La via dei simboli 

    Mi accingo a scrivere un mio breve commento alla Sua "riflessione sull'architettura" dopo due giorni trascorsi quasi interamente all'interno del Convegno Internazionale su Bruno Zevi, che sull'architettura moderna, o meglio sull'architettura della "Modernità", ha speso più di una parola e chissà quanto avrebbe ancora da insegnarci.

    Dunque, cosa succede all'Architettura della Modernità? Come mai si possono evidenziare numerosi filoni che fanno del "simbolo" quasi un teorema, nonostante il Movimento Moderno sia nato privileggiando "la chiave minore" e osteggiando tutto ciò fosse monumentale?

     La via che parte da Utzon e arriva a Gehry ci mostra evidentemente come il "simbolo" sia ormai entrato nel lessico quotidiano dell'architetto, tanto che, senza alcuna remora, possiamo azzardarci a paragonare l'Opera di Sidney, o il Museo Guggenheim di Bilbao, alla cattedrale di Chartres, piuttosto che a Notre-Dame a Parigi o, perchè no, alla Basilica di Massenzio. Architettura come Monumento quindi, ma che rifiuta qualsiasi accento propagandistico, qualsiasi collegamento a costruzioni del potere o ad un'architettura aulica; un'architettura non di un singolo individuo, ma della collettività; di una collettività nuova, sempre in via di cambiamento e che guarda al futuro; che ha ormai abbandonato i vecchi retaggi medievali, è passata attraverso la fondamentale fase della Rivoluzione industriale e ora si trova coinvolta in una nuova rivoluzione, stavolta informatica, che investe tutto e tutti. Ebbene, come allora l'antica cattedrale medievale rappresentava un punto di riferimento importante per la città e per tutti gli individui che vi gravitavano attorno, oggi consideriamo queste architetture non meno importanti e rappresentative. L'Opera di Sidney, in questo senso, è stato un fortunato precursore, considerato tutto quello che rappresenta a livello simbolico, appunto. E', nè più nè meno, un monumento non solo per la città, ma anche per il suo continente; non solo per i suoi cittadini, ma anche per i visitatori. Così, su questa linea, si inquadra il Guggenheim di Bilbao, opera emblematica di Frank O. Gehry che, usando le stesse parole che usò Zevi nella premessa di uno dei suoi saggi più famosi, rappresenta "la figura più originale e provocatoria nel panorama internazionale, la più ricca e problematica sotto il profilo sperimentale, la più coraggiosa". Egli "impersona il concetto che separa la modernità dall'inerzia tradizionale". E, infatti, il Guggenheim è arrivato ad essere un altro monumento per e della collettività, in cui la gente vive e ruota di giorno e di notte, vecchi e giovani, turisti e semplici curiosi. Con il suo volume incerto che si staglia all'orizzonte, esso si carica di simbologia e monumentalità; e all'interno, con lo spazio centrale che guarda in alto e il volume longitudinale che concentra le prospettive, siamo, ancora una volta, colti da una concreta reminescenza medievale, con i suoi campanili, le volte e gli archi ogivali.

    E' affatto vero che siamo di fronte a una dimostrazione di come sia possibile, oggi, dare vita e forma a opere significative così come lo erano le cattedrali nel Medioevo. Siamo di fronte ad architetture finalmente simboliche, legate al popolo "informatizzato" e non allo Stato o a una Religione. Siamo di fronte a veri e propri monumenti e possiamo dirlo senza indugio.

                                                                                                                                                                                                    <<