Mi è stato chiesto di introdurre questa seconda giornata che ha un titolo molto chiaro: “Istituzioni ed associazionismo: una battaglia comune”. Come abbiamo sentito ieri, attraverso lo spirito positivo che ci ha accompagnato dall’apertura grazie all’intervento di Pina Grassi - perché è attraverso le testimonianze così vissute, di chi ha pagato sulla propria pelle, che ci riesce ad entrare davvero dentro argomenti come questo e insieme anche a guardare avanti - il dato che emerso è che è avvenuto, nell’arco di questi 10 anni, un grande cambiamento.
All’inizio
degli anni ’90 c’era un clima invivibile dominato dalla violenza e dalle
estorsioni. E infatti proprio all’inizio degli anni ’90 accadono due
avvenimenti fondamentali che non possiamo non ricordare: il primo nel 1990 a
Capo d’Orlando, dove un gruppo di amici - qui presenti - commercianti, con Tano
Grasso in testa, si organizza, denuncia, fa arrestare, collabora con le forze
dell’ordine e la magistratura; il secondo, nell’agosto 1991, Libero Grassi: come
diceva Tano Grasso, la sua morte, ma anche quell’atto di coraggio e di
intelligenza, che scuote ed interroga, e da lì, da questi atti di coraggio,
nascono le associazioni antiracket.
Più tardi a
Napoli Padre Massimo Rastrelli si interroga rispetto al suo vissuto, al suo
territorio, alla sua gente, concretizza e dà vita ad una rete sociale: nasce la
prima fondazione antiusura; oggi questa realtà si è diffusa e negli ultimi anni
altre associazioni, altre realtà, altre presenze si sono aggiunte; tra cui il forum
presieduto dal Prof. Conso che vuole leggere l’oggi, ma anche cercare di capire
quali percorsi in più si possono costruire e infine sono nati i consorzi di
garanzia fidi, costituiti quasi sempre nell’ambito delle associazioni di
categoria.
Ecco, vorrei
partire da questi ultimi 10 anni, dalla fatica, dal coraggio,
dall’intelligenza, dalla denuncia, dalla collaborazione, per entrare nel tema
di oggi. Da questo dato positivo: la presa di coscienza che è possibile se si
lavora insieme. E per lavorare insieme, e la storia di questi anni ce lo ha
indicato, bisogna distinguere tre piani diversi.
Il primo piano
è quello delle persone. Bisogna offrire opportunità agli imprenditori, ai
commercianti, a chi vive la condizione dell’estorsione e dell’usura. Questo è
il ruolo delle fondazioni, delle associazioni, degli sportelli dedicati ad
accogliere chi è sotto il tallone degli usurai o degli estortori.
Il secondo
piano è quello delle alleanze. Bisogna creare maggiori alleanze fra le stesse
associazioni; non ci possono essere navigatori solitari, perché la divisione, i
protagonismi e le etichette - che non
vuol dire perdere la propria identità e le proprie caratteristiche - fanno il
gioco degli altri. Il fatto che associazioni e fondazioni, così variegate e
diverse fra di loro, stiano oggi insieme è un importante e positivo elemento di
crescita dell’intero movimento che abbiamo registrato soprattutto negli ultimi
anni.
Terzo piano di
riferimento: il racket e l’usura si possono vincere solo nella prospettiva di
una forte alleanza tra istituzioni e società civile. Dobbiamo creare strategie
comuni, lavorare insieme, questo è importante e positivo. Credo che in base
alle testimonianze, all’esperienza, alla storia di questi anni, alle sottolineature
forti che da più parti ieri sono emerse, tutti siamo consapevoli della
necessità di questo percorso comune. E insieme siamo coscienti che nessuno può
farcela da solo: non è uno slogan, ma è un dato di fatto.
Al di là di
questi tre piani di riferimento c’è bisogno di coerenza e di collegamento fra
le diverse realtà. Coerenza che non è omogeneizzazione ma vuol dire
comprensione dei ruoli ad ognuno destinati, dei compiti diversi all’interno di
un progetto complessivo, ognuno deve fare la sua parte rispettando le
competenze degli altri, dialogando, confrontandosi, ognuno deve assumersi la
sua quota di responsabilità. Questo non vuol dire che associazioni perdano la
caratteristica forte che ne costituisce l’anima cioè la libertà, l’autonomia.
Dobbiamo continuare sempre ad essere una coscienza critica rispetto alle
istituzioni; disponibilità, collaborazione, progettare, costruire insieme,
certo, ma anche essere una coscienza critica. Il nostro ruolo deve essere di
stimolo ma anche di provocazione, se necessario, perché le istituzioni sono
chiamate a fare fino in fondo la propria parte. Guai se le associazioni
diventano le delegate di qualcuno, è quello che non vogliamo e che non deve
avvenire. Lo Stato, la politica, le rappresentanze degli interessi, il sistema
bancario, l’informazione, le scuole sono chiamate a lavorare insieme ognuno con
i propri ruoli, con le proprie competenze e con le proprie responsabilità, ma
anche con la propria libertà.
Credo che sia importante
usare una parola a volte abusata, ma che qui è utile ripetere: il lavoro di
rete.
A testimoniare l’importanza
del lavoro di rete vorrei raccontarvi un interessante esperimento sociale che
hanno fatto nei Paesi Bassi, all’interno del generale dibattito sulla sicurezza
che coinvolge anche il loro Paese. Per rispondere al grido che proveniva dai
loro cittadini sempre più insicuri e fragili,
hanno diviso un’area in quattro zone, sperimentando quattro percorsi
diversi di risposta alla domanda di sicurezza. Nella prima zona hanno condotto
una “politica immutata”, non hanno fatto nulla di diverso rispetto a prima.
Nella seconda zona hanno fatto politiche di intervento mirate verso la droga o
la prostituzione. Nella terza zona
invece hanno dato la risposta più vicina alle richieste dei cittadini
aumentando le forze dell’ordine, e questa
è la risposte più facile perché delega agli altri. Nella quarta zona
infine la sperimentazione scelta è stata quella del lavoro di rete, dove: dalle
chiese alle associazioni, dalle scuole alle forze dell’ordine, dalla
magistratura ai cittadini si è lavorato a far prendere coscienza che il
cambiamento è possibile se ognuno fa la propria parte. Dopo due anni di
sperimentazione nelle quattro diverse zone il dato che emerge è che è più
efficace, efficiente ed economicamente conveniente il percorso di rete. E
allora questo per dire che su questo tema, - come su altri - il costruire rete,
il lavorare insieme, è la strada giusta. Ce lo dice questa, ed altre
sperimentazioni. Il lavoro di rete consente inoltre di mantenere la continuità
nel lavoro, perché se c’è una parola che va scritta a lettere cubitali sul
Parlamento italiano, e non solo su quello, è la parola continuità. Bisogna
superare le ondate emotive o le risposte alle situazioni contingenti. C’è bisogno
di continuità.
La questione della sicurezza e della corruzione
Un altro dato
su cui voglio riflettere, perché mi sembra fondamentale, parte proprio da quel
grido per la sicurezza che si alza dalle nostre città. E voglio dire: basta con
questo discorso sulla sicurezza. Per correttezza bisogna dire che quel grido di
sicurezza è un grido legittimo, sacrosanto;
non è in discussione il diritto alla sicurezza che tutti i cittadini
hanno, compreso i più fragili, i più deboli, i più poveri. Ma la mia inquietudine
si rivolge alla strumentalizzazione che avviene oggi intorno al tema della
sicurezza, questo tema infatti ha calamitato oltre misura su di sé le
attenzioni con il rischio di farci perdere di vista la lotta alla criminalità
organizzata ed alle mafie. Voglio qui esprimere la mia riconoscenza, schietta e
sincera rispetto al grande lavoro delle forze dell’ordine, della magistratura,
di chi è chiamato tutti i giorni a misurarsi in contesti difficili e contro le
diverse e sempre più complesse forme della criminalità. Dicendo questo però
voglio anche esprime la preoccupazione per un dibattito che rischia di far
assumere alla questione della sicurezza il ruolo del killer che calamita su di
sé - oltre misura - tutte le attenzioni. Così facendo si perdono di vista molte
problematiche altrettanto importanti compresi i segnali che le mafie hanno
ripreso a controllare socialmente ed economicamente il territorio anche
attraverso nuove modalità di azione.
Quindi, al di
là della gratitudine per quanto fatto fino ad ora, bisogna prendere coscienza
che c’è una reale e inquietante crescita mafiosa nel nostro paese con forme di
controllo del territorio pressanti anche se, come detto, con modalità diverse.
Perché non possiamo pensare che quelle migliaia di miliardi di Agenda 2000
lascino indifferenti la criminalità organizzata e le mafie. Soprattutto visto
lo sforzo compiuto dalle organizzazioni criminali per essere sempre più
presenti nel mercato legale. E allora non possiamo perdere di vista tutto
questo mentre parliamo del tema della sicurezza dei cittadini, della
criminalità diffusa. Non possiamo non legare il problema della sicurezza con
quei fili che lo portano ad una dimensione più complessa dove esistono le
connessioni con la criminalità organizzata e le mafie.
Lo stesso vale
per il racket, l’usura, e l’estorsione. Perché anche lì ogni tanto si rischia
di rinchiudersi nell’analisi specifica. Allora è giusto approfondire una
riflessione sui vissuti personali, sulle dinamiche proprie dell’estorsione e
dell’usura, ma è anche importantissimo non perdere di vista la dimensione più
alta di lotta alla criminalità organizzata ed alle mafie. C’è quindi bisogno in
questo senso di una giustizia più veloce, di uomini, di strumenti, di mezzi, di
sostegno a chi opera in questa direzione, perché - ve lo devo dire con estrema
fatica - purtroppo sta ritornando diffusa la perdita di percezione
dell’illegalità. Il Parlamento allora faccia in fretta a votare quei disegni di
legge contro la corruzione, perché questa perdita di percezione dell’illegalità
è un segnale che noi riscontriamo in molti contesti diversi.
Non è un caso
che sono proprio i comuni di “avviso pubblico”, che da tanti anni lavorano
insieme a noi di “Libera”, a rilanciare in Italia una campagna contro la
corruzione. Perché sono gli amministratori che toccano con mano come il
problema della corruzione abbia ripreso alla grande e a tutti i livelli. E io
credo che il Parlamento debba assolutamente approvare questi disegni di legge
che, tra parentesi, sono anche il frutto del lavoro di forze politiche diverse.
Ma l’aspetto
che a noi delle associazioni sta molto a cuore è quello della prevenzione: che
significa informare e costruire percorsi educativi. Per questo credo che sia
positiva la campagna di informazione che il Commissario ha voluto lanciare,
perché attraverso questa campagna è un invito ad uscire dalla vergogna, a non
piegarsi e a non scappare. E’ un segnale importante che offre un’opportunità ed
un riferimento e che dice anche con concretezza che è possibile.
Prevenzione
significa informare e costruire cultura. Voi mi insegnate che non c’è
cambiamento senza conoscenza, senza informazione e soprattutto mi insegnate che
non si costruisce giustizia senza cultura. Infatti non basta la solidarietà che
pure è importante ma che a volte può trarci in inganno. La solidarietà è uno
strumento che deve essere affiancato da un altro strumento: la legalità. Solo
così noi possiamo raggiungere quello che deve essere l’obbiettivo cioè la
giustizia. Solidarietà e legalità sono gli strumenti per costruire la
giustizia. Una giustizia che deve essere costruita quindi attraverso la
cultura, l’informazione e i percorsi educativi.
Ma qui c’è un
grande nodo inquietante che è l’orizzonte culturale in cui tutti siamo immersi.
Perché se l’orizzonte culturale è centrato sulla prestazione, sull’adeguatezza,
sulla ricchezza, sulla bravura, sulla bellezza, se schiaccia i giovani come
schiaccia gli adulti, se invita la gente a prendere percorsi non giusti, allora
rispetto a questa dimensione, che è radicata nelle realtà con cui ci
confrontiamo, dobbiamo comportarci con coerenza. Dobbiamo reagire di fronte a
chi incita alla violenza: al videogioco in commercio che insegna come ammazzare
il padre o a quello che descrive come attaccare allo stadio le forze
dell’ordine o insegna le strategie per invadere il campo e per sconfiggere gli
ultras dell’altra squadra.
Di fronte a
questo orizzonte culturale io credo che l’impegno di tutti noi deve essere
quello di avere coraggio di essere inadeguati e di attrezzarci per il
cambiamento.
Poi c’è
l’importante ruolo svolto dell’informazione che oggi è caratterizzata sempre
più dalla velocità, dall’approssimazione e dalla leggerezza. Ho grande rispetto
per quel mondo della comunicazione e del giornalismo dove si trovano
giornalisti seri, attenti, puntuali e documentati, però devo dire che c’è anche
molto pressappochismo e questo non ci aiuta a capire. Infatti quando
l’obiettivo primario è quello di intrattenere e non più di raccontare, di
approfondire e di descrivere, quando l’informazione diverta merce, e si butta
nella competizione commerciale c’è un impoverimento dei linguaggi, degli
argomenti e sovente un occultamente di parti importanti del problema. Questo
per dirvi che anche quando dobbiamo parlare di usura o racket, bisogna imporre
un’informazione corretta e documentata.
Di fronte a
questo orizzonte culturale e a questo tipo di informazione c’è una domanda di
fondo che dobbiamo farci: cosa pensano i giovani oggi di tutto questo? Perché
poi non possiamo sorprenderci se sta crescendo la sfiducia dei giovani rispetto
al mondo degli adulti, della politica, dello Stato. Questo non deve
scoraggiarci, ma spingerci a lavorare sulla
dimensione educativa, esaltando il protagonismo dei giovani lavorando
insieme a loro. Anche da parte delle istituzioni deve essere recuperato un
rapporto con i giovani investendo in percorsi educativi.
Infine mi piace
concludere facendo notare che la legge 108/96 precede immediatamente la legge
109/96 che è dedicata all’uso sociale dei beni confiscati alle mafie. Sono due
leggi gemelle volute dalla società civile. Lo dico perché queste due leggi, una
dopo l’altra, affermano il positivo che è emerso dal lavoro di questi anni,
anche se con le ombre che sappiamo, e ci fanno esprimere con gioia che, quando
pubblico e privato lavorano insieme in rete, il cambiamento è possibile.
I segnali di
speranza ci sono. Quando il Presidente della Repubblica pochi giorni fa,
durante il summit internazionale sulla lotta alla criminalità ed alle mafie a Palermo,
è sbarcato a Corleone noi di Libera gli abbiamo presentato un milione e mezzo
di metri quadrati di terra confiscati ai boss di “cosa nostra” che sarà gestito
da cooperative di giovani attraverso un consorzio costituito da cinque comuni.
Questo significa dignità, futuro e speranza. Vuol dire che il denaro di questi
criminali deve essere restituito alla collettività e questo è un altro segnale
di giustizia e di speranza che si lega
all’impegno di tutti noi che siamo qui presenti.
Don Luigi Ciotti
Presidente
"Libera"