamento la propria fede.

2.1.3 La giustizia di Dio e la giustificazione nella Riforma

Per Lutero l’articolo di fede della giustificazione è quello di gran lunga più importante per tutta la fede cristiana.

Lutero ha avuto il merito di rimettere al centro dell’attenzione il tema della giustificazione: prima di lui Tommaso aveva parlato di giustificazione nei termini di gratia sanans (grazia sanante) per i peccatori.

Legge-Vangelo. Antropologia negativa

Per capire Lutero bisogna rifarsi ad una distinzione fondamentale per il suo pensiero, ossia la contrapposizione fra LEGGE e VANGELO.

Þ  La legge indica all’uomo la volontà di Dio, ma non gli dà la forza per compierla. La legge ha solo una funzione accusatoria, ossia indica all’uomo il proprio peccato.

Þ  Il Vangelo invece di accusare perdona.

La legge non ha tuttavia una funzione solo negativa poiché ha un ruolo pedagogico nei confronti di Cristo.

Vedi n°3: l’insegnamento della legge tocca il cuore dell’uomo, gli svela la propria nullità e capisce che non gli rimane altro se non l’aiuto di Dio. L’unico aiuto che può venire in soccorso alle coscienze ansiose ed infelici è Cristo.

L’uomo da solo non si può salvare, ma solo con l’aiuto di Dio. Siccome Cristo redime l’uomo nella sua interezza, allora esso prima di questa redenzione era totalmente corrotto, in caso contrario sarebbe resa superflua l’azione di Cristo.

Questa antropologia negativa è espressa molto chiaramente nell’opera De Servo Arbitrio: l’uomo, dopo il peccato di Adamo, è totalmente corrotto dal peccato, ne è schiavo e la legge mette in evidenza questa triste situazione.

Lutero parla di un peccato fondamentale, cioè della condizione di schiavitù nella quale si trova l’uomo. In questa condizione l’uomo è Homo in se incurvatus, incapace di aprirsi a Dio, fermo solo sulle proprie risorse, con la volontà di trovare in sé il fondamento della propria salvezza e del proprio essere.

Lutero riprende il tema agostiniano: solo la grazia di Dio libera l’uomo dalla schiavitù del peccato.

Sviluppo del tema della giustificazione secondo Lutero

Bisogna partire dal considerare la visione antropologica negativa di Lutero: Nei nn° 1-2 si legge questo pessimismo nei confronti dell’uomo la cui natura è totalmente annientata dal peccato.

L’uomo non può quindi assolutamente pensare ad una giustizia acquistata con le proprie forze, e rimane solo Cristo con la sua opera di salvezza. Nel n°4 leggiamo però che quello che rimane è comunque il Cristo che vale per me, l’insegnamento che il Cristo dà a me e che io posso applicare alla mia personale vita.

La fede è proprio questo applicare alla propria vita, a se stessi ciò che il Cristo ha fatto (n°5).

Solo grazie alla fede l’uomo è liberato dall’incertezza e trova scampo dalla disperazione (n°6): la liberazione dall’incertezza si ha dato che l’uomo si affida al Vangelo il quale ordina di non guardare alla nostre buone azioni, bensì a Dio e a Cristo come nostro Mediatore.

A questo punto si capisce come per Lutero la giustificazione sia qualcosa che viene ab extra dal di fuori dell’uomo: egli non deve guardare ai propri meriti ma alla sola opera divina. Il problema sarà che da un qualcosa di esterno all’uomo la giustificazione diverrà ESTRANEA all’uomo, cioè una sola imputazione che viene da Dio, un atto forense, e non come qualcosa che riguarda l’essere dell’uomo.

Altro elemento importante: la giustificazione per Lutero precede le opere buone, e le opere buone sono la conseguenza della giustificazione.

N° 8 Le opere sono frutto della novità della fede: l’uomo non può compiere opere buone senza la fede; esse saranno sempre e comunque opere di un uomo incurvato su se stesso.

2.3 La giustificazione nel Concilio di Trento

Proemio: Questo decreto nasce con l’esplicita intenzione di prendere posizione contro la dottrina luterana sulla giustificazione.

In questo decreto si vuole mantenere uniti due aspetti:

1.    Cooperazione dell’uomo nel processo di giustificazione: Lutero aveva escluso che vi potesse essere la possibilità di esercitare la libertà per l’uomo in quanto corrotto dopo il peccato.

2.    La giustificazione trasforma interiormente l’uomo e non è solo un’imputazione che Dio compie all’uomo.

 

Capitolo 1: Il libero arbitrio dopo Adamo non è stato estinto, ma solo indebolito e inclinato al male. (Cfr. Canone 5).

Capitoli 2-3: Si fa riferimento alla centralità dell’opera di Cristo dato che l’uomo non si redime con le proprie forze. A questo capitolo corrisponde il primo canone. [DS 1551]

Capitolo 4: Si entra nel vivo della trattazione descrivendo la giustificazione dell’uomo peccatore. L’accento è posto sull’aspetto antropologico, ossia si fa grande attenzione al cambiamento di stato che vive l’uomo che viene giustificato: si ha una translatio dalla vita nel peccato a quella della grazia. Si tratta di un passaggio, di un susseguirsi di tappe.

Capitolo 5: Il problema iniziale è quello dell’inizio della fede, ossia il problema del rapporto fra la libertà dell’uomo e la chiamata di Dio.

# Il concilio afferma il primato assoluto della grazia anche nel momento iniziale dell’atto di fede (grazia preveniente, cioè la chiamata di Dio): è lo Spirito Santo che tocca il cuore degli uomini.

# Esiste però la cooperazione degli uomini i quali non sono inerti spettatori, ma hanno la capacità di rispondere. L’attività dell’uomo è quindi la risposta alla grazia iniziale. L’uomo è vero soggetto che agisce, accettando o rifiutando. Vedi Canone 4.

Capitolo 6: Con la fede, la speranza e l’amore l’uomo si prepara alla giustificazione. Il concilio si oppone alla “sola fede” di Lutero: la fede è sì importante, ma da sola non basta: la fede diventa operosa nella carità e la speranza è rafforzata. In questo modo si dà spessore e contenuto all’affermazione precedente secondo la quale l’uomo non rimane inerte, ma ha un ruolo attivo.

Capitolo 7: La giustificazione non è solo remissione dei peccati, cancellazione delle colpe in un uomo che rimane sempre lo stesso, ma è anche santificazione, rinnovamento della vita interiore. Da nemici si diventa amici: con questi termini di relazione si esprime il nuovo rapporto fra l’uomo giustificato e Dio.

Nella seconda parte di questo capitolo vengono trattate le cause della giustificazione:

·      la causa finale, cioè la gloria di Dio del Cristo e la vita eterna,

·      la causa efficiente, cioè la misericordia di Dio che purifica e santifica l’uomo tramite l’unzione dello Spirito,

·      la causa meritoria, cioè lo stesso Signore Gesù Cristo che morendo sulla croce, quando l’uomo si trovava ancora nello stato di peccato, ha meritato in modo del tutto gratuito la giustificazione all’uomo,

·      la causa strumentale è il sacramento del battesimo inteso come “sacramentum fidei” (Ambrogio),

·      la causa formale è la giustizia di Dio non intesa solo come l’essere giusto di Dio, ma giustizia di Dio in quanto essa è comunicata agli uomini e tramite la quale essi diventano realmente nel loro essere giustificati. Non si tratta quindi di una sola dichiarazione forense di giustizia. La giustizia formale può essere detta dell’uomo perché è comunicata ad esso e perché richiede la sua disposizione e cooperazione. La giustificazione del peccatore produce anche il dono delle virtù teologali.

Capitoli 8-9: viene affrontato il tema della fede. Già nel capitolo precedente [DS 1531] si era affermato in quale senso fosse errore proclamare la giustificazione per sola fide: la fede, senza la speranza e la carità, né unisce perfettamente a Cristo né genera membra vive del suo corpo.

Bisogna tuttavia sottolineare che dietro la condanna tridentina dell’espressione sola fide si nasconde un malinteso a livello terminologico fra la concezione di fede medioevale - tomista e quella di Lutero.

Nella concezione medioevale la fede che salva è la fede formata dalla carità (fides caritate formata). Tommaso nella Summa (II,II, q.4) si pone la domanda se la fede trovi la sua perfezione nella carità. Il riferimento è a 1Cor13,2  dove si parla della fede senza la carità, e al versetto 13 si afferma che la virtù più grande rimane la carità. Basandosi su questa distinzione si elabora nella teologia medioevale la concezione di una fede intesa come semplice adesione intellettuale ai dogmi, astratta quindi dell’amore. Nella II,II, q.1 si legge: fides importat assensus intellectus ad quod creditur: la fede come semplice assenso intellettuale. Questo tipo di fede però non conduce alla salvezza: anche i dèmoni hanno la fede, credono che Gesù è il Figlio di Dio (Gc2,19) e tuttavia non sono certo dei salvati.

Solo la fede informata, perfezionata dalla carità, che conduce a sua volta alla conversione, porta alla salvezza.

È in questo contesto che il concilio di Trento rifiuta la sola fide di Lutero: per Lutero infatti la fede è indispensabile e sufficiente per ottenere la salvezza. La fede per Lutero comporta l’essere già totalmente rivolti verso Dio: quindi Lutero non concepisce che possa esistere una preminenza della carità sulla fede, essendo, per lui, la carità una conseguenza della fede. La caritas dei medioevali era, in altri termini, già compresa all’interno della concezione luterana di fede.

Mentre la teologia medioevale si era sforzata di distinguere, di fare delle suddivisioni, Lutero pensa che la fede non possa essere solo un fatto intellettuale.

Il capitolo 8 afferma quindi ancora una volta il fatto che l’uomo è giustificato mediante la fede, e non, solo mediante la fede.

Capitolo 9: si vuole combattere il pericolo del quietismo, cioè dell’atteggiamento di coloro che per il fatto di credere, si sentono sicuramente giustificati con il risultato di perdere la cura per la propria perseveranza.: Nessuno deve cullarsi nella sola fede [DS 1538]. Il concilio afferma allora che la “fede fiduciale” degli eretici è falsa: per Lutero dubitare della fede significherebbe negarla completamente.

2.4 Considerazioni finali sulla giustificazione

La prima constatazione da farsi è che il contesto culturale e di fede nel quale vennero fatte tutte queste discussioni teologiche è molto diverso da quello attuale: Lutero come figlio dell’epoca medioevale sente una grande inquietudine davanti all’incertezza di un Dio misericordioso o tremendo: oggi il problema non è tanto riguardo alla misericordia di Dio, quanto al problema dell’essere di Dio. Oggi, essendosi persa la coscienza del peccato, si è persa anche la comprensione della misericordia di Dio.

Nel passato il problema dell’uomo era quello di non essere “non giusto” ossia, in chiave morale il non osservare i comandamenti. Oggi il problema dell’uomo si colloca a livello del rapporto con il mondo. L’uomo moderno ha fatto l’esperienza della sua grandezza, delle sue infinite possibilità, ma anche dell’indifferenza cosmica. Il cielo sembra essere sempre più indifferente alle sorti dell’uomo, e si arriva ad una cultura di tipo nichilista.

In questo universo muto ed estraneo l’uomo sente angoscia, perdizione nel senso della perdita di ogni senso.

In questo contesto com’è possibile considerare la giustizia di Dio che si manifesta nella morte di Cristo?

Il Dio cristiano è un Dio che accoglie tutti gli uomini nella loro specifica condizione: Dio ama l’uomo anche se gli si dimostra infedele e ribelle. È proprio nella croce e nella risurrezione che Dio manifesta concretamente il suo SI’ definitivo all’uomo.

            In una realtà nella quale si è perso il senso del peccato diventa irrilevante anche l’idea di giustificazione: sebbene non sia giusto prendere la cultura dominante come criterio di valutazione assoluto dell’uomo, bisogna anche riconoscere la necessità di prendere sul serio l’uomo contemporaneo che si sente come “uno zingaro nell’universo”. La parola chiave della modernità sembra quindi essere Nichilismo.

Il Dio cristiano è però un Dio che si fa solidale con l’uomo anche quand’esso si trova più lontano da Lui: con la Parola della creazione Dio ha chiamato all’esistenza ciò che prima non era, e allo stesso modo Dio con la Risurrezione trae l’uomo dal nulla del peccato alla vita divina della grazia. Dio rimane il Dio creatore, che fa nascere nella comunione con Lui.

Il perdono del peccato è quindi una manifestazione di questo essere fedele di Dio all’uomo che, per libera scelta d’amore, ha creato. Già Tommaso nella Summa accostava in modo molto stretto la Parola della creazione con la remissione dei peccati:

È una cosa più grande che dall’empio sia fatto un giusto che creare il cielo e la terra.

L’atto della creazione e la remissione dei peccati per un verso sono assimilabili, infatti in entrambi i casi si parla di un inizio dal nulla (creazione ex nihilo), ma per un altro verso la remissione del peccato combatte una situazione ancora più grave, ossia quella del peccato che può essere visto come un nulla nullificante (nihil nihilans), una forza negativa che tende a nullificare.

Nella croce e con la Risurrezione l’uomo è strappato al nulla in forza del sì detto da Dio all’esistenza dell’uomo.

Grazie alla fede, guardando l’opera della Redenzione, si scopre la propria condizione di peccato e di nulla (siccome l’essere nel nulla è la forma fondamentale di ogni peccato) dalla quali si è stati sottratti.

Alla fine di questa trattazione sulla giustificazione bisogna ancora sottolineare la profonda connessione dei due aspetti che spesso sono stati contrapposti: la giustificazione come Parola pronunciata da Dio (giustificazione esterna) e giustificazione come nuovo rapporto di amicizia con Dio (giustificazione interna). La Parola del creatore è performativa (crea) e chiama l’uomo ad un rapporto nuovo di amicizia con Lui. Fra l’uomo è Dio inizia quindi una storia, un processo.

 


3. La grazia come filiazione divina

 

Abbiamo visto come la grazia sia l’essere accolti, tramite la morte e risurrezione di Cristo, nella comunione con Dio. Abbiamo visto anche come tutta la teologia della giustificazione sia cristocentrica, e ora ci chiediamo in cosa consista questa nuova relazione con Dio che si attua in Cristo, per Cristo e con Cristo. Si tratta in altri termini di vedere qual’è la novità d’essere che è nell’uomo a partire dalla presenza di Dio nell’uomo, cioè a partire dalla presenza dello Spirito Santo.

La categoria di filiazione è fondamentale per tre motivi:

·      Filiazione è un termine di relazione: tutta la Scrittura esprime la creazione in termini di relazione d’amore di Dio con l’uomo: Dio ama le cose che crea (cfr. Sap).

·      La nostra relazione con Dio è caratterizzata dall’essere una relazione con un Dio trino ed uno: nella grazia è donata all’uomo la vita eterna di Dio, vita che è fondata sulla comunione delle tre persone della Trinità. La Scrittura caratterizza la relazione con Dio nei suoi aspetti trinitari: per esempio si dice che con il battesimo siamo conformati al Figlio (e non al Padre e neppure allo Spirito), che la salvezza ci conduce al Padre, e non al Figlio.

·      Tutto è stato creato in vista di Cristo, quindi anche la creatura umana troverà la sua massima realizzazione nella conformità perfetta a Cristo, la cui essenza fondamentale è l’essere Figlio del Padre. L’uomo trova il suo compimento perfetto nella figliolanza divina.

 

3.1 Lo Spirito Santo discende su Gesù ed è comunicato agli uomini

Sia la filiazione di Gesù che la nostra possono essere viste in chiave pneumatologica.

Possiamo dire che lo Spirito ha accompagnato tutta la missione di Gesù: lo Spirito Santo presiede all’incarnazione del Verbo (Lc 1.35), al battesimo di Gesù(Mc 1,10), alla sua offerta sulla croce (Eb 9,14), alla sua Risurrezione (Rm 1,4).

Questo stesso Spirito è donato agli uomini: At 2,33:

Innalzato pertanto alla destra di Dio e dopo aver ricevuto dal Padre lo Spirito Santo che egli aveva promesso, lo ha effuso, come voi stessi potete vedere e udire.

Secondo il NT, ed in particolare secondo At 2,33, ci sono quindi due momenti fondamentali nel rapporto fra Gesù e lo Spirito:

·      Lo Spirito è su Gesù.

Nel battesimo di Gesù si vede come lo Spirito di Dio discenda su Gesù: questa discesa può essere vista ed interpretata come un’unzione - consacrazione in parallelo con il testo di Is 42,1:

Ecco il mio servo che io sostengo,

il mio eletto di cui mi compiaccio.

Ho posto il mio Spirito su di lui;

egli porterà il diritto alle nazioni.

Anche negli Atti 10, 38 viene ripreso il tema dell’unzione di Gesù:

Dio consacrò in Spirito Santo e potenza Gesù di Nazaret il quale passò beneficando

e risanando tutti coloro che erano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con lui..

In questo passo si vede che l’unzione dello Spirito è messa in relazione con la missione del Figlio: l’obbedienza del Figlio alla volontà del Padre segue l’impulso dello Spirito.

Von Balthasar afferma che in Gesù avviene un’ inversione economica: mentre nella vita intratrinitaria lo Spirito procede dal Padre e dal Figlio (“viene dopo” il Padre e il Figlio), nell’esistenza terrena di Gesù lo Spirito è inviato sul Figlio e quindi “viene prima”, affinché possa compiere la sua missione.

 

Questo essere passivo del Figlio rispetto allo Spirito ha una grande importanza teologica: la carne assunta dal Verbo diventa ciò che era fin dall’eternità. Nell’uomo viene realizzata la filiazione con Dio negli stessi condizionamenti della realtà umana, e lo Spirito è il principio di questa relazione filiale.

·      Lo Spirito è da Gesù.

Dopo la Risurrezione Gesù dona lo Spirito a coloro che credono in lui diventando quindi fonte del dono: i patri affermano che il “vaso” di Gesù è stata squarciato e sono usciti sangue e acqua (simbolo dello Spirito).

 

Gesù donando lo Spirito a chi crede in lui, dona ciò che gli è più profondamente proprio, ossia il suo stesso rapporto con Dio Padre. Lo Spirito si configura quindi come il dono per eccellenza, come il Dono, ossia il stessa relazione d’amore che unisce Padre e Figlio. Due passi evidenziano come dallo Spirito derivi la relazione d’adozione filiale:

Gal 4,4-7: l’adozione a figli è presentata come il fine stesso dell’incarnazione: lo Spirito del Figlio grida in noi: Abbà, Padre.

Rm 8,14-17: l’essere guidati dallo Spirito significa essere Figli: lo Spirito ci fa gridare: Abbà, Padre.

Confrontando questi due passi si vede come lo Spirito e la persona umana sono quasi identificate in quanto entrambe gridano: Abbà.

 

Lo Spirito opera quindi in noi la filiazione con Dio: la famigliarità di Gesù che poteva chiamare Dio papà, diventa la nostra stessa famigliarità. Sant’Ireneo affermava che lo Spirito è Communiatio Christi, cioè la comunicazione di ciò che è più tipico di Cristo, ossia il suo essere Figlio.

3.2 La relazione del giustificato con le tre persone divine

La comunione con Dio non è semplicemente la comunione con l’essenza di Dio, e neanche comunione con una singola persona della Santissima Trinità, bensì la partecipazione alla comunione intertrinitaria: Dio entra in comunione con l’uomo non in modo indefinito, ma secondo ciò che è proprio alle tre singole Persone divine. Nel NT per esempio leggiamo che l’uomo è chiamato a conformarsi al Figlio, e non al Padre o allo Spirito Santo. Quando pronunciamo le parole del Padre Nostro, ci rivolgiamo al Padre, nel Figlio attraverso lo Spirito Santo.

La grazia ci ammette alla comunione che il Figlio ha con il Padre, ed essendo resi conformi al Figlio abbiamo quindi accesso alla comunione col Padre.

Lo Spirito, effuso su ogni uomo, fa sì che la filiazione divina appartenga ad ogni uomo che accoglie il dono, ossia lo stesso Spirito Santo. Lo Spirito è visto da Agostino come il dono che “il Padre i e il Figlio si scambiano eternamente”. Nelle tre persone divine esiste una piena corrispondenza fra l’esse in e l’esse per, quindi è possibile dire che lo Spirito è l’eterno dono scambiato fra Padre e Figlio.

La grazia è quindi lo stesso Spirito Santo ed abitando in noi abita in noi la Trinità.

Con il dono dello Spirito abita in noi la Trinità, infatti leggiamo nella Scrittura:

Non sapevate che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo che è in voi e che avete da Dio, e che non appartiene a voi stessi? (1Cor 6,19).

 

Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo che vive in me. Questa vita nella carne, io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me. (Gal 2,20).

 

Noi siamo infatti tempio del Dio vivente, come Dio stesso ha detto: Abiterò in mezzo a loro e con loro camminerò e sarò il loro Dio, ed essi saranno il mio popolo. (2Cor 6,16)

La presenza nell’uomo della Trinità non significa che egli è annullato, assorbito da Dio, ma al contrario, l’uomo rimane creatura ma capace di accogliere in sé la presenza divina.

3.3 La filiazione divina come pienezza dell’essere personale

L’uomo è un soggetto definito dalla filosofia come sostanza individuale capace di conoscere  di volere. Una delle caratteristiche del soggetto è di auto possedersi, ossia entrando in contatto con gli altri enti, il soggetto non si confonde con l’ente che conosce, ma instaura sempre un rapporto di alterità: c’è un esodo della conoscenza dall’uomo verso l’oggetto, e un ritorno della conoscenza verso il soggetto conoscitivo che non si confonde però con l’oggetto. Tommaso parla di una “Reditio completa subjecti im seipsum”. L’uomo prende così coscienza della propria sostanza individuale e razionale.

Il concetto dell’uomo come persona è molto più vasto di quello di soggetto: la persona si qualifica grazie all’essere in relazione con il Tu dell’altra persona. È tipico della persona essere in rapporto con un altro Tu. Un Tu che non è solo qualcosa di esterno, ma che diventa immanente alla persona. Si può parlare di un reciproco possedersi, di un essere nell’altra persona. Una tipica manifestazione di questo rapporto si ha quando, morendo una persona molto cara, sembra ma nostra stessa morte.

Dal punto di vista teologico, l’uomo è qualificato sempre come persona nel suo rapporto con Dio: Dio si relazione sempre all’uomo come ad un altro Tu e non come ad una cosa. È la stessa parola creatrice di Dio ad essere una Parola carica di relazionalità, e quindi l’essere persona dell’uomo non dipende da condizionamenti esterni, ma è qualcosa che gli appartiene in modo originario.

La persona umana si compie e realizza solo quando restituisce se stessa a colui dal quale proviene: la persona trova nel dono di se stessa il proprio completo compimento.

Abbiamo già visto come nelle tre persone divine c’è perfetta coincidenza fra esse in  e esse per: l’essere di ognuna delle persone è completamente donato e ricevuto in un eterno scambio.

La realtà dell’uomo non è però la stessa: per l’uomo l’essere per (essere donato) non coincide con il proprio essere, ed è proprio il cammino di conversione far sì che queste due dimensioni arrivino a coincidere.

Possiamo dire che al nostro essere soggetti è affidato il nostro divenire persona, infatti ogni uomo è in sé essere assoluto (in quanto soggetto), ma anche dipendente dal creatore e chiamato alla perfetta comunione con Lui in una perfetta donazione. Il peccato consiste appunto nel rifiuto della propria autodonazione, e di trasformare quindi il proprio essere soggetto in un “autopossesso”. Il peccato è quindi il non corrispondere alla vocazione di diventare persone. Il peccato quindi non appartiene all’essenza dell’uomo, ma la frustra impedendogli d’essere in relazione.

Lo Spirito Santo è dunque la persona divina che crea questa relazione, è la “persona relazione”, il “tra personale”: con il dono dello Spirito l’uomo soggetto, diventa persona. Lo Spirito cancella il peccato, proprio nell’ottica del mettere in relazione, ciò che prima era privo di questa relazione. Lo Spirito fa sì che l’uomo possa mettere in pratica i comandamenti, non nella loro lettera esterna, ma come figli.

3.4 La dimensione comunitaria della filiazione divina

La dimensione comunitaria fa parte dell’uomo: Aristotele diceva che l’uomo è un essere politico. L’antropologia teologica afferma che con il peccato originale dell’uomo si è interrotta la comunicazione sociale della grazia.

È necessario recuperare l’aspetto ecclesiale della grazia.

La filiazione divina implica un nuovo rapporto di fraternità fra gli uomini: lo Spirito, il vincolo fra il Padre e il Figlio, diventa anche il noi della Chiesa. L’essere Figlio di Gesù, significa l’esserlo per noi, per i credenti, costituiti quindi in un rapporto di fraternità.

Come tra Padre e Figlio il vincolo d’unione e comunione è lo Spirito, allo stesso modo la comunione fra gli uomini è fondata nello Spirito. La comunità dei credenti è quindi espressione della comunione intratrinitaria.

Grazie alle riflessioni di Congar si è sviluppata l’ecclesiologia di comunione tipica del nostro secolo (vedi Lumen Gentium).

Nel fratello si riconosce dunque un “Tu” in rapporto con il Padre nello Spirito Santo, un “Tu” per il quale Cristo è morto.

Questa dimensione comunitaria non elimina affatto il carattere assolutamente irripetibile di ciascun uomo (un unicum davanti a Dio). Unità e diversità non si escludono quindi, e questo è espresso molto bene nel NT con l’immagine della membra e del corpo.

Il carisma è allora il modo particolare con il quale ogni persona vive la propria vocazione all’interno dell’unico progetto di filiazione. Attraverso il proprio carisma, ogni uomo realizza il proprio modo d’essere Figlio di Dio. È quindi importantissimo non solo esercitare il proprio carisma, ma anche il modo con il quale il carisma è esercitato: deve essere esercitato solo per l’utilità comune, e per l’edificazione di tutti. È il modo di utilizzare il proprio carisma che conferma o smentisce l’essere figlio.


 

4. La grazia come nuova creazione

Si tratta ora di ricuperare il concetto di grazia increata intesa come inabitazione dello Spirito Santo nel cuore dell’uomo che lo eleva. Questa nuova relazione fra Dio e l’uomo non elimina ciò che è più proprio dell’uomo, ma la natura umana viene portata al suo massimo compimento. In questa speciale relazione d’amore con Dio l’uomo diventa una creatura nuova. Si vuole adesso sottolineare questo rinnovamento dell’uomo e del suo essere.

4.1. Nel Nuovo Testamento

            Nelle lettere di San Paolo troviamo molto ricorrente il termine “creazione nuova” kainh\ ktisij. La creazione nuova esprime ciò che è proprio dell’opera di Dio; non si tratta allora di un prodotto dell’uomo, di un risultato che deriva da qualcosa che è già preesistente nell’uomo, bensì si tratta di un atto creativo proprio di Dio.

Poiché l’amore del Cristo ci spinge al pensiero che uno è morto per tutti e quindi tutti sono morti. Ed egli è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto e risuscitato per loro. Cosicché ormai noi non conosciamo più nessuno secondo la carne; e anche se abbiamo conosciuto Cristo secondo la carne, ora non lo conosciamo più così. Quindi se uno è in Cristo è una creatura nuova; le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove. (2Cor 5,14-17)

L’apostolo parte qui dall’amore di Cristo che continua nell’uomo che non vive più per se stesso: si instaura quindi un rapporto di reciprocità dal quale l’uomo esce come creatura nuova: l’essere in Cristo costituisce una vera e propria novità per l’uomo.

Altri passi paolini importanti sono: Gal 6,15. Ef 2,10-15, Ef 2,4-24. La novità di cui si parla è sempre frutto dell’agire di Dio, e non è frutto di qualcosa che si trova già nella creatura.

Nella lettera a Tito (3,4-7) troviamo due importanti termini: si parla di “lavacro di rigenerazione e di rinnovamento” (paliggenesi/aj e a)nakainw/sewj). All’inizio c’è sempre l’amore di Dio, la sua benignità, la sua iniziativa.

            Questo concetto di novità è presente anche in Giovanni quando parla di “rinascita dall’alto” (Gv 3,3-7; Gv1,13; 1Gv 1,29; 4,7; 5,1). I testi di Giovanni si caratterizzano per il forte realismo: l’essere in Gesù è una novità reale dell’essere dell’uomo.

4.2.1 Grazia come libertà

(Vedi capitolo 6 di “Libertà donata”, Greshake).

Nel Nuovo Testamento il concetto di libertà è talvolta sinonimo di salvezza: essere liberi esprime il rinnovamento della creatura umana nella salvezza.

Partendo dal Gal 6 si può affermare che esistono due aspetti di questo rinnovamento:

La grazia come  liberazione da, e la grazia come liberazione per.

La grazia come liberazione da

L’uomo vive immerso in una serie di condizionamenti (culturali, educativi, economici, genetici): la trasformazione delle sole strutture esterne però vale poco a cambiare i condizionamenti in quanto è sempre necessaria una trasformazione interna della persona. La trasformazione personale, interiore, se non è accompagnata dal mutamento dei rapporti e delle strutture, è un’illusione idealistica, quasi che l’uomo fosse soltanto anima e non anche corpo. Una trasformazione dei rapporti esteriori, senza un rinnovamento interiore, è un’illusione materialistica, quasi che l’uomo fosse soltanto un prodotto sei suoi rapporti sociali e null’altro.

La grazia rappresenta allora un vero rinnovamento dell’uomo, una liberazione interiore che si deve e si può esprimere anche in nuove strutture sociali.

La grazia come libertà per

La grazia è fondamentale anche per portare a compimento il nostro essere: come Gesù vive per il Padre ed è modello della libertà umana, così anche la grazia è fondamentale per portare a compimento il nostro essere cristiani.

La libertà intesa cristianamente non significa però solo essere slegati da qualsiasi legame umano (fare quello che si vuole), ma essere capaci di relazione con Dio per realizzare pienamente la nostra umanità entro i limiti posti dall’umanità.

Nella fotocopia: testo di Mounier. Sottolinea la differenza fra il concetto di libertà di scelta (fare ciò che si vuole) e libertà d’adesione (rispondere ad una realtà indipendente dal soggetto). La libertà si configura allora come capacità di relazione, come qualcosa che unisce, non isola, ma ha un significato profondamente religioso (nel senso che lega).

4.2.2 La crescita nella grazia

Un dato è fondamentale: la nostra amicizia con Dio, la nostra libertà devono essere collocate in una prospettiva di crescita; c’è sempre un dinamismo di sviluppo nel tempo.

Il concilio di Trento parla appunto dello sviluppo e della crescita della grazia ricevuta.

[DS 1535] Capitolo 10. L’aumento della grazia ricevuta. Dopo aver fatto riferimento a diversi passi biblici che esprimono il fatto che gli uomini giustificati diventano sempre più giusti, viene riportata la preghiera tipica del cristiano: “Aumenta in noi, Signore, la fede, la speranza e la carità”.

Questa preghiera fa riferimento diretto alle virtù teologali, ossia a quegli habitus che permettono all’uomo d’elevare in modo soprannaturale i propri atti. Queste tre virtù devono crescere nell’uomo.

Il tema dell’accrescimento della grazia è collegato dal concilio tridentino anche al concetto di merito. [DS 1545] Capitolo 16: la giustificazione non è ricevuta dall’uomo come proprio merito, ma per i meriti di Cristo, tuttavia è possibile dire che la giustificazione è merito dell’uomo nella misura in cui inerisce a quelle che sono le opere dell’uomo. È molto importante il DS 1547:

In tal modo né si esalta la nostra giustizia come se provenisse proprio da noi, né si ignora o si rifiuta la giustizia di Dio. Infatti quella giustizia che si dice nostra, perché inerendo a noi, ci giustifica, è quella stessa di Dio, perché ci viene infusa da Dio per i meriti del cristo.

Si può allora affermare che la ricompensa non è esterinseca rispetto alle opere: la ricompensa è la comunione con Dio, il quale è all’origine della comunione stessa.

4.2.3 La dimensione escatologica della grazia

Il Cristo risorto costituisce il punto di collegamento fra la dimensione attuale e quella escatologica: la grazia infatti proviene dal Cristo risorto e con la grazia l’uomo sarà conformato a Cristo.