CAPITOLO XIV

 

La folla ora non è più compatta: si dirada e si ricompone in piccoli capannelli a commentare e a prevedere. Si parla dell'accaduto, delle ragioni che vi stanno sotto, si manifestano propositi di ritorno per il giorno seguente. Renzo che per la nuova e straordinaria esperienza vissuta in quelle ore vive come in una sorta di eccitazione, quasi di ubriachezza, al centro di un crocchio prende la parola e dal fatto milanese risale al fatto personale: parla ad alta voce di ingiustizia, di prepotenze di certi tiranni, del tutto dissimili da Ferrer, manifesta propositi di vendetta e di pulizia, avanza la proposta del tutto rivoluzionaria dell'alleanza di tutto il popolo per la restaurazione della giustizia. Tutti applaudono. Ma ormai è buio: la gente si dispone a tornare a casa. Renzo da uno che gli si è messo alle costole e che gli si dimostra premuroso (è un informatore della polizia) si fa accompagnare in una trattoria vicina: li può mangiare e dormire. A tavola lo sbirro cerca di farlo parlare e di fargli dire nome e cognome: non c'era riuscito l'oste. Ma lui lo fa cadere in un tranello, favorito anche dal fatto che Renzo da uno stato di esaltazione passa, per il molto vino che beve, ad uno stato di effettiva ubriachezza. Sproloquia e nelle sue parole in modi oscuri ed incerti torna l'immagine di don Rodrigo, il persecutore, l'ingiusto e prepotente tiranno che lo ha indotto alla fuga dal suo paese. Finalmente l'oste riesce a portarlo in camera e a buttarlo sul letto.

 

 

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