È appena un
anno che, nell’ambito dell’Osservatorio socio-economico del CNEL, è stato
istituito questo Forum delle associazioni antiracket ed antiusura, anche se
sarebbe stato forse meglio parlare di associazioni antiracket e fondazioni antiusura. Funzioni del Forum
– precisa il suo statuto – sono : “la verifica dell’andamento complessivo dei
fenomeni in atto; la definizione di proposte normative atte al miglioramento
della strumentazione esistente; la ricerca di intese e collaborazioni con altri
livelli istituzionali; la promozione – in sintonia con il Commissario per il
coordinamento delle iniziative antiracket ed antiusura – di azioni di
informazione, formazione e sensibilizzazione, sia delle categorie e delle popolazioni
maggiormente esposte, sia degli operatori impegnati nelle azioni di contrasto,
prevenzione e di tutela e assistenza alle vittime dei fenomeni; l’indicazione
di problematiche sociali ed economiche emergenti nel territorio; la
comunicazione di ogni indicazione utile a limitare i danni sociali ed economici
determinati da usura e racket; e la ricerca di connessioni di carattere
generale che collegano detti fenomeni alla criminalità organizzata”.
Poiché il Forum
si occupa sia dell’estorsione che dell’usura, il primo problema da affrontare
riguarda i rapporti fra questi due delitti, che, come ha giustamente notato l’On.
Tano Grasso, hanno sicuramente, da un punto di vista sociologico, molto in
comune così da giustificare l’adozione di una strategia almeno in parte
unitaria. Non bisogna però, sottovalutare le tutt’altro che lievi differenze
riscontrabili tra estorsione ed usura sotto il profilo giuridico. Anche se dall’odierno
dibattito sta via via emergendo che i collegamenti non mancano, la qual cosa
giustifica il parlarne congiuntamente, al tempo stesso sta pure emergendo la
necessità di caratterizzare meglio ciascuna delle due fattispecie rispetto all’altra.
Una cosa sembra
comunque indiscutibile, specialmente alla luce di ciò che abbiamo ascoltato
stamani: l’estorsione è, per così dire, la “sorella maggiore”, se non altro perché
l’impegno a contrastarla con metodi nuovi è partito ben prima della lotta all’usura.
Da cui, anzitutto, l’esigenza di assumere come modello quanto già sperimentato
sull’altro fronte, a cominciare dalla vicenda che prende il nome da Capo d’Orlando,
luogo ed occasione di autentica svolta storica.
Non sono però
soltanto ragioni di “anzianità” a far presentare l’usura nelle vesti di “sorella
minore”, con conseguente inevitabile ritardo nell’adozione di adeguate misure
di contrasto. Una buona parte di colpa della “minorità”, che storicamente segna
i destini della reazione all’usura rispetto a quanto ha caratterizzato la
reazione all’estorsione, risale all’ambiante penalistico nel suo insieme,
dottrina compresa. E ciò nel senso che, per tradizione, l’estorsione rispetto
all’usura viene considerata argomento più delicato, o, meglio, più forte; in
una parola, più importante. Prova ne sia che in passato i contributi di studio
sull’estorsione “contavano” maggiormente di quelli sull’usura. Ora, la
situazione comincia piano piano a cambiare, anche se, purtroppo, ciò è dovuto
al doloroso esplodere del fenomeno usurario, sia quanto a diffusione sia quanto
ad evidenziazione.
Ecco perché lo
studio dei rapporti fra le due fattispecie è uno dei compiti principali che il
Forum intende affrontare. Intendiamoci: anche chi, come me, ritiene che le
differenze siano rilevanti, continua a condividere la linea ispiratrice delle
leggi più recenti: mantenere congiunta l’analisi dei due fenomeni,
coordinandone la disciplina giuridica così da renderla il più possibile
ambivalente, di modo che la lotta l’una aiuti la lotta contro l’altra. Un
esempio: i fondi di solidarietà, pur divisi in capitoli, dovrebbero consentire
margini di manovra, tali da premettere che quello in migliori condizioni possa
soccorrere l’altro in difficoltà.
Dunque, niente
separatezza, ma interconnessione, non dimenticando che l’usura si presenta come
la sorella più debole.
Oltretutto, l’estortore
è un delinquente che attacca chi ha mezzi, mentre l’usuraio attacca chi è in
situazione di precarietà. In un periodo storico che comincia a mettere
finalmente in risalto la figura della vittima, un’attenta differenziazione
sociologica fra la vittima dell’un reato e la vittima dell’altro può avere
notevole peso nella considerazione dei rispettivi fenomeni.
Stamani abbiamo
ascoltato dati forti, molto significativi. Tano Grasso ha iniziato la sua ammirata
relazione ricordando, fra l’altro, che lo scoro anno sono stati erogati ventuno
miliardi a vittime di estorsione e cinque a vittime di usura: il rapporto non
ha bisogno di commenti, visto che le cifre parlano da sole. Ha poi aggiunto,
con accento preoccupato, che le denunce di usura sono in calo. Che cosa
significa? Sicuramente, non che stia diminuendo il fenomeno, dato che il
sommerso è notoriamente molto alto. Quando si parte da zero ogni gradino è un
successo, ma quando ci si confronta con un anno come il precedente, in cui le
denunce erano salite, ogni gradino sceso significa uno smacco.
Domandiamoci il
perché di questo calo. Quali le ragioni? Sarà la paura? Ci vorrebbe una
indagine sociologica. Intanto, urge far capire all’usurato che prima si fa la
denuncia, tanto meglio è. Attendere troppo per decidersi a parlare rende la
situazione sempre più difficile in tutti i sensi. Se affrontata all’inizio, più
facile è il venirne fuori. Certe volte basta poco per rimettersi in carreggiata.
Dopo, può essere troppo tardi.
Un’altra causa
di freno alla denuncia va, comunque, ravvisata in un fenomeno di portata più
generale, tanto generale che sta ormai facendosi, al tempo stesso, dramma
nazionale. Parlo dei processi interminabili, che tutto soffocano, offuscando
sempre di più l’immagine della nostra giustizia non solo all’interno, ma pure
di fronte all’Europa. Proprio questo è diventato problema assolutamente primario:
uno Stato senza giustizia, che Stato è? Né si creda di salvare la faccia
esibendo statistiche da cui risultano anche processi che si fanno molto in
fretta, magari in due o tre mesi. Attenzione: sono quelli che risolvono il relativo
caso con il patteggiamento. Ma questi patteggiamenti, che si stanno
moltiplicando perché facilitati al massimo, sono sovente un male peggiore dello
stesso ritardo. Accade infatti che per reati di notevole gravità si scenda sino
a due anni di pena, così da consentirne la sospensione condizionale. E ciò
avviene anche per l’usura. Il denunciato per usura, attraverso questo rito,
detto alternativo, riesce a cavarsela con una condanna senza effetti, né accessori,
né civili. La vittima rimane così beffata tre volte: la prima, perché con la
denuncia coraggiosamente fatta mirava ad ottenere una condanna di una certa
serietà; la seconda perché non vede applicate né pene accessorie né il
risarcimento del danno; la terza perché potrà incontrare in libertà il suo
usuraio, pronto magari a mettere in atto altre forme di aggressione.
Fino a che
questi problemi non saranno risolti, fino a che non si troverà il modo di riequilibrare i rapporti
tra i riti speciali ed il giudizio ordinario, anche accelerando quest’ultimo, ci
sarà poco da illudersi sull’incremento delle pur tanto necessarie denunce per
usura. Al tormento che accompagna questo auspicabile passo non devono
aggiungersi altri tormenti: l’esperienza diventerebbe insostenibile.
Credo che
dobbiamo studiare il problema ad ogni livello, attenuandone a tutti i costi gli
effetti perversi. Il Forum sicuramente cercherà di dare un suo contributo.
Intanto, c’è un’osservazione che si potrebbe subito fare: il giudice, investito
della proposta di patteggiamento, dovrebbe respingerla, ritenendo “non congrua”
la pena di soli due anni per un delitto quale l’ignobile usura. L’obiezione
che, così operando, il processo si allungherebbe di molto non mi sembra fornita
di forza sufficiente a scalfire valori sostanziali superiori: l’accelerazione
dei processi va certamente perseguita, ma con strumenti idonei a realizzare o,
almeno, non tradire i veri fini della giustizia.
Giovanni Conso
Presidente Forum delle
associazioni antiracket ed antiusura