Diario di un soldato al fronte Russo.

Italia - Russia  Andata e ritorno

La guerra di Armando  raccontata da un nipote 

parte seconda

Scherza ora Armando, che allora già il nome, cosi lungo e difficile da ricordare, faceva pensare alla guerra che nelle cose era più vicino di quanto essi potessero ragionevolmente pensare. Nella nuova caserma gli venne assegnato il compito di radiotelegrafista che a lui non piaceva e che tentò in tutti i modi di farsi cambiare, cosa che effettivamente gli riuscì fingendosi  del tutto incapace per un incarico “ di concetto” quale quello era. Ma non rimaneva molto per l’addestramento. Il giorno 26 del mese di maggio 1942, infatti, arrivò in Caserma l’ordine di prepararsi definitivamente per la partenza. Destinazione: FRONTE RUSSO.

Ultimo ed unico motivo di gioia, la notizia di un telegramma firmato dai carabinieri della stazione di CAROVILLI che lo richiamava “ urgentemente” a casa per gravi motivi di famiglia. 

 Solo giunto a casa si rese conto che i “ Gravi motivi di famiglia” erano inesistenti e che tutto era stato una montatura del padre per salutare il figlio che partiva per la guerra. A casa, Armando, mentì sulla data della partenza per la Russia , smentendo le notizie che davano ormai certa la partecipazione dell’Italia in guerra su quel versante. Ma, sorpresa, una volta giunto in caserma la sua compagnia era già partita, cosi non gli rimase che raggiungere per conto suo ASTI e unirsi al resto della truppa il giorno seguente il che gli comportò una notevole strigliata da parte del suo diretto superiore che lo richiamò al rispetto delle regole e della puntualità che dovevano essere le caratteristiche principali di “un buon soldato Fascista”. 

Alle 13.00 del 26 luglio, prima di partire, la sezione del fascio femminile di Asti, distribuì a ciascun soldato una busta contenete sigarette, tavolette di cioccolata, due matite e fogli per scrivere a casa e ancora, noci e caramelle. Un regalo del Regime ai suoi figli che andavano lontano da casa. Alla stazione era tutto un tendere di braccia per salutare e bandiere Italiane in mano a bambini festanti.

 Il treno si mosse alle 14.30. Su di un cartello fissato alla meglio al 1° vagone era scritta la destinazione: “ MOSCA”. Non si può certo dire che il viaggio fu comodo o breve. Tutt’altro. I soldati erano stipati in piccoli vagoni dove erano costretti a stare in piedi, ma complessivamente l’umore era buono tra i ragazzi ancora ignari di quello che avrebbero trovato una volta giunti a destinazione. 

Il treno procedeva lentamente ed in più faceva sosta in ogni stazione che trovava lungo il suo tragitto e grande o piccola che fosse lo spettacolo era sempre lo stesso. Mani protese in segno di saluto e bandiere Italiane che sventolavano. Ma dopo poco tempo anche l’entusiasmo lascio il posto alla stanchezza e per la prima volta, confida Armando, alla paura di quello che li aspettava. Non è facile, dice il nostro, descrivere lo stato d’animo che ci assalì quando ci trovammo ad attraversare il confino che ci avrebbe portato in terra straniera. Certo fu una forte emozione considerare il fatto che molti di noi, e di questo ne eravamo coscienti in Italia non sarebbero più tornati. Non sapevamo a chi sarebbe toccato, ma sapevamo che sarebbero stati tanti.

 La prima città straniera in cui il treno fece sosta  fu Insbruk, Austria ( allora Germania), poi nessuna sosta per altri due giorni. La zona era ormai troppo pericolosa per permettere al convoglio di fermarsi. La mattina del 9 agosto entrarono in territorio Polacco dove Armando ebbe modo di notare la povertà della popolazione locale che camminava per lo più scalza, “ anche le ragazze “ sussultava sorpreso. Dopo una breve sosta a Varsavia giunsero finalmente in Ucraina dove , ma solo per precauzione, ci distribuirono 18 colpi di fucile ciascuno. “ Per difendervi” ci dissero, ma quella che doveva essere per noi un ulteriore precauzione si risolse, al contrario, in ulteriore motivo di preoccupazione. Al solo pensiero di puntare l’arma verso una persona e fare magari fuoco era un pensiero che non mi aveva mai sfiorato, ma se ci riflettevo, mi spaventava più della guerra stessa. Il viaggio terminò l’11 con l’arrivo in RUSSIA. Si accorsero dell’arrivo in zona di guerra dalle macerie e dalla distruzione che si presentavano dinanzi ai loro occhi. Era tutto un susseguirsi di edifici distrutti e treni in fiamme. Anche la gente si era fatta più diffidente ed i soldati erano costretti a montare di guardia la notte lunghe le rotaie per evitare atti di sabotaggio.

Più il treno proseguiva la sua corsa più erano visibili i segni della guerra. La mattina del 15, racconta, fui svegliato dal vagone da un grande frastuono, mi recai, come tutti gli altri al finestrino per vedere cosa fosse capitato e restai sgomento quando al mio sguardo si presentò un treno molto lungo con le ruote in area che era stato scaraventato giù per una scarpata. Era chiaro che il disastro era avvenuto di recente perché le pozzanghere di sangue che si erano formate agli angoli dei vagoni erano ancora fresche, ed un brivido mi assalì quando su una di essi lessi  “ F. S. ITALIA”. Quella notte la passammo nella stazione di Korkow, ma nessuno prese sonno anche perché erano armai assordanti il rumore dei cannoni che sparavano al fronte. Era la prima volta che li sentivamo far fuoco per una vera azione di guerra. La mattina seguente ci informarono che la linea del fronte si trovava a non più di 20 Km da noi.

Poche ore più tardi ci fermammo in una stazione e ci fu permesso di scendere per pochi minuti e non nascondo l ‘ emozione che provai nel calpestare quel suolo straniero la cui occupazione tanto sangue era costata a molti dei nostri.

Testimonianza resa ancora più viva da decine di cimiteri Italiani incontrati lungo la strada. La croce spesso era sostituita dall’elmetto. E’ con evidente soddisfazione che Armando ci racconta di quando, costretti a scendere dal convoglio  a rotaie, dovettero proseguire il cammino su mezzi motorizzati chiamati con la sigla “ 26 “ che erano molto rapidi.Molto di più, aggiunge, dei mezzi dei Tedeschi che ci lasciavamo indietro una volta raggiunti. Il periodo di permanenza al fronte fu estremamente duro e sacrificato. La guerra con tutta la sua crudeltà ed efferatezza sconvolse e segnò Armando per il resto della sua vita. Stenti, fame, solitudine, paura. Ma soprattutto freddo. Un freddo che congelava l’acqua anche quella del Fiume DON nelle notti più rigide. Non era permesso a nessuno fermarsi a rischio di morte istantanea per assideramento. A nulla servirono i plurimi strati di giacche, calzini e cappelli che alla fine rendevano solo impossibili anche i movimenti più elementari. Nelle trincee si susseguivano i fuochi per scaldarsi fatti di travi di case ormai distrutte e legna raccolta sotto le granate del nemico, ma sempre troppo umida per essere arsa. 

 

 

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