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IFIGONIA In Culide

postato da Nettuno (con note critiche di Nettuno)

Tragedia classica in tre atti di autore ignoto, Corinto 69 d.C.

Personaggi

IL RE DI CORINTO
IFIGONIA, sua figlia
ALLAH BEN DUR, primo pretendente
DON PEDER ASTA, secondo pretendente
UCCELLONE, CONTE DI BELMANICO, terzo pretendente
KIRO HITO, SAMURAI, quarto pretendente
ENTER O'CLISMA, gran sacerdote
IN MAN LAH, gran cerimoniere
BEL PISTOLINO, elefante sacro
CORO, di nobili vergini e popolo

Atto Primo

SCENA:
La sala del trono.
Le porte sono spalancate per dare accesso al popolo. Entra il Gran Cerimoniere.

GRAN CERIMONIERE:
O popol bruto, su, snuda il banano,
Non vedi che giunge l'amato Sovrano?
È il sir di Corinto dal nobile augello
Qual mai fu visto più duro e più bello.
Il sir di Corinto dall'agile pene
Terrore e ruina del fragile imene;
Il sir di Corinto dal cazzo peloso
Del cul rubicondo ognora goloso.

Entra il RE seguito dalla corte.

POPOLO:
Noi siamo felici, noi siamo contenti1
Le chiappe del culo porgiam riverenti;
Al nostro caro e amato sovrano
Rimanga gradito il buco dell'ano.

(1) Già nei tempi antichi la bassa plebe era prona ai voleri dei reggitori: anche se lo si pigliava in culo, pur di ingraziarsi i potenti. D'altra parte perfino gli Apostoli incitavano, se pure con parabole, a porgere l'altra chiappa. E ancora oggi il popolo nelle pubbliche processioni canta, pur con non perfetta ortodossia, il "Mistero glorioso di S. Polluce - che col cazzo fatto a Duce - inculava i popoli".

RE:
Oh popolo amato io resto confuso
Il turno dei culi che offrite per l'uso
Sarà più gradito (al) regio mio cazzo
Che mai troverebbe (ahh) migliore sollazzo.
La gioia che mi doni, o popolo, è sì grande,
Che più l'uccello regio distende le mutande.
Per mio regal decreto sarà da stamattina
Distribuita ai poveri gratis la vasellina.
Voglio sian compensati i sudditi fedeli,
In cul pigliate pure, ma state attenti ai peli1.

(1) Nella traduzione del Mengazza il verso appare tradotto così: "alfin che permetta, finché lo vogliate di fare nell'ano (giu e ssu) gloriose chiavate", sull'esattezza della traduzione è tutt'ora in corso un acceso dibattito tra il Mengazza e l'Aretino.

Segni di manifesta gioia

GRAN CERIMONIERE:
Ed ora tutti fuori da coglioni
Per lasciar posto a principi e baroni.
Ai principi, ai baroni e ad Ifigonia bella
Che sospirando brama l'ardor d'una cappella.

Il popolo si fa largo ed entrano i nobili che si dispongono ai lati del trono.
Entra Ifigonia seguita dalle vergini.


CORO DELLE VERGINI:
Noi siam le Vergini dai candidi manti1,
Siam rotte di dietro ma sane davanti,
I nostri ditini son tutti escoriati
A furia dei cazzi che abbiamo menati,
Nell'arte sovrana di fare i pompini
Battiamo le troie di tutti i casini.
La lingua sapiente e l'agile mano
Dan gioia e sollievo al duro banano.

(1) Non desti meraviglia il fatto che le vergini non sono digiune dei fatti della vita. Si ricordi il detto cinese: "Non tutte le donne sono puttane. Ci sono anche le troie".

IFIGONIA: gettandosi ai piedi del trono
Padre mio, padre mio, mi consumo dal disìo1,
Ho già il dito che fa male per l'abuso del ditale,
Ho la fica che mi tira come corda della lira,
Me la sento rovinata
Senza averla adoperata
Sto soffrendo atroci pene pel prurito dell'imene,
Nella fica ho appena messo
La manopola del cesso,
Mi ficcai nella vagina la più grossa colubrina2,
Mi son messa dentro il buso sino il cero di Caruso3,

Credo giunto sia il momento
Di donarmi un reggimento
Che non sappia manovrare
Ma sia lesto nel montare
Nella figa anelo tanto
D'appagarlo, tutto quanto.

Padre mio sì forte e bello ho bisogno di un uccello
Di un uccel di nobil schiatta che nessuno al mondo batta
Di una fava grossa e dura che ricrei la mia natura.
Padre mio se non mi sposo finirò nel water closo2.

(1) Non v'ha chi a questo punto non si sovvenga dei "Canti lussuriosi" che il Lipparini pubblicava nel 1909 nella rivista "Poesia" diretta da Enrico Filippo Tommaso Marinetti, là dove si legge:
"Mai la lussuria più rabida morsemi, mai;"
"Ercole stesso io avrei fiaccato, ruinato, distrutto..."
"Sentìa nel ventre profondo il viscere occulto vibrare."

(2) Inizia qui la diatriba tra il Mengazza e l'Aretino sulle origini di questa tragedia: il Mengazza infatti afferma che l'opera presenta evidenti segni di rimaneggiamenti in epoche recenti, come per esempio la presenza di termini come Colubrina e Water Closo; per l'Aretino invece il termine colubrina è una licenza poetica dell'autore: "Cum Lubrica" contrattasi poi in colubrica e quindi colubrina, resta poi da vedere cosa, con lubrica foga la principessa s'è infilata la dove si sente meglio; a onor del vero il Mengazza non castra in toto questa tesi, ammettendo che potrebbe essere sottinteso il termine "fava". E' forse uno dei punti più oscuri dell'opera.

(3) Si narra di un tal Caruso che, per essere castrato, usava un immacolato cero sulle sue amanti.

RE:
Giuste son le tue brame, o figlia bene amata,
Se non ti fossi padre ti avrei di già chiavata;
Alla regal consorte, tua madre, la regina,
Ne ho fatte diciassette soltanto stamattina1.

(1) "O gran bontà de' cavalieri antiqui" commenterebbe qui l'Ariosto ("Orlando Furioso" I, 42).

REGINA:
Se mi alzo le vesti e vedi al di sotto
Vedrai mio consorte che arrivi a diciotto.

RE:
E debbo alle mie brame io stesso porre un freno,
Se no ogni tre minuti il pendolo mi meno.
Or sento già un prurito nel fondo dei coglioni
Vedendo tanti culi di principi e baroni.

POPOLO:
Noi siamo felici, noi siamo contenti,
Si rizzino i cazzi tuttora pendenti,
Madonna Ifigonia, soave e pudica,
Già sente prurito all'inclita fica;
Che Giove possente, che Venere bella
Le facciano dono di tanta cappella,
Che il culo le rompa, le rompa l'imene,
E infine la tolga da tutte le pene.
Sia pago il disìo alla vergine cara
Meniamoci il cazzo in nobile gara1.

Tutti eseguono.

(1) Secondo la traduzione operata dal Mengazza il popolo si esprime in maniera più terrena e alla nobile gara mette un "meniamoci il cazzo, vediamo se sbura".

IFIGONIA:
Quanta fava, quanta fava,
Ma perché nessun mi chiava?
Su, ficcatemi l'uccello
Nella fica o nel budello;
Nella fica o nel sedere
Ve lo chiedo per piacere.
Deh, non fatemi soffrire,
Ve lo cedo per tre lire1.

(1) Anche in questo caso la traduzione è incerta, e la dottrina eugualmente divisa tra la succitata versione e la seguente: "Ve lo pago mille lire".

RE:
Udendo queste ataviche, oneste aspirazioni
D'orgoglio mi ribolle lo sperma nei coglioni:
Con l'animo commosso vedo tra i bianchi veli
Spuntare lunghe e nere le punte dei tuoi peli.
Il sacerdote venga1, si appresti un sacrificio,
Enter O'Clisma tosto ne tragga lieto auspicio.

(1) Doppio senso egregiamente reso dalla traduzione dell'Aretino

GRAN CERIMONIERE:
S'avanzi Enter O'Clisma il sacerdote,
Dal culo più vezzoso delle gote.

Entra il sacerdote.

GRAN SACERDOTE:
Al Sire di Corinto, signore degli Achei,
Auguro cazzi in culo, non men di centosei.

RE:
Al Gran Sacerdote, d'ogni rispetto degno,
Si doni come omaggio un bel cazzo di legno.

GRAN SACERDOTE:
Il tuo omaggio, o Sire, mi rende il cuore gaio,
Però l'avrei più caro di ben temprato acciaio.

POPOLO:
Noi siam felici, noi siam contenti,
Prendiamo l'uccello ben stretto tra i denti,
al Gran Sacerdote quel cazzo d'acciaio
Il culo gli renda siccome mortaio.

GRAN SACERDOTE:
Son corso immantinente alla regal chiamata
Lasciando così a mezzo la settima chiavata.
Sono però sicuro, se il ciel non me lo nega,
Che mi compenserete con una bella sega,
Che mi verrà tirata con arte sopraffina
Dalla regal mano della gentil Regina.
Esprimi i tuoi voleri, o gran Sire tremendo,
In fretta te ne prego, non vedi? Sto venendo!

RE:
Alla mia figlia amata, la pallida Ifigonia,
Da qualche tempo prude la lucida begonia1.
O sacerdote eccelso, chiuditi in sacrestia,
Prendi l'uccello in mano e fa la profezia.

(1) "Begonia" qui sta certo per fica. La novità e l'arditezza dell'immagine non causeranno meraviglia in chi sia uso a considerare quale e quanta varietà di termini e di metafore abbia creato la fertile mente dell'uomo ad esprimere ciò che più vivamente colpisce la sua immaginazione. Che più? Dovrebbesi forse risalire al termine "sycon" che in greco significa fico e "gynaikeyon aidoion" (Aristofane), ossia "vergogna femminile"? È forse necessario rammentare il termine latino "cunnus", di cui trovasi traccia nel francese "con"? Non starò qui a ricordare quanta e quale varietà di vocaboli ci propone il nostro bell'idioma italiano, dal toscano "potta" (da cui anche "pottana") al termine corrente "fica", corrottosi poi in "figa" presso i recenziori. Non ricorderò infine qui le felici immagini de' nostri scrittori, quale "natura" (A. Pigafetta, "Relazione del viaggio di Magellano"), o "Quel vaso donde si fanno i figli" (Cellini, "Vita"), o financo "Inferno" (Boccaccio, "Decamerone", III,10).

GRAN SACERDOTE:
Immantinente eseguo i tuoi voleri o re;
Nel regal culo t'auguro cazzi novantatre.
E subito profitto, avendolo sì duro,
Di far come nel rito il debito scongiuro.

S'inginocchia e litaniando:

Salam lech, salam lech
Nel futuro ho messo il bec
Non c'è bene, non c'è male,
Non c'è membro senza bale,
Non c'è donna senza fica,
Non c'è uom che non berlica;
Non c'è serva che non spari
Delle seghe ai militari,
Non c'è balia che al pompiere
Non la faccia almen vedere,
Com'è larga, com'è fatta
Finché questi non la spacca,
Non c'è al mondo una ragazza
Che al sognar non vada pazza
Per un cazzo fuor misura
Che le sballi la natura,
Ed il sogno non concluda
Che la fica non le suda;
Non c'è in terra giovanotto
Che non dica d'aver rotto
Con l'uccell fuori ordinanza
Per lo meno qualche panza
Mentre invece ha un pistolino
Assai corto e mingherlino
Che d'un subito s'affloscia
Se lo metti sulla coscia;
Non c'è donna senza veli
Non c'è cazzo senza peli,
Mentre invece più mi garba
Se la fica è senza barba,
Invitante e un poco pingua
Da ficcarvici la lingua;
Senza sol non c'è mattino,
Senza amor non c'è pompino,
Non c'è tram senza tramviere
Non c'è cul senza sedere;
Non c'è al mondo giovinetta
Che una volta almen non metta
Dentro al culo per benino
Piano piano il suo ditino;
Non c'è uccel che non si rizzi
E non faccia degli schizzi;
Non c'è donna savia e folle
Che al vederlo così molle
Non si chieda a tutto spiano
Come mai farà il banano
A mutar di dimensioni
Se lo tocchi sui coglioni;
Tutto questo di sicuro
Parte fa dello scongiuro,
Ma perché venga benone
Poso il dito sul coglione
E se poi siete contenti
Vo' a finir gli esperimenti.

RE:
Adunque esulta figlia mia diletta
Per la gioia che ti spetta;
Per soddisfar le tue brame
Avrai tosto un pezzo di salame.

REGINA:
Intanto per tenerti in esercizio
Sarà bene che t'allarghi l'orifizio;
Ti sceglierò io stessa per le prove
Di sponda un letto di sessantanove,
È quanto di meglio esita qui in Corinto
In frutti di banano a tipo spinto1.

(1) In effetti: "Cunnus fodi potest aut lingua, aut clitoride, aut quacumque re virili veretro simili" (Friedrich Karl Ferberg, "De figuris Veneris", ed. it. Catania, 1928, pag. 9).

IFIGONIA:
Santo Dio, Santo Dio,
Questa volta l'avrò anch'io,
Sospirando quel bel lino
Voglio farmi un ditalino,
Ve lo chiedo con permesso,
Vo' a tirarmela nel cesso.

Sta per avviarsi.

RE: trattenendola
Rimani, o sconsigliata, il padre tuo diletto
Innanzi al popol tutto ti gratterà il grilletto,
Mentre il Cerimoniere, memore del mio pegno,
M'inculerà di dietro col suo cazzo di legno.
Se con le bianche mani mi tieni su i coglioni
Vedrai nella mezz'ora quaranta polluzioni.

POPOLO:
Noi siamo felici, noi siamo contenti,
Il re ce l'ha duro in tutti i momenti,
Seguiamo l'esempio del caro sovrano
Facciamoci forza, pigliamolo in mano.

GRAN SACERDOTE: entrando
Nel filtro del futuro apersi uno spiraglio
Mettendomi nel culo un mezzo spicchio d'aglio.

RE:
I detti tuoi sapienti son rapidi e fatali
Come fuori dall'ano i nodi emorroidali.

GRAN SACERDOTE:
Seguendo i tuoi consigli, o re buono e sapiente,
Misi l'uccello duro sopra un braciere ardente.
Mi lessai il coglion sinistro, bevendone poscia il brodo,
Grande e divino auspicio traendone in tal modo;
Tra i principi del sangue dal bel tornito uccello
Bandito sia un concorso con un indovinello;
Che in fica di Ifigonia, la bella, non si vada,
Se pria non verrà sciolta almeno una sciarada.

IFIGONIA:
Dalla gioia son toccata,
Già mi sento un po' bagnata
Al pensiero di quel cazzo
Che darà a me sollazzo
Sarà forte duro e bello
Prepotente quell'uccello?
Con la punta un po' rosata
Con la schiena un poco arcuata?
Duro, rigido e flessuoso,
Ben spavaldo o timoroso?
Già lo sento tra le gambe
Ondeggiare in pose strambe,
Penetrar nella vagina
O tentar la pecorina
Passeggiarmi sulla pancia
Le mammelle e sulla guancia
Or m'assal lo sghiribizzo
D'assaggiare il bianco schizzo.

POPOLO:
Noi siam felici, noi siam contenti,
Udendo Ifigonia scandir tali accenti,
Il gusto di vivere è certo più bello
Se dentro la fica s'adagia l'uccello.

GRAN SACERDOTE:
Toccatevi i coglioni, se potete,
Perché là vidi transitare un prete!

Tutti eseguono. Solo Ifigonia, troppo felice, non bada all'avvertimento del destino e del resto non ha alcun paio, ahimè, di coglioni a portata di mano.

Cala la scena sul primo atto.

Atto Secondo

SCENA:
La stessa sala. Sono presenti i principi pretendenti di Ifigonia col loro seguito.

ALLAH BEN DUR:
Ho riempito un orinale col sudore delle bale!

DON PEDER ASTA:
Ho riempito un gran mastello colla broda dell'uccello!

UCCELLONE:
Ho riempito tre bidoni colla broda dei coglioni!

KIRO HITO:
Ho riempito una caserma solamente con lo sperma!

ALLAH BEN DUR:
Ho creato un nuovo lago col prodotto del mio mago1!

(1) Secondo l'Aretino per "mago" devesi senza dubbio veruno intendere quel che oggi, con altra non meno ardita metafora, il volgo chiama "uccello". E non a caso la saggezza degli antichi attribuiva alcunché di magico, quasi un divino afflato, alla parte più preziosa del corpo umano.

RE:
A voi che della terra siete i migliori coglioni,
Rivolgo il mio saluto, cari principi e baroni;
Sarete già al corrente di quel che ho decretato
Con il provvedimento che ho steso e poi firmato;
Ad ogni modo ci tengo a farvi noto
Che quello che più conta è solo aver lo scroto,
Potente, blasonato, di nessun male affetto
Noto per le chiavate in piedi oppur sul letto.
Ma ad ogni modo mettetevi a sedere
Ve ne darà lettura il Gran Cerimoniere.

GRAN CERIMONIERE:
L'anno sessantanove, il dì del due di agosto
Dalla Maestà Reale con animo disposto,
Bandito fu un concorso con un indovinello
Fra i principi di sangue dal ben tornito uccello;
Premio nobile e raro, ben chiaro lo si dica,
Sarà d'Ifigonia più che il cul la fica,
Della vergine purissima che nulla ha di finto;
Firmato: Banano Primo, Sire di Corinto.

GRAN CERIMONIERE: imponendo il silenzio
S'avanzino senz'altro i pretendenti...

Rivolto al popolo:

Voi fate largo, ed al culo state attenti.

ALLAH BEN DUR:
Io sono Allah Ben Dur dal poderoso uccello1
E vengo dall'Arabia a dorso di cammello;
Il viaggio fu assai lungo e senza tappe
Sicché dal gran sudore mi bruciano le chiappe.
Raggiunta in fin la meta di sì tremendo viaggio
Ho piedi, culo e fava che puzzan di formaggio.
Sul dorso di cammel so far mille esercizi,
Infransi più di un culo all'ombra dei palmizi.
I miei coglion lucenti, senza badare al puzzo,
Sembran per volume le uova di uno struzzo;
Son bruno, ardito e forte, devoto mussulmano,
Son dell'Arabia intera certo il miglior banano.
Ai vostri piè depongo il mio ferrato uccello
Con l'aiuto di Allah sciorrò l'indovinello.

(1) Non è senza fondamento l'illazione di chi, sulla scorta di quanto acutamente scriveva il Wilamowitz-Moellndorf ("Untersuchungen uber dem Ur-Ifigonialied"; Leipzig, 1888, vol. IV, pp. 438-696) crede di riconoscere in questo arabo puzzolente, inculatore de' suoi correligionari non meno che degli infedeli, urlone e millantatore, il protagonista di antiche saghe popolari egizie, che narravano le gesta e la fine ingloriosa dello sceicco Ali Kàzzan-el-Nasser, il quale nel sesto secolo dell'era volgare insignoritosi di alcuna parte dei deserti arabici, di là proclamava a gran voce voler dominare mezzo mondo. Il tutto si ricollega dunque all'aura di millanteria di cui il personaggio s'è circondato sinora.

IFIGONIA:
Avvenne un dì che un nobile prelato
Lo mise tutto in culo a un capriolo;
Un figlio dal connubio essendo nato,
Si domanda: com'era tal figliolo?

Nota: lo schema metrico di questa strofa, e della successiva è cambiato, in effetti qui la critica è discorde, una scuola di pensiero ritiene infatti che sia un'altra la versione corretta.

Allah dà segni di incertezza.

GRAN CERIMONIERE:
Se non mi rispondi nella settimana
Mi faccio del tuo scroto una sottana.

Allah è sempre più confuso.

ALLAH BEN DUR:
Veramente... quel prelato...
Dentro il cul del capriolo...
Non so dire... avrà pigliato...
Perlomeno un po' di scolo1...

(1) L'indovinello di Ifigonia è di una semplicità disarmante, ma purtroppo il nobile prence è evidentemente un povero pivello, si evince ciò anche dalla necessità di Ben Dur di ripresentarsi, dichiarando d'aver creato un nuovo lago, eccetera.

Il cambio di metrica, secondo il pensiero del Mengazza, è stato introdotto ad arte in epoca successiva, allo scopo di enfatizzare l'incertezza di Allah Ben Dur, la strofa originale invece era un'altra:

Un vecchio Prelato, un po tristazuolo
In culo lo mise ad un giovin capriolo
S'accorse più tardi che l'estro di maggio
Rendealo padre d'un ibrido paggio.
e la risposta di Ben Dur

Ehrr, non saprei, quell'alto prelato
Se un capro ha chiavato
Io penso, con duolo
Che ha preso lo scolo1.
(1) Secondo l'Aretino forse l'arabo intendeva suffragare la nota affermazione attribuita ad Hemingway: "Uno non è un uomo se non ha preso lo scolo almeno cinque volte".

POPOLO: furente, facendo gli scongiuri
Noi siamo infelici, noi siamo scontenti,
Ti secchino il cazzo i nostri accidenti!
Gli uccelli si affloscino in segno di duolo,
Quel brutto vigliacco ci parla di scolo!

Il principe è trascinato via a viva forza.

GRAN CERIMONIERE:
Il primo pretendente è bell'e e fritto,
Venga il secondo a cazzo ritto.

DON PEDER ASTA:
Io son Don Peder Asta, gran nobile spagnuolo,
Astuto oltre ogni dire; viaggio col protargolo
E sei preservativi per non subire l'onta
Di prendermi lo scolo all'atto della monta.

IFIGONIA:
Principe saggio, devi dire a me
Da quanti giorni non fo' più il bidè!

DON PEDER ASTA:
Fidandomi del senso dell'olfatto,
Debbo dirti che non l'hai mai fatto.

POPOLO: incazzatisimo
Lo sanno le troie, lo sanno i lenoni1
Lo sanno persino i nostri coglioni!
Nel dì di Giunone, con mossa pudica,
Madonna Ifigonia lavossi la fica;
Coi suoi venti chili di augusto formaggio
Fu fatta una palla di un metro di raggio2.
Al prence sia data la pena infamante
Di prenderlo in culo dal sacro elefante!

(1) Ben giusta è l'indignazione del coro. Analogamente nello Shakespeare: "Il cielo tura il naso e abbassa le palpebre la luna; il vento ruffiano si rifiuta di ascoltare." Significativa è l'unità di ispirazione dei due drammaturghi, dato che con estrema probabilità non si conobbero neppure di vista.

(2) Risulta da questi dati che la fica della Principessa aveva una cilindrata di 4190 litri, come si deduce dall'antico adagio: "Il volume della sfera qual'è? Quattroterzipigrecoerretre!". Inoltre il peso specifico dell'augusto formaggio si può valutare in 0,0478 Kg/dm3.

RE:
Sian tosto del popol eseguiti i voleri;
S'avanzi Bel Pistolin, coi suoi cento staffieri;
Quaranta archibugieri1, intanto, piano piano,
Lo aiutino un pochino col palmo della mano;
E nel caso imprevisto che non gli venga duro,
Lo sfreghino senz'altro contro il muro.

(1) L'Aretino e il Mengazza sono venuti ai ferri corti proprio per questo punto in particolare: la tesi del Mengazza sostiene, infatti, che nel 69 d.C. la polvere da sparo non era stata ancora inventata e quindi gli "archibugieri" non potevano esserci; il Mengazza trae forza da questa considerazione per affermare che l'opera è stata rimaneggiata in epoca moderna. Gli dà contro l'Aretino, sostenedo che non di archibugeri si tratta, bensì di "archibugieri" cioè di "architetti del bugio", in effetti l'operazione di sodomia dell'uomo da parte di un elefante, è un operazione che richiede una certa tecnica.

S'avanza Bel Pistolino con evidenti segni di giubilo.

POPOLO: in delirio
Pompa, pompa come un mulo
Fagli tremare le chiappe del culo!
Daglielo molle, daglielo duro,
Fagli tremare quel buco sì oscuro!
Daglielo duro, daglielo mollo,
Fagli tremare le vene del collo.

GRAN SACERDOTE:
A quanto sembra anche il secondo è fritto,
Ben venga il terzo a cazzo ritto!

UCCELLONE da Belmanico:
Sono il nobile Uccellone sono conte e son barone;
La mattina, appena desto, me lo meno lesto lesto,
Qualche rapido raspone, non fa male a colazione;
Quattro seghe a mezzogiorno vanno bene per contorno;
Alla sera, per divario, rompo qualche tafanario,
Ed alterno con pompini, il culetto dei lecchini.
Sulla punta del mio pene, mille infransi fiche amene;
Vedi? Bando come un mulo alla vista del tuo culo!

IFIGONIA:
Sai tu dirmi il mistero della sfinge
La quale prima caga dopo minge?

UCCELLONE:
Mi colma, oh Ifigonia, la tua parola oscura
I corpi cavernosi di gelida paura!
Già sento roteare, con ratto alterno moto,
I possenti testicoli entro il peloso scroto;
Ho nel profondo cuore una puntura sorda
Quasi che una dozzina di piattole mi morda.
Oh nobile fanciulla, alle parole altere
Sento che si rilascia persino lo sfintere.

RE:
E brami, o tracontante, la mano di mia figlia?
Col culo pieno d'aglio farai la Mille Miglia!

GRAN SACERDOTE:
Sia subito eseguito il sovrano volere
Si porti senza indugio, d'aglio un gran paniere.

Uccellone di Belmanico scoppia in una fragorosa risata.

RE:
E ridi, o sconsigliato, al pensier di gran travaglio
Di far la Mille Miglia col culo pieno d'aglio?

UCCELLONE:
Mi fate pena, oh poveri coglioni,
Ché per riempirmi il culo ne occorron tre vagoni!
Pieno d'aglio il sedere come l'errante ebreo,
Io batterò in volata la rossa Alfa Romeo1!

Si allontana baldanzoso.

(1) Con il riferimento alla "Mille Miglia" e, più oltre, a quello dell'Alfa Romeo, il lettore sarebbe portato a ritenere questo passo un altro punto di discordia tra le dottrine del Mengazza e dell'Aretino, fattostà che entrambe invece sono concordi nel ravisare, tra le rime, un riferimento ad un personaggio storico, si tratta di una delle più famose prostitute dell'epoca, dai capelli rossi come il fuoco, capace di soddisfare un intera legione in meno di un ora. Resta da vedere in che modo il nobile Uccellone pensasse di riuscire in una simile impresa, la storia non lo dice.

IFIGONIA: nostalgica
Addio nobile Uccellone, mio prode Signore!
La tua robusta fava mi giunge fino al cuore.
Non hai colpa veruna se con l'uccello dritto,
Giammai scandagliasti le Sfingi dell'Egitto,
Se solo mille fiate alla tua chioma fulva
S'intrecciaron tenaci i peli della vulva.

RE:
Non piangere Ifigonia, lustro dei peli miei,
Sii paziente e devota ai detti degli Dei.

KIRO HITO:
Io son Kiro Hito, son mandrillo;
Lo metterei nel culo pure a un grillo.
Son figlio del Giappone, Kiro Hito,
Ho un paio di coglioni di granito.
Ma facciam presto con le spiegazioni,
Che temo di non star più nei calzoni.

IFIGONIA:
Stavasi un eremita in Poggibonsi
Che non cacava e non faceva stronzi;
Or dimmi: quando un rutto egli tirava,
Ai suoi fedeli che impressione dava?

KIRO HITO:
A simile domanda quando risposta sola:
Avea quell'eremita il retto nella gola!
La storia già ci narra del Principe Gargiulo1,
Il quale nella faccia rassomigliava a un culo.
Ne son più che sicuro e dirlo posso lieto:
Dell'eremita il rutto puzzava più di un peto!

Il Gran Cerimoniere apre una pergamena e dà segni di approvazione.

(1) Chi sia quel Gargiulo non è dato a sapere. Il nome parrebbe una latinizzazione del nome germanico Georg, la cui radice, per gradazione vocalica, assume le forme "gorg" e "garg". Dal verso seguente alcuni esegeti hanno potuto trarre le prove che il personaggio in questione fosse un prete, o comunque un personaggio legato al mondo religioso.

RE:
Un uomo siffatto che ha tanto cervello
Ragiona certamente con l'uccello.
Eccoti dunque figlia bene amata,
La fava ritta, tanto sospirata!
Sii degna dell'uccello conquistato,
Mai obliando i lustri del passato.
Ricorda Bertolina, tua germana,
Ch'arrossiva sbucciando una banana,
Ma che un dì, presa da furor demente,
Cacciossi nella fica un ferro ardente
Perchè al Baron Carlo dei Baroni
Furon tagliati il cazzo ed i coglioni;
Mentre la Filiberta illustre e saggia
Il culo s'incendiò di acqua raggia:
Aveva scelto la morte al nero duolo
Di curarsi lo scol col protargolo;
E la nobil Figonia, tua bisava1,
Sempre invitta nel gioco della fava,
Morì vetusta d'anni in un bordello,
Cul cuore trapassato da un uccello2.

(1) Al che il Mengazza commentò citando Shakespeare: "Aveva tralignato e s'era fatta baldracca" (Otello, V, 2).

(2) Tornano qui alla memoria i versi commossi di Dino Campana ("Notturno teppista"in "Canti orfici"): "Amo le vecchie troie / gonfie lievitate di sperma / che cadono come rospi a quattro zampe / sovra la coltrice rossa."

IFIGONIA:
Il sorriso della fica la mia gioia alfin ti dica,
Son felice e son beata perché al fin sarò chiavata.
Ma vi giuro sugli Dei di pensar ancor ai miei;
Al re, come alla regina che mi lecca la mattina:
A lui dono un sospensorio come stemma provvisorio,
Ed a lei l'originale di un bel cazzo artificiale1.

(1) Secondo il Mengazza, l'accenno al "cazzo artificiale" è una chiara prova di un rimaneggiamento avvenuto in epoca recente.

POPOLO:
Noi siamo felici, noi siamo contenti,
Si rizzino di gioia i cazzi frementi;
L'uccello del prence di gioia ci inonda
Mettiamoci tosto il culo di sponda.

VERGINI:
Noi siamo le vergini dai candidi manti,
S'intreccin le danze, s'innalzino i canti:
Lasciamo le seghe, lasciamo i pompini,
Mettiamo da parte i bei ditalini!
E' giorno di festa: l'azzurra pervinca
Mettiamo all'occhiello del muso di tinca1!

(1) Altra audace metafora dell'atto sessuale, reso ancora più evidente dall'abisso che separa i due elementi: un fiore ed un pesce. Non poteva essere data un'enfasi maggiore al sacrificio che le vergini vestali s'apprestano a celebrare per rendere omaggio alla principessa.

GRAN CERIMONIERE:
E risuoni nella reggia, perlmeno una scoreggia!

Esegue.

Cala rapida la tela sul secondo atto.

Atto Terzo

SCENA:
La camera nuziale. A destra una porta che dà nell'appartamento del re; in fondo a sinistra, si nota un elegante water-closed con catena pendente.

IFIGONIA:
Mio Kiro Hito, prence samurai
il tempo passa e non mi chiavi mai!

KIRO HITO:
Desisti dalle inutili e vane spiegazioni,
non vedi che cominci a rompermi i coglioni?

IFIGONIA:
Fammi vedere le palle di solido granito1,
fammi toccare l’uccello almeno con un dito!
Dimmi cosa brami mio nobile signore:
ti bacio le palline o vuoi fare all'amore?

(1) Questa invocazione appassionata, piena di pathos, dal ritmo quasi liturgico e sacrale, risuona commovente sulle labbra della fanciulla già sovrastata da un atroce destino, mentre il personaggio di Kiro Hito, il suono dei versi che caratterizzano la sua risposta, acquista una tonalità stridula che lascia presagire il peggio.

KIRO HITO:
C'è una cosa che ancora no ti ho detto,
un terribile segreto che brucia nel mio petto!

IFIGONIA:
Deh, parla Kiro Hito, mio divino!
T'ascolto col canal di Bartolino!

KIRO HITO:
Un giorno, or son quattr'anni, soffrendo per un callo,
stavo prendendo un bagno nel grande Fiume Giallo
e, come è sempre in uso tra i nobili signori,
stavo rompendo il culo a paggi e valvassori1.
Quand'ecco di lì passa un bonzo di Visnù
(allor mio caro amico, ci davam del tu)
il quale mi propose con sordido cinismo,
di fare nel suo culo, un giro di turismo.
Di meglio non bramavo, e come ardente toro,
soffiando a testa bassa mi butto dentro il foro.
Ma quel vigliacco avea, nel nero tafanario
lungo, rapace e impavido, un verme solitario,
che, mentre mi godevo il morbido budello,
pian piano mi sbafava, la fava dell'uccello.
Eccoti ormai svelato alfin tutto l'arcano:
il bruno Kiro Hito è privo di banano,
ed ora, mia diletta, quando voglio godere,
non ho altra risorsa che il buso del sedere2.

(1) Ritorna il tema morale già proposto all'inizio del primo atto: è eterno destino dei sottoposti prenderlo nel culo dal capo che li comanda, ma è anche la schicciante prova dell'avvenuto rimaneggiamento, secondo la versione del Mengazza, infatti, la versione autentica prevedeva il termine "Professori", che tra tutti i sottoposti sono quelli che (in ogni tempo) hanno sempre preso in culo tutto, riforme incluse.

(2) "Quel buso marone, è bello sapere che c'è" (Elio e le Storie tese, "Il vitello dai piedi di balsa", ripresa, ultima strofa: inutile dire da chi, il sommo vate della canzone monocigliesca abbia ripreso le sue liriche).

IFIGONIA:
Ignobile fellone, infame traditore!
La misera Ifigonia piombi nel disonore!
Fui vittima innocente di un infame tranello:
potea mangiarti, il verme, il cuore, non l'uccello!
Mi sento soffocare dal duolo che mi stringe,
per poco non mi scoppia di rabbia una salpinge

KIRO HITO:
Tristissime giornate sul resto del mio uccello
passai sulla torre sovrastante il castello;
ed intanto, tutto avvolto in tristi, neri veli,
strappavo singhiozzando i miei lucenti peli.
Alfine non rimase un pelo sul coglione,
così senza conforto mi buttai giù dal balcone.
Ma appena giunto al suolo, dilegua il mio tormento,
che si mutò in nuovo, potente godimento:
volle il cielo benigno che nel rapido giro
cadessi a culo nudo sul cazzo di un fachiro,
che da circa vent'anni restava contro il muro,
muto, scarno, impassibile, ma con l'uccello duro.
Così da quel momento girai tutte le Corti
e cazzi ne ho presi dritti, lunghi, storti, contorti,
bianchi, neri, rossi , gialli, prepotenti e timorosi
profumati e puzzolenti, morbidi, rigidi e flessuosi,
oleanzi di formaggio, stranamente tatuati
e persino alcuni un pochino scorticati.

IFIGONIA:
Furie d'Averno, o voi che anguicrinite
chiavar vi fate in pose pervertite
da quei ciclopi che hanno un occhio solo
perché non vi pigliate mai lo scolo?
E tu, Giunone, che sull'Elicona
ti fai dal Can leccar sulla poltrona,
perché non ti mangia un pezzo di grilletto
il cucciol tuo fetente e prediletto?

KIRO HITO:
Frena i tuoi detti, o Ifigonia, basta!
Abbi rispetto almeno per l’arte pederasta.
Tu non lo sai la gioia che ascende l'intestino1:
questo lo dice un vecchio ed esperto culattino!.

(1) Diversamente il Divin Poeta: "Questo moto di retro par che uccida" (Inf., Xi,55)

RE: entrando con una scatoletta in mano
Ho sentito rumore dalla stanza vicina;
forse state cercando un po’ di vasellina1?

Quanta dolcezza, quanto amore paterno, quanta comprensione in questo vecchio padre sollecito di risparmiare inutili dolori ai giovani sposi! E quale crudele delusione lo aspetta, un vero esempio di pietas, degno dell'Eneide.

IFIGONIA:
Anche la vaselina, duro scherno!
O padre maledetto, va all'inferno!

Gettandosi sui coglioni paterni

Ecco ti mangio il destro ed ancora insisto:
ed ora sta sicuro, neppure Cristo
se pietà si prendesse del tuo guaio
ridar te ne potrebbe un altro paio.
Castrato sei, e se vorrai godere,
godrai tu pure usando il tuo sedere!

RE:
Ahimè ahimè, vista tremenda!
Mia figlia fe' dei miei coglion merenda!

Si accascia piangendo

GRAN CERIMONIERE: entrando di corsa
Accorrete cortigiani, duchi, principi, baroni,
nobiluomini, esercenti dai bei nobili coglioni,
voi, pulzelle e maritate, nobildonne e castellane
che battete di gran lunga le più celebri puttane,
tralasciate le chiavate, tralasciate anche i pompini,
sospendete, sospendete i consueti ditalini!
Ifigonia, la sovrana, impazzita da dolore,
si mangiò le grosse palle del canuto genitore!

Entrano i cortigiani e le cortigiane in costume adamitico

RE:
Addio mio prode cazzo, piega da questa sera,
la rossa, audace testa un giorno tanto fiera!
Finirono le giostre e le dolci tentazioni:
non val robusta fava se priva di coglioni.
Addio vergini belle, che lasciaste l'imene
sopra la forte punta del mio robusto pene!
Addio, culi rosati di donne e di bambini,
addio, lingue sapienti, maestre di pompini!
Da oggi negletto tu starai nelle mutande,
ne' attingerò dalle stelle, il potente glande!
meglio sarebbe stato perder pur anche il cazzo,
ma perderlo da prode nel gioco del rampazzo!
Perir tu ben dovevi, ma in singolar tenzone1 2
invece, ahimè, peristi da povero coglione3!

(1) Da cui l'antico detto: "In guerra e in amor ogni buco e' trincea"

(2) Come non poter paragonare questi struggenti versi alle Res Gestae di Augusto, incise sull'Ara Pacis, in effetti anche il periodo corrisponde, felice conclusione di una luminosa carriera le une, tragico epilogo queste altre, ma l'aura di grandezza le avvolge entrambe.

(3) Nothos uersis II addit cod M.; incerto sensu, pro versibus "Potevo sì morire, ma in nobile tenzone, - Invece di morire da povero coglione."

GRAN CERIMONIERE: rivolgendosi ad Ifigonia
Io ti punisco col tormento duro
d'esser legata colla faccia al muro:
passerà tutto il popolo, e, con l'ano,
farai da monumento vespasiano1.

(1) L'unica concessione dell'Aretino alla tesi del Mengazza riguarda proprio questo passo, probabilmente modificato dall'autore stesso una decina d'anni più tardi: l'imperatore Vespasiano, creatore degli omonimi ed utilissimi monumenti salirà al trono nel 79dc.

IFIGONIA: avanzandosi alla ribalta come in estasi
Sognavo un cazzo forte, da bambina,
e supplicavo Giove ogni mattina,
affinché, come accadde un giorno a Eunica,
mi accadesse di rompermi la fica.
Così non fu; la Provvidenza grande,
che gioia e dolore in terra spande,
mi volle sposa a te, che sei carino,
ma col difetto di esser culattino1.
Da prode morirò, come Raniere,
che non pote' inculare lo sparviere;
Addio Kiro Hito, un dì mio sposo;
e tira l'acqua del water-closo!

Prima che qualcuno possa fermarla Ifigonia attraversa la scena di corsa e si getta dentro il water-closed; Kiro Hito impassibile tira l’acqua; il popolo si inginocchia prorompe in una salva di scorregge quale estremo saluto2.

Cala definitivamente la tela.

FINE

(1) Come direbbe il B. Padulo:

Così non fu' e la sorte ria
e il vil destino
sposa mi fecer
a un detestato culattino
(2) Sebbene il WC sia indubbiamente moderno, è noto che già la civiltà sorta sull'isola della moderna Santorino era in possesso di una tecnologia superiore rispetto a quella dei popoli circostanti, tubi e sifoni erano già noti alla scienza di quello sfortunato popolo, scomparso in una violentissima eruzione vulcanica, dando poi un fondamento storico al mito dell'Atlantide di Platone.

Postfazione a cura di Nettuno:
Nonostante le interpretazioni e i rimaneggiamenti che, inevitabilmente, si sono susseguiti nel corso dei secoli, quest'opera ci propone diversi temi, tutti evidentemente cari all'autore, ma universali per valenza e significato:
la condizione dei sottoposti (dai popolani ai nobili), prenderlo in culo è un atto che indica sottomissione, inevitabilmente, come ben avevano appreso i romani nel famigerato episodio delle forche caudine. Sebbene edulcorato dal cristianesimo nei secoli successivi "porgi l'altra guancia", è sempre esistita ed esiste tutt'ora un momento in cui si da e un altro in cui si prende. Cambiano i modi e i luoghi, ma la sostanza resta sempre la medesima. Il tema del destino cui ogni mortale non può sottrarsi: la convinzione che un uomo è artefice del proprio destino, evidentemente era sconosciuta all'autore, o ritenuta da esso come una pia illusione, l'eterno dilemma: "predestinazione o libero arbitrio" viene qui posto in una luce nuova, con una ventata di freschezza e buonumore nonostante la natura tragica della vicenda narrata; e per finire la morale che chede chi, vittima di ataviche, restrizioni, non si concede prima del matrimonio e che chiude il cerchio con i temi trattati: chi l'ha preso (pardon) didietro se lo tiene e tace. Nihil sub sole novi, insomma, niente di nuovo sotto al sole e questo lascia adito ad un ultimo interrogativo: è l'opera ad essere attuale in maniera sconcertante o semplicemente che nel corso degli ultimi 2000 anni l'uomo non è poi cambiato granché?