UNDICESIMA RELAZIONE DEL
COMMISSARIO PER IL COORDINAMENTO
DELLE INIZIATIVE ANTIRACKET ED ANTIUSURA (estratto) Luglio 2000 […] 2. La campagna
di informazione L’avvio della campagna di informazione non è solo un
obbligo di legge, ma risponde all’esigenza di costruire una nuova fase
nell’iniziativa di contrasto. Essa è, pertanto, strumentale all’obiettivo
di trasformare il movimento antiracket ed antiusura da una dimensione
di testimonianza e di avanguardia in quella di un diffuso movimento
di massa, attraverso un più ampio coinvolgimento delle vittime. In questi mesi, la strategia di coordinamento dell’ufficio
del Commissario ha posto al centro della lotta al racket ed all’usura
una più consapevole assunzione di responsabilità da parte delle vittime;
lo si è detto molte volte e lo si vuole ripetere: solo attraverso la
collaborazione delle vittime con le istituzioni si possono ottenere
significativi risultati sia sotto il profilo del contrasto giudiziario
sia sotto quello della riduzione della diffusione di questi due fenomeni. Per queste ragioni occorre essere in grado di comunicare
in maniera chiara un messaggio positivo per coinvolgere le vittime.
I protagonisti dei fenomeni criminali trasmettono dei
messaggi che scoraggiano le vittime a resistere e ad opporsi. Nell’attività
del pizzo l’organizzazione mafiosa in questi anni ha consolidato un
suo codice comunicativo con messaggi chiari, duraturi, efficaci
e di immediata comprensione; una nuova fase di lotta al racket passa
attraverso la contestazione, punto per punto, dei messaggi mafiosi. L’esperienza di questi anni ci dice che il primo di
questi messaggi è: “se tu resisti o addirittura ti opponi al pagamento
del pizzo, noi colpiamo la tua azienda e ti procuriamo un danno economico
tale da rendere irrisoria la modesta cifra che ti chiediamo”. Tale messaggio si contrasta valorizzando lo strumento
di cui lo Stato si è dotato e che consente di risarcire in tempi rapidissimi
l’eventuale danno prodotto dall’organizzazione mafiosa. Oggi, attraverso
la nuova legge antiracket, lo Stato è in grado di dire con assoluta
certezza ad un operatore economico: “se subisci un danno alla tua azienda,
noi siamo in grado di risarcirlo immediatamente; se la mafia ti danneggia
il negozio, noi te lo facciamo riaprire più bello di prima e in tempi
rapidi”. Tale affermazione è oggi assolutamente credibile grazie
all’attività del nuovo Comitato
di solidarietà per le vittime dell’estorsione e dell’usura che in
poco più di sei mesi ha erogato più di 20 miliardi ad oltre 80 operatori
economici. Non siamo più di fronte ad una petizione di principio,
ma ad un dato concreto. Se l’attentato all’azienda minaccia la sicurezza
dell’impresa, la risposta dello Stato vanifica la ragione stessa dell’atto
intimidatorio, e quando questo dovesse avvenire ugualmente, ne annulla
gli effetti di insicurezza per le prospettive economiche del commerciante.
Soprattutto per chi vive del proprio onesto lavoro, molto spesso con
un piccolo negozio o una modesta azienda, frutto della fatica di generazioni,
del sacrificio quotidiano, di notti insonni, la sicura garanzia offerta
dallo Stato è un messaggio che ha un valore assolutamente eversivo. Il secondo messaggio del codice comunicativo di “Cosa
nostra” riguarda la minaccia alla sicurezza personale. Si dice, in un
crescendo dell’atto intimidatorio rispetto al livello di reazione della
vittima: “se denunci noi ti uccidiamo”. L’uccisione di un commerciante che denuncia non è motivata
da sentimenti di vendetta per l’arresto dell’estortore o per il mancato
profitto criminale. L’omicidio dell’imprenditore ha un valore altamente
simbolico: se ne colpisce uno per educarne 100. La morte dell’imprenditore
è lo strumento pedagogico dell’associazione mafiosa per impedire che
altri possano seguirne l’esempio. Gli omicidi di quest’ultimo decennio, pur essendo tra
loro diversi, hanno purtroppo realizzato il medesimo risultato. Così
è stato a Palermo con Libero Grassi, a Foggia con Giovanni Pannunzio,
a Gela con Gaetano Giordano: in queste realtà l’omicidio ha impedito
una significativa reazione da parte degli operatori economici, fatta
eccezione per qualche significativo e isolato episodio di ribellione,
e si è dovuto attendere anni perché avvenisse. Quando è in gioco la vita stessa dell’operatore economico,
non è facile contrapporre un messaggio positivo. Ma anche su questo
terreno vi è un’alternativa che occorre comunicare con un messaggio
capace di annullare il terrore prodotto dalla mafia. La risposta è più
facile e, soprattutto, più efficace di quanto si possa immaginare. Oggi non è più vero che chi denuncia rischia la vita:
se si denuncia con altri, attraverso l’associazione antiracket, il rischio
si riduce notevolmente. Anche questa non è una mera affermazione di
principio, ma un dato di fatto frutto di una esperienza concreta, che
ha portato centinaia di commercianti a testimoniare nelle aule di tribunale,
a far condannare gli estortori a migliaia di anni di pena, senza che
si sia mai verificato un solo atto di rappresaglia. Ciò è stato possibile
perché quando la denuncia non avviene nella terribile condizione di
isolamento e di solitudine, il rischio si riduce notevolmente, sino
a divenire fisiologico. Il messaggio alternativo a quello di Cosa nostra deve
valorizzare l’efficacia della risposta associativa e quindi promuovere
queste esperienze. Al terrore del messaggio mafioso dobbiamo contrapporre
la forza che si ricava dall’essere in tanti. L’attività associativa,
inoltre, determina una positiva reazione psicologica, per niente secondaria
per contrapporsi alle dinamiche di potere dell’associazione mafiosa.
Quando si è soli ed isolati, ci si sente sempre insicuri e si è alla
mercè dell’intimidazione mafiosa; quando si è con altri colleghi e con
essi si condivide l’esperienza del confronto con il fenomeno mafioso,
la soglia di percezione dell’insicurezza si abbassa notevolmente, si
diventa forti. L’estortore appare nella sua nudità, come un criminale
che può imporre la sua violenza solo a seguito della debolezza della
vittima, un criminale che può essere sconfitto. Un terzo messaggio si manifesta in forme meno clamorose,
ma altrettanto insidiose. Non ci sono atti di violenza ai danni delle
vittime, ma si gioca semplicemente sulla debolezza dello Stato. “Chi
te lo fa fare - dice il mafioso al commerciante - a metterti contro
di noi, quando dall’altra parte vi è uno Stato per nulla credibile?
In fondo - continua - non ti stiamo chiedendo una cifra impossibile,
il pizzo può essere uno dei tuoi costi di impresa, del resto è proporzionale
al tuo reddito e da questo punto di vista è giusto.
Perché devi essere così stupido da metterti nelle mani dello Stato che
poi ti lascerà in mezzo ad una strada e non riuscirà neanche a garantirti
la necessaria protezione?” Questo è il messaggio che è più difficile contestare.
Intanto, perché purtroppo in questi anni l’esperienza di chi ha denunciato
è stata quella di soggetti “perdenti”, doppiamente penalizzati, costretti
spesso a chiudere la propria azienda, ad abbandonare il proprio ambiente
e i propri amici, a sradicare la propria famiglia. Per questo la risposta
più efficace deve esser quella di presentare come modello vincente quello
di chi si oppone: vincente sia sotto il profilo economico, in quanto
il danno che potrebbe subire viene garantito dallo Stato, sia sotto
il profilo dell’inserimento nella propria comunità. Il risarcimento assicurato dalla legge antiracket interviene come strumento
di difesa; si tratta invece di porsi in una condizione di attacco: il
messaggio decisivo deve essere: la collaborazione con lo Stato è assolutamente
conveniente. Oggi si può parlare di una sensibilità nuova delle
istituzioni su queste problematiche: da questo punto di vista ormai
vi sono segnali quanto mai consolidati. L’impegno dello Stato toglie
ogni alibi a quanti, per sottrarsi ad una personale assunzione
di responsabilità, invocano l’inaffidabilità delle istituzioni. Occorre, però, un’iniziativa che renda più credibile
l’opzione della convenienza della denuncia rispetto alla rassegnazione.
Intanto bisogna porre l’accento sulla caratteristica più insidiosa della
dinamica estorsiva, che a fronte di modeste richieste di pizzo realizza
pericolose forme di invischiamento e di coinvolgimento della vittima
in pericolose attività criminali, fino a giungere all’inevitabile complicità;
questa infatti entra in una torbida area di rischio, mettendo a repentaglio
la propria stessa vita come orbitante nell’area delle associazioni criminali.
Ma questo non basta; la convenienza deve manifestarsi in un netto ritorno
economico. Questa oggi non è una generica speranza che si esibisce agli
operatori economici, ma una concreta possibilità. Liberare l’economia
dai condizionamenti criminali produce inevitabilmente un rinvigorimento
della capacità di impresa, della voglia di investire e di lavorare.
Non in una prospettiva lunghissima, ma nel medio termine si può realizzare
un mercato in cui ogni impresa sia finalmente libera, in condizione
di parità con tutte le altre e con le medesime opportunità: questa è
la precondizione di un qualsiasi sviluppo economico. La dimensione di massa dell’antiracket si fonda sul
principio di convenienza: la scelta di denunciare non può più essere
solo una scelta di tipo morale che impegni la propria coscienza: se
si vuole costruire questa nuova prospettiva bisogna sollecitare l’interesse
economico dell’imprenditore attorno alla convenienza. Anche per contrastare il fenomeno dell’usura occorre
promuovere messaggi comunicativi capaci di contrastare quelli degli
usurai e non solo di essi. Un primo messaggio che prioritariamente occorre contrastare
è quello che considera l’usura come l’unica soluzione per una drammatica
difficoltà economica. Quando si ha bisogno impellente di denaro e si
trovano tutte le porte chiuse, l’usuraio può apparire come il salvatore;
lo strozzino stesso accredita tale positiva immagine di sé e proprio
su ciò fonda quel perverso legame di dipendenza con cui tiene legata
la vittima. Sappiamo tutti che non è così, e bisogna insistere nel rappresentare
al contrario le insidie dell’usura. Chiunque si sia rivolto ad un usuraio
ha incontrato solo e sempre il proprio carnefice, colui che attraverso
gli interessi a strozzo toglie ogni bene, ogni proprietà, anche la libertà
alla propria vittima. Un secondo messaggio negativo da aggredire è quello
che porta la vittima a giustificare comunque il ricorso all’usuraio.
Dice a se stessa che nessuno è disponibile all’aiuto, che vi è una grave
responsabilità delle banche che non offrono denaro in prestito, che
la comunità nel suo insieme manifesta ostilità nei confronti di chi
si trova ai margini della vita economica. Gli atteggiamenti giustificatori sono quanto mai pericolosi
perché possono diventare un alibi per il ricorso all’usura. Il messaggio
da promuovere da un lato deve essere quello di uno Stato e di una comunità
che manifestano a chi si trova in difficoltà economiche o è già vittima
di usura una concreta solidarietà, una concreta condivisione del destino
di sofferenza: in tal senso a partire dagli aspetti normativi ha finalmente
fatto passi avanti l’idea che chi è usurato è meritevole della condizione
di vittima, indipendentemente dalla responsabilità che egli ha o ha
avuto nel determinare il suo percorso d’usura. Dall’altro lato però
non bisogna avere alcuna esitazione, né giustificare a nessun costo
anche di fronte a qualunque altra difficoltà il ricorso al credito usuraio;
anzi, la solidarietà verso chi è vittima deve essere accompagnata da
un atteggiamento di critica e di correzione di un errore compiuto. In
questa prospettiva un messaggio positivo non può che essere anche educativo,
in primo luogo rivolto a promuovere un uso responsabile del denaro. Un terzo messaggio da contrastare è quello secondo
il quale il soggetto che si trova in difficoltà economiche non ha di
fronte a sé alcuna alternativa. Questo per fortuna non è più vero, anche
se ancora molta strada deve essere compiuta. Esiste oggi nel nostro
paese, da un lato, una realtà di associazioni capaci di costruire una
credibile alternativa per chi si trova in difficoltà economiche, dall’altro,
una impegnativa legislazione capace di offrire aiuto adeguato a chi
si trova in difficoltà economiche o a chi è vittima di usura. Lo Stato ha il dovere di valorizzare gli strumenti
di cui si è dotato. Chi è sotto usura e svolge un’attività economica,
se denuncia può ottenere un mutuo senza interessi per reinserirsi nell’economia
legale. Oggi si è in grado di erogare questo mutuo in tempi brevi e
ciò non può che costituire un oggettivo incoraggiamento ad abbandonare
la condizione di dipendenza usuraia. E’ questa una ragione non secondaria
che rende conveniente la denuncia. Per chi invece si trova in difficoltà
economiche esiste la possibilità di un concreto aiuto in termini di
prevenzione sia attraverso le fondazioni sia, in caso di operatori economici,
attraverso i Confidi. La campagna di comunicazione che abbiamo impostato,
se punta a demolire quei messaggi negativi legati a fenomeni estorsivi
ed usurai ha, e non potrebbe essere altrimenti, un’innegabile forza
positiva. Non è drammatizzando la condizione delle vittime che si può
aprire una prospettiva di speranza: bisogna al contrario valorizzare
il più possibile la condizione di chi non è vittima, di chi non lo è
più, di chi ha trovato la forza per uscirne: qui si fonda la forza del
messaggio positivo. Roma, 28-8-2000 (Tano
Grasso) |