(notte 9-10 ottobre 1999)
La vita ti piega
ma non è detto
che non ti pieghi
nel modo giusto
come albero sul mare
che al vento di ponente
pone sua chioma,
così io che volevo
aver vita attiva
e rumorosa e viva
son qui rinchiusa
in claustral silenzio
e solerte penitenzial
scorrer di giorni
dove il ritmo tutto
delle cose si ode
con un ticchettio
come d’orologio notturno.
Forse la vita
nel frastuon della corsa
non mi fu data
perché non perdessi
il tempo di mia vita
in inutil faccende,
che più toglievan
a ciò che vero vale.
Un angelo solerte
volle guidar mia strada
per più sicura meta,
volle e io non so,
ma certo una sapienza
antica volle,
e io a lei risposi
con serena voce
a ciò che per me
fu posto e apparecchiato.
Una mano sicura
e di fermezza oscura (sconosciuta)
tolse ogni sigillo,
e condusse me qua
in solitario luogo
come eremita viene
nel deserto sospinto
da una voce.
Nella grande città
il mio canto sarebbe
nullo e assopito
nell’assordante rumore
dei crepuscoli grigi,
nell’odore di nafta,
negli echi e nei bagliori
della moltitudine grande
di gente e di sapere,
in questo bosco fitto
d’ombre e d’animali
e fra le rocce scoscese
e i silenzi autunnali
e i torpori estivi
e i candori invernali,
la mia voce
potente qui risuona
unica e sola,
come tromba d’angelo
che il divino giudizio
va annunciando.