Capitolo 17 - Correnti

 

 

Realizzo che mi sto lavando i denti con eccessiva veemenza solo quando sputo dentifricio, saliva e sangue dentro in lavandino.

Merda.

Mi sciacquo la bocca per eliminare le tracce, mi rilavo il viso nel processo, come se la doccia bollente che mi ha appena ustionato la pelle non fosse stata già abbastanza.

Non ho idea di cosa voglia lavare via da me.

Forse solo i segni visibili di quello che non posso neppure incominciare a pensare che sia accaduto qualche ora fa.

Non importa quanta acqua, sapone e olio di gomito userai Dana, - mi ricordo dura - i segni sulla tua anima sono indelebili, merda.

Ok, ho commesso un… errore.

Un grande, enorme, gigantesco *errore*.

La mia mente lo ripete in una isterica cantilena mentre il mio corpo lo urla sotto forma di scosse di un dolore che mi è rimasto sconosciuto per troppo tempo.

Le gambe, l’interno delle cosce, la mia carne arde e brucia rammentandomi sensazioni che non voglio rivivere nemmeno nella mia testa.

Un errore.

Un fottutissimo errore.

Le fortificazioni alzate non senza fatica nel corso degli ultimi anni sono crollate ai miei piedi nel posto sbagliato ma soprattutto nel *momento* sbagliato.

I miei nervi mi hanno tradita.

Ed ho commesso l’errore più grande.

Maledizione.

E nemmeno le pareti di cemento armato del mio bagno saranno abbastanza spesse e forti per proteggermi dalle conseguenze, potessi rimanerci barricata dentro per tutto il resto della mia vita.

Ma non devo illudermi di poter restare chiusa qui per l’eternità, e nemmeno per altri dieci minuti.

Merda.

Ho fatto sesso con Mulder, cazzo.

E’ un dato di fatto che non posso rinnegare come una delle sue strampalate teorie sui cerchi del grano.

Sesso.

Copulazione.

Non ci sono opinioni da esprimere in merito.

Sesso e Mulder.

Due parole che fino a ieri impedivo a me stessa di inserire nella stessa frase-mentale, oggi sono la realtà dei fatti.

Cazzo.

Mento a me stessa, lo so.

Almeno una volta al giorno nel corso degli ultimi, diciamo… , quattro anni? ho pensato a Mulder e al sesso.

Ho pensato a Mulder che faceva sesso.

Ho pensato a Mulder che faceva sesso con me.

Ho pensato a me che facevo sesso con Mulder e a Mulder che faceva sesso con Mulder mentre io facevo sesso con me stessa… eccetera.

Ma non è proprio questo il punto.

Se il solo pensarlo faceva arrossire la Dana_puritana che ancora sopravvive in me e la_perfetta_agente_dell’FBI Scully che ancora penso di essere,  il *ricordo* reale e vero di un atto che si è materialmente consumato manda completamente in panico Dana non_più_agente_dell’FBI e non_del_tutto_puritana Scully.  

Esistono dei seri motivi che mi hanno spinta in passato a rinnegare una possibile natura carnale del mio rapporto con Mulder.

Una quantità imprecisata di seri, fondati, gravi e ponderati motivi.

Anche se in questo fottuto istante non me ne viene in mente nemmeno uno, *so* che c’erano.

Beh, non ha nessuna importanza quali erano le mie motivazioni in passato se messe a paragone con quelle che sono le mie motivazioni *adesso*.

Abbandonando momentaneamente speculazioni a proposito delle informazioni inique di quel misterioso angelo della morte, - anche se il solo pensiero del suono di quelle parole mi riempie gli occhi di lacrime di terrore, - quanto sconsiderato e addirittura suicida potrebbe essere una dipendenza da sesso in questo momento della mia vita?

Non sono mai stata in grado di vedere una relazione sentimentale come un punto di forza in passato, tanto meno adesso.

Non sono mai stata capace di farmi trasportare con grazia dalla corrente delle passioni in passato, tanto meno adesso.

Non sono mai riuscita a vivere il sesso con nonchalance in passato, tanto meno *adesso* (senza considerare il fatto che l’individuo coinvolto è *Mulder*, merda).

E nel momento in cui ho più bisogno di forza, coraggio e determinazione, cosa faccio?

Nella miscela di eventi catastrofici che mi hanno vista protagonista nel corso degli ultimi tre giorni - sei anni, preciso -  aggiungo sesso_con_Mulder.

Sono una viziosa, lasciva e disperatamente idiota stronza, su questo non si discute.

Devo recuperare su mille campi, devo arrotolare le mie ideali maniche e mettermi all’opera, devo trovare una via per reagire a questo uragano e ricominciare la costruzione.

E devo partire da me, solo *me*.

Non posso permettermi intralci e rallentamenti, vizi burocratici e iter sentimentali.

Perché una cosa da tutto questo roller coaster di confusione e lussuria è risultata ben chiara.

Ho troppa vita per accattare la morte, sia ideale che fisica.

Non mi sono mai arresa, non ho mai sventolato quella scialba bandiera bianca e supplicato clemenza.

Non lo farò adesso.

Rivoglio il mio *lavoro*, rivoglio il mio *posto*, e lo rivoglio adesso.

Voglio alzarmi la mattina a sapere esattamente dove devo andare, cosa devo *fare*, con la certezza che qualsiasi cosa sia *io* la farò nel migliore dei modi possibili ed immaginabili.

Sono nata vincente e non perderò.

Sono testarda abbastanza per crederci e crederlo reale.

Voglio scoprire cause, effetti e soluzioni.

Voglio che chi ha sbagliato, ammetta i suoi errori e paghi e che gli uomini OMBRA escano allo scoperto in modo che possa riconoscerli, additarli come traditori della patria sul pubblico patio ed occuparmi della loro esecuzione… personalmente.

Voglio la verità delle verità ma più di ogni altra cosa voglio *giustizia* nel modo più utopistico e romanzato.

E per quanto il solo pensarlo mi faccia stringere in cuore tra la gabbia delle costole, Mulder non ha posto in quest’opera chimerica di ricostruzione.

Non ancora, almeno.

Più probabilmente mai.

Mi ripeto fino alla nausea che questo *non* vuole essere assolutamente un modo per… punirlo.

Non ho nulla da recriminargli, non è così?

Se Mulder ha preso le sue decisioni lo ha fatto per ragioni *ben* precise - ragioni che forse è meglio che non sappia mai.

Lui non… non ha… sbagliato, nell’effettivo senso della parola *sbagliare*.

Ha solo fatto delle scelte che non… condivido, in pieno… in un passato *abbastanza* recente.

Cazzo, perché mi ostino a mentire a me stessa -  mi sento in dovere di ammette.

Provo un senso di rabbia nei suoi confronti così assoluto da essere accecante.

Non solo *sceglie*, non solo *sbaglia*, ma ha anche il coraggio di voltare le carte in tavola più rapidamente di un mago di sala.

Lui fallisce, ed è *mia* la colpa… perché l’ho ferito, semplice no?

Fottutamente intuibile.

Mulder non ha mai torto in pieno.

Mulder deve essere capito, giustificato, compreso… e *non* devi perdonarlo, perché non esiste nessuna ragione per doverlo fare… alla fine lui *non* ha colpe, non è così?

Povero Mulder… è confuso, come lo si può biasimare?

Non sa se errare per gli USA al fianco di Fowley e scoparsela, oppure rimanere qui a litigare con me e scoparmi.

Che scelta complicata.

La vita sa essere una puttana, non è vero Mulder?

Merda - merda - merda - impreco asciugandomi il viso con forza fino a togliermi lo strato superficiale di inutili epidermide.

Mulder non si è scopato da solo ieri notte, ha scopato con *me*.

Era sopra di *me*, dentro di *me*.

Cazzo, l’errore è *mio* - *anche* mio, rettifico.

Sono stata debole… lo sono *sempre* quando lui è coinvolto - riconosco a stento attraversata da violente scosse d’ira… verso me stessa.

Mulder disfa ed io faccio.

Mulder pressa ed io cado.

Lui agisce ed io reagisco, sempre nel modo più maledettamente *sbagliato*.

Il fatto che lui sia stato fuori di città per due fottutissimi giorni e che nel frattempo io abbia praticamente *ucciso* due persone e che mi sia fatta sbattere fuori dall’FBI non è una dimostrazione convincente?

Sono piena di merda tanto quanto lui, non posso nascondere la testa nella sabbia, non *ora*.

E non è questo il punto allora, e se non risultasse quantomeno idiota pensarlo, direi: ‘inutile piangere su latte versato’ - anche se ‘latte’ non è la prima parola che mi è venuta in mente, comunque.

Io non voglio fargli del male anche se so di essere destinata a farlo.

E non solo perché questo mi farebbe subito cambiare posizione, passando rapidamente da tradita a traditrice.

Non voglio… ferirlo, è questo il punto.

Non voglio che ne… soffra.

Merda, ancora balle, quando mi deciderò ad essere schietta con me stessa?

Voglio che soffra quanto ho sofferto io.

Voglio che passi le stesse pene dell’inferno.

Voglio che sia *lui* ad aspettarmi, voglio che sia lui a piangere mentre *io* sbaglio.

Oh Dio, ma che cazzo di persona sono diventata? - mi domando scuotendo la testa shockata e inorridita da me stessa.

Dio, è Mulder… è solo Mulder.

Ed è - è stato - il mio partner per i sei anni più lunghi e istantanei della mia vita.

E’ stato lui a tenermi stretta quando avevo paura delle minacce di due punture di zanzara che sciupavano la pelle della mia schiena o di milioni di cellule tumorali che invadevano la mia mente.

E per mia sfortuna è anche il più paradossale e irragionevole ottimista che io abbia mai conosciuto, e la sua cocciutaggine è in grado di tenere testa persino alla mia.

Se solo per un istante riuscisse a credere possibile un futuro, improbabile, innominabile, irrealizzabile rapporto tra… *noi*, nulla lo fermerebbe dal riversarci tutte le energie che solitamente riserva a omini grigi e fenomeni paranormali - o alla verità, o alla ricerca di sua sorella.

Dio, a quel punto io sarei veramente fottuta.

Merda, non riesco neppure a pensarci.

Cedere a lui sarebbe incredibilmente semplice, oltre che una evenienza più che probabile… visto lo svolgersi degli eventi di ieri notte.

L’idea che potrei rimanere a letto nuda, ad aspettare come una geisha paziente in suo ritorno, con l’unica speranza di riscatto alla vita quella di fondermi con la sua carne e ardere di piacere fisico, non è più tanto assurda a questo punto del gioco.

Ma, DIO, questa non sono *io*… e non è la mia vita.

Io sono *Scully*, merda.

Ci ho messo anni e ci ho speso un numero incalcolabile di energie, ho pagato prezzi che nessuno dovrebbe mai affrontare per essere la persona che *sono*.

Non posso cedere, non adesso, fine della discussione.

E spero solo che Mulder capisca le mie motivazioni - quelle meno compromettenti, naturalmente.

Stronzate, perché so che Mulder non capirà mai, neppure io riesco a farlo in pieno.

E’ troppo cocciuto, è troppo testardo per accettare un ‘no’ senza una bella didascalia esplicativa che svisceri nel dettaglio le ragioni di quella decisione.

In verità la sola cosa in cui spero è che riesca a venire a patti con la mia risoluzione nel modo più *pacifico* possibile.

E per rendere questa scelta una concreta possibilità devo riuscire ad amministrare bene le mie opzioni… in poche parole, devo convincere prima di tutto me stessa.

Sono stata sciocca, sono stata stupida - posso ammetterlo -  ma ho più di una giustificazione a *mio* favore.

Ero incredibilmente vulnerabile, non ero mai stata così dannatamente vulnerabile in tutta la mia vita, e lui mi ha solo *toccata* dove ero già scoperta fino all’osso.

Mi ha detto quello che speravo di sentirgli dire, da mesi… da anni.

Da quando ‘quella’… beh, non ha importanza.

Mulder ha solo fatto quello che ho sempre voluto che facesse: ha preso le redini e mi ha portata nel suo letto - nel *mio*, per essere più precisi - ed era tutto quello che *desideravo* in quel momento e non so da quanto tempo.

Volevo sentirlo mio.

Dio, mi imbarazza e mi spaventa il pensiero di suonare così… cavernicola anche alle mie stesse orecchie, ma era quello che volevo.

Così lontano… era così lontano da me, Dio,  e non mi riferisco all’Ohio o a solo Dio sa in quale altro posto di questo fottuto pianeta si sia cacciato.

E’ stato così distante e per così tanto tempo, fisicamente… emotivamente.

Ma era giusto cedere solo per il desiderio di riuscire a toccare quello che mai mi potrà appartenere?

Era legittimo cadere senza la benché minima speranza in un… futuro?

No, non lo era.

E sono certa che anche Mulder se ne sia reso conto.

Ma nessuno di noi si è fatto scrupoli ieri notte, ed entrambi ne abbiamo ricevuto piacere.

Un piacere incalcolabile, fisico e mentale e tutto quello che sta in mezzo.

Stavo vedendo, toccando e vivendo l’*essenza* di Mulder.

Per un attimo ho addirittura creduto di essere riuscita a toccare quell’anima che è riuscito a nascondere così bene sotto vestiti e vestiti di colpe e rabbie e utopie e testardo egocentrismo distruttivo.

E poi, …Dio, non ricordo quando è stata l’ultima volta in cui sono venuta durante un rapporto.. *due* volte, merda.

Considerando la media delle miei relazioni intime nel corso degli ultimi… diciamo… dieci anni?, posso tranquillamente definirlo un record.

Merda, sospiro e mi costringo a non rivalutare i particolari dell’atto.

Il calore umido del suo respiro, il suono disperato di lussuria dei suoi gemiti, la consistenza della sua carne della mia… calda, dura, forte… DIO.

Alzo la testa di scatto.

Il mio viso è spaventosamente rosso e non è certo a causa dell’acqua troppo calda.

Perché non posso limitarmi a considerarla una bella (fantastica, indescrivibile) esperienza sessuale e tornare in camera da letto con stampato in faccia un sorriso compiaciuto.

Dirgli qualcosa sulla falsa riga di un ‘bella scopata, Mulder… ma il dottore - cioè io - mi ordinato di lasciare trascorrere un po’ di tempo prima di ripetere l’evento, ti va se fingiamo che non sia mai successo fino ad allora? Fino a… *sempre*, magari? Ti preparo un caffè?’

Sorrido e sbuffo senza volontà e senza allegria.

Merda.

Prendo un profondo respiro, e poi un altro.

Mi illudo che potrebbe essere già fuori dall’appartamento adesso e che le mie preoccupazioni siano futili, ma so che non è così, so che è la fuori… so che sta aspettando.

Mulder non è così codardo.

E neppure io lo so e so che *devo* affrontarlo, adesso.

Con i capelli bagnati e divisi in ciocche simili a tentacoli di una medusa e il mio accappatoio di spugna più grande di tre misure.

Con questo viso violentato, questa espressione contratta e con quello che ancora penso sia il mio cuore che balla il limbo con il mio diaframma.

Vorrei avere indosso un tailleur nero e scarpe col tacco alto dieci centimetri, ora, non so perché ma ho l’impressione che mi faciliterebbero l’impresa.

In realtà vorrei un armatura antica di ferro battuto, come quella che si vede nei film in quei vecchi castelli infestati dai fantasmi.

Vorrei escogitare un metodo certo per proteggermi dal dolore che causerò… soprattutto a me stessa.

Sarebbe già un passo avanti avere la più pallida idea di che diavolo dire.

Cazzo.

Mi darò all’improvvisazione, non sono mai stata brava in queste questioni - che diavolo di *questione* è questa, comunque? - e sicuramente una approfondita meditazione non mi farà avere un’epifania.

Cazzo- cazzo- cazzo- mi blocco con le dita strette sopra la gelida maniglia di ottone - merda, non sto decidendo se è meglio mettere la gonna o i pantaloni, o se prendere l’auto o chiamare un taxi, sto decidendo se rischiare di ferirlo *gravemente* adesso o se perdere definitivamente il poco controllo sulla mia esistenza che mi inganno ancora di possedere.

In verità l’idea che  continui a credere di avere controllo su qualcosa - qualunque cosa -  sembra una presa per i fondelli da manuale in questo fottuto momento.

Dio - realizzo mentre appoggio la fronte troppo calda sul legno laccato della porta del bagno - ‘La sua vita è in pericolo, ed anche quella dell’Agente Mulder… lei sa, lo sente che stanno arrivando’ - risuona nella mia testa frastornata.

Si, cazzo, non ho facoltà di scelta in questo come in ogni altro campo della mia fottuta esistenza- medito ed impongo al mio corpo di non sciogliersi in inutili lacrime di vana disperazione.

Sesso con Mulder è un errore - anche perché so che non potrà mai essere fino in fondo solo ed esclusivamente sesso, siamo troppo coinvolti… ci siamo troppo dentro per cercare di fare una cernita e distaccare vita e lavoro.

‘Vita’ e ‘lavoro’ sono diventati due concetti completamente indistinguibili.

Come adesso lo sono diventati ‘partner’ e ‘amante’, merda.

Ho sempre saputo che Mulder sarebbe potuto diventare il mio… *tutto* se solo glielo avessi permesso.

E questo non deve accadere *adesso*… mai.

E soprattutto non ora che il mio dovere, oltre che quello di alzarmi dalle macerie e combattere, è quello di tenerlo a distanza il più possibile da… me….

Dio, è disperatamente ironico.

Lo volevo vicino e ci sono riuscita solo quando lo *devo* tenere lontano, cazzo.

Ma devo riuscire a farlo, almeno fino a quando non sarò riuscita a conoscere l’origine di questo pericolo, di questa minaccia che coinvolge 29 donne e un numero imprecisato di industrie farmaceutiche oltre che, naturalmente, entrambi.

E’ la sola cosa giusta da fare adesso.

Devo scoprire, devo sapere, devo schivare il peggio.

Devo evitare l’inevitabile.

Prendo coraggio da questa terribile consapevolezza, coraggio dato della disperazione - riconosco - ma è pur sempre forza… e devo indirizzarla immediatamente prima che evapori da me come l’acqua che ancora bagna la mia pelle.

Adesso posso farcela.

Adesso devo farcela.

Apro la porta.

 

Il corridoio è sorprendente buio.

So che è mattino… ma le tende chiuse e l’aria ferma hanno l’effetto di immergere ogni cosa in ombre scure e compatte.

Il silenzio ha il rumore tipico della notte inoltrata.

Tutto è fermo… paziente, in attesa.

Chiudo gli occhi e li riapro pigramente per abituare le mie pupille alla nuova oscurità, mentre cammino tagliando gli spessi atomi di quest’aria pesante.

Densa.

Cammino. Lentamente.

Ed ogni passo è scandito dalla stoffa dell’accappatoio e il suono sordo dei miei piedi nudi sul pavimento gelido.

Non so perché sto tornando in camera da letto.

Avrei sicuramente bisogno di più tempo per venire a capo delle mie molteplici risoluzioni.

Dovrei scappare… ancora.

Dovrei aprire le finestre per impedire a quest’aria sporca di intorpidire i miei sensi.

Dovrei.

Ma credo di aver deliberatamente deciso di prolungare il mio dolore.

E sinceramente non riesco a comprendere le ragioni.

Perché fa male… Dio… agli occhi… e fa male al cuore quello che riesco a vedere immerso nelle ombre scure.

Mulder.

Sdraiato sul un fianco con le braccia strette attorno al cuscino.

Solo Mulder…- mi ripeto per rallentare i battiti del mio cuore che sembra essersi risvegliato alla vista di quello che ho di fronte.

Un uomo… e degli eventi ancora sdraiati su lenzuola scomposte.

Eventi.

Dio….

Immobile sullo stipite della porta vengo pervasa da una improvvisa sensazione di sfinita ira.

Mi passa attraverso e mi riempie come un’onda.

Mi lava l’anima e mi intorpidisce il corpo…  spazza via la tensione sostituendola con qualcosa di più profondo e più subdolo.

Indecifrabile.

Una emozione nuova… per me… strana… contemporaneamente calda e ghiacciata.

Dorme Mulder sotto il mio sguardo stanco, adesso, e respira appena dalla bocca socchiusa.

Mulder.

Lo stesso Mulder che è scappato da me, solo qualche giorno fa.

Lo stesso Mulder che non c’era quando doveva esserci.

Quello che mi ha mentito.

Quello che mi ha sedotto.

Quello che mi ha dato e tolto cose che non posso nemmeno incominciare a catalogare.

Quello che ha dovuto intravedere la fine, la *fine*, per scavare dentro di se e trovare il coraggio necessario per dire quel tanto sospirato ‘mi dispiace’.

Quello che ha lasciato che cadessi in pezzi prima di aprire la sue mani e raccogliermi.

Ed è lo stesso Mulder che stringe il cuscino del mio letto, in questo momento, come se fosse un’amante che aspettava da tutta la vita.

Fermo eppure in movimento.

Calmo ed in tempesta persino mentre dorme.

E la stoffa del mio accappatoio riprende a frusciare, la pianta dei miei piedi scalda il pavimento fatto di lastre di ghiaccio.

Non devo ma non posso fermarmi… mi avvicino.

Allarme rosso – grida la mia mente.

Non avvicinarti – non guardalo – sbarra la porta del tuo cuore ed impedisci che Mulder scalfisca la tua risoluzione.

Come al solito la mia vigile ragione riconosce il fulcro del problema e cerca di darmi le indicazione più razionali.

La mia ragione… Dio… come vorrei che fosse veramente coinvolta la ragione in questo vortice.

Ma non c’è ragione, non c’è razionalità che tenga…

Per quanto possa tentare di convincere me stessa, neppure il mio cervello è in grado di lottare e vincere contro questo incredibile senso di stanchezza, di sconfitta di rabbia e di indefinita malinconia.

Come vorrei chiudermi a chiave, spegnermi e non sentire.. niente.

Essere quella persona che ho sempre creduto di essere, cercato di diventare.

Come vorrei impedire alle mie gambe di condurmi verso quel letto… ed al mio sguardo di indugiare sulle linee di quel corpo.

Che è stato mio.

MIO, Dio.

Per una notte… forse solo per un istante… l’ho sentito.

Ho sentito la profondità di quello che rinnego ma SO che mi lega a quest’uomo.

L’ho sentito dentro e fuori, nelle ossa, nella carne.

Qualcosa di sbagliato – mi ricordo.

Qualcosa di irrimediabilmente sconsiderato.

Ma qualcosa di forte… così dannatamente forte.

E posso cercare di confonderlo per debolezza, posso credere che sia stata solo una caduta.

Ma è la verità?

Stringo le palpebre mentre le mia gambe continuano a portarmi dove non dovrei andare… li chiudo stretti, impegnata con tutta la determinazione che penso mi sia rimasta a desiderare di NON provare quello che provo.

Non posso, non devo.

Ma lo faccio.

E non ho la più pallida idea di cosa sia, quello che provo.

E’ tutto così complesso….

Ho intimamente creduto che gli errori di Mulder potessero avere il desiderato effetto di riportarmi da me stessa.

Di ricordarmi chi sono.

Cosa posso e non posso accettare.

Credevo di poter trovare forza nella sua debolezza, come sempre.

Ma questa volta non è successo.

Non sono tornata da me stessa… non so neppure se sia rimasto questo ennesimo ed illusorio *posto*.

Di sicuro il comodo ed odiato piedistallo è solo un remoto ricordo, adesso.

Mulder mi ha trascinato nelle sue acque scure.

E sta solo a me tornare a galla… nuotare fino a riva.

Ma per andare dove?

Per cercare cosa?

Me stessa?

E intanto continuo a sentire questo indefinito impulso, questa passione, questo costante movimento che mi sposta come corrente ma che non mi porta da nessuna parte.

Lo sento che si attorciglia come una corda bagnata intorno al mio stomaco e stringe… stringe… mentre i miei occhi mi tradiscono accarezzando le labbra che non dovrò mai più baciare.

Il corpo che non dovrò mai più possedere.

E le lacrime sono troppo acide e inutili e vuote per lasciarle cadere.

Non mi è di conforto l’idea che il solo sentimento che mi sia concesso distinguere sia la rabbia.

Rabbia verso di lui.

Verso di me.

Verso un destino che costantemente mi toglie quello che voglio e mi da quello che non posso avere.

Ma cosa volevo? Cosa voglio?

Osservo i muscoli della sua schiena, tesi e lucidi sotto la scarsa illuminazione, la pelle, gli angoli e le linee che ho imparato a conoscere in una notte, in un istante.

Quelle mani ora strette intorno alla stoffa stropicciata del cuscino ma così delicate e ruvide, così deliberate e caute su di me.

Il suo respiro è ritmico e costante e quasi impercettibile, adesso… ma nella mia mente risuona il ricordo reale di quando, rapido ed irregolare… profondo e superficiale… caldo ed umido, accarezzava la pelle del mio collo.

Qualche ora fa.

Un’eternità.

Perché Mulder deve anche essere così bello? – penso mentre i miei occhi sfiniti lo studiano e quasi rido tra le lacrime che non ho ancora versato.

Dio.

Perché?

Affascinate, imprevedibile, irriverente e pazzo.

E bello.

Come posso arginare il desiderio di toccarlo?

Toccare quel lineamenti così particolari e così dannatamente armonici.

E non posso non esserne sorpresa quando i miei polpastrelli prendono contatto con il calore della sua guancia che sembra aver perso ogni spigolo.

E’ rotonda e ruvida a causa dell’accenno barba del mattino… ed è perfetta, nella mia mano.

Perfetta… eppure così dannatamente proibita.

Proibita… ecco la parola che può descrivere come mi sento, mentre le mie dita sfiorano la sua pelle.

Ho una decisione da rispettare.

Ho delle regole che non posso trasgredire.

Regole dettate da me stessa.. ma soprattutto dagli eventi.

Regole che possono determinare la vita o la morte… sia emotiva che fisica.

E le sto violando tutte, ed una ad una, mentre lo tocco.

Dio… non posso impedirlo.

Proibito… eppure così liberatorio.

Sporco e purificante nello stesso identico attimo.

Sfioro il suo profilo… lentamente… mentre lotto con tutte le forze che mi sono rimaste contro questo incredibile senso di stanchezza e rabbia.

Ricordo momenti in cui siamo stati vicini… ricordo il tocco rassicurante della sua mano e il tono coinvolgente della sua voce.

Ricordo innumerevoli occasioni in cui ho dovuto far affidamento su tutto il mio autocontrollo per non ridere ad una sua impertinente battuta o per non piangere… davanti ad una particolare espressione del suo viso, ad una singolare luce nei suoi occhi.

Posso dirlo senza ombra di dubbio… siamo stati nella stessa pagina dello stesso libro, per un singolo istante.

Ma la trama di quel libro pretende un addio, adesso, forse da sempre…  e lo ha dimostrato in così tante occasioni che la mia mente fatica a ricordare.

L’uomo che sto toccando è un debole – mi ricordo – è un debole che ha scelto la via più semplice.

Poteva avermi… Dio… poteva avermi… - è dura accettarlo, ma non posso continuare a mentirmi - Mulder avrebbe potuto avermi… in qualsiasi momento… eppure ha deciso di *volermi* adesso.

Adesso che non può, non posso.

Adesso che è così dannatamente sbagliato.

Proprio adesso che ha dimostrato di essere così maledettamente manipolabile.

Manipolabile dal presente, dal passato.

Ma forse tutti lo siamo.

E la mia mente ora si trova costretta a rinunciare a quell’immagine sublimata e romanzata di… tutto.

Mi ero costruita quell’immagine… contro me stessa e contro ogni buon senso….

Mi ero… illusa.

Dio, SI… anche solo per un momento, per un attimo mi ero illusa che potesse veramente rimanere, essere o diventare tutto perfettamente imperfetto.

Ed invece la realtà mi ha dato prove inconfutabili di una verità scadente….

Verità ancora vaga ed ancora irraggiungibile, ma rivelata da un sentimento che nessuno mai potrà catalogare o spiegare… che è tutto fuorché perfetto.

Che ha falde e crepe.

Che ha lacune troppo grandi per essere colmate. 

Non posso più colpevolizzare il destino… o con chi si è impegnato così ardentemente ad alterare gli eventi affinché arrivassimo a questo punto.

Non posso.

C’erano degli errori di sistema… da tempo… ma nessuno si è mai preoccupato di riparare… aggiustare quelle falde.

C’erano ferite che nessuno si è mai preoccupato di curare.

Ed ora i nodi sono al pettine… l’errore di sistema irreparabile.

E le ferite continuano a sanguinare.

Non c’è niente da costruire su queste fondamenta fatte di macerie.

Siamo troppo deboli … troppo imperfetti anche solo per provare a farlo.

Niente di buono, comunque, niente che valga il prezzo che siamo costretti a pagare per viverlo.

Quel prezzo è troppo alto e troppo astratto.

Indeterminato… dettato dal destino e da fili mossi da ombre nel buio.

Non posso pagare quel prezzo… non posso lasciare che sia Mulder a pagarlo.

E poi… per cosa?

 

E come se riuscisse a seguire la mia linea di pensieri anche nel sonno, gli occhi di Mulder si aprono all’improvviso e le mie dita raggelano sulla pelle che non dovevo permettermi di toccare.

Devo impedirmi di sobbalzare mentre ogni muscolo del mio corpo si pietrifica, nel preciso istante in cui il mio cuore smette di battere.

Dio.

Mi guarda, solamente.

Quelle pozze scure e senza fondo mi catturano nell’oscurità della stanza.

Mi osserva… assonnato eppure così dannatamente attento.

Così profondo.

Sono stata colta con le dita nella marmellata che non dovrei mangiare… e mi sento irrimediabilmente colpevole.

Rea, criminale.

Quello che sto facendo è criminale.

Non posso toccarlo… non devo *volerlo* se non posso *averlo*.

Vorrei almeno essere in grado di staccare le mie dita dalla sua pelle….

Ma quello sguardo mi intrappola.

Agganciata e presa da quegli occhi che non fanno domande, mi guardano solamente, mi imprigionano.

Ma sta parlando, Mulder, sussurrando parole silenziose che solo io posso sentire.

E, Dio, le sento quelle parole che non hanno senso eppure sono così cariche di significato e percepisco una fragilità così assoluta da essere disarmante.

La fragilità di un bambino inerme, indifeso, non quella di un uomo confuso.

Indifeso da quello che prova, indifeso da quello che è, indifeso da me.

Dio – non posso - non posso - non posso - non posso - non posso - non posso! 

Merda, allontanati!

Vattene.

Non ci riesco… non posso… non voglio… ma devo.

DEVO.

Dio… perché riesci a farmi questo, Mulder?

Perché riesci a sconvolgere le mie fondamenta solo con uno sguardo?

Non è Giusto… Non è Corretto… Non è Leale.

Questo potere nelle tue mani… il potere di farmi piangere o strapparmi un sorriso.

Il potere di farmi agire e reagire a tuo piacimento.

Non posso lasciarti la facoltà di disporre di questo potere, non posso.

Non riuscirei mai a perdonarmelo.

A perdonartelo.

E troppo quello che vuoi da me… è troppo quello che pretendi e che non avrai mai il coraggio di chiedere.

La mia mente all’erta paradossalmente non presta attenzione a niente, e mi rendo conto che si è mosso solo quando la sua mano si appoggia sulla mia.

Ed è troppo tardi, perché un familiare e sconosciuto brivido mi raggela.

Elettrico, il suo tocco, sempre.

La sua pelle è morbida e ruvida e dannatamente calda… calda… e il calore si irradia trasmettendo onde alla mia colonna vertebrale.

La marea si sta alzando.

Solo adesso ricordo con agghiacciante lucidità la *concretezza* delle sua mani su di me, del suo corpo nel mio.

Ed è tutto quello che vedo riflesso nelle sue pupille scure e limpide, in questo istante.

Vedo ricordi, vedo dolore e piacere provocato, rubato e condiviso.

Tremo mentre immagini, suoni e colori si impossessano della mia mente, e DEVO chiudere gli occhi.

Non sopporto di assistere a quello che vedo.

Non sopporto di assistere a quello che non potrò mai più avere.

Dio.

Come sono finita in questa situazione?

Come posso uscirne senza farmi del male?

Quella mano scivola, trova spazio e coraggio nella mia immobilità, e la sento muoversi appena sulla mia pelle… sotto la spessa spugna della manica del mio accappatoio.

Bollente.

Incandescente.

Il suo tocco non vuole essere deliberatamente erotico, lo sento.

Ma lo è, Dio.

Lo è.

Vattene – mi ripeto di continuo mentre la sua mano sale stanca fino al gomito.

Vattene, ora, adesso….

Vai. Via.

Ma non mi muovo, neppure di un centimetro.

E segretamente aspetto, respirando a fondo soprafatta dal calore di quella mano, dal ricordo della sua pelle.

“Scully” sussurra e i lineamenti del mio viso si rapprendono attorno ai miei occhi serrati.

Dio.

Perché?

Perché deve avere questo effetto su di me?

Come ho potuto permettere che guadagnasse questo potere?

Come posso strapparlo da quelle sue mani?

Respiro ancora ed ancora… mentre quel pollice traccia infiniti cerchi sulla mia pelle.

Non fa domande quella sua mano, non chiede, non pretende, ma *vuole* e *c’è*, e questo è sufficiente….

Il mio cervello ricrea in astratto il suono di pareti che si sgretolano sotto l’incessante erosione della marea.

Piano… lentamente… la acque bollenti corrodono la mia risoluzione, il calore scioglie la mia colonna vertebrale e i miei sensi si confondono.

Ho così freddo – è il mio solo pensiero coerente.

Così dannatamente freddo… e la sua pelle e solamente troppo calda.

E non ho nulla da recriminare alla mia mente… perché ci sta provando, disperatamente, a ricordarmi quello che è giusto fare.

Quello che devo fare.

A ricordarmi la verità.

Ma il mio copro non ha orecchie… non ascolta, reagisce a quel calore e a quel tocco.

“Apri gli occhi” sento, la sua voce ruvida di sete, sonno e desiderio.

E non posso che rispondere al comando.

E’ solo troppo profonda, la sua voce,  troppo rovente nel cuore di questa artificiale notte gelida.

Li apro….

Lo guardo.

E le mie pupille si riempiono del contrasto tra le lenzuola rilucenti e la sua pelle scura.

La sua espressione confusa e determinata, vuota e piena.

I suoi occhi brillanti ed intenti, concentrati.

Su di me.

Intensi.

Mi tentano, mi attirano, mi mettono alla prova, come le acque di quella marea, come sempre.

Puoi resistere? – mi chiedono eppure non lo fanno, non osano.

Non posso, ed è questa la verità.

Non. Posso. E soprattutto non ora.

Fa dannatamente male scoprirlo, ma devo accettare di essere debole, fragile, manipolabile.

E sto scegliendo la via più semplice.

Non posso nulla contro questa marea.

Siamo così uguali… io e Mulder, e così tragicamente diversi.

Ed invisibili onde mi trascinano verso quegli occhi, quel viso.

Quelle labbra che non posso baciare ma che sto sfiorando con le mie.

E muovo la mia bocca sulla sua, lentamente, come se l’aria fosse diventata improvvisamente densa, fosse diventata veramente acqua.

Chiudo gli occhi.

Lui ansima appena e apre i sensi, dischiude quelle labbra e il calore umido è vapore che offusca la mia ragione.

Sento il sangue ricominciare a scorrere nelle mie vene, denso come aria o acqua o mercurio.

Quella mano si muove debolmente, allontanandosi dal mio braccio, ma posso sentirla ancora, dopo una frazione di eternità, appoggiarsi cauta sulla pelle del mio collo.

Non mi avvicina, non mi trascina, ma si assicura che rimanga dove sono… dove non dovrei essere… e la sua bocca piena si apre sotto la mia.

Le sue dita sfiorano le mie clavicole adesso, spostando appena la stoffa del mio accappatoio.

Rivelando al freddo della notte nuova pelle da scaldare con le sue mani.

Ansimo sulla sue labbra, non posso impedirlo, mentre mi accarezza la spalla con il più gentile ed intenso dei tocchi.

Assaggio ancora la sua bocca con la punta della lingua prima di riprendermi quel suo labbro inferiore e tenerlo tra le mie labbra.

Un’ancora.

Una boa.

Devo trovare un appiglio.

Ed ho solo scelto quello sbagliato.

I lembi dell’accappatoio si scostano inesorabilmente spinti dal suo polso e le sue dita viaggiano sul mio petto, sul mio cuore che batte e tiene il ritmo di questi movimenti troppo languidi, troppo carichi.

Tremo di proibita anticipazione ed ansimo quando la sua mano tocca la pelle all’erta del mio capezzolo.

Dio.

Sopraffatta dalla sensazione e dal calore non mi riesco a tenere presa sulle lue labbra, ed è lui a prendersi la mia bocca adesso.

Sempre cauto, sempre attento, sempre spaventato.

Sempre determinato e sempre confuso.

Ma mi sta baciando e mi sta toccando… ed io sto permettendo che accada.

Non lo fermo, non lo blocco, non scappo.

Ancora una volta, una volta ancora – cerco di convincere la mia mente inflessibile – lascia che accada ancora una volta.

Ti prego.

La stoffa scivola rumorosamente lungo la mia pelle fino a cadere a terra.

Ed in un attimo sono nuda ed immobile… e la sua bocca e così calda che il mio corpo esposto alla notte diventa ghiaccio rovente.

Ho freddo… e devo scaldarmi.

Un impulso.

Devo farlo.

Mi stacco dalla sua bocca.

I suoi occhi si spalancano appena, quasi terrorizzati da quello che potrebbe non accadere, o che potrebbe accadere.

Incertezza, insicurezza, fragilità e desiderio… è tutto quello che sta cercando di dirmi.

E’ tutto quello che urla senza nemmeno parlare.

Ed è quello che ho segretamente sperato di sentire per così tanto tempo….

Ho desiderato con tutta me stessa di vederlo vacillare.

Ed onda smisurata, enorme… un muro d’acqua mi coglie sprovveduta e mi accorgo che mi sto sdraiando lentamente su di lui, assorbendo inconsciamente il suo calore e le tutte le paure che neghiamo e condividiamo.

Per un momento… per un attimo… ancora una volta… voglio sentirlo mio, anche se mi terrorizza.

Mi spaventa eppure mi eccita.

Mi fa sentire colpevole e prigioniera, e così libera.

Lo bacio… un bacio bagnato di ogni timore ed ogni dimenticata risoluzione.

Bagnato di tutto quello che non è e che non potrà mai essere.

Lo bacio come se fossimo amanti… come se la realtà di quello che veramente siamo e saremo fosse un incubo.

Ma forse lo è, e forse questo è solo un sogno allucinatorio … di sicuro è un’illusione.

Le sue mani enormi e morbide coprono la mia schiena mentre mi abbasso su di lui.

Apro le palpebre che non sapevo di aver chiuso… e commetto l’ennesimo errore.

Guardo i suoi occhi per infiniti istanti.

Ondeggio.

Ondeggia.

E la connessione e così disperatamente tenera e dissoluta nello stesso momento.

Nuda.

Nudo.

In più di un senso.

E non posso che sentirmi rea.

Criminale.

Mi osserva rapito e spaventato ed eccitato e devo seppellire il viso nella pelle del suo collo per fuggire da quegli occhi.

Dal messaggio confuso che riescono a mandarmi anche attraverso l’oscurità di queste acque in cui siamo immersi, che ci uniscono… e ci separano.

Non è vero, Mulder – vorrei dirgli ma la mia gola si chiude, improvvisamente arida – è un illusione… non devi crederci.

Non devi credere a qualsiasi cosa… e neppure a *noi*.

Le lacrime diventano intollerabili e pesanti mentre bacio il suo collo… il suo petto… il suo cuore… i muscoli tesi del suo addome e lo sento trattenere un gemito.

Come se il silenzio fosse fatto di gelide correnti.

Come se temesse di farle cadere su questa rovente bolla di sapone con il suono della sua voce.

Con una mossa sbagliata….

Ed io scivolo sul suo corpo.

Bello e perfetto in ogni particolare.

Diabolico e divino.

Lo assaporo e bevo il suo calore come se cercassi di placare una sete ed una fame che non sospettavo di accusare.

Ma che adesso non posso sopportare di avere.

Sfioro il suo inguine con la labbra socchiuse e si muove piano sotto di me e geme.

Ed è la prima vera domanda che mi abbia fatto da quando ha aperto gli occhi.

Mi chiede di continuare… di non fermarmi.

E non posso negarglielo.

Non posso negarlo a me stessa.

Deglutisco prima di assaggiare la punta della sua erezione e prima di rimanerne corrotta.

Contaminata e ghermita.

Rapita dal suo sapore.

Il sapore che clandestinamente desideravo che avesse.

Il sapore che non dovevo neppure immaginare ma che adesso sto assaggiando… sto bevendo.

I suoi fianchi si alzano appena ed io lo bacio, lo lascio scivolare… lo riprendo… lo tengo.

Mio… dentro di me.

“Dio” lo sento gemere e per risposta i miei movimenti cominciano ad intensificarsi.

Sempre più profondi e sempre più veloci.

E’ quello che vuole – mi dice d’improvviso una nuova voce nella mia mente, una voce che non avevo mai sentito – è quello che vuole, lo stai facendo per lui…

Non è vero.

Non lo sto facendo per lui.

No, no… lo sto facendo per me stessa?

Oh Dio.

Il pensiero di essere diventata così incredibilmente egoista e ceca e stupida è come un fulmine in questo mare di calore.

Per chi lo sto facendo?

*Cosa* sto facendo? – mi domando shockata.

Posticipi il dolore – quella voce mi risponde – posticipi le conseguenze dei tuoi errori commettendone altri.

Proteggi te stessa dal dolore che causerai, provocandone altro.

Dio, è questa la verità.

Mi ero ordinata di non permettere più che accadesse, ed ORA sono io che lo sto *facendo*.

Non posso continuare, non posso fargli, farmi questo – mi ordino interrompendo quello che ero così ardentemente impegnata a realizzare.

E Mulder emette un suono che non è un suono, dolore in quel non-rumore… sicuramente paura.

Terrificante, quel suono, perché è pieno di così tanto desiderio, bisogno.

Dio.

Cosa devo fare?

Non posso smettere, è questa la realtà, non *ora*.

Non posso ferirlo ancora… non adesso che è così platealmente mia la colpa.

Proibisco a me stessa di alzare gli occhi sul suo sguardo.

Codarda e vigliacca, non voglio vedere quello che non posso sopportare.

Scivolo con la fronte sul suo petto… risalgo lungo il suo corpo… lentamente.

Dio. COSA devo fare?

“Non dovrà più succedere” mi sorprendo a sussurrare e la mia voce suona così forte, così paradossalmente determinata alle mie orecchie che quasi ne sono spaventata.

Mulder diventa pietra sotto le mie mani e il mio corpo.

E’ come se sentissi il calore abbandonare la sua pelle d’improvviso.

Sta trattenendo il fiato come se stessi per sparagli.

Dio – non voglio fargli del male… non voglio.

Ma devo.

Almeno abbi la fermezza di assumerti piena coscienza di quello che fai… di quello che dici – comanda quella voce.

Coraggio, è una questione di coraggio.

Ne ho abbastanza… posso farcela.

Alzo lo sguardo e tremo alla vista dell’espressione incisa sul suo volto. Illeggibile, cupa eppure così visibile.

E il mio stomaco risale lungo il mio petto, il mio respiro si blocca.

Non mi sta guardando.

Non vuole guardarmi.

“L’ultima volta…” bisbiglio d’impulso nel vano tentativo di dare logica alle mie azioni, e mi sento colpevole.

Colpevole.

Perché rinnovata rabbia, dolore e confusione si intravedono in quella maschera di impassibilità che il suo viso può diventare.

“L’ultima…” ripeto cercando di far trasparire da questa parola l’uragano che sta devastando la mia mente.

Ti prego Mulder… capisci e accetta quello che nemmeno io posso incominciare a comprendere.

Se dietro ogni atto si nascondono infinite ragioni, fai in modo di non vedere dentro le mie motivazioni la volontà di ferirti.

Perché non è la verità.

O forse lo è?

Dio.

Mi allontano dal suo viso, inorridita da questa consapevolezza che mi fa sentire ancora più sporca, più colpevole… e mi ritrovo a seguire il movimento del suo viso che si volta verso di me, lentamente.

E i suoi occhi mi guardano.

Dentro e fuori, sopra ed attraverso... con lo stesso sguardo smarrito e furente che ho visto solo in poche, distinte e devastanti occasioni.

Un freddo parcheggio.

Uno scuro salotto.

Un caldo corridoio.

Confusa ira e incerta risoluzione.

E prima che possa catalogare quello sguardo, la sua bocca e sulla mia, nella mia.

E la mia schiena sbatte contro il materasso e le lenzuola.

Le sue labbra premono e mi impediscono di gemere sorpresa.

Il suo corpo mi sovrasta, ma non mi schiaccia e mi divora.

Ad occhi chiusi, morde le mie labbra… la mia mascella e il collo e mi apre la gambe con le ginocchia.

Con controllata furia, misurata rabbia strofina la sua pelle sulla mia e mi accende.

Calore improvviso mi avvampa il viso, il corpo.

Caotiche onde di piacere si inseguono lungo la mia colonna vertebrale.

Dio – cosa sta succedendo?

Mi lecca, mi bagna con la bocca mentre le sue mani lucidano la mia pelle.

Il suono del suo gemito taglia l’aria quando la sua lingua prende contatto contro il mio capezzolo.

Qualsiasi reticenza nei confronti del silenzio costretto dimenticata.

Scena capovolta, sono io quella che si trattiene adesso.

Per la confusione, credo, per la sorpresa.

Forse anch’io per paura.

O forse per il desiderio.

Le sue mani percorrono i miei fianchi e le mie cosce e risalgono fino a fermarsi sul mio bacino, che ha cominciato a muoversi piano senza che me ne rendessi conto.

Lo sto assecondando, lo sto seguendo… lo sto incitando.

Non ho la forza per impedirlo perché è troppo quello che sento… troppo intenso… troppo confuso.

Quando le sue labbra ritornano sulle mie un inaspettato ansimo scivola dalla mia gola.

Volevo la sua bocca.

Volevo le sue mani.

Lo voglio.

Nulla di più chiaro di questa consapevolezza nella mia mente in questo istante.

Cerca i miei occhi con quella ostinata intensità di quel preciso momento in cui l’ho sentito entrare dentro di me… la prima volta, mentre le sue dita si spostano dalla mia coscia al mio centro.

Dio.

Ansimo ed inarco la schiena mentre il calore fa evaporare le lacrime che non ho versato e la mia vista si confonde sotto quelle dita che scorrono su di me.

Perfette… perfette.

Incredibili quelle dita.

Gemo e gemo ancora.

I miei occhi si serrano sotto il peso delle palpebre.

Dio.

Il suo respiro rapido e bollente è quasi freddo sulla pelle del mio viso, mi fa rabbrividire.

Le sua mani mi fanno tremare.

“Guardami” dice ancora… ma la sua voce è spezzata dal suo respiro.

Non è un ordine, non è un comando… e neppure una richiesta.

Lo faccio… ancora una volta.

Riapro le palpebre lentamente e mi perdo nell’oscurità delle sue iridi nello stesso momento in cui lo sento entrare dentro di me.

Di nuovo.

Dio. Dio. Dio.

Non credevo sarebbe mai più accaduto.

Ansima ed io mi aggrappo con le dita e con le unghie alle sue scapole con la poca forza che mi è rimasta.

Il piacere scorre sotto la mia pelle, invade ossa, carne e muscoli.

Sale e scende, è ovunque nello stesso attimo.

Entra ed esce da me come sta facendo Mulder, adesso, con lo stesso identico movimento misurato e sicuro.

Dimentico ogni cosa… le voci nella mia mente cadono nell’oblio.

Tutto quello che so è quello che percepisce il mio corpo.

Il resto è aria.

Nascondo il viso e gli occhi incandescenti nella sua spalla mentre le mie braccia lo stringono forte. Le mie unghie segnano la pelle sudata della sua schiena.

Da nessuna parte.

Con nessun’altra.

Qui.

Rimani qui.

Oh Dio.

Incomincia a spingere più forte… più veloce.

Inarca la schiena e libera il mio viso dal rifugio della sua spalla.

Ricado nel suo sguardo, tremo, mi perdo e sento ancora il sussurro dei suoi occhi.

Bisbigliano ‘lo vedi?… non può essere sbagliato… non è sbagliato, non è vero?’

DIO.

Si… è sbagliato.

Lo è… non posso mentire.

E’ sbagliato e così incredibilmente intenso, forte, devastante.

Volto il viso fino ad appoggiare la guancia sulle spesse lenzuola arricciate.

Scappo da quello sguardo, ancora una volta, fuggo da quello che provo.

E per risposta le spinte diventano più rapide e più profonde.

La sua bocca sfiora il mio collo e la sola cosa che riesco a sentire è il suo respiro affannato e la velata rabbia che il suo corpo mi sta comunicando.

Rabbia verso di me.

Rabbia che merito, ma per ragioni che lui può solo ignorare.

Rabbia verso quello che crede sia ostinato diniego.

Ma si sbaglia… non sto negando niente… niente… non in questo momento, non ne sarei capace… è solo che non posso accettarlo.

Non adesso… forse mai.

“Lascia che accada” geme sulla pelle sensibile del mio orecchio e la sua lingua mi accarezza.

Oh Dio.

Quelle parole creano un vuoto d’aria nel mio petto… come se stessi precipitando dall’alto di uno scoglio….

Non posso – non posso – non posso - non posso - non posso - non posso – mi ripeto e mi ripeto ancora.

Ma i miei sensi non vogliono ascoltare e il piacere continua a salire… salire… dal bacino allo stomaco… dal petto al cervello.

E priva di ogni consapevolezza mi accorgo d’improvviso di essere all’apice.

E’ inaspettato e forte, questo orgasmo, mi fa tremare, sobbalzare, irrigidire e rabbrividire percorsa da onde roventi e gelide.

“Mulder” gemo incosciente e ricado sulle lenzuola, respiro a fondo.

Troppo.

Troppo quello che sento.

Troppo quello che non dovrei sentire.

E mi accorgo che si era fermato solo quando ricomincia a muoversi in me.

Fa leva sui suoi gomiti pericolosamente vicini alle mie guance per spingere più forte.

I suoi occhi sono serrati e mi sorprendo a sospirare dal sollievo.

So di volerlo guardare mentre rincorre il suo piacere.

Mentre cerca di raggiungere la liberazione da tutta la tensione che il suo corpo emana.

Ed ora posso… sono al sicuro fino a quando le sue palpebre rimarranno chiuse.

Dio… è così bello.

Lucido di sudore… concentrato su se stesso, su quello che sta provando.

Senza preavviso nuove scosse di piacere si liberano dentro di me.

Arrivano disturbate… da lontano… dal profondo.

E’ una nebbia… è una foschia… è un vortice che mi trascina a ritmo dei suoi gemiti.

E per un attimo, per un solo, singolo secondo… voglio credere che non sia sbagliato.

Voglio credere che sia bello e giusto come ho sempre pensato che dovesse essere.

Voglio negare la verità e perdermi in una menzogna.

Voglio pensare che questo sia un inizio e non un addio.

Per un attimo, Dio, solo per un attimo.

“Sculleee” sento appena e la sua fronte cade sulla mia.

Tremo.

Trema.

Il suo viso è troppo vicino per poterlo vedere.

Il suo respiro è troppo caldo nella gabbia che ha costruito per il mio viso e non posso sopportane la carezza sulla pelle.

Sulla bocca.

Lo bacio, allora.

Tocco la sua lingua con la mia, sfioro le sue labbra.

Ma il suo gemito riesce ad eludere la barriera della mia bocca mentre si irrigidisce e si svuota dentro di me.

Dio.

Così strana la sensazione che sto provando adesso….

Così assoluta… così indefinita.

Una sensazione di vita… mentre mi riempie di lui….

Astratta e reale.

Cade in pezzi sul mio corpo.

Mi schiaccia con il suo peso.

Mi ferma il cuore e mi toglie respiro il solo pensiero di averlo così completamente su di me….

Libera da ogni peso e da ogni responsabilità fino a che rimarrò qua sotto.

Ma intrappolata da quello che potrebbe diventare necessità….

Non deve diventarlo.

Non posso permettere che accada.

Ma inconsciamente accarezzo la sua schiena… cercando di calmare il suo respiro.

Strofino la fronte sull’osso sporgente della sua spalla lucida e bagnata di sudore.

Rimaniamo immobili e imprigionati per attimi troppo lunghi.

Attimi che presto diventano vuoti… senza senso.

Posso sentire il suo sudore diventare freddo sotto l’aria cupa della notte.

“L’ultima volta” dice e la sua voce e soffocata dalle lenzuola.

Ed i miei occhi si spalancano.

Dio.

La sua non è una domanda, un’affermazione… e neppure una contestazione.

Non è niente.

Lo ha solo detto.

E allora perché posso distintamente sentire la lama di quelle parole conficcarsi dentro il mio stomaco?

Sono parole *mie*, parole che la mia stessa bocca ha detto.

Parole che dovrei considerare una verità assoluta… qualcosa che non è una scelta ma una constatazione di fatti.

Non potrà più succedere.

Non dovrà mai più succedere.

L’ultima volta.

Merda.

Perché non voglio?

Perché deve essere tutto così dannatamente difficile?

Perché il dolore è destinato ad attraversare ogni piega ed ogni curva, perché deve filtrare in ogni maledetto poro di questa situazione.. questa relazione?

Sempre… lo ha sempre fatto.

E la serenità diventa una speranza utopistica e vuota come una boa in mezzo all’oceano, destinata a scomparire sotto la superficie dell’acqua alla prossima marea.

Posso accettarlo?

Posso lottare per cambiarlo?

No… non posso accettarlo e non posso neppure sperare di cambiarlo.

E rimango paradossalmente immobile, nel punto in cui tutte le correnti convergono.

Il punto in cui stringo Mulder, e lo sento lontano, irraggiungibile… come se fosse sull’altra sponda di questo oceano in tempesta.

Le mie mani scivolano sulla sua schiena fino a cadere sul materasso, pesanti.

Esauste.

Fisso le familiari ombre provocate dal bandito sole sul soffitto.

Il mattino bussa sulle mie finestre, pretende di entrare, costringendomi a mostrare alla luce quello che fino all’ultimo ho cercato di trattenere nell’oscurità.

Sono stata sconfitta.

Sopraffatta dalle maree.

Sono debole, fragile e manipolabile.

Sono rea e sono criminale.

E sono sola.

Sola.

Non mi sono mai sentita così sola.

E questa consapevolezza risale dal petto fino agli occhi e si condensa in lacrime, e mi muovo sotto di lui, cercando una via d’uscita.

Lasciami andare – lasciami andare – lasciami andare – supplica la mia mente.

Lasciami crollare da sola.

Ma il suo corpo diventa più pesante sopra il mio.

Improvvisamente teso.

Le sue gambe e il suo stomaco mi premono sul materasso, il suo torace si alza appena… ed il suo viso è sopra il mio.

Devo trasalire, perché l’immobilità ritorna istantaneamente movimento.

L’inconsolabile calma diventa disperata burrasca.

Sono ancore e catene, i suoi occhi, zavorre che mi tengono agganciata al fondo.

“Perché?” chiede in un sussurro.

Perché è sbagliato?

Perché è così maledettamente impossibile?

Perché è un illusione?

Perché non possiamo crederci?

Ed è l’ennesima lama dentro il mio martoriato stomaco.

DIO.

Ci ho provato, Mulder *devi saperlo*… Dio, ci ho provato.

Ho provato a crederci con tutto quello che avevo.

Ma non posso più, e soprattutto non adesso.

Perché è così difficile per te capire?

Questa… passione, questo sentimento… questa *cosa* che non riesco a definire è una fiamma che necessita ossigeno… troppo ossigeno.

Soffocherà, questa fiamma… perché non ho più ossigeno nemmeno per respirare.

Sono sott’acqua e non ho aria.

Non ho più niente.

E solo quando parlo mi rendo conto di aver distolto lo sguardo da quegli occhi, di aver chiuso le palpebre per tentare di proteggermi da questo sole… che sta diventando accecante.

“Mulder…” inizio… ma mi fermo, consapevole del fatto che non sarò mai in grado di confessargli queste verità.

Perché?

Perché non ho più niente ed ancora cerco di proteggermi?

Di nascondermi?

Perché ho qualcosa – riconosco d’improvviso.

Una illuminazione, un’epifania.

L’ho stretta tra le dita, quella cosa, l’ho tenuta in un pugno.

Non ho basi di partenza e non ho punti di appiglio, *ma* ho qualcosa.

Fede.

In me.

Ho perso ed ho ritrovato questa fede più volte in questi ultimi giorni che in tutto in corso della mia vita.

E’ scivolata, caduta, si è sollevata, è tornata ed è andata via.

Intermittente, discontinua.

Ma c’è stata… e c’è.

Adesso.

Riuscirò a tornare da me stessa, riuscirò a trovare un posto.

Devo solo avere fede.

Coraggio.

Determinazione.

Ma non devo, non posso, affrontare tutto e tutto in un solo momento.

Ed è questo che Mulder deve capire… ed accettare.

Non sono abbastanza forte per scendere a patti con il mondo intero.. e sicuramente non sono abbastanza forte per scendere a patti con lui.

Con questo… sentimento.

Non ora.

Ed è per questo che è sbagliato….

Ed è per questo che non potrà mai essere giusto, finché non sarò, saremo abbastanza forti per la resa dei conti.

“Non… non posso deconcentrarmi, Mulder… non adesso” espiro.

Ed intanto prego e spingo stanca il suo corpo via da me – lasciami andare, liberami, fammi alzare ed afferrare questa fede.

E’ già così difficile… e diventerà impossibile se continuerai a rimanere sopra di me.

La temperatura del sul corpo sale da 0 a 100 in una questione di attimi.

Attimi che ho speso a far girare le sole parole coerenti che sia riuscita a dire nella giostra della mia mente.

non posso deconcentrarmi non posso deconcentrarmi non posso deconcentrarmi non posso deconcentrarmi….

“Cosa?” sento arrivare dall’alto.

Incredulità, in quella parola… ma soprattutto rabbia.

Potrei di certo discernere ogni emozione che pervade Mulder se voltassi il viso e mi concedessi di guardarlo.

Ma non ho abbastanza coraggio, non ancora.

Non rispondo.

Rimango immobile ed aspetto mentre la corda bagnata continua a stringere… sempre più forte.

Il silenzio torna compatto, torna ad essere corrente.

“C-osa?” sento di nuovo, ma quella parola e spezzata adesso.

Mi raggela, e sono quasi sicura che anche lui sia rimasto sorpreso quanto me dal tono di quella parola.

Che sa ancora di rabbia, ma anche di qualcosa di molto simile al dolore… alle lacrime.

Lacrime che non voglio sentire e lacrime che SO che non vuole versare.

“Mulder…” provo e, Dio, non mi sono rimaste neppure parole da dire.

Non ho niente da darti, Mulder… perché non lo capisci?

Nessun conforto… nessuna speranza… nemmeno una parola.

E continuo a non rispondere alle sue domande.

Continuo a nascondermi dai suoi occhi.

Continuo a sperare che questo attimo finisca adesso.

“Tu… tu stai cercando di… *punirmi*” afferma.

Solo una remota ombra di scetticismo nella sua voce.

Se non fosse per quell’ombra, sarebbe dannatamente sicuro di quello che dice.

Ed immediatamente finisco dall’altra parte, sono la colpevole…

“No” bisbiglio “no” e non è lui che sto cercando di convincere… “non lo sto facendo”.

Mi volto verso di lui, ogni disperso grammo di coraggio impegnato in questa impresa.

Credimi – cerco di dirgli quando incrocio i suoi occhi colorati di nero come l’ira e di verde come il desiderio di credere davvero alle mie parole.

Credimi – ripeto… e lo dico a me stessa.

E il calore del suo corpo abbandona il mio troppo rapidamente.

Mulder ricade su un fianco prima di appoggiare la schiena sulle lenzuola.

Il tonfo mi fa sbattere le palpebre come un colpo di pistola.

Il freddo mi fa tremare.

Non vorrei, ma lo seguo con lo sguardo… sentendomi improvvisamente troppo libera.

Voglio questa libertà?

Non sono in grado di darmi una risposta, ma, qualunque sia, la volontà non è coinvolta in questo processo.

E’ bisogno.

Ho bisogno di questa libertà.

Ed anche se ha un sapore amaro, devo tenerla sotto la lingua… perché solo con la libertà potrò guarire.

Ma sono ancora troppo nuda.

Troppo scoperta.

Il sole, mi ricordo, quel sole che fa male agli occhi, quel sole che mostrerà ogni aspetto della realtà che ho soffocato nel corso di una notte infinita…  è da li che devo incominciare.

Stacco la schiena dal materasso, piego le ginocchia e mi sporgo in avanti.

E mi accorgo che l’aria è più rarefatta, qua su… fa quasi male respirare.

“Il volo…” gli ricordo, sono certa che mi stia ascoltando.

Lo sento trattenere il respiro.

Mulder ha un volo da prendere, un caso da seguire, un lavoro da portare a termine.

Ha tutto quello che io non ho più.

Scendo dal letto così velocemente che quasi sorprendo me stessa.

Afferro e indosso l’accappatoio umido sotto il peso dei suoi occhi fissi su di me.

“Scully?” mi chiama… e posso affermare senza ombra di dubbio che *questa volta* ha capito quello che gli ho detto senza dire niente.

Mi dispiace, Mulder… ma ho ragione.

Ho dannatamente ragione, su tutta la linea.

Non c’è tempo per questo, non c’è tempo per nulla.

*Questo*… questo *noi* scende nella scala delle cose rilevanti.

- Non è quello che conta adesso -

“Preparo il caffè…” riesco a dire prima di scomparire in salotto e di lasciarlo da solo.

 

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To be continued...