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6 agosto, 2002
Osservazioni alla proposta di Legge Regionale “Normativa organica per l’esercizio dell’attività venatoria, la protezione della fauna selvatica omeoterma e la tutela dell’ambiente”

È attualmente in discussione presso il Consiglio Regionale la proposta di legge “Normativa organica per l’esercizio dell’attività venatoria, la protezione della fauna selvatica omeoterma e la tutela dell’ambiente”. Secondo WWF, LAV, ProNatura e ALTURA è “naturicida” l’aggettivo che meglio descrive i contenuti di questa proposta. La proposta di legge deriva in larga parte da una proposta di legge varata dalla Giunta Regionale che secondo le associazioni è sbagliata fin dalle sue premesse. Queste, infatti, richiamavano le nuove disposizioni costituzionali in materia di federalismo da cui discenderebbe la possibilità da parte della Regione di esercitare la potestà legislativa esclusiva in materia di caccia. Da tale impostazione derivano alcune delle norme contenute nel testo unificato in discussione che contrastano con Norme nazionali come la Legge Quadro 157/92 e con la 394/94 (e successive modifiche). Su questo aspetto ricordiamo quanto segue.

PALESE INIQUITA’ DELLA COMPOSIZIONE DEGLI ORGANI TECNICI VENATORI
Gli articoli 3 e 4 della legge regionale che dettano le composizioni della Consulta Regionale e Provinciale della caccia risultano palesemente inique e sfrontatamente orientate a perseguire gli interessi del mondo venatorio. Infatti mentre le associazioni naturalistiche e di protezione ambientale sono rappresentate da due componenti, le associazioni venatorie sono rappresentate da 10 componenti a cui si aggiungono il rappresentante dell’Ente Nazionale Cinofilia Italiana e un rappresentante della Federazione Italiana Discipline con Armi Sportive da Caccia. Tali composizioni ledono gravemente ogni principio democratico di rappresentanza rendendo di fatto completamente inutile la partecipazione in esse di portatori di interessi che non siano strettamente quelli del mondo venatorio.

LE COMPETENZE STATO-REGIONI IN MATERIA DI CACCIA
La legge n. 157/92 attribuisce alle regioni a statuto ordinario, il potere-dovere di emanare leggi regionali di recepimento della legge quadro a questa conformi. Allo stesso modo provvedono le Regioni a statuto speciale in base ai propri Statuti e le Province autonome, ai sensi della legge sulle autonomie locali (L. 8.6.1990, n. 142, art. 14 comma 1, lett. f). Le regioni concorrono quindi in maniera rilevante, attraverso l’esercizio di questa specifica potestà legislativa, in materia di tutela faunistica ed attività venatoria. Le singole leggi regionali devono rispettare i principi generali della legge nazionale e delle norme internazionali da questa recepite. Per quanto attiene la ripartizione delle competenze in materia di caccia tra lo Stato e le Regioni questa è stata per la prima volta completamente determinata con il DPR 616 del 1977, che ha operato il trasferimento alle regioni delle funzioni amministrative nelle materie elencate dall’art. 117 della Costituzione, ricorrendo alla divisione tra materie e competenze di rilevanza nazionale e materie e competenze delegate alle regioni. La successiva legge n. 142 del 1990 di riforma delle autonomie locali, ha riconosciuto in capo alle province le funzioni amministrative in materia di caccia e protezione della fauna nell’ambito territoriale provinciale, e anche ulteriori funzioni delegate dalla regione. La legge quadro sulla caccia del 1992, ha portato ad un ulteriore grado di sviluppo il trasferimento delle funzioni amministrative alle province, realizzando quell’articolato sistema di attribuzioni che la legge n. 142 del 1990, ha inteso strutturare. Così, la legge n. 157, per quanto riguarda la ripartizione tra Stato e Regioni in materia venatoria, ha elencato le specie protette, le specie cacciabili e i periodi in cui la caccia a tali specie è consentita. All’art. 18 ha previsto in capo alle regioni, la facoltà di modificare tali periodi per determinate specie, in relazione alle situazioni ambientali delle diverse realtà territoriali, previo parere dell’INFS, e previa predisposizione di adeguati piani faunistico venatori. Resta, invece, allo Stato il potere di modificare l’elenco delle specie cacciabili, da esercitare in conformità con le direttive comunitarie e convenzioni internazionali ratificate, tenendo conto della consistenza delle singole specie sul territorio. La regionalizzazione è poi stata ancor più e nuovamente disciplinata ad opera delle leggi n. 59 e 127 del 1997, cosiddette “Bassanini” laddove, con il decreto n. 143 del 1997, in un’ottica di decentramento di poteri e funzioni è stata riconosciuta la competenza regionale per tutte le funzioni precedentemente svolte dal Ministero delle politiche agricole, fra le quali è menzionata la caccia. Il D.lgs n. 112 del 31 marzo 1998 “Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni e agli enti locali, in attuazione del capo I della legge n. 59 del 1997”, ha posto un nuovo assetto nell’ambito delle competenze Stato-Regioni anche in materia di flora e fauna. Infatti sono state devolute alle regioni e agli enti locali tutte le funzioni amministrative inerenti la materia della protezione della natura che non rientrano in quelle espressamente mantenute allo Stato, ovvero quei compiti che assumono “rilievo nazionale per la tutela dell’ambiente”. Tra questi, oltre ai compiti per la tutela della biodiversità, della fauna e della flora, e delle specie protette, vi rientrano anche specificatamente: la commercializzazione e detenzione degli animali selvatici, ovvero il ruolo di controllo, di tenuta dei certificati d’importazione, e l’applicazione della Convenzione CITES sul traffico di animali esotici. Con legge costituzionale, confermata da referendum il 13 maggio 2001, è stato riformato l’art. 117 della Costituzione, e sono state fissate le nuove caratteristiche del sistema di regionalizzazione, ovvero più propriamente di “federalismo”. Nella legge è stabilito che spetta alle regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato. È attribuita allo Stato, dunque, la legislazione esclusiva in materia di tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali, mentre rientra tra le materie di legislazione concorrente quelle relative all’ordinamento sportivo e governo del territorio. Una legge sull’attività venatoria che comporti pesanti conseguenze sull’ambiente, sull’ecosistema e sul regime delle aree naturali protette (non a caso lo stesso titolo della proposta è “Testo unico regionale delle norme per l’esercizio dell’attività venatoria, la protezione della fauna selvatica omeoterma e la tutela dell’ambiente”) non può essere considerata di competenza regionale, essendo di competenza esclusiva dello Stato. Di seguito sono elencate altre osservazioni sui singoli articoli della legge di WWF, LAV , ProNatura e ALTURA ad una proposta di legge che, se approvata, sancirebbe la completa deregulation venatoria con gravissime ripercussioni anche per le aree protette.

PROLUNGAMENTO DELLA STAGIONE DI CACCIA E DEROGHE (Art.43)
L’intero comma 2 è palesemente in contrasto con la Legge Quadro nazionale 157/92 per i seguenti motivi: a) ampliamento dei periodi di caccia alla fauna selvatica stanziale incompatibili con la biologia delle specie, e cioè anticipo dell’apertura dalla terza domenica di settembre al 1° settembre e posticipo della chiusura dal 31 dicembre al 31 gennaio, con inoltre possibilità, mediante deroga (di cui è facilmente prevedibile l’ampio uso) di rinviare la chiusura al 28 febbraio, con ulteriore aumento del danno. Il periodo di caccia alla coturnice, ad esempio, potrebbe così passare dagli attuali due mesi a ben sei mesi con le conseguenze facilmente immaginabili a danno di una specie di grande importanza ambientale e naturalistica e che presenta in Abruzzo il principale areale italiano e uno dei più importanti della sua intera distribuzione. b)la deroga che permette la caccia tutto l’anno agli ungulati, al di fuori di eventuali piani di abbattimento previsti per il controllo della fauna selvatica (previsti nel successivo Articolo 44) e con cosiddette “forme tradizionali” è illegittima in quanto non è prevista dalla Legge Quadro nazionale. Per quanto riguarda il cervo e il capriolo l’utilizzo dell’aggettivo “tradizionale” e improprio e strumentale poiché si tratta di specie assenti sul territorio fino agli interventi di reintroduzione iniziati circa 30 anni fa. Si rileva infine che l’esercizio della caccia nei periodi proposti dalla presente legge sarebbe in aperto contrasto con le disposizioni di cui all’art.7 comma 4 della direttiva 79/409/CEE. Occorre ricordare che la Corte di Giustizia CEE con sentenza del 17 gennaio 1991 (nella causa C-157/89) dichiarò che la Repubblica Italiana, autorizzando la caccia a diverse specie fino al 28 febbraio era venuta meno agli obblighi che le incombevano in forza della citata direttiva. L’approvazione di questo testo di legge comporterebbe sicuramente l’apertura di una procedura d’infrazione le cui conseguenze e i cui costi ricadrebbero sull’intera collettività.

APERTURA DELLA CACCIA A CERVO E CAPRIOLO
La proposta di legge consente l’apertura della caccia al Cervo, al Capriolo e al Cinghiale addirittura per tutto l’anno nelle cosiddette “forme tradizionali” (Art. 43, comma 2). Per quanto riguarda il Cervo e il Capriolo da circa 25 anni si sta cercando, tra grandi difficoltà legate soprattutto al diffusissimo bracconaggio, di reintrodurre in tutte le nostre montagne queste due specie. I recentissimi dati pubblicati dall’Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica (INFS) confermano che la situazione delle due specie nella nostra regione rimane problematica. Per il Capriolo non si ha neanche una stima complessiva della popolazione e comunque i pochi dati ci dicono che la densità è bassissima. Per il Cervo sono stimati circa 1250 esemplari, quasi tutti nel Parco Nazionale d’Abruzzo, visto che nel Parco Nazionale della Majella e nel Parco Regionale Sirente-Velino ancora non esistono popolazioni vitali. È assurdo che mentre i parchi spendono giustamente decine di migliaia di euro per cercare di cambiare questa situazione, operando apposite reintroduzioni, la Regione Abruzzo pensi solamente a distruggere i risultati ottenuti dagli altri, visto che finora non è mai comparsa tra gli enti proponenti delle reintroduzioni. Inoltre, tutti coloro che hanno a cuore anche le ragioni del turismo, si rendono conto del durissimo danno all’immagine che deriverà dal consentire di sparare ad animali che fanno la gioia dei turisti che visitano le aree interne, oltretutto nel pieno della stagione turistica.

ABOLIZIONE DELLE AREE CUSCINETTO DELLE RISERVE: UN GRAVE IMPATTO SU FAUNA E TURISMO
È prevista l’abolizione delle normative sull’attività venatoria di tutte le aree “cuscinetto” che sono attualmente vigenti intorno alle Riserve Regionali (Art. 57, comma 3). Qui la caccia viene attualmente regolata con specifiche norme contenute nei Piani d’Assetto delle Riserve approvati dal Consiglio Regionale e basate su criteri scientifici. Scopo di queste aree è quello di ridurre l’impatto della caccia sulle aree naturali protette e sulle specie che in queste trovano rifugio. Con questa nuova legge in queste aree si tornerà a cacciare, in barba a tutte le più elementari regole della gestione faunistica. Non si tiene conto dell’elevatissimo numero di strutture di fruizione presenti in queste aree, finanziate dalla stessa regione (sentieri-natura, centri visite, aree faunistiche ecc.) e utilizzate da decine di migliaia di visitatori all’anno. Ovviamente aprire la caccia in queste aree equivale ad impedire un uso turistico di queste strutture per ragioni di incolumità dei visitatori.

LE DEROGHE PERMISSIVE SULLA CACCIA DIVENTONO LEGGE.
La cosiddetta “caccia in deroga alle Direttive Europee” diviene norma (Art. 59). Le associazioni ambientaliste hanno sempre contrastato i provvedimenti eccezionali delle Regioni tesi a consentire la caccia a specie protette e ad ampliare i periodi di caccia. I vari Tribunali amministrativi regionali, accogliendo i ricorsi delle associazioni ambientaliste, hanno riconosciuto il contrasto delle normative regionali con le Direttive Europee. Con la legge in discussione, si vuole trasformare questa deleteria forma di caccia da provvedimento eccezionale ed illegittimo, in vera e propria norma di legge, esponendosi all’apertura dell’ennesima procedura d’infrazione da parte dell’Unione Europea per violazione della Direttiva 49/709 “Uccelli”. Ricordiamo che ad ottobre 2001 la Commissione Europea ha aperto una procedura d’infrazione contro l’Italia su questa materia a causa dei provvedimenti considerati contrari alle Direttive Europee di ben 18 Regioni italiane. Le procedure di infrazione si concludono con delle multe in milioni di euro allo Stato Membro responsabile e queste multe si ripercuotono su tutti i singoli cittadini. Questa disposizione, palesemente illegittima, si tramuta in un danno sul patrimonio faunistico di enormi dimensioni. Si fissa per legge anche il numero di uccelli da uccidere: 2.400.000 di passere d’Italia, 2.400.000 di passere mattugie e 2.400.000 di storni ogni anno (Art. 59 comma 2). Questo dato impressionante scaturisce da una semplice moltiplicazione degli capi che ogni cacciatore può uccidere (150 di ogni specie) per il numero di cacciatori della nostra regione. I numeri confermano l’assurdità della logica che è dietro questa legge e dimostra la completa assenza di una qualsiasi valutazione di tipo scientifico sull’andamento delle popolazioni di uccelli, sull’effettiva capacità di nuocere alle colture, sulla dieta annuale delle specie, ecc..

RINUNCIA AI CONTROLLI SCIENTIFICI SULLA GESTIONE VENATORIA.
La legge prevede la completa esautorazione dell’Istituto Nazionale della Fauna Selvatica come organo di riferimento tecnico della Regione Abruzzo. Esso viene sostituito con un più facilmente addomesticabile Osservatorio Faunistico Regionale il quale non avrà alcun rapporto con l’INFS. Quest’ultimo è un istituto prestigioso le cui ricerche sono apprezzate a livello internazionale. Il federalismo estremista applicato alla gestione scientifica della fauna è da considerarsi errato semplicemente perché la fauna non conosce confini e moltissimi fenomeni (come, ad esempio, la migrazione) possono essere compresi solo con una visione più ampia, addirittura a scala intercontinentale, di quella che potrebbe avere qualsiasi osservatorio regionale. Di conseguenza, sarà ben difficile che un Osservatorio Regionale svincolato da qualsiasi rapporto con strutture gerarchicamente superiori, possa indicare forme di gestione della fauna corrette. Gli Osservatori Faunistici locali, mai avviati, dovrebbero avere il compito di monitorare a livello locale la fauna, ma solo per poi permettere valutazioni sovraregionali e addirittura internazionali.

LE AREE CONTIGUE AI PARCHI APERTE A TUTTI I CACCIATORI
La proposta prevede che nelle aree contigue dei parchi naturali avranno accesso tutti i cacciatori “residenti nella Regione Abruzzo” (Art. 26, comma 2). Ciò contrasta apertamente con la Legge Quadro dei parchi n. 394/91, che prevede l’apertura delle aree contigue ai cacciatori residenti nei comuni del parco e nei comuni ricadenti nelle aree contigue ai parchi. La legge quadro sui parchi ha previsto tale disposizione, sia per la salvaguardia della fauna, ma anche per “compensare” i vincoli vigenti per i residenti nelle aree vincolate ed instaurare un rapporto più stretto tra cacciatori e territorio.

RINASCE IL NOMADISMO VENATORIO.
Di estrema gravità la prevista figura degli accessi “giornalieri” ai territori degli Ambiti Territoriali di Caccia (Art. 28 comma 16). Questi Ambiti sono stati previsti dalla legge quadro sulla caccia per “legare” il cacciatore alle sorti di un territorio. Il cacciatore deve sentirsi responsabile del territorio sul quale effettua il prelievo venatorio: gli ATC sarebbero dovuti diventare progressivamente delle strutture di gestione del territorio in cui i cacciatori residenti avevano tutto l’interesse ad attuare forme di gestione territoriale corrette per far aumentare la fauna. La proposta di legge in discussione, invece, ripristina il devastante “nomadismo venatorio” in cui cacciatori completamente estranei e deresponsabilizzati alla corretta gestione faunistica di un territorio possono prelevare tutta la fauna cacciabile. Viene così meno ogni ipotesi di responsabilizzazione, anche minima, dei cacciatori visto che gli sforzi dei cacciatori corretti sarebbero “sfruttati” da quelli scorretti. Inoltre sarebbe di fatto possibile avere forti concentrazioni di cacciatori in determinati ATC senza alcun tipo di pianificazione tesa a mantenere il carico venatorio nel limite di densità venatoria previsto dalla legge.

AUMENTO DEI GIORNI DESTINATI ALLA CACCIA.
La proposta di legge prevede una deroga (Art. 43, comma 6) che consente, motivandole con non meglio identificate “abitudini locali”, di aumentare da tre a cinque i giorni settimanali di apertura della caccia alla fauna selvatica migratoria dal 1 ottobre al 30 novembre. Per ben due mesi l’intensità venatoria sulla fauna selvatica migratoria (che è in fortissimo declino numerico in tutta Europa) aumenterebbe del 66% rispetto ad oggi.

CANCELLAZIONE DEI GIORNI DI SILENZIO VENATORIO
L’articolo 43 comma 5, consentendo la libera scelta del cacciatore tra le sette giornate della settimana, cancella l’istituto del silenzio venatorio nei giorni del martedì e del venerdì sancito dall’articolo 18 comma 6 della legge nazionale. Da tale disposizione consegue che lo stato di stress a cui verrebbe sottoposta la fauna, sia cacciabile che protetta, derivante dall’attività venatoria non conoscerebbe nessun giorno di pausa nell’arco di non meno di sei mesi secondo il calendario venatorio previsto dall’art.43.

RIDUZIONE DELLE AREE NATURALI PROTETTE.
La proposta di legge prevede che il limite del 30% di territorio agro-silvo-pastorale da destinare a protezione della fauna selvatica previsto dalla legge quadro nazionale sulla caccia n. 157/92 sia da considerarsi “vincolante e inderogabile” (Art. 8, comma 4). Per le aree protette viene posto un limite del 20%. Addirittura viene “imposta” una riperimetrazione delle aree protette in caso di superamento di questa percentuale del territorio, secondo il criterio (già di per se distorto da una interpretazione tutta contro la conservazione dell’ambiente) del 30% quale tetto massimo di territorio “sottraibile” all’esercizio venatorio! Si tratta dell’ennesimo tentativo di interpretare la legge a senso unico a favore della caccia. Ancora una volta, pur di accontentare i cacciatori, si “dimenticano” normative nazionali e pronunciamenti dei giudici amministrativi: il TAR del Lazio (Sezione II, sentenza del 5 febbraio 1998, n.231) si è già espresso sulla questione, respingendo le azioni legali dei cacciatori e stabilendo che “la quota del 20-30%, ex art. 10 della L. 157/92, da destinare a protezione non è definita come quota massima… La ratio legis non può identificarsi nel voler costituire un limite inderogabile al territorio da proteggere ma, piuttosto, qualora non vi siano aree di particolare valore naturalistico e specie comprese tra quelle oggetto di tutela, destinare comunque una superficie compresa nei limiti del 20-30% alla tutela della Fauna”. Ciò vuol dire che, ove vi siano ambienti meritevoli di tutela come avviene in Abruzzo, questa percentuale può essere superata, proprio perché, come più volte ribadito dalla Corte Costituzionale, quello alla protezione della fauna selvatica è un interesse primario per cui di fronte ad esso si possono limitare altri diritti o interessi, compreso quello riconducibile all’attività venatoria, che viene definita dalla Consulta un’attività “ricreativa” (quindi subordinata di fronte al perseguimento di interessi primari). È chiaro che in una Regione come l’Abruzzo, caratterizzata da valori naturalistici elevati e diffusi sul territorio, non si può subordinare la protezione di specie importanti all’esercizio di un’attività ricreativa. Per di più si pretende (art.8 comma 7) di applicare il limite del 30% anche a livello provinciale, in modo del tutto illegittimo. L’applicazione del comma 4 dell’art.8 porterebbe alla cancellazione di diverse aree protette istituite con un faticoso lavoro di anni da parte della Regione Abruzzo e, tra l’altro, del Parco Regionale Sirente-Velino. Ciò rischierebbe di vanificare l’impegnativa iniziativa che ha condotto alla contemporanea reintroduzione dell’avvoltoio grifone, del corvo imperiale e del cervo, che è stata coronata da pieno successo e che ha avuto vasta eco a livello anche internazionale, ma che è destinata al fallimento dall’apertura all’attività venatoria delle zone del Parco frequentate dalle specie di cui trattasi.

CACCIA NELLE FORESTE DEMANIALI
Gli articoli 10 e 26 prevedono che i piani faunistico-venatori provinciali possano comprendere superfici delle foreste demaniali destinate alla caccia. Tale disposizione contrasta con il divieto di esercizio venatorio nelle foreste demaniali di cui all’art.21 comma 1 lettera c) della legge nazionale n.57 del 1992 che esclude tale divieto, secondo le disposizioni regionali e sentito il parere dell’Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica, soltanto laddove non si presentino condizioni favorevoli alla riproduzione ed alla sosta della fauna selvatica. L’apertura della caccia nelle foreste del demanio statale e regionale abruzzese al contrario rappresenterebbe un grave danno per il patrimonio faunistico regionale e nazionale anche in considerazione del fatto che molte di queste aree ospitano specie animali di particolare pregio e rarità come ad esempio lupi, orsi, cervi, caprioli che subirebbero un pesante disturbo dall’attività venatoria con conseguente dispersione e maggiore rischio di finire uccisi in aree antropizzate. Aumenterebbe inoltre considerevolmente il rischio del bracconaggio. Su alcune di queste aree, classificate come Siti d’Importanza Comunitaria, sono in corso di svolgimento, con finanziamento da parte dell’Unione Europea, progetti “LIFE”, tesi in particolare alla tutela dell’orso e del suo habitat.

LE OASI, LE ZONE DI RIPOPOLAMENTO E CATTURA E LE AREE CINOFILE NEI PARCHI.
Palesemente illegittima e scientificamente errata la possibilità di istituire Oasi, Zone di Ripopolamento e Cattura e Aree cinofile all’interno delle aree protette (Art. 57, comma 6). Ciò contrasta con diversi articoli della legge quadro sulla caccia e della legge quadro sulle aree naturali protette. Un solo esempio dimostra l’illegittimità di tale indicazione: si prevede la possibilità di svolgere gare cinofile in queste aree, ma la legge sui parchi vieta espressamente questa attività nelle aree naturali protette!

IL CONTROLLO DELLA FAUNA SELVATICA NASCONDE NUOVE FORME DI CACCIA.
In tema di “controllo della fauna selvatica” la proposta di legge peggiora notevolmente la normativa precedente (Art. 44). Viene abolito qualsiasi riferimento all’adozione di metodi incruenti per controllare eventuali danni, prima di ricorrere ai metodi cruenti. Eppure in Abruzzo i metodi incruenti (recinti elettrificati, repellenti ecc.) sono gli unici ad aver funzionato, mentre i metodi cruenti hanno finora fallito completamente, sia per quanto riguarda le catture con trappole, sia per quanto riguardano gli abbattimenti selettivi, sia per quanto riguarda la semplice riapertura di territori all’attività venatoria. Inoltre, la proposta di legge consente la partecipazione alle operazioni di prelievo in forma generalizzata di tutti i cacciatori dell’Ambito Territoriale di Caccia competente (Art. 44, comma 3), senza operare alcun tipo di selezione che è invece determinante dovendosi attuare forme di prelievo controllato di estrema delicatezza sotto l’aspetto tecnico. Per questo tipo di interventi, l’esperienza ha dimostrato che vi è bisogno di personale specializzato (come le Guardie Forestali o le Guardie Provinciali).

INTRODUZIONE DELLE ARMI NELLE AREE PROTETTE
Il Comma 5 dell’Art.57 che prevede la possibilità di introdurre le armi nelle aree protette regionali, ancorché scariche e in custodia, è da considerarsi illegittimo in quanto contrasta con le previsioni della Legge 157/92, come confermano diverse sentenze univoche della Cassazione riguardanti il trasporto di armi, anche scariche e in custodia, in aree protette (Parchi Nazionali, Riserve Naturali Statali e Regionali ecc.). Tra queste ricordiamo: Corte di Cassazione, Sezione I penale, sentenza n. 268 o 2919 del 14 febbraio 2000, registro generale n. 46816/99: L'introduzione di un fucile da caccia, ancorché scarico ed in custodia, all'interno di un'area protetta quale una Riserva naturale, diversamente che nei centri abitati e nelle altre zone indicate dalla lettera g) dell'articolo 21 della Legge 57/1992, è vietata. Corte di Cassazione, Sezione III penale, sentenza n. 30 o 3549 del 22 ottobre 1999, registro generale n. 11450/99: È vietato trasportare un fucile, ancorché scarico ed in custodia, all'interno di un'area protetta, quale è una Riserva naturale statale.












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