Black 4 – epilogo

 

Rating: Nc 17 (very strong for me!)

 

Note iniziali: questo è il mio viaggio nella mente di Mulder… metto in pratica le mie doti di mancata psicologa… non assicuro il risultato.

 

Dedica: ai Pearl Jem e ai Verve che mi hanno accompagnato nelle poche ore spese a scrivere questa lunga vignetta… ad En Ami… che mi ha fatto diventare la sua web master e mi ha dato fiducia… a tutti coloro che qui non posso ringraziare ma che mi hanno detto cose talmente carine sul mb da farmi commuovere (… ed è una cosa molto difficile per una come me!)….

Ed infine a MULDER e SCULLY….

Sento il peso costante in questi giorni… il peso della fine di un era.

Ma non sono né triste né delusa.

Forse sono solo un po’ nostalgica.

Non so….

Cmq GRAZIE Mulder e Scully… e mi mancherete.

Scusate lo sproliloquio e buona lettura… 

Annax

 

Black 4

A volte il mondo è nero anche quando il sole sbatte sul tuo viso ed i tuoi occhi sono completamente aperti.

A volte il nero è così scuro che sembra quasi bianco.

Come in questo preciso istante.

Me ne sto seduto su una fredda barella di un ambulatorio grigio ed anonimo.

La voce del dottore arriva lontana al mio orecchio… confusa… come filtrata…

‘… non c’è più nulla da fare’ dice.

Grazie, ma lo so… l’ho sempre saputo…

‘…è fortunato, almeno non soffre…’

Si… si… sono molto fortunato.

Bene allora… posso andare via da qui?

Posso sparire?

Posso scomparire?

Allora, dottore… cosa devo fare?

Aspettare la morte… o corrergli incontro?

No… no… non ancora.

Non posso cascarci ancora.

Dio… mi sento così strano.

Mi accorgo che spesso ci penso e, masochisticamente, desidererei essere disperato… o almeno triste…

Ma non posso…

Non posso più.

Forse è perché sono pervaso da un senso di remissiva accettazione.

O forse no.

Non lo so….

Non lo so.

Ricordo solo di essermi alzato una mattina ed il suono di una frase mi aveva riempito la testa.

I voli del cervello umano sono misteri e meraviglie.

Il mio cervello quella mattina mi aveva suggerito ‘… fai che la morte ti colga vivo’.

Una vecchia citazione che ricordo di aver letto nelle note di qualche libro, all’università.

Ma ricordo di averci creduto.

E ci credo ancora.

“Abbiamo finito?” chiedo stanco.

Il dottore annuisce sconfitto e mi lascia solo.

Mi rivesto piano… assente….

Scully è a Quantico oggi.

Un semplice consulto.

Ma si annoia da matti quando le chiedono di tornare all’accademia… e non mi è concesso sapere quali ricordi custodiscano quelle mura…

So solo che Scully è sempre nervosa quando ci deve tornare.

E, approfittando di questo suo impegno, io sono scappato qui per questo ennesimo e chiaramente inutile check up.

Esco dalla clinica e seguo il marciapiede fino alla macchina.

Mi sento come il cantante  che ho visto in un video pochi giorni fa su Mtv.

‘Bitter sweet simphony’ è la canzone.

Dio… descrive la mia vita.

Perché è una sinfonia dolce e amara questa vita…

Cerchi di far quadrare i conti, cerchi di trovare qualcuno…  poi muori.

E come in quel video io sto sbattendo contro milioni di vite diverse e nessuna mi tocca.

Nessuna… tranne una.

La mia non-solo-patner… non-sempre-complice… mai-del-tutto-amante Scully.

Salgo in macchina e sorrido.

Mi do una rapida occhiata allo specchietto retrovisore.

Io e Scully facciamo l’amore.

Già…

L’abbiamo fatto in molti modo diverse… in differenti occasioni….

L’abbiamo fatto lentamente e dolcemente… come quella prima volta in febbraio.

L’abbiamo fatto spinti da una passione incontrollabile… quasi folle… senza nemmeno darci il tempo di toglierci completamente i vestiti.

Abbiamo trascorso intere domeniche a letto senza nemmeno mangiare.

Ma non siamo amanti.

Solo… non lo siamo.

Io non ho idea se oggi farò l’amore con lei…

Non so neppure se la prossima volta che accadrà lei si concederà di svegliarsi al mio fianco…

Ogni volta è un nuovo inizio… ogni volta è un’emozione diversa.

E poi Scully rappresenta così tante cose per me… che racchiuderla ed etichettarla in una qualsiasi definizione è riduttivo.

Lei è una collega pignola….

Lei è mia madre… mia sorella… la mia migliore amica… mia moglie.

Lei è il sole… la luna.. e tutte le stelle.

Sorrido a me stesso.

Perché quello che abbiamo fatto e che stiamo facendo è così particolare… e struggente… e frustrante e… nostro… da non aver bisogno di essere catalogato o spiegato.

C’è… è presente… lo sento ed è vivo.

Ed è questo l’importante.

Decido che non tornerò in ufficio oggi.

L’idea di compilare scartoffie da solo non mi entusiasma.

Giudo piano verso casa mia invece… i miei gesti sono automatici… assenti.

Rido se penso che io e Scully litighiamo come una vecchia coppia.

Litighiamo spesso… litighiamo su ogni cosa.

Abbiamo passato un intero pomeriggio a discutere sulle qualità artistiche di Elvis.

Dio, quella volta mi aveva fatto troppo incazzare.

Era li di fronte a me… con il viso rosso… e continuava a gesticolare….

E poi… sguardo duro e pugni sui fianchi.

Era adorabile…

A discussione smorzata ricordo che mi aveva chiesto sconfitta ‘Dio, Mulder…. Quando smetteremo di litigare io e te?’

‘Adesso’ le avevo risposto prima di baciarla.

E abbiamo fatto l’amore quel pomeriggio….

Dio.

La mia mente è così piena di questi ricordi… ritornano a galla d’improvviso.

Sono recenti… eppure sembra trascorsa un’eternità.

Ed ognuno di questi è inevitabilmente legato a lei.

Senza essermene reso conto sono già ad Arlington.

Parcheggio, esco dalla macchina e salgo in casa.

Una volta dentro… mi tolgo la giacca e mi siedo sul divano.

E’ come se la stessi aspettando.

Non accendo neppure la tv.

Chiudo gli occhi.

Appoggio la testa alla spalliera.

Ricordo che circa un mese fa eravamo in un ristorante sul molo di Santa Monica.

E, lanciando uno sguardo di sdegno al suo piatto di insalata, le avevo detto solamente ‘mangi poco’

E’ vero… Dio, non ho idea di come fa a rimanere in piedi con quello che mangia.

Lei mi aveva guardato sorpresa, come se le avessi fatto la classica domanda a trabocchetto… e mi aveva risposto solo ‘troppi caffè…’.

Da quel giorno mi sorprendo a contare il numero di caffè.

E penso che se ne sia accorta perché non supera mai le tre tazze in una giornata.

A volte mi capita di chiederlo anche.

E lei non mente.

Tre.

Sempre.

E sono certo che anche oggi ne ha bevuti tre… nonostante io non sia con lei… a contare.

L’amo anche per questo.

Per le sue tre tazze di caffè.

Ed ultimamente arriccia il naso.

Lo fa… e nemmeno se ne accorge.

Ed è una cosa che prima non faceva… ma che faccio spesso io.

Ed io alzo il sopraciglio.

Strano.

Divertente.

Stiamo diventando così uguali… eppure siamo così diversi.

Sorrido e mi alzo solo per andare in cucina a prendermi un bicchiere d’acqua.

Poi torno nella mia collaudata posizione relax…

Sono diventato prevedibile… anche con me stesso.

Un abitudinario che non ha abitudini.

Sono definitivamente matto.

Allungo la mano e prendo la cornetta del telefono.

Digito uno per lo speed deal… ed aspetto la comunicazione.

“Scully” dice con voce piatta ma un brivido mi percorre la schiena.

“Sono io” sussurro.

Lei sospira.

“Sei a casa?” chiede… ma lo sa.

“Si… non c’era più niente da fare in ufficio…” mi giustifico stancamente.

“Io ho quasi finito… qui…” mi comunica e trattengo un sospiro di sollievo.

“Quanto?” domando.

“Un ora… forse di meno” trattengo un altro sospiro.

“Scully…. nutrimi.” Le sussurro come un bambino affamato.

Lei ride piano “frigorifero vuoto?” chiede.

“Già… un deserto.” Ed è vero.

“Beh… vedrò quello che posso fare…” mi sussurra alla cornetta.

“A dopo” bisbiglio.

“A dopo” mi dice piano prima di staccare.

Io rimango immobile per qualche minuto con la cornetta in mano.

Scully ha una bellissima voce, penso.

E’ una voce che non ti aspetteresti mai uscire fuori dalla bocca di una donna come lei.

Così profonda… così musicale.

Eppure una volta che la senti ti rendi conto che è la voce più perfetta che potrebbe avere.

E’ sua… la descrive.

E quel contrasto iniziale tra la sua apparente esile figura e la durezza e la forza di quel tono… diventa naturale… meraviglioso.

La sua voce potrebbe essere motivo d’invidia per tutte quelle ragazze delle chat line… oppure di un politico ad un congresso.

Ed è adorabile.

Sorrido perché mi rendo conto che sono arrivato ad un punto tale che spesso supero l’amore che provo per lei.

Mi accorgo che la mia è adorazione.

Sono solo momenti… attimi rapidi… attimi che vorrei fermare ma non posso…

Ed in quei momenti l’adoro.

La osservo e l’amo.

Non per quello che ha fatto o che fa.

Non per le emozioni che mi provoca.

Ma solo perché è lei.

Perché è così com’è.

Dio, non potrei mai dirle una cosa del genere.

Non potrei… riderebbe.

Ne sono certo.

Ma è così… e vivo di questo sentimento… così complesso e così semplice.

Io che sono sempre stato l’icona delle dimostrazioni d’affetto e di fiducia.

Mi alzo lentamente e decido di farmi una doccia.

Devo lavare via quell’odore di alcol e di ammoniaca della clinica.

Scully è un dottore… se ne accorgerebbe.

Mi spoglio lentamente… ho tempo.

Un’ora… forse di meno.

Sotto il getto freddo della doccia mi ritrovo a pronosticare cosa mi porterà da mangiare.

Cinese… è l’ipotesi più probabile.

Italiano, forse.

Non mi porterà hamburgers… di questo ne sono certo.

Odia l’odore dei McDonald’s.

Esco dalla doccia e cerco qualcosa da mettermi.

A volte mi faccio male pensando a tutto quello che poteva essere, ma che non è stato.

A come le nostre vite sarebbero state diverse se ci fosse stato solo un salto nel time code.

Se avessimo mancato solo uno degli eventi che ci ha condotto fino a qui.

Magari ora potremmo avere una casa con il giardino piuttosto che due appartamenti in quartieri opposti di questa città.

Un cane… dei figli.

Più probabilmente ora saremmo due persone diverse… con vite diverse.

Forse separati.

No… Dio, mai separati… mai.

Jeans e maglietta grigia, opto davanti alle ante spalancate dell’armadio.

Mi vesto e do una delle mie solite occhiate in giro.

Il mio appartamento è pulito.

Quasi… almeno è più pulito di come era solito essere.

E’ luminoso… anche.

E’ sicuramente meno spettrale.

Poi mi accorgo che le ci sono voluti sette anni a Scully per rendermi meno spettrale.

Non sono convinto se questa sia una sconfitta o una vittoria.

Ma è così… con Scully mi sento normale… stranamente normale….

Sono ancora in camera da letto quando sento il rumore delle chiavi che girano nella serratura.

Ormai non si scomoda più a bussare.

E questa è definitivamente una vittoria.

Mi avvio piano verso il salotto.

Scully sta aprendo la porta con la schiena e ha tra le braccia una grossa busta di carta marrone.

“Ciao” le sussurro.

Lei non risponde e sorride.

Tailleur nero.

Maglietta verde scuro.

Non ha più un filo di trucco sul viso.

Deve essere stata dura oggi a Quantico.

Chiude la porta con un piede e si avvicina.

Io mi siedo sul divano e continuo a guardarla.

“Fame?” chiede sorridendo.

Annuisco soltanto.

Poi domando “Qualcosa di interessante a Quantico?”…

“Na… nulla… ho l’impressione che se un caso presenta qualche difficoltà in più… diano subito per scontato che sia un x-file…”

Sorrido anche se penso che nasconda qualcosa.

Non so cosa… ma non è del tutto serena.

“Non sei curioso di sapere cosa ti ho portato?” dice per cambiare argomento mentre apre la busta appoggiata sul tavolino da caffè.

Io seguo con lo sguardo la linea delle sue gambe leggermene piegate… della gonna stretta… della giacca sbottonata… “sei carina oggi” le sussurro.

Lei mi guarda sorpresa ed imbarazzata per qualche secondo poi ride “Beh… grazie…” si volta e apre ancora di più la busta “… ti sono mancata oggi, mh?” conclude.

Dio, si… mi sei mancata.

Sorrido e mi siedo più comodo sul divano.

“Cosa mi hai portato?” chiedo sospirando… sono io che cambio argomento adesso.

Sorride “… come ti suona il cinese?”

“… buono… buono…” annuisco.

Avevo indovinato.

Mi avvicina la busta sul tavolino.

“Mangia” mi ordina.

No… non è affatto serena, mi rendo conto.

“E tu?” chiedo.

Lei mi guarda ancora una volta sorpresa “oh no…” dice sventolando le mani “… ho lo stomaco sotto sopra… mangia tu”.

Che diavolo è successo a Quantico?

“Scully?” la chiamo.

Lei alza il sopraciglio.

Poi si arrende perché sa che non mollerò fino a quando non sputerà il rospo.

Sospira e si mette comoda sul divano.

Mi ordina ancora di iniziare a mangiare con lo sguardo mentre lei raccoglie i pensieri.

Io eseguo… non ho molto appetito ma non voglio premere troppo… non parlerebbe.

Apro la busta e tiro fuori il primo cartoncino… le bacchette.

Appoggio la schiena al divano e aspetto che parli.

“Oggi…” incomincia “Beh… oggi ho incontrato un certo Jeremy Stuart…”

Mi si blocca lo stomaco.

Aggrotto le sopraciglia.

Lei mi sorride.

“Non è quello che pensi…” mi rassicura.

Io continuo a guardarla e non dico nulla.

“Insomma…” deglutisce e continua “era un tirocinante, mio assistente, quando insegnavo… un bel po’ di tempo fa…”

Ok… sono tranquillo.

Ma chi prendo in giro?

Jeremy Stuart? Chi diavolo è?

“Per farla breve… siamo andati a bere un caffè e abbiamo parlato un po’” mi comunica.

La stretta allo stomaco si intensifica.

Cerco di nasconderlo… ma… Dio, è difficile.

“Di.. di cosa avete parlato?” dico freddo.

Lei si volta ed evita il mio sguardo “Beh… di niente in particolare…”

“Già…” sussurro… l’affermazione sottintesa è: chi ci crede?

“Insomma Mulder” dice rapida movendosi scomodamente “… è che… non mi ha fatto una bella impressine… no, beh… non è neppure questo… è che…”

“Che?” incalzo mettendomi più rigido sulla spalliera.

Lei incrocia le mani sul grembo e sospira.

“Non lo so… beh… diciamo pure che la nostra è stata una conversazione neutrale…”

E ci mancherebbe… vorrei aggiungere.

Ma l’errore più grande è mostrarmi territoriale con lei, perciò mi trattengo.

Ma penso che si veda dalla mia faccia che non sono sereno.

Perché lei si volta verso di me… mi guarda negli occhi e sorride dolcemente.

Tremo al contatto della sua mano sul mio ginocchio.

“Mulder…”

“Co… continua” quasi balbetto.

“Il fatto è che mi è sembrato così… così… vuoto” conclude.

Dio, vorrei ridere.

Se non ci fossero serie implicazioni in quello che ha detto credo che lo farei.

Ma mi trattengo ancora.

“Vuoto?” riesco a chiede.

“Vuoto” ripete “non so.. beh, so che non è bello dirlo… ma insomma… la sua vita… la sua visione del presente… del futuro… per quello che ho potuto capire… mi ha dato l’impressione di essere…” fa una pausa “… piatta” conclude espirando.

So cosa ha provato sentendolo parlare.

E so perché è così turbata.

Quella sarebbe potuta essere la sua vita.

Se non mi avesse incontrato.

Ma non è senso di colpa quello che provo… affatto… Scully mi sta dicendo, nel suo solito criptico modo, una delle cose più… carine… che mi abbia mai detto “Scully…” sussurro.

“Si?” espira prima di togliere la mano dal mio ginocchio e rimettersi appoggiata allo schienale.

Mi guarda con quei suoi occhi trasparenti e stanchi.

“Forse è la tua vita che è troppo piena” sussurro.

Annuisce immediatamente e questo non può che sorprendermi.

“Già” sussurra “Ma è stato così… strano” la voce le muore in gola.

So che non è solo questo.

E penso di aver capito cos’altro c’è.

“Aveva dei figli?” chiedo cauto… e ho paura, ma lo devo fare.

Lei guarda un punto indefinito del salotto quando risponde “Due… Kevin e Johan”.

Ci avevo visto giusto.

La morsa allo stomaco non mi abbandona.

Ma so anche che quello che prova non è rimpianto… o rimorso.

Come lo so? Lo so… e basta.

Penso che sia solo tristezza… o magari un pizzico di invidia.

Ed invece “Perché deve fare così male” sussurra.

Ed io rimango pietrificato.

Dio, perché?

“Scully…” dico mentre appoggio l’intatto cartoncino sul tavolo da caffè… mi volto verso di lei… sospiro.

“Lo so… lo so…” sussurra allontanandosi “devo solo accettarlo… devo” dice.

Si Scully… è la sola cosa che puoi fare.

Accettarlo.

Come io ho accettato di morire, tu devi accettare che non sarai mai madre.

No… Dio, non può andare così….

Non ci siamo mai arresi davanti a niente… e non ci arrenderemo nemmeno adesso.

“No…no…” ripeto avvicinandomi.

Lei muove la testa per cercare di trattenersi ma poi si mette le mani sul viso… per nascondersi.

Non ha la più pallida idea di quanto mi faccia male quando lo fa.

Non ne ha idea.

Sento gli occhi pesanti… mi mordo le labbra.

La sua voce arriva da un posto lontanissimo quando sussurra “… pensavo di potercela fare… pensavo che… Dio, non so se ce la farò mai.”

Ed una stretta al petto mi blocca.

Se Scully si apre così significa solo che quella ‘neutrale conversazione’ deve averle fatto male… molto male.

Io non ho idea di cosa fare… so quello che prova, lo capisco fin troppo bene ma… Dio, dov’è la soluzione?

“Sc-ully” dico ancora… la mia voce spezzata.

Lei toglie le mani dal viso… riappoggia la testa sullo schienale… i suoi occhi sono chiusi.

Le sue guance sono asciutte.

Non ha pianto.

Ma non so se esserne felice o sconvolto.

Quando apre le palpebre e guarda dritta di fronte a sé mi accorgo che le lacrime sono ancora tutte li… ancorate al bordo di quei suoi occhi.

“… non devi farlo…” le dico soltanto.

“Non c’è nient’altro da fare” mi risponde… sconfitta.

Ed è così doloroso… mi sento così impotente.

Cerco di raccogliere i pensieri.

Rovisto nella mia mente alla ricerca di qualcosa da dire.

L’aria è immobile intorno a noi. Stantia.

Il silenzio di cui mi sento responsabile è così pesante… così vuoto.

Lo riempio… e non so quello che dico “… Dio, Scully…. la soluzione c’è… esiste… forse non è dove pensi di trovarla… ma la troverai… la troveremo… insieme.”

Insieme?

Dio.

Si… e quando?

Tra un giorno? O tra un mese?

Quando non ci sarò più?

Dio… sto morendo.

Parlo di futuro, io.

E sto morendo.

Scuoto la testa.

E’ impossibile trattenermi.

Mi sento così… bastardo.

Ed in questo preciso istante il peso di quello che le sto facendo mi colpisce ancora.

E’ un onda ghiacciata.

Mi paralizza.

Dio… sono ancora capace di offrirle gratuite speranze per il futuro… e sto morendo.

Piango… non mi trattengo.

So che non dovrei farlo… ma non posso fingere… non in questo momento.

Mi sento così… ingiusto.

Che diavolo le sto facendo?

“Mulder” le sento dire.

“Dio Scully” dico tra i singhiozzi “… lo vorrei così tanto… così tanto…”

Vorrei avere il tempo.

Vorrei poterti aiutare.

Vorrei vivere.

Piango senza controllo adesso.

Sto male… fisicamente… mentalmente.

Sto male per lei… per il bambino che mai potrà avere e per me.

Per me che darei la vita pur di trovarle il vaso di Pandora… ma la mia vita se la sono già presa.

E non mi rimane niente.

Le sue braccia mi circondano ma vorrei cacciarla via.

Non merito il suo conforto.

Non merito nulla.

La mia anima deve bruciare all’inferno.

‘fai che la morte di colga vivo’ mi torna in mente mentre la stretta delle sue braccia diventa più forte intorno a me… e il calore delle sue labbra sopra la mia tempia mi brucia la pelle.

Si… dovrei vivere allora… non curante della scia di dolore che lascerà il mio passaggio.

L’ho fatto.

Ho avuto il coraggio di farlo.

Di iniziare a vivere la vita che volevo.

Ed ho solo smesso di pensare al dolore che stavo seminando.

E’ la cosa migliore, mi ripetevo, non posso fare altro.

Vigliacco.

Dio… una soluzione c’è… forse non è dove vorremmo che fosse… ma c’è.

“Mulder” mi sussurra all’orecchio ed io piango più forte “oggi mi sono resa conto di quante egoistiche fossero le ragioni che mi avevano spinta a provare ad avere un figlio… prima.”

Io non mi fermo… e lei sente in bisogno di continuare “… Dio, Mulder… tu non hai idea di quanto vorrei darti un figlio adesso.”

Oh Dio.

Scully.

Non poi farmi questo.

“… tu lo meriti Mulder… tu meriti ogni cosa.” Conclude.

Le sue parole rimbombano nella mia testa.

Merito tutto?

Dio, ci sono così tante cose che tu non sai, Scully….

Ho tanti di quegli scheletri nascosti.

Tu non hai idea del male che ti sto facendo.

“Abbiamo perso” dico tra le lacrime.

E lo penso.

Abbiamo perso su tutta la linea.

Abbiamo perso ogni possibilità… ogni speranza.

Io mi aggrappo ad un futuro che non esiste.

Io ti nutro di miraggi… sogni che non avrò mai il tempo di realizzare.

Lei mi stringe più forte.

La mia testa malata e pesante è appoggiata al suo petto caldo.

Mi culla e mi dondola come mille volte ho sperato che facesse.

In quelle notti.

Quelle notti in cui il peso delle mie colpe mi sovrastava e soffocava.

Lei non sa.

Lei ignora ogni cosa.

Ed è solo per questo che è qui.

No… Dio… NO.

Non posso crederlo e neppure pensarlo.

Lei sarebbe qui comunque.

Lei non mi lascerebbe mai cadere.

“Scusami Mulder” mi sussurra all’orecchio… e sta piangendo.

Io scuoto la testa ma non ho la forza di parlare.

“Scusami…” ripete “.. Dio, non volevo… non volevo… io lo so che soffri anche tu… ”.

Non sai quanto…

Non sai quanto.

Raccolgo tutto le mie energie per sussurrare “… non devi smettere di sperare… non devi”

Almeno tu.

Non devi farlo.

Lei mi alza la testa e mi stringe le spalle.

La mia faccia umida è sepolta tra i suoi capelli e sento il calore del suo respiro sul mio collo.

“Non lo farò…” bisbiglia.

Le abbraccio la vita e l’avvicino a me.

Ho così freddo.

E la sento così lontana.

“Non lo fare” ripeto.

Promettimelo.

E’ necessario che tu non smetta di sperare.

Tutto dipende da questo.

Non posso neppure pensare di lasciarti così.

Vuota.

Non era quello che volevo quando ho deciso di affrontare questo sentimento.

Non volevo toglierti la possibilità di credere.

Posa un bacio sulla mia guancia ed io inizio a tremare.

Ed all’improvviso mi prende il viso tra quelle sue mani calde e appoggia la sua fronte sulla mia.

Il suo respiro mi da aria.

Era come se avessi smesso di respirare.

Chiudo gli occhi perché è troppo quello che vedo.

Troppi colori.

Troppa luce.

“Non lo farò” ripete con voce più decisa.

Io continuo a respirare profondamente.

Sono immobile tra le sue mani.

“… e sai perché non lo farò?” chiede…lo fa per scuotermi… perché ha bisogno di sentirmi parlare.

Ma non posso…

Non posso davvero.

“Perché ti amo… e l’amore può qualsiasi cosa.” Sussurra.

Dio.

Mi colpisce al cervello.

Mi scuote.

E’ una scossa elettrica.

Perché non ho mai sentito tanta sincerità.

Mai…

Lei ci crede davvero.

Lo crede possibile.

Crede in questo sentimento… e mai come in questo preciso istante mi rendo conto di quando lei abbia fatto affidamento su di me.

Su di noi.

Ed io sono la sua forza.

Come lei è la mia.

La sua fiducia è così cieca… così assoluta.

Ed è giusto amarla…. È giusto permetterle di amarmi.

Perché entrambi viviamo di questo.

“Ti amo…” sussurro… ed apro gli occhi.

“Ti amo…” ripeto e appoggio le mie labbra sulle sue “… così tanto… così tanto…”

“… e allora non dobbiamo smettere di sperare” sussurra prima di baciarmi.

Mai…

Mai.

Non smetterò mai di sperare.

Non smetterò mai di credere al futuro.

A me e a te.

Ed a questo sentimento che ci lega e ci incatena.

Accettare la morte significherebbe non amarti.

Perché dovrei rinunciare a tutto quello che siamo e che possiamo essere.

Non rinuncerò mai a te.

Mai.

La bacio ancora.

La bacio più profondamente.

Lei fa scivolare le mani dalle mie guance… sul collo… sulle spalle.

Mi abbraccia ancora.

Apre la bocca ed entro piano.

Il contatto con la sua lingua mi fa fremere.

Così dolce… così intenso.

Non può essere sbagliato, mi ripeto.

Ti amo, Scully… e l’amore può tutto.

Questo bacio mi da energia.

Mi sveglia….

Le mordo le labbra.

Lei accarezza le mie con quella lingua di miele.

Le sue dita tra i miei capelli mi calmano e mi eccitano.

Il rumore del suo respiro elaborato mi annebbia la mente.

E l’adrenalina data dalla disperazione diventa pura passione… desidero.

E’ così calda… è così viva….

E ne voglio ancora.

Voglio tutto.

Perché lo merito… si… merito ogni cosa.

Merito di amare… perché ho bisogno di essere forte.

Per me… ma soprattutto per noi.

‘Noi’ meritiamo ogni cosa.

“Ti amo” sussurro ancora mentre la bacio…

E la bacio di nuovo… e l’invado…

Le sue carezze diventano più profonde… e i suoi baci mi reclamano.

E poi capisco perché ho bisogno di lei adesso più che mai.

Perché le parole non bastano.

Quest’amore deve essere concreto.

E questo è il solo modo che abbiamo di dimostrarlo, ora.

Di renderlo reale.

Le tolgo la giacca delle spalle mentre le sue mani si infilano sotto la cintura e sfilano la maglietta.

Il contatto con le sue dita mi fa percorrere da un brivido lento… intenso.

“Ti amo” mi sussurra mentre le sue labbra sfiorano il mio collo… la mascella… l’orecchio….

Le accarezzo la schiena mentre cerco di toglierle la maglietta dalla gonna.

Ho bisogno della sua pelle.

La bacio ancora sulla bocca… respiro sulle sue labbra socchiuse… mentre le mie dita si infilano sotto quella maglietta…

Una delle mie mani tocca la pelle calda della sua schiena… e poi la sua pancia compatta… l’altra è ancorata al suo fianco… sulla stoffa arricciata della sua gonna stretta…

Lei ansima forte quando le accarezzo un seno infilando le dita sotto il freddo raso del reggiseno….

E’ così morbida… e liscia…

La mia lingua invade ancora la sua bocca mentre le mie dita continuano a massaggiarla… sempre più urgentemente.

Dio, ho bisogno di questo.

Ho bisogno di amarla.

Lei mi accarezza il petto… l’addome… sotto la stoffa tirata della mia maglietta….

Mi stacco dalle sue labbra… il mio respiro elaborato… abbasso lo sguardo e quello che vedo è così dannatamente erotico.

I jeans cominciano a non contenere la mia erezione.

Ed ogni secondo che passo a guardare le nostre mani all’opera sotto i nostri vestiti… la sento crescere.

Lei mi alza la testa baciandomi e io la seguo.

Mi toglie la maglietta velocemente.

E poi mi accarezza il collo.. il petto… con le labbra e la punta calda della sua lingua….

Io tremo dall’eccitazione.

Il suono dei nostri ansimi riempie l’aria.

La prendo dalle spalle e l’appoggio delicatamente con la schiena sul divano.

Lei è sdraiata sotto di me e mi guarda con quegli occhi lucidi e chiari.

Respira con la bocca socchiusa ed è così dannatamente bella.

I suoi capelli sembrano infuocati per il contrasto con la scura pelle del mio divano.

Mi scuoto da questa contemplazione solo per iniziare a spogliarla.

La voglio guardare… e toccare.

Le sfilo la maglietta e lei mi aiuta inarcando la schiena.

L’appoggio lentamente sulla sua giacca, sul pavimento.

Non posso rimanere a guardarle la pancia… la curva del suo seno… le clavicole nette e sporgenti…

Non posso perché ne rimarrei incantato ed allora mi dedico alla gonna.

La slaccio e la sfilo.

Lei alza piano i fianchi ed è un movimento così lento e denso che devo trattenere un ansimo.

Adoro il modo in cui si muove.

E’ felina…

Mentre le tolgo le scarpe e le calze chiare le accarezzo le gambe… l’interno delle cosce…

Lei ansima a si muove…e chiude gli occhi quando appoggio il palmo aperto sul triangolo nero delle sue mutandine.

E’ calda… scotta.

Non resisto ed infilo le dita dentro la stoffa nera e liscia.

“oh Dio” le sento ansimare quando la tocco… piano… lentamente… profondamente….

E’ miele sotto mie dita.

Muove i fianchi e mi viene incontro urgente.

Io guardo la mia mano… e poi alzo la testa per vedere il suo viso.

Ha gli occhi chiusi ed il labbro inferiore tra i denti.

Il suo petto si alza e si abbassa al ritmo del suo respiro.

Resisto all’impulso di toccarmi.

E’ troppo quello che vedo.

Con un gesto quasi automatico lei porta le mani dietro la sua schiena e si slaccia il reggiseno.

Lo sfila dalle spalle piano mentre io continuo a toccarla sempre più veloce… profondo.

Quando l’ha tolto completamente apre gli occhi…

Mi guarda.

La mano che avevo lasciato ancorata alla sua coscia sale lungo la compattezza del suo addome.

Lei ansima costantemente quando mi piego e prendo un suo capezzolo tra le labbra.

Lo accarezzo e lo lecco piano.

Le mie dita sono ormai dentro di lei.

Dentro e fuori… sempre più veloce.

“Dio, Mulder” sussurra ancora.

Le sue dita sono tra i miei capelli e mi tengono stretto.

Io continuo ad amarla con le mie.

Sempre più forte.

Più forte.

Finché non la sento emettere un suono denso e pieno.

Fino a che non sento la sua schiena irrigidirsi.

E non la sento contrarsi e pulsare.

Così.. bello…

Mi fermo e la tengo stretta.

Aspetto che si calmi e le bacio tra i seni… il collo.

Arrivo fino al mento ma poi mi fermo per guardala.

I suoi occhi sono una fessura trasparente.

Mi sorride stanca.

Adoro questo momento.

Dio, adoro vederla così.

Rispondo al sorriso e le bacio le labbra piano.

Lei mi abbraccia forte.

Sdraiato in questa posizione sento il calore del suo centro proprio sui muscoli dell’addome.

E’ quello che sento nel petto in questo istante è indescrivibile.

Il suo respiro ritorna normale mentre mi accarezza la schiena.

Io non mi muovo e continuo a sfiorarle le labbra.

“Alzati…” bisbiglia piano, gentile…

Io accenno un sorriso ma ci metto un po’ ad eseguire.

Sento freddo quando mi alzo in piedi, di fronte al divano.

La osservo mentre si tira su lentamente.

Nuda se non fosse per quelle mutandine nere.

Ed è così bella che devo chiudere gli occhi.

Avvicino le dita ai bottoni dei jeans e mi irrigidisco quando le sue mi fermano.

Apro gli occhi.

Lei mi guarda fissa e seria.

“Ti amo” mi dice soltanto.

Ed è come quando me lo ha detto la prima volta… in quel parco, mesi fa.

La stessa scossa… lo stesso brivido.

E la stessa potenza in quelle due semplici parole.

I miei occhi diventano ancora pesanti.

Li richiudo perché non voglio piangere.

Non adesso.

E le sue dita lavorano sul bottoni… uno ad uno….

Lentamente me li sfila dalle gambe.

Mi accarezza attraverso il sottile cotone dei miei boxer grigio scuro.

Così morbide… così profonde le sue carezze.

Io ansimo e mi muovo piano contro la sua mano.

I miei occhi sono ancora chiusi.

Le dita dell’altra sua mano cercano ancora di spingere lo spesso jeans lungo le mie gambe.

Faccio uno sforzo incredibile ad aiutarla alzando un piede… poi l’altro.

Togliendomi le scarpe.

Lei si occupa del resto.

Con cura e passione.

Non ha fretta e neppure io.

Mi godo i rimuri ed i movimenti… ogni atto ed ogni istante.

Sento la testa vuota e leggera.

La mia mente è avvolta da ovatta calda.

Vampate risalgono lungo la mia colonna vertebrale ad ogni suo tocco.

Il mio viso scotta.

Le sue mani scorrono sulle mie cosce nude… sul mio sedere.

Sono così preso a non cedere al peso delle mie gambe che nemmeno mi accorgo che mi ha già sfilato i boxer.

Ed ora appoggia lenti ed umidi baci sul mio ombelico… sull’inguine.

Io tremo e mi muovo.

Ed ansimo e mi mordo le labbra.

Quando sento la sua bocca su di me… la sua lingua calda che mi sfiora…  un nodo allo stomaco mi blocca.

Dalla mia gola strisciano rumori irriconoscibili… parole incomprensibili…

Lei prosegue in questo suo intimo bacio…

“Dio” dico quando sono completamente nella sua bocca… e mi lascia andare lentamente mentre il suono di questa mia parola rimbalza tra le vuote pareti.

Lo fa ancora… ed ancora… e la vampata sul mio viso diventa quasi insopportabile….

E sto bruciando piano… e mi consumo.

Involontariamente appoggio le mani sulla sua testa e l’avvicino a me.

E le continua… più veloce.

Densi suoni provengono dalla sua gola.

Si ancora con le mani sul retro delle mie cosce e stringe forte.

La sua stretta impedisce alle mie ginocchia di piegarsi.

Mi fa uscire dalla sua bocca e mi strofina con la sua guancia calda.

Il suo respiro su di me è eccitante come una carezza.

Non voglio venire, mi ripeto.

Non adesso.

Forse dovrei portarla in camera da letto, ma non credo di volerlo.

E penso che nemmeno lei lo voglia.

Mi godo questo suo tenero tocco…

Ancora per un istante….

Un istante solo….

Lei riprende a baciarmi e a leccarmi….

Una gatta.

Ed io smetto di respirare.

Così bello… così bello…

Un altro bacio… un’altra spinta… e la mia testa comincia a girare.

Sempre più veloce….

Mi mordo le labbra forte.

So che mi devo fermare… so che deve finire.

Ma, Dio… non ce la faccio.

“Scully” sussurro e mi lamento.

Fermati… ti prego.

Fermati adesso.

Lei capisce, mi bacia ancora un volta e poi mi lascia andare.

Io ansimo, riprendo fiato.

I miei occhi sono ancora chiusi quando sento il rumore sordo della pelle del divano che si piega sotto il suo peso.

Li riapro solo per vedere che si sta sfilando lentamente quelle mutandine dalle cosce e trattengo di nuovo il respiro.

Lei mi guarda e mi sorride stanca con l’angolo di quella sua bocca sciupata.

E’ pallida e bianca sul divano scuro.

Un angelo.

Rispondo piano a quel sorriso mentre mi avvicino e mi sdraio tra le sue gambe.

Il mio viso è ad un millimetro dal suo mentre cerco una posizione comoda.

Sto tremando dall’eccitazione.

Mi sento impacciato e stranamente nervoso.

Lei mi bacia le labbra e sento il mio sapore nella sua bocca.

Scivolo su di lei e l’umido della sua eccitazione è quasi freddo su di me.

L’accarezzo muovendo i fianchi e lei si stacca dalle mie labbra ed ansima forte.

Trema ed io presso ancora di più il mio corpo sul suo.

Lei spinge piano verso di me.

Ancora ed ancora.

Ed il respiro mi si blocca in gola quando fa scivolare una mano lungo il mio petto… il mio addome e poi mi prende tra quelle sue dita calde… e mi fa entrare….

Millimetro dopo millimetro sono dentro di lei.

Un onda calda mi attraversa.

E la sua schiena si irrigidisce… ed anche la mia.

Ansimiamo e ci diamo il tempo per riprendere fiato.

La guardo negli occhi… e mi sento così vicino… così suo in questo istante.

E mi sento così bene…

Che non può essere sbagliato.

L’amore non è mai sbagliato.

Incomincio a muovermi e le sue mani si aggrappano alla mia schiena umida.

Mi abbraccia e mi stringe.

Il calore fa evaporare le lacrime in fondo ai miei occhi e non vedo più…

Solo ombre di fronte e me…

Seppellisco il viso sulla curva del suo collo e mi concentro sulle sensazioni.

E’ quasi dolore quello che sento.

Una agonia di desiderio.

Spingo e spingo ancora… perché quello che ricevo non è abbastanza.

Lei alza i fianchi… mi segue e trattiene il respiro per un istante.

Continuo a pressare dentro di lei.

Non penso in questo istante.

Sono pervaso da uno strisciante senso di disperazione.

Voglio sollievo ma vorrei che non finisse mai.

Ma sono vicino…

Ed il mio cervello soffoca di sensazioni.

Dio… più veloce, mi ripeto.

Il suo respiro della pelle sensibile del mio orecchio.

Il suono dei nostri ansimo quasi disperati.

La sua pelle bollente.

Il calore dell’unione dei nostri corpi.

E la mia mante si annebbia.

E tremo e mi svuoto.

Il grido soffocato che esce dalla sua bocca arriva da lontano.

La sua schiena è rigida.

Ma quasi non la sento mentre pulsa e si contrae intorno a me.

Mi sento così leggero… inconsistente.

L’ombra di me stesso.

Dura secondi… questa sensazione… ma è indescrivibile.

Straziante.

Collasso su di lei e premo forte il mio corpo sul suo.

L’abbraccio e la tengo vicina.

Come se avessi paura di lasciare andare questo attimo.

Respiro l’odore della sua pelle.

Respiro calore.

Lei mi circonda le spalle.

Sospira e sembra che si lamenti piano.

Sento lacrime strisciare fuori dagli angoli dei miei occhi.

Lacrime per lo sforzo, mi dico.

Lacrime che non capisco.

Non sento il bisogno di riempire questo silenzio.

Non sento il bisogno di ripetere ti amo.

E’ troppo poco.

E’ nulla se paragonato a tutto questo.

A questa intima vicinanza.

Le bacio la fronte invece.

La bacio perché è una benedizione.

Così preziosa….

Unica….

Ed in un istante mi sento così maledettamente fortunato.

Questo amore può tutto…

Può vincere anche la morte.

Ed ora ne sono convinto più che mai.

Le sue labbra si appoggiano rapide al mio collo.

Ed io mi muovo e le bacio gli occhi… le guance… la bocca….

“Tu non hai nessuna idea…” sussurro senza pensare “… di quanto sei importante.”

Lei chiude gli occhi e sospira.

Colpita ed emozionata.

No, non ne ha nessuna idea.

“Anche tu” bisbiglia “… anche tu” ripete.

Lo so… mi dico… si, ora lo so.

Ti credo ora come non ti ho mai creduta.

Hai bisogno di questo tanto quanto me.

Apre le palpebre piano e mi perdo nei suoi occhi lucidi e luminosi.

‘Bitter sweet sinphony’ mi riempie la mente.

Le note rimbalzano tra le pareti della mia testa mentre continuo a bere la sua luce.

Chiudo gli occhi e l’abbraccio ancora.

Io non so se domani il mio mondo sarà nero… o porpora, come in questo istante…

Non so neppure se domani riuscirò ad aprire gli occhi.

So solo che non perderò mai la speranza di poterci riuscire.

Non perderò questa forza… fintato che la fonte di ogni cosa rimarrà con me.

E ci rimarrà per sempre…

Di questo ne sono certo.

La mia vita non mi ha mai offerto compromessi… ancore.

Ma mi ha dato solo opportunità da cogliere… e arcani rovesci della medaglia.

Ma adesso so che correrò il rischio.

Perché starle accanto non è più una necessità ormai.

E’ la natura delle cose.

Le accarezzo le guancia e sussurro “… tu… tu sei la parte migliore di me….”

Lei spalanca gli occhi per un istante.

Poi mi sorride commossa.

I suoi occhi diventano più brillanti sotto il mio sguardo.

Non dice niente.

Mi guarda solamente.

Annuisco piano e bacio la mia sorgente di vita.

La mia stella polare.

E continuerò per sempre a credere e a sperare che non smetterà mai di splendere… non smetterà mai di illuminare il mio firmamento.

Perché ora so che può essere il mio.

Perché deve essere il mio.

 

Fine

 

Note: il viaggio nella mente di Mulder e Scully finisce qui….

Ringrazio chi ha letto e chi leggerà…

Chi mi ha detto le cose più carine che una scrittrice improvvisata come me vorrebbe sentirsi dire sul mb e via mail…

Chi mi ha dato lo stimolo e la voglia di portare a conclusione questo lavoro semplice e difficile allo stesso modo.

Descrivere le sensazioni è sempre difficile… descrivere sentimenti e dolori che, grazie al cielo, non ho mai provato lo è ancora di più….

E per finire con una citazione… è bene ricordarsi che…

“le parole sono segni delle cose, non le cose stesse…” – Milagro.

 

Grazie per avermi letto, Annax.