La ricostruzione e l'emigrazione

   L'Abruzzo emergeva faticosamente dalle macerie. Era stata, tra le regioni italiane, una delle più segnate dal conflitto, con una striscia di distruzioni che indicava come una ferita mortale i luoghi dove si era insediata la linea di difesa dei tedeschi e dove i bombardamenti avevano spezzato i centri nevralgici della produzione e della comunicazione.
   Avezzano era stata distrutta per metà, Pescara si presentava in condizioni ancora peggiori; al posto di Francavilla restavano solo le macerie; non molto migliori le condizioni di Ortona, teatro di una grande battaglia; Lanciano non aveva più la sua parte moderna. Nelle campagne il patrimonio zootecnico era ridotto del 30 per cento.
    La prima e più evidente risposta al disagio gravissimo dei primi anni del dopoguerra fu la rapidissima e per certi versi tumultuosa ripresa dell'emigrazione.
    La nuova emigrazione si diresse in parte verso l'estero, soprattutto verso l'Europa Centrosettentrionale, il Venezuela, il Canada, l'Australia. Un altro flusso si indirizzò sull'Italia settentrionale e verso Roma. Ancora una volta, gli abruzzesi esprimono la loro attitudine al sacrificio e all'avventura. Non casualmente, l'emigrazione abruzzese offre quote percentuali da primato all'emigrazione italiana più disagevole ed estrema: Canada ed Australia".
    Contrariamente al resto del paese, anche nel secondo dopoguerra l'espatrio abruzzese resta un fenomeno fortemente transoceanico.
    A questi flussi avventurosi si accompagna un'emigrazione più pacata. Estesissima quella incentrata su Roma; ancora più rilevante quella interna alla regione, rivolta alla costa adriatica, alle duplicazioni vallive degli antichi centri collinari, alle città capoluogo.
    La somma di tutti questi processi produce un'immagine sconvolgente, fatta da uno sradicamento totale della popolazione.
    Nel complesso, la partenza degli enúgranti nel secondo dopoguerra fu dei tutto diversa da quella di fine Ottocento. Questa volta partirono non solo contadini in esubero, ma anche tecnici, intellettuali, imprenditori.
    I nuovi emigranti erano quasi tutti provenienti da famiglie che avevano vissuto i drammi delle lunghe separazioni, delle famiglie spezzate. Decisi ad imitare la parte avventurosa della vita di genitori ma a non ripeterne gli errori, essi ricomposero rapidamente la loro famiglia, si trasferirono definitivamente nella nuova realtà.
    E un processo inverso rispetto a quanto era avvenuto negli anni a cavallo dei due secoli, IX e XX, quando la trasformazione economica del reddito aveva portato ad un nuovo radicamento nella comunità di origine.
    I riflessi della seconda ondata migratoria sono quindi ben differenti rispetto a mezzo secolo prima. Questa volta interi centri si svuotano e, verso la metà degli anni '50, si assiste ad una vera e propria desertificazione della montagna. Esemplare la totale estinzione di Rocca Calascio, l'insediamento più elevato dell'intero Appennino.
    Siamo davanti ad una conferma puntuale delle analisi degli studiosi degli anni '30. assistiamo ad una fuga dal disagio, dal freddo, dall'agricoltura più difficile.
    I dati statistici evidenziano rapidamente uno sconvolgimento interno alla regione. Le zone di tradizionale identificazione della regione perdono consistenza mentre nascono tumultuosamente, soprattutto sul mare, zone nuove, intensamente popolate. Questo significa una vera e propria rivoluzione del paesaggio, la sparizione di chilometri e chilometri di vegetazione costiera, addirittura la sparizione di un Abruzzo un tempo caratteristico, dove l'Adriatico specchiava un susseguirsi selvaggio di pini, sabbia, foci di torrenti, cespugli.
    Prende sempre più corpo, adesso, l'Abruzzo delle duplicazioni. I vecchi centri si duplicano in zone nuove, in genere accomodandosi sul fondovalle, attorno alle stazioni, sulla riva dei mare.