Era l'alba.
Angel aprì la porta del suo appartamento lentamente. Sporco e impolverato,
dopo una notte di caccia nei vicoli più sordidi, si sentiva depresso.
Niente gli pareva avere uno scopo. Poi il suo sguardo incontrò
l'orologio posto vicino al letto. Era tardi.
Pervaso da una nuova energia si spogliò e si diresse in bagno.
L'acqua della doccia era gelida, ma lui non ci fece caso. Con molta cura
si lavò il corpo e i capelli, come se dovesse prepararsi per un
incontro importante. Dopo essersi frettolosamente asciugato si passò
le mani fra i capelli ancora umidi. Lanciò uno sguardo di rimpianto
allo spazio vuoto, sopra il lavandino. Avrebbe voluto poter controllare
il proprio aspetto, ma forse, dopo la notte appena trascorsa, era un bene
che non potesse vedere le ombre scure che sicuramente gli segnavano gli
occhi.
Uscito dal bagno però, invece di rivestirsi, si sedette sul letto
fissando le lancette dell'orologio.
Con un sospiro si distese. Mancava ancora più di un'ora.
Prese in mano un libro, per riporlo però poco dopo. Non riusciva
a concentrarsi sulla lettura. Le frasi scorrevano sotto i suoi occhi,
ma non riusciva a concentrare la sua attenzione su di loro. Improvvisamente
ricordò che aveva dimenticato qualcosa.
Si diresse in cucina. Non accese la luce. Non era necessario. La scarsa
luce che filtrava dagli infissi gli era sufficiente.
Versò il sangue in una tazza e lo bevve freddo, senza neppure preoccuparsi
di scaldarlo. Il liquido denso colmò il senso di vuoto, più
psicologico che fisico, che aveva provato, ma non gli diede il consueto
senso di sazietà.
Non era quello di cui aveva veramente bisogno, ma per il resto doveva
aspettare. Mancava ancora più di mezzora.
Poco dopo era di nuovo coricato fra le lenzuola, immobile, a fissare il
soffitto ascoltando il ticchettio regolare dell'orologio.
Immagini delle esperienze appena vissute affiorarono nella sua mente.
Lacrime, sangue, violenza e paura era tutto quello che vedeva. Nella sua
vita non c'era altro. Profezie funeste, distruzione e morte erano il filo
conduttore della sua esistenza.
Cordelia e gli altri tentavano di offrirgli frammenti della loro umanità,
delle loro vite sotto il calore del sole, ma non era abbastanza per rischiarare
le sue notti.
La sola luce nella sua tetra esistenza era...il rumore dello scatto della
lancetta dell'orologio che aveva finalmente compiuto il suo percorso gli
rimbombò nella mente riportandolo alla realtà. Era giunta
l'ora!
Rapidamente si voltò verso il telefono e con impazienza compose
il famigliare numero sulla tastiera.
Quella sequenza di numeri priva di senso, strumento di una tecnologia
che gli era estranea, aveva per lui qualcosa di magico. Lo aveva ossessionato
per anni. Erano solo numeri, irreali, astratti eppure erano anche il codice
di accesso di una porta per lui chiusa per sempre.
Li conosceva bene, avrebbe potuto usarli in ogni momento. Un telefono,
semplici gesti, poche parole e i suoi sogni sarebbero diventati realtà.
Quell'anonimo numero di telefono era un legame con la donna che amava,
un legame a cui non osava aggrapparsi, come una formula magica troppo
potente per essere controllata, che le labbra irrigidite dalla paura non
si decidono a pronunciare.
Ora le sue dita si muovevano sicure. Era finalmente libero di chiamarla,
parlarle, raggiungerla, anche se solo con la voce.
Eppure ogni volta ascoltava il freddo segnale di linea libera con
la stessa trepidazione e quando lei rispondeva un senso di confortante
sollievo lo pervadeva. Non sarebbe mai stato completamente sicuro di lei,
del loro amore. Non poteva esserlo. I miracoli non danno certezze, e quello
che esisteva fra loro era un miracolo.
Dalla cornetta giungeva solo il ripetitivo segnale che indicava che all'altro
capo il telefono stava squillando. Angel strinse le labbra con impazienza.
Non era preoccupato per l'incolumità di Buffy. Gli capitava spesso
di attendere a lungo prima di sentire la sua voce assonnata salutarlo.
Lei si svegliava lentamente la mattina. Era comprensibile. La vita che
conduceva era dura e lui non gli era vicino, per aiutarla, come avrebbe
desiderato.
La sera prima probabilmente aveva fatto tardi, ma quel giorno aveva molti
impegni. Non poteva dormire fino a tardi.
Se fosse accaduto qualcosa Willow o qualcun altro della banda lo avrebbe
avvertito. Era però ansioso di parlarle. La notte appena trascorsa
era stata caotica. Aveva combattuto e ancora una volta aveva vinto, ma
si sentiva comunque frustrato.
La donna a cui aveva salvato la vita era fuggita da lui urlando, impaurita
più dal suo salvatore che dal mostro che la perseguitava. Quella
reazione non l'aveva sorpreso, ma...il timore e il disprezzo della gente
continuava comunque a ferirlo.
Buffy, con il suo amore, avrebbe curato quell'ennesima ferita, come solo
lei aveva il potere di fare.
Buffy si voltò fra le lenzuola, svegliata dalla suoneria del
telefono posato sul comodino.
Gli occhi ancora chiusi si avvolse più strettamente nelle coperte.
Quella notte la caccia era stata fruttuosa e lei era andata a letto molto
tardi. Il suo corpo richiedeva meno ore di sonno, rispetto ad un comune
essere umano, ma c'erano occasioni in cui lei abusava delle sue forze.
Il telefono squillò una seconda volta. Lei sorrise. Aveva intenzione
di rispondere, ma non subito. Chi la stava chiamando aveva molta pazienza
e avrebbe atteso una sua risposta probabilmente...per sempre.
Poteva facilmente immaginare la loro conversazione durante il prossimo
incontro:
"Se orde di demoni desiderosi di combattere entrassero nella tua
camera da letto, Buffy, finirebbero di andarsene frustrati perchè
non riuscirebbero a svegliarti!" l'avrebbe presa in giro Angel.
Lei però avrebbe prontamente ribattuto.
"Nessun demone ha il permesso di entrare nella mia stanza, a parte
te, e tu quando vuoi svegliarmi ci riesci benissimo."
"Non con il telefono, a quanto pare." avrebbe commentato il
vampiro, per nulla scoraggiato, ricambiando il suo sorriso malizioso.
Neppure lei però aveva intenzione di arrendersi in quello scontro
verbale.
"E' solo perchè probabilmente con le tue telefonate interrompi
sogni troppo piacevoli."
Era un gioco fra loro. Discussioni futili, prive di senso, attraverso
le quali riuscivano ad esorcizzare i dubbi e le paure che li tormentavano,
senza incrinare il loro rapporto. Un modo sottile e complesso per dare
e ricevere la sicurezza di un amore talmente forte da sembrare impossibile.
"Sogni? Che genere di sogni?" avrebbe chiesto allora Angel,
con falsa curiosità.
"Che genere di sogni credi che possa fare una donna trascurata dal
suo compagno, che preferisce perseguitare misteriose entità delle
tenebre piuttosto che occuparsi di lei?"
Quelle parole, pronunciate in tono di sfida, non avrebbero ferito profondamente
Angel perchè se le sarebbe aspettate, però le sue sopracciglia
si sarebbero comunque corrugate.
"Sai benissimo Buffy che preferirei essere con te piuttosto che a
Los Angeles, ma non posso...probabilmente è inutile...poche gocce
di bene nel mare delle atrocità che ho commesso...se rinunciassi
però tornerei ad essere come ero, prima di conoscerti. Non credo
che neppure tu lo vorresti."
Lei avrebbe sospirato, sentendosi in colpa. Conosceva bene le ragioni
che lo trattenevano lontano da lei. Avrebbe potuto risparmiare ad Angel
la sofferenza che gli era costata quella spiegazione, ma aveva bisogno
di ascoltarla ancora una volta dalle sue labbra. Vivere senza di lui era
difficile, la sua mancanza quotidianamente, al suo fianco, era qualcosa
a cui non riusciva a rassegnarsi.
"Hai ragione, Angel, non lo voglio." Avrebbe risposto in tono
sommesso. "Mi dispiace. Non avrei dovuto dire quello che ho detto,
ma tu...mi manchi...sempre." Quell'ammissione sarebbe servita a ricompensare
il vampiro del dolore provato poco prima.
Sentendosi impotente, di fronte alla tristezza della compagna, Angel avrebbe
cercato di cambiare discorso.
"Posso immaginare che genere di sogni fai, ma mi piacerebbe sapere
con chi li fai?" avrebbe replicato in tono falsamente preoccupato.
Lei sarebbe stata allo scherzo, almeno per un pò.
"Non saprei dirti, con precisione. Sogno tanta gente, a volte anche
ragazzi che ho conosciuto. Soprattutto quelli gentili, carini e che mi
fanno la corte, ma poi...compari tu, e tutto il resto svanisce."
Un altro squillo del telefono e Buffy si decise ad aprire gli occhi.
Gli avrebbe detto molte cose al loro prossimo incontro, ma non quello
che veramente sentiva in quel momento. Era troppo intimo, privato e soprattutto
vago perchè lei potesse tradurlo efficacemente in poche parole.
Quel telefono che continuava a squillare rappresentava per lei la
fine di un incubo, durato anni.
Il dolore, la solitudine, la felicità afferrata per brevi istanti,
sparita fra la nebbia: erano sentimenti che non avrebbe più provato,
ma il cui ricordo continuava ad esistere dentro di lei insieme alla paura
di vedere ancora una volta il suo sogno dissolversi.
Il trillo fastidioso che aveva interrotto il suo sonno era la conferma
che lui era ancora suo, che nulla era cambiato, quella notte, fra loro.
Assaporare quella certezza, permettere alla gioia di invadere lentamente
i suoi pensieri, ancora offuscati dal sonno, era un piacere a cui non
riusciva a rinunciare.
Finalmente allungò una mano e sollevò la cornetta.
"Ciao."
"Ciao"
Improvvisamente nella mente del vampiro esplose il caos. "Mi manchi...
l'ho sconfitto, ma...ho bisogno di te...lei è fuggita...dimmi che
mi ami...è difficile....vorrei stringerti fra le braccia....Cordelia
mi ha detto ....devo continuare, ma ho paura che...ti amo..."
Buffy aspettava, appoggiata al cuscino. Il sole inondava la stanza, ma
lei vedeva di fronte a sè una stanza immersa nella penombra, i
mobili masse indistinte nel buio, un magnifico corpo maschile steso fra
bianche lenzuola, due occhi scuri, nelle cui profondità si nascondeva
tutto il dolore e tutto l'amore del mondo.
"Trascorri una buona giornata." Quelle poche parole le giunsero
sommesse, attraverso il microfono, ma colme di significato. Angel le aveva
pronunciate lentamente, soppesando ciascuna di esse.
Il suo non era un augurio scontato, nato dalla consuetudine. L'uomo che
amava desiderava veramente per lei una giornata buona, serena, positiva,
senza problemi o motivi di sofferenza.
Buffy sorrise.
Angel non era riuscito a dire altro, ma in realtà non c'era
altro che volesse dirle. I suoi tormenti divenivano insignificanti di
fronte al desiderio che provava di saperla felice. Avrebbe voluto con
tutte le sue forze togliere ogni ostacolo dal suo cammino. Immaginarla
camminare per il mondo sicura e determinata a godere di ogni istante della
sua vita.
Era stato educato a concepire la donna come un essere debole, fragile,
bisognoso di protezione.
Nell'epoca in cui lui era nato sarebbe stato suo preciso dovere occuparsi
di lei, provvedere ai suoi bisogni, risolvere ogni suo problema.
Buffy però apparteneva a tempi diversi. Era forte, autonoma, indipendente,
capace di affrontare la vita con le sue sole forze. A volte questo lo
disturbava un pò. Avrebbe voluto che lei si appoggiasse di più
a lui. Lo avrebbe fatto sentire più utile e necessario.
Nei momenti più bui lo tormentava il dubbio che fosse colpa
sua. Se lui fosse stato semplicemente un uomo lei forse avrebbe cercato
di più il suo consiglio e aiuto. Avrebbe avuto più fiducia
in lui.
Buffy era stata la chiave di volta della sua vita. Non rammentava più
quante volte aveva dovuto ricorrere alla sua comprensione, al suo amore
per sopravvivere. Aveva perennemente la sensazione di non offrirle abbastanza,
di essere solo un peso per lei.
Non era così. Analizzando il passato emergeva chiaramente che anche
lui aveva fatto la sua parte. Nella lotta contro il male, come nella vita,
erano una coppia bene assortita, le due metà del cielo finalmente
unite.
Se avesse potuto vivere a Sunnydale, o Buffy raggiungerlo a Los Angeles,
tutto sarebbe stato più semplice, ovviamente, ma trasferirsi non
era possibile per nessuno dei due.
"Dormi bene." fu la quieta risposta. Buffy desiderò
ardentemente poter essere vicino a lui, stringerlo a sè, far svanire
con le sue carezze e il calore del proprio corpo le angosce che sicuramente
tormentavano il vampiro.
Lo conosceva bene. Aveva compreso dal tono della sua voce, e soprattutto
dai suoi silenzi, che quella notte qualcosa lo aveva ferito. Angel non
intendeva parlarne, in quel momento, forse per non risvegliare la sofferenza
e lei non gli avrebbe chiesto nulla, ma avrebbe comunque voluto essere
presente al suo fianco, per offrirgli la consolazione di cui aveva bisogno.
Angel aveva paura del giorno. Gli incubi e i sensi di colpa inevitabilmente
lo assalivano nel buio della sua stanza. Durante le lunghe ore di sterile
prigionia a cui lo costringeva la sua natura, non poteva fare null'altro
se non ricordare e....soffrire.
Buffy provò un moto d'ira impotente. Angel era una persona
stupenda, in grado di dare molto a chi gli era intorno, capace di combattere
forze di incredibile potenza eppure la luce del sole bastava a relegarlo,
rendendolo impotente, annullando la sua enorme volontà di agire.
"Vorrei poter dormire con te." mormorò piano nel microfono
della cornetta. Era vero. Avrebbe voluto poter condividere con lui la
sua prigionia. A volte aveva pensato di farlo veramente.
Vivere solo la notte, insieme a lui, e chiudersi in una stanza, al buio,
durante il giorno, fra le sue braccia accoglienti. Per lui era una condanna,
per lei sarebbe stata una fuga dai doveri, le responsabilità, gli
obblighi che la sua esistenza le imponeva.
Non era una soluzione. Ciascuno di loro doveva affrontare il proprio destino,
ma per fortuna non dovevano più farlo da soli.
"Anch'io lo vorrei." dichiarò lui, dopo un lungo
silenzio. "Se tu fossi qui...sarebbe tutto diverso."
Le labbra di Buffy s'incurvarono in un sorriso malizioso.
"Chiudi gli occhi, Angel, e io sarò con te."
"Va bene" fu l'ermetica risposta. "Ora alzati però,
o farai tardi."
"Ora mi alzo." acconsentì malvolentieri Buffy. "Ciao,
a presto"
"Ciao"
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