L'Azione Cattolica oggi: tradizione e rinnovamento

Rel. Dino Boffo (direttore di "Avvenire") - 7 gennaio 2002

L'AC è una "scuola di Vangelo". Non è burocrazia: è un'esperienza di Dio che si realizza a vari livelli.

Oggi l'AC si trova ad un punto di svolta, uno dei tanti che ha affrontato negli anni che hanno seguito il concilio. L'attenzione al rinnovamento è sì fonte di ricchezza, ma anche causa di fragilità, perché il mettersi continuamente in discussione può avere ripercussioni sulla propria identità di associazione. Il rinnovamento non deve partire dalle "geometrie interne", dal fattore organizzativo, né in reazione al calo numerico degli iscritti: questi criteri porterebbero l'AC a chiudersi in sé, nelle proprie esigenze, rinunciando al suo specifico che è quello di servire la Chiesa locale. L'AC al contrario si deve rinnovare cercando di essere flessibile, di adattarsi al contesto pastorale all'interno del quale è chiamata ad operare. Non si tratta di un'astuzia di sopravvivenza, ma della strada maestra per mettersi a concreto servizio della Chiesa e delle comunità cristiane.

La crisi dell'AC risente però anche di alcuni fattori ad essa esterni, quali ad esempio la crisi più generale della pastorale e la diminuzione della connotazione politica dell'associazione. L'AC oggi è tornata a concentrarsi sul suo essenziale, ovvero l'ambito pastorale, ma non riesce a far in modo che si formi un laicato concreto interlocutore del cattolicesimo nella realtà sociale.

La strada della formazione e della pastorale è sicuramente quella da seguire, ma occorre smettere di pensare in termini di piani formativi organici. Anzi, la formazione deve trarre spunto e materiale dalla realtà concreta e dalla storia, facendo illuminazione culturale e contribuendo a ricostruire una "visione-quadro" cristiana della realtà. Si tratta di costruire una "mentalità di fede", un modo di vivere e di pensare ispirato a come vivrebbe e penserebbe Cristo se si trovasse ad interagire nella nostra realtà. Solo con questa introiezione il laico può veramente costituire termine di confronto reale con il tessuto sociale.

Si tratta quindi di:

  • promuovere l'autoformazione, facendo in modo che il laico acquisisca la maturità di scegliersi tempi e modi di formazione adatti alla sua vita spirituale. Una formazione solo passiva rischia di essere sterile, di non trovare un seguito nella vita quotidiana;
  • creare occasioni di discernimento comunitario, ovvero di condivisione delle idee, di dialogo e di costruzione di una visione comune ispirata al Vangelo;
  • agire sulle coscienze, ovvero cercare non di dare risposte, ma di insinuare dubbi, stimolando la ricerca personale.

Realizzare l'Azione Cattolica oggi in parrocchia

Gruppi di lavoro - 14 gennaio 2002

A partire dalle riflessioni portate da Dino Boffo nel precedente incontro, ci siamo divisi in gruppi di lavoro e ci siamo soffermati a discutere e a condividere esperienze attorno a 3 tematiche cruciali nel rinnovamento della nostra associazione:

  1. l'adesione;
  2. la formazione;
  3. l'unitarietà.

Per quanto riguarda l'adesione, la riflessione è partita da due domande, ovvero se fosse necessario l'impegno pubblico ed economico e se fosse possibile fare attività di AC anche senza aderire. Sono stati rilevati due problemi fondamentali che incontriamo nel proporre l'adesione.
Il primo problema è quello dell'etichettatura, ovvero il fatto che l'adesione all'AC può apparire come l'entrata in una "casta" in cui le persone si credono migliori e "sante". Questa è una dinamica abbastanza frequente nelle parrocchie di lunga tradizione associativa, e può costituire un blocco all'adesione semplice ma totale all'associazione.
Il secondo problema è che l'adesione può venire intesa come un impegno ulteriore; le riunioni di AC possono essere intese solo come delle riunioni che si vengono ad aggiungere agli impegni che magari si hanno già, anche in ambito parrocchiale.
Si concludeva che l'AC, ricordando una battuta di una scuola associativa di qualche anno fa, può essere vestito o pelle. Se è pelle, allora si può veramente comunicare il vero significato profondo dell'adesione; se è vestito, invece, rimane "una delle tante" cose che facciamo della quale possiamo disfarcene in qualsiasi momento. L'adesione non è l'acquisto di una tessera, ma è far proprio l'ideale e lo scopo dell'associazione, ovvero il servizio alla Chiesa diocesana e l'apostolato delle coscienze laicali. E dobbiamo ricordarci che l'AC, come afferma la nostra ex presidente Clelia Baldissera, è una vocazione e pertanto non può andar bene per tutti...

Per quanto riguarda invece il tema della formazione risultava importante, come anche affermava Dino Boffo, che le iniziative vadano valutate e proposte in base alla loro incisività e alla loro capacità di coinvolgere veramente la persona destinataria. La formazione è una necessità base del credente ed è per questo che l'AC, nelle sue attività, non può imporsi ma collaborare con le altre realtà parrocchiali, traendo così spunto diretto dalla realtà concreta in cui è situata.
E' importante creare qualche occasione unitaria di formazione, anche se è una necessità sentita più dagli adulti, che hanno altrimenti difficoltà a percepire l'energia proveniente dai giovani.
E' altresì importante anche mantenere qualche momento formativo specifico per l'associazione, per non perdere di vista il fine dell'AC, cercando però di non porsi in alternativa a momenti di formazione parrocchiali.

Infine circa il tema dell'unitarietà, il suo valore rimane indubbio e unanimemente riconosciuto, tuttavia vi sono molti ostacoli, in quanto i settori tendono a vivere delle realtà a sé stanti, facendo mancare la continuità e quindi nuocendo all'identità associativa.
Si riconosceva quindi agli organismi consiliari, a partire dalla dimensione parrocchiale in poi, la capacità istituzionale di mettere insieme i vari settori; essi devono costituire non una riunione istituzionale ma una vera esperienza di comunione e sostegno reciproco fra settori.