Prima
Conferenza nazionale contro l’estorsione e l’usura
16 e 17 gennaio 2001
Relazione di Tano Grasso
Commissario per il coordinamento delle
iniziative antiracket ed antiusura
Saluto
il Signor Presidente della Repubblica e lo ringrazio di averci onorato della
Sua presenza, che costituisce per tutti una ragione di impegno e di
responsabilità.
Ringrazio
per la loro partecipazione il Vice-Presidente della Camera, On. Alfredo Biondi,
gli On. Ministri della Giustizia e dell’Interno, il Vice-Presidente del
Consiglio Superiore della Magistratura, il Presidente del CNEL, tutti i
parlamentari e gli esponenti del Governo presenti, l’On. Cirilli in
rappresentanza della Regione Lazio, il Dott. Silvano Moffa, Presidente
dell’Amministrazione provinciale di Roma, l’Assessore Cioffarelli in
rappresentanza del Comune di Roma, i vertici delle Forze dell’ordine, tutte le
Autorità e le Alte cariche dello Stato convenute, le Autorità religiose.
Prima
di iniziare la mia relazione, che per ragioni di brevità leggerò parzialmente e
sarà distribuita integralmente, consentitemi di rivolgere un particolare
ringraziamento al Ministro dell’Interno, Enzo Bianco, per il sostegno ricevuto
in questi mesi: il suo impegno ha consentito di giungere a questa importante
assise.
1.
Signor
Presidente, lo scorso 7 dicembre Lei ha ricevuto una delegazione di
commercianti provenienti dalla Sicilia; 10 anni prima quegli stessi uomini
avevano costituito, a Capo d’Orlando, la prima associazione antiracket
d’Italia. 10 anni fa aveva così inizio un’avventura di solidarietà, un nuovo
modello di lotta alla mafia.
Allora
la scelta di unirsi, fatta da quei commercianti, affermò una normalità di
comportamento in un mondo in cui la logica era ben altra. A quei tempi per un
operatore economico era infatti normale che alla richiesta di “pizzo”
bisognasse cedere e che questo costo fosse considerato uno dei normali costi di
impresa, una tassa. Quella prima esperienza ruppe una consolidata tradizione:
ci si domandò: “Perché? Non può esserci un’alternativa?”, e si provò a
percorrere un’altra strada.
Solo
dopo l’omicidio di Libero Grassi, avvenuto il 29 agosto del 1991, ci si rese
conto dell’entità del rischio cui ci si era esposti, ma in quanto atto di
coraggio e di intelligenza, catalizzò l’attenzione di molti.
La
novità, tanto efficace quanto semplice, consistette nel fatto che non era più
un solo commerciante a denunciare, ma erano tanti, e questi si costituivano in
associazione, creando rapporti di collaborazione con le forze dell’ordine.
La
ricetta era semplice, ma non facile, perché l’ingrediente principale senza il
quale è impossibile qualsiasi duraturo risultato era la “personale assunzione
di responsabilità”. Semplice ma non facile, perché fino ad allora ad altri era
stata demandata la soluzione del problema, ascrivendo allo Stato una
responsabilità che invece è di ciascuno: non si può pensare, come ancora alcuni
fanno, che, rispetto ad un fenomeno di questo tipo, l’iniziativa dello Stato,
da sola, sia sufficiente, o che debba precedere quella degli imprenditori. Le
istituzioni possono dare solo una risposta parziale, ma non possono risolvere
il problema senza l’impegno personale e la collaborazione di chi lo vive
direttamente, gli operatori economici.
Nella
decisione di denunciare non c’è solo la scelta morale, l’esercizio di una
funzione di cittadinanza; c’è anche un elemento di convenienza: nel difendere
la propria azienda dai condizionamenti criminali, si afferma la propria
identità di imprenditori, perché si può essere veri imprenditori solo se si è liberi.
Durante
quell’incontro, Signor Presidente, avrà sentito ripetere che in fondo questo
percorso è anche “più facile” di quanto si possa immaginare.
L’esperienza
concreta ha dimostrato che quando le vittime denunciano insieme, quando si
associano e in tale veste intervengono nel procedimento penale, si possono
avere risultati straordinari in termini di risposta di giustizia: il processo
va spedito, non ci sono scarcerazioni per decorrenza di termini, la pena viene
effettivamente espiata. Sono numerosi i casi in cui con un procedimento penale
costruito in questo modo si realizza una compiuta tutela della vittima, perché
la parte civile è un insostituibile contributo al miglior svolgimento del
processo.
Purtroppo
non sempre è così, non sempre la giustizia riesce a dare la risposta attesa
dalle vittime e bisogna fare i conti con i processi troppo lunghi e con le
scarcerazioni. Tuttavia, se la macchina della giustizia è un meccanismo
complesso e non del tutto uniforme sotto il profilo dell’efficienza della risposta,
è un dato certo che la partecipazione delle vittime associate ne agevola sempre
il funzionamento.
La
scelta della denuncia è “più facile” di quanto si creda anche per un’altra
ragione, perché si può ridurre al minimo il rischio in termini di sicurezza
personale; questo dato è conseguenza della denuncia collettiva: se si è in
tanti nessuno sarà oggetto di ritorsioni; se gli obiettivi sono tanti, non ci
sarà bersaglio. La violenza è intervenuta sempre quando si sono verificate, da
sole o peggio insieme, le condizioni della solitudine e dell’isolamento: questa
è l’amara lezione che ci ricordano gli omicidi di Libero Grassi, Gaetano
Giordano, Giovanni Panunzio.
Proprio
per questi motivi, in questi 10 anni, l’esperienza dell’associazionismo
antiracket ha acquisito la forza di un modello, e sono diventate oltre 45 le
associazioni costituite, soprattutto nella Sicilia orientale, in Puglia ed in
Calabria. Si è trattato di un processo di costante crescita e noi qui oggi
vogliamo salutare i rappresentanti delle due associazioni che si sono
costituite negli ultimi due mesi, a Milazzo e a Giardini Naxos.
2
Con
l’incontro di oggi si realizzano due fatti di straordinaria importanza: per la
prima volta in assoluto si incontrano fra di loro esperienze associative diverse,
impegnate nell’iniziativa contro il racket e contro l’usura e, non meno
importante, si incontrano con le istituzioni.
Sono
infatti qui riunite, con le associazioni antiracket, le fondazioni e le
associazioni antiusura, esperienze di volontariato costituite prevalentemente
in ambito religioso e per meritevole iniziativa delle Chiese. Per tutte
vogliamo ricordare la prima, fondata a Napoli da Padre Massimo Rastrelli. Le
fondazioni intervengono in termini di prevenzione offrendo sostegno e consigli
a chi si trova a rischio di usura e costituiscono anche un insostituibile
sostegno morale e psicologico. A queste esperienze di volontariato, frutto
dell’impegno competente e generoso di professionisti e uomini di chiesa, di
semplici cittadini, deve andare il riconoscimento e la gratitudine dell’intero
Paese.
Un
terzo gruppo di associazioni oggi con noi sono i confidi, ovvero i consorzi di
garanzia fidi, costituiti quasi sempre nell’ambito delle associazioni di
categoria, che possono aiutare quei soggetti che svolgono attività economica e
che si trovano in una posizione di marginalità; con i loro fondi garantiscono
gli affidamenti delle banche per consentire il recupero imprenditoriale dei
soggetti in difficoltà.
Il
secondo elemento di novità è costituito dal fatto che queste tre esperienze
associative si incontrano con i massimi rappresentanti delle istituzioni.
Questa stessa iniziativa istituzionale di oggi è il segnale più forte per chi
opera nel mondo associazionistico di poter contare sul sostegno dello Stato:
chi opera in queste associazioni deve sapere che le istituzioni sono impegnate
a sostenerle, a tutelarle perché si rafforzino. Il racket e l’usura si possono
vincere solo nella prospettiva di una forte “alleanza” tra istituzioni e
società civile. Con questa conferenza siamo chiamati tutti a rafforzare questa
grande intesa.
L’alleanza
deve avere un obiettivo ambizioso: quello di costruire un’articolata strategia
comune per combattere sia il racket che l’usura, una strategia unitaria, che
tenga però ben distinte le diverse tipologie dei due fenomeni. Non può che
essere questo lo sviluppo delle novità che in questo decennio si sono affermate
nel nostro Paese.
10
anni fa questi fenomeni, nel sentire comune, non costituivano un problema, la
loro pericolosità non appariva in tutta la sua drammatica dimensione, si era
abituati a sottovalutarli e a convivere pacificamente con essi.
In
questi 10 anni è cresciuta la sensibilità della società civile su questi temi
ed ha assunto un valore straordinario l’iniziativa dell’associazionismo e del
volontariato.
A
partire dal decreto-legge del 1991, si è venuta costruendo una compiuta
legislazione in materia di racket e di usura, che funziona e dà risposte.
3
L’elemento
che accomuna questi fenomeni criminali è la loro dimensione sommersa. Quanto
appare attraverso le denunce o le indagini, è solo l’aspetto emergente del
problema.
Molto
di questi fenomeni è così sommerso, che è difficile coglierne la reale
dimensione. Infatti, nonostante gli straordinari risultati conseguiti sui vari
fronti della lotta alla criminalità, sono ancora tantissimi gli operatori
economici costretti a confrontarsi con il ricatto mafioso; sono ancora
tantissimi i commercianti e le famiglie che fanno ricorso al prestito usurario.
Questa drammatica realtà, che non può essere sottaciuta, indica che, purtroppo,
siamo ancora lontani dall’avere costruito condizioni di generale normalità.
Ma
la forza delle istituzioni oggi consiste nel fatto che è proprio lo Stato a
riconoscere il problema, senza minimizzarlo, perché prendere atto del carattere
sommerso di questi fenomeni è la condizione indispensabile per combatterli. Non
solo, le questioni dell’estorsione e dell’usura vengono poste oggi “a freddo”, lontano da fatti di cronaca o da
spinte emotive.
4
L’ampiezza
dei fenomeni estorsivi è sicuramente assai rilevante in alcune aree del
Mezzogiorno. Anche se nelle aree non tradizionali si manifestano segnali
preoccupanti, il fenomeno, che ha prevalentemente connotazioni mafiose,
mantiene il suo radicamento in Sicilia, in Calabria, in Campania e in Puglia.
Il
“pizzo” è stato spesso considerato un fenomeno di “serie b”, marginale rispetto
ad altre manifestazioni criminali; ma, proprio perché esso non si manifesta in
forme clamorose, in ampie aree del Paese è normalità, quotidianità,
capillarità; il racket è il “livello medio della mafia”, e come tale è il cuore
del sistema: a partire da qui la mafia realizza il controllo del territorio.
Inoltre,
è lo strumento di accumulazione primaria del capitale mafioso, usato per
finanziare i costi dell’organizzazione e per “stipendiare” gli operai del
crimine; è infine il momento attraverso cui si realizza la selezione dei quadri
mafiosi: chi è più bravo ad esercitare intimidazione e a conseguire “rispetto”
può salire nelle gerarchie mafiose. Da questo punto di vista un’inquietante
conferma ci viene dalle relazioni di apertura dell’anno giudiziario circa il
reclutamento di minori.
Una
cosa però deve essere detta: quando noi oggi parliamo di racket è riduttivo
pensare solo al pizzo, è più opportuno parlare di condizionamento criminale di
realtà economiche locali; il pizzo è infatti un fenomeno di ingresso della
mafia nel tessuto economico imprenditoriale. A partire dal racket si procede in
certi casi all’imposizione di servizi, di forniture, di manodopera: anche
quando l’organizzazione criminale chiede importi modesti agli operatori
economici, una volta che la richiesta venga accettata si stabilisce una
relazione di dipendenza tra l’imprenditore ed il mafioso; a partire da questa
relazione è possibile puntare ad un maggiore coinvolgimento, attraverso
l’imposizione di quelle attività che favoriscono il rafforzamento
“dell’impresa” mafiosa: l’acquisto di certi prodotti solo da una certa impresa,
l’utilizzo di certi servizi solo presso un’altra, acquisti e servizi che
comunque l’imprenditore avrebbe dovuto pagare. Quando ciò avviene,
l’imprenditore non è più tale; l’imprenditore più bravo è colui il quale riesce
a conseguire il miglior risultato con i costi più bassi: privato della libertà
di scelta, perde la sua identità.
Non
solo. Quando il “pizzo” si presenta come il “prezzo di iscrizione” in un
sistema di interrelazione tra imprenditore estorto e la rete di imprese
sostenute dallo stesso gruppo criminale o da questo protette, la tutela
dell’imprenditore singolo dal pizzo diventa funzionale rispetto alla vera posta
in gioco: la libertà di fare impresa e la necessità di mantenere le condizioni
di parità tra gli attori del mercato. L’intervento di sostegno a chi ha il
coraggio di denunciare, è dunque una funzione non solo di tutela della vittima,
ma di riequilibrio delle condizioni di mercato, a vantaggio dell’intera
collettività.
Le
organizzazioni criminali da sempre hanno come loro caratteristica una
straordinaria capacità di adattamento e, di conseguenza, compiono continue
modificazioni.
Il
primo elemento di novità nelle dinamiche estorsive, segnalato soprattutto nelle aree di più recente
insediamento mafioso, ovvero in quelle dove il criminale non ha l’assoluta
certezza della rassegnata omertà delle vittime, consiste in una inversione
della relazione “richiesta-intimidazione”. Se prima l’operatore economico
doveva decidere se cedere o meno ad un’esplicita richiesta di pagamento, la
dinamica estorsiva, nelle sue nuove modalità, inizia con un atto intimidatorio
o con un reato patrimoniale minore nei confronti di un commerciante a cui
segue, da parte dello stesso, la ricerca di una “protezione”. Dal punto di
vista della mafia, l’estorsione si trasforma in un vero e proprio “servizio di
protezione” sollecitato dalla vittima: diminuiscono così le capacità
contrattuali dell’estorto (è stato lui a contattare l’estortore) e ci si mette
più al sicuro da eventuali iniziative giudiziarie. Questa novità è stata la
risposta delle organizzazioni criminali alle crescenti denunce degli operatori
economici attraverso le associazioni antiracket.
Il
secondo elemento di novità è quello che abbiamo chiamato “orizzontalizzazione”
della pratica estorsiva. L’organizzazione mafiosa punta ad un’estensione del numero
dei soggetti da contattare, imponendo dazioni di modesta entità: “pagare poco,
pagare tutti”. L’esito complessivo delle entrate resta invariato rispetto ad
un’ipotesi “verticale”; in più, però, si raggiunge l’obiettivo di un più
ramificato controllo delle aziende e, quindi, di un più pervasivo controllo del
territorio. Inoltre, questa strategia riduce i rischi per la mafia perché
richiede un più basso livello di violenza. Questa nuova modalità è parallela
alla più generale strategia “dell’inabissamento” operata dalle organizzazioni
mafiose negli ultimi anni, consistente nell’attenuazione dei livelli di
conflittualità nei confronti della società e dello Stato.
La
riduzione dell’importo preteso rende più accettabile la proposta di
“protezione”: pagare diventa “conveniente”, resistere no. Basti pensare al
risparmio che si può avere in materia di assicurazione, sistemi di protezione,
vigilanza privata. In questo aspetto risiede l’insidia più difficile da
aggredire e combattere: serve una risposta più forte proprio su questo terreno
della convenienza, aspetto su cui tornerò in conclusione del mio intervento.
Si
può, quindi, dire che la mafia si è venuta configurando come un sistema
criminale “compatibile” con il settore economico aggredito. L’organizzazione forza
sino ad un punto “accettabile”, senza “distruggere” l’impresa. Non bisogna
farsi illusioni su questo carattere ”buono” dell’estorsione, qualunque
limitazione nel medio periodo tende inevitabilmente a soffocare l’impresa,
perché incide direttamente sulla motivazione imprenditoriale, sulla voglia di
investire. Questa strategia pesa in maniera particolare sulla piccola e media
impresa, ovvero su quelle realtà che al Sud potrebbero essere il volano dello
sviluppo economico. La compatibilità tra condizionamento mafioso e attività
economica non deve ingannare circa la neutralità degli effetti: essa si
relaziona con un sistema economico statico, sicuramente non suscettibile di
crescita.
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Non
è assolutamente possibile ricavare le dimensioni del fenomeno dell’usura dal
numero delle denunce, numero che tra l’altro è in continua fase di calo.
Il
fenomeno, che nella stragrande maggioranza mantiene una connotazione
tradizionale, aggredisce maggiormente le famiglie e i soggetti indebitati.
Negli
ultimi dieci anni però ha preso via via più forza una nuova tipologia di usura
che, da un lato colpisce piccoli operatori economici e, dall’altro, si presenta
assai spesso nella forma di una vera e propria associazione a delinquere,
costituita, ed è un caso tutt’altro che raro, da soggetti “insospettabili”,
commercianti e professionisti.
Queste
tipologie sono presenti su tutto il territorio nazionale. Colpisce il
radicamento usuraio in una città come Roma ed in una regione come il Lazio.
In
questi anni si è venuta manifestando, in alcune aree territoriali, una nuova
attività usuraia legata direttamente alle organizzazioni mafiose. Si può ben
dire che questa costituisce una nuova, quanto pericolosa, frontiera della
criminalità. Se le organizzazioni mafiose storicamente non hanno mai
considerato l’usura dentro l’orizzonte strategico delle proprie attività
criminali, da alcuni anni a questa parte aumentano le situazioni in cui l’usura
è praticata direttamente da appartenenti ad organizzazioni mafiose o da persone
a loro vicine. In tal caso cambia tutto, perché diventa uno strumento
attraverso il quale l’organizzazione criminale si impossessa di aziende che, se
pur in crisi, sono “pulite”; ed in tal modo può realizzare attività contigue o
connesse al riciclaggio e, comunque, consolida la propria capacità di
penetrazione nei rapporti economici.
Proprio
a seguito di questa nuova pericolosità non bisogna in alcun modo abbassare
l’attenzione sui pericoli conseguenti a questo reato, che riguardano non solo
direttamente le vittime ma l’intero tessuto economico. Per questo è
fondamentale incoraggiare sempre le denunce e, soprattutto, potenziare le
iniziative di prevenzione. È chiaro a tutti infatti che il modo più efficace
per combattere l’usura è la prevenzione: bisogna riuscire a creare un sistema
che scoraggi in qualunque modo il ricorso all’usura e sia capace di offrire
un’alternativa.
In
questi anni, soprattutto dopo l’approvazione della legge 108/96, la politica di
prevenzione ha assunto una dimensione assolutamente inedita e si è via via
consolidata. Essa si è sviluppata su due direttrici.
La
prima, quella di costruire un sistema di credito sussidiario per quei soggetti
che incontrano insuperabili difficoltà nell’accesso al credito tradizionale.
Rispetto a questi, assai opportunamente il legislatore ha costruito uno
strumento di sostegno; il loro recupero nell’economia consente infatti di
ridimensionare quei fenomeni criminali che costituirebbero una minaccia per il
sistema economico.
Ci
si è dotati, con la legge 108/96, del Fondo di Prevenzione, che per tre anni
(1997-1999) ha erogato trecento miliardi a fondazioni e confidi, affinché
questi incrementassero i propri fondi di garanzia per agevolare la concessione
di credito da parte delle banche a soggetti in difficoltà economiche.
Con
la nuova legge finanziaria, approvata lo scorso mese di dicembre, è stato
previsto il rifinanziamento del Fondo per il 2001 e 2002. Credo di interpretare
il sentimento dei rappresentanti delle associazioni nel rivolgere un sentito
ringraziamento al Governo che ha proposto tali norme ed al Parlamento che le ha
approvate. Proprio in questi giorni il Ministro dell’Interno ha firmato il
decreto che per il 2001 assegna cento miliardi al Fondo di Prevenzione,
finanziamento, questo, che consentirà alle fondazioni ed ai confidi di avere
nuovi strumenti per estendere la presenza sul territorio nazionale. Resta
aperto il problema di rendere questo finanziamento stabile e permanente.
Una
seconda direttrice riguarda l’impostazione di un’adeguata politica di educazione
all’uso responsabile del denaro. Dietro ogni storia di usura vi è quasi sempre
un errore di valutazione, un calcolo sbagliato, una previsione non rispettata,
a volte anche un azzardo. Non si tratta qui di esprimere inutili moralismi, ma
di creare una rete di sostegno capace di offrire consigli e consulenze a chi si
trova a vivere una situazione di grave indebitamento, affinché non compia
l’errore di rivolgersi all’usuraio. Per questo il mondo associazionistico ed il
volontariato svolgono un ruolo prezioso e insostituibile, soprattutto
nell’aiutare le famiglie. Un impegno questo tanto più necessario di fronte alla
pericolosa diffusione del gioco d’azzardo, che costituisce un nuovo fattore di
indebitamento.
Proprio
nelle scorse settimane si è conseguito un importante risultato con la
predisposizione di un protocollo di intesa tra sistema bancario, rappresentato
dall’ABI, e confidi, perché l’efficienza di questo sistema di credito
sussidiario dipende dalla capacità di coinvolgimento del sistema creditizio tradizionale.
6
In
queste ultime settimane si è molto discusso, a seguito della recente sentenza e
del decreto-legge del Governo, di usura e banche. Non è mio compito entrare nel
merito di tale ultimo provvedimento, ma è mio dovere svolgere alcune considerazioni,
considerazioni purtroppo non facili. L’esperienza dell’ufficio mi porta a dire
che vanno distinti preliminarmente alcuni aspetti del problema.
La
legge 108/96 è stata una conquista civile fortemente voluta dal mondo
associativo, un passo avanti nel recupero di dignità nei rapporti economici in
favore dei soggetti più deboli, cui ha fatto seguito, animata dallo stesso
spirito, la recente normativa in materia di pubblicità del protesto e a cui –
si spera – possa seguire la riforma del diritto fallimentare, secondo il
progetto presentato dal Ministro della Giustizia. La L.108/96 non va
modificata, soprattutto in alcuni dei suoi canoni fondamentali: il tasso-soglia
e la disposizione dell’art. 11 relativa alla prescrizione.
L’usura
è un fenomeno criminale che colpisce in maniera subdola coloro i quali hanno
avuto la sventura di rivolgersi ad un usuraio, con cui stabiliscono, dal
primissimo momento, relazioni ambigue, non definite, tutt’altro che chiare. Il
quadro caratteristico è abbastanza netto:
1)
chi si rivolge all’usuraio è in una condizione di debolezza: se vuole quel
denaro, deve accettare le inique condizioni che gli vengono imposte;
2)
nella riscossione degli interessi, all’interno del rapporto, vi è sempre una
connotazione di violenza, di intimidazione, di minaccia, di forte pressione
affinché la vittima adempia al pagamento;
3)
infine, l’importo degli interessi, che mediamente vanno oltre il 10% mensile,
nel corso del rapporto, a mano a mano che si consolida la dipendenza e la
subordinazione, tende a salire. Sono interessi che per definizione a un certo
punto non si è più in grado di sostenere, e si viene strozzati.
Questo
quadro del fenomeno usurario è cosa diversa dal superamento del tasso-soglia,
così come intervenuto con la L. 108/96, che ha motivato il ricorso all’autorità
giudiziaria fino alla nota pronuncia della Suprema Corte (fatto quest’ultimo
rilevante nel sentimento di giustizia delle fasce più deboli dell’utenza).
Questo fatto nasce e va ricondotto in un ambito diverso dalla fenomenologia
criminale, quello dei corretti rapporti tra utente e fornitore di credito.
Se
non possiamo lasciarci prendere la mano da un’inutile e pericolosa
generalizzazione, non possiamo fare a meno di richiamare alcune responsabilità
del sistema creditizio italiano, responsabilità aziendali.
Il
decreto è perfettibile, i tempi della conversione costituiscono un’occasione di
auspicabile intesa per tutte le parti, senza irrigidimenti pregiudiziali.
Pur
comprendendo infatti la necessità di certezza contrattuale, propria del sistema
creditizio, non si può fare a meno di vedere quanto la vicenda abbia scavato un
solco nel rapporto di fiducia con l’utente.
Più
in generale, serve più coraggio da parte delle banche nel rapporto con il
cittadino, unito ad una più convinta azione di rinnovamento.
Il
sistema bancario non può non farsi carico del problema del contenimento dei
fenomeni criminali nell’economia, allo stesso modo di qualunque altro
imprenditore; deve diventare inoltre un elemento dinamico per lo sviluppo della
piccola e media impresa soprattutto nelle aree meridionali.
Il
piccolo cliente deve essere trattato come il grande; anzi, proprio nei
confronti del primo è necessario svolgere quell’attività di consulenza, che,
soprattutto nel sistema creditizio meridionale, è assai debole. In questo
contesto è opportuna una maggiore apertura nella valutazione di meritevolezza
del credito, che non tenga conto solo delle tradizionali garanzie immobiliari e
patrimoniali.
Il
rinnovamento del sistema creditizio deve passare anche dalla costruzione di
rapporti più trasparenti e più collaborativi con gli utenti. Ormai è un dato
irreversibile quello della crescita del protagonismo degli utenti bancari: un
più moderno sistema di relazioni economiche non può che basarsi su forme di contrattazione
tra interlocutori che hanno pari dignità e conoscenze. Per questo è importante
l’associazionismo dei consumatori e dei confidi.
7
In
questi anni combattere l’usura ha significato, tra l’altro, due cose: 1)
incoraggiare chi subisce l’usura ad uscire allo scoperto, a denunciare,
riconoscendone lo status di vittima (questa è l’ispirazione del Fondo di
Solidarietà); 2) non giustificare mai
il ricorso all’usura.
Quest’ultima
questione riguarda un aspetto cruciale della politica di contrasto. Pur offrendo
tutto l’aiuto e la comprensione possibili alle vittime, non si deve mai
giustificare il ricorso all’usuraio:
l’usura non risolve mai alcun problema, li aggrava sempre tutti e senza
eccezione.
Non
bisogna avere esitazione su questa linea: per questo è fondamentale riuscire ad
operare sul profilo dell’educazione all’uso responsabile del denaro e della
formazione di professionalità imprenditoriali.
Per
quanto attiene invece al primo aspetto, su una cosa non bisogna avere alcun
dubbio: chi è vittima di usura deve sempre denunciare. La denuncia non può
essere considerata un accessorio della politica di contrasto all’usura, perché
ne è il cardine quanto la prevenzione. E’ impossibile aiutare la vittima che
non prenda coscienza dei propri errori e non spezzi in modo definitivo il
legame con l’usuraio e l’unico modo in cui entrambe le cose si realizzano è
attraverso la denuncia: riuscire, come associazione, come fondazione, a trasmettere questo messaggio e ad incoraggiare
la fiducia nelle istituzioni costituisce un punto di non ritorno nella
strategia di contrasto.
Pretendere
la denuncia non è un atteggiamento formale fondato sul principio di legalità,
ma condizione sostanziale per l’aiuto.
Da
più parti il preoccupante calo del numero di denunce per usura viene ricondotto
alla paura di subire ritorsioni.
Il
richiamo alla paura tuttavia non è convincente se consideriamo che vi è una
costante crescita nel medio periodo del numero delle denunce per estorsione,
quasi sempre rivolte contro esponenti di organizzazioni criminali di tipo
mafioso e che per questo presentano una soglia di rischio.
In
secondo luogo, la conoscenza diretta di centinaia di storie di usura contenute
nei fascicoli dell’ufficio del Commissario ci dice una cosa importante: non si
ha riscontro di “vendette” dopo la denuncia; anzi, la denuncia immunizza da
possibili atti di ritorsione. Quando vi è violenza avviene quasi sempre
all’interno della relazione usuraria, quando bisogna convincere la vittima a
pagare.
Ciò
che ostacola in maniera decisiva la denuncia in realtà è l’assenza di
alternative e la convinzione di essere soli. La vittima stabilisce con il
proprio usuraio una relazione di dipendenza: anche dopo che si è presa
coscienza della vera natura di questa relazione, si continua però a mantenerla
perché si ritiene che non vi siano alternative.
Deve
essere chiaro che comunque con la denuncia si pone fine al tormento dell’usura;
certo, possono restare le difficoltà, ma non c’è più quel tormento, e non è
cosa da poco.
8.
Negli
ultimi 15 mesi l’impegno dell’Ufficio del Commissario è stato rivolto in
maniera predominante a rendere funzionante la nuova L. 44 approvata dal
Parlamento nel febbraio del 1999, frutto di un’ampia convergenza politica.
L’applicazione della legge era il punto cruciale attorno a cui costruire un
rapporto di fiducia tra vittime (e potenziali vittime) e Stato. Vi era una
chiara consapevolezza che ciò non era facile e che la strada era tutta in
salita: tante erano state negli anni le frustrazioni accumulate nell’applicazione
della vecchia normativa.
Non
spetta a me dire se si sia recuperato questo rapporto di fiducia, ma questo è
stato l’obiettivo. L’Ufficio del Commissario ha cercato di fare sentire la
propria vicinanza alle tante vittime. Il nuovo Comitato, che ha avuto dalla
legge il compito di gestire l’unificato Fondo di solidarietà per le vittime
dell’estorsione e dell’usura, ha iniziato ad operare poco più di un anno fa, si
è insediato il 21-12-1999. In questi 12 mesi 173 operatori economici hanno
ricevuto quasi 27 miliardi.
Per
una valutazione più dettagliata rimando alla relazione annuale del Comitato,
distribuita ai partecipanti. Una considerazione di carattere generale: questa
legge non è solo una forma di solidarietà per chi ha subito un danno, è un
decisivo strumento per l’azione di contrasto. Sicuramente, per un commerciante
è importante vedere in carcere l’estortore. Ma quando vede il negozio chiuso,
distrutto a seguito della sua denuncia, avverte il segno di una sconfitta. Fare
riaprire quel negozio è il segnale più efficace contro la mafia; non solo, ma è
anche la risposta che neutralizza l’atto intimidatorio e lo rende inutile.
Offrire
a chi è stato vittima dell’usura, e ha denunciato, la possibilità di
ricostruirsi una vita attraverso il mutuo dello Stato costituisce un decisivo
elemento di speranza per quanti invece continuano a vivere nella soggezione
usuraia.
Il
legislatore ha centrato due obiettivi: il primo, nel prevedere nella
composizione del Comitato la presenza predominante dei rappresentanti delle associazioni
di categoria e di quelle antiracket ed antiusura; il secondo, nel valorizzare
le Prefetture come soggetti fondamentali dell’attività istruttoria.
Consentitemi di rivolgere un ringraziamento per i risultati conseguiti in
questo anno di applicazione della legge a tutti i componenti del Comitato, ai
Prefetti, ai vertici delle Forze di Polizia, ai referenti delle Prefetture, al
personale dell’Ufficio di supporto e dell’Ufficio del Commissario, alla Consap.
Nello
stesso periodo si è dispiegata l’iniziativa per il potenziamento delle varie
esperienze associazionistiche: per esse l’Ufficio del Commissario è una
struttura di servizio. È stato ed è un obiettivo strategico la crescita di
queste esperienze: servono più associazioni antiracket, più fondazioni
antiusura, più confidi con i fondi speciali antiusura.
Un
altro fronte di intervento è stato quello delle iniziative sul territorio, in
primo luogo attraverso le riunioni dei Comitati provinciali per l’ordine e la
sicurezza pubblica, allargati ai rappresentanti delle associazioni. Queste
riunioni, convocate grazie alla sensibilità dei Prefetti, sono sempre di più
diventate un decisivo punto di riferimento per le associazioni, un momento in
cui sul territorio si realizza l’alleanza tra istituzioni e società civile.
Infine,
l’iniziativa più recente, ancora in corso, riguarda la campagna di
informazione.
9.
Il
Comitato di solidarietà, nello svolgere la relazione approvata la scorsa
settimana, ha presentato alcuni elementi di riflessione che anche in questa
sede vengono sottoposti all’attenzione dei partecipanti alla Prima Conferenza
nazionale. Si tratta di questioni che si inseriscono nella legislazione
operante e soprattutto sulla legislazione parallela alle problematiche di usura
e di estorsione. Due di queste hanno trovato una positiva soluzione con
l’ultima legge finanziaria, che ha raccolto esigenze fortemente sollecitate
anche dalle associazioni: la riapertura dei termini, a determinate condizioni,
per la presentazione delle istanze delle vittime di usura al Fondo di
solidarietà e la trasformazione dei tempi di restituzione del mutuo concesso
alle stesse vittime da 5 a 10 anni.
Altre
se ne presentano con particolare urgenza: l’introduzione della figura del tutor
a fianco del beneficiario del mutuo accordato dal Fondo di solidarietà e
l’accelerazione dell’iter parlamentare per l’approvazione della legge delega
relativa alla riforma delle procedure concorsuali.
a) Tutor.
Una delle finalità della L.108/96 è quella di offrire un sostegno alle vittime
per favorirne il reinserimento nell’economia legale. L’esperienza applicativa
della legge ha evidenziato che lo strumento di cui ci si è dotati per
raggiungere questo fine, la concessione del mutuo, può non essere sufficiente
ad assicurare l’adeguato recupero imprenditoriale della vittima d’usura; spesso
emerge l’esigenza di assicurare anche un sostegno non finanziario fatto di
consigli e consulenza. L’intervento di solidarietà alle vittime di usura
richiede, quindi, come dato strategico fondamentale l’istituzione della figura
del “tutor”. Infatti, la tipologia delle vittime è rappresentata,
rispettivamente, nell’estorsione da operatori commerciali e da piccoli
imprenditori; nell’usura, secondo l’esperienza del Fondo di Solidarietà ex art.
14 L. 108/1996, da categorie particolarmente vulnerabili per debiti contratti
per necessità aziendali, in massima parte più piccoli imprenditori,.
Se
è vero che non è possibile articolare una risposta che prescinda dalla denuncia
e dalla collaborazione con le Forze dell’Ordine, è vero, altresì, che se non si
“qualifica” la capacità di resistenza dell’imprenditore nonché
l’imprenditorialità necessaria per “stare sul mercato”, lo scopo della
normativa sarà frustrato ancorché la vittima possa beneficiare del sostegno del
Fondo di Solidarietà. In tale caso, l’elargizione o il mutuo non saranno
serviti all’interessato, ma soltanto ad alcuni dei suoi creditori, e lo Stato
non avrà recuperato i soldi “investiti” sia in termini di risanamento del
tessuto imprenditoriale sia in termini di sicurezza.
Occorre prendere atto che in
situazioni compromesse, ancorché riconducibili a soggetti giuridicamente e
socialmente meritevoli, perché vittime di delitti di estorsione e di usura da
cui hanno avuto il coraggio di affrancarsi con la denuncia, occorre affiancare
alla vittima beneficiaria
dell’elargizione o del mutuo,
un consulente finanziario-aziendale al
duplice scopo di verificare l’impiego della spesa sostenuto dallo Stato ed, al
contempo, supportare la vittima con una assistenza professionale che, ovviando
a carenze di progettualità e a commistioni tra conti personali e aziendali
(che, talvolta, fungono da concausa o peggiorano gli effetti del delitto
subito) assicuri l’attuazione dell’intervento di solidarietà, deliberato dal
Comitato.
b) Riforma delle procedure concorsuali. Si confida nella
accelerazione dell’iter parlamentare di approvazione del disegno di legge
delega di riforma delle procedure concorsuali che potrebbe significare, tra
l’altro, l’eliminazione di quelle forme sanzionatorie accessorie in capo
all’imprenditore che interessano in questa sede.
In particolare, pur
essendosi confermato il principio dello spossessamento del patrimonio
dell’imprenditore, nel progetto si sarebbe stabilito che la perdita della sua
capacità debba essere limitata ed evitata per tutto ciò che non è utile alla
procedura.
La previsione in questione
adempie ad una esigenza da tempo sentita e più volte sottolineata dagli
studiosi secondo cui il fallimento, ed in particolare l’apertura della
procedura di insolvenza, non deve più costituire una misura sanzionatoria per
l’imprenditore, una sorta di “morte civile” per lo stesso.
Per
quanto riguarda invece l’attività di prevenzione, un limite che occorre
superare, per il quale sono state coinvolte le associazioni di categoria,
riguarda l’attività e la presenza dei Confidi, prevalentemente al Sud.
10.
In
questi anni sono stati ottenuti risultati assai significativi, ma non ci si può
dichiarare soddisfatti. Nonostante tutto quello che si è fatto, solo
parzialmente si è inciso sulla diffusione del fenomeno.
Permane
un serio limite: quello di considerare l’iniziativa antiracket ed antiusura in
termini ancora settoriali, come se riguardasse
organismi e associazioni a ciò specificamente preposti. Ma così non può
essere, proprio perché, più che in altri casi, nell’estorsione e nell’usura
emergono implicazioni non solo di tipo criminale, ma economiche, sociali,
culturali. Se è così allora il problema non può più essere solo dell’Ufficio
del Commissario antiracket e antiusura, né può essere solo delle associazioni
antiracket o delle fondazioni antiusura. È indispensabile l’impegno di altri
soggetti. Oggi ci sono tutte le premesse per una decisiva svolta, per fare
diventare la reazione al racket e all’usura un movimento di massa. Queste
premesse devono essere pienamente utilizzate e per questo è richiesto un
maggiore impegno di tutte le realtà istituzionali, ma soprattutto delle grandi
associazioni degli imprenditori, in particolare di quelle della grande impresa.
Torniamo
per un momento alla realtà sommersa di questi fenomeni e al dato delle denunce.
Le
denunce per usura purtroppo continuano a far registrare quel calo costante che
da molto tempo costituisce per noi ragione di allarme. Per quanto riguarda
l’estorsione, anche se il dato dei primi 6 mesi del 2000, per la prima volta
dopo molti anni fa registrare un calo, la tendenza complessiva di questi 10
anni testimonia una crescita costante: un segnale sicuramente positivo, ma
certamente insufficiente rispetto alla reale diffusione del problema.
Se si è detto che si può
combattere l’estorsione senza correre rilevanti rischi per la propria sicurezza
personale, perché il movimento antiracket è lontano dall’assumere quella
dimensione di massa proporzionata al fenomeno?
Non
è più un problema di rapporti di fiducia nelle istituzioni e nella legge. La
questione è più complessa ed è, come abbiamo cercato di spiegare in questi mesi
con il messaggio della campagna di informazione, riconducibile alla dimensione
economica ovvero alla convenienza. Queste questioni non possono essere
affrontate solo sotto il profilo della scelta morale, necessario, ma non
risolutivo.
Come
far diventare conveniente la denuncia? Nel caso dell’usura noi oggi abbiamo
sufficienti strumenti legislativi che consentono di offrire alla vittima che
svolge una attività economica una concreta via di uscita, attraverso i benefici
del Fondo di solidarietà.
Ma
è con l’estorsione che si incontra la maggiore difficoltà. Il Fondo di
solidarietà interviene successivamente alla resistenza dell’imprenditore; serve
invece qualcosa che intervenga nella fase precedente e rappresenti, per chi è
costretto a confrontarsi con la criminalità organizzata, una concreta
prospettiva di convenienza.
Perché
la questione non è semplice? Esiste un diffuso luogo comune che descrive
l’imprenditore estorto come gravato da un costo aggiuntivo. Non sempre questo è
vero. Il costo aggiuntivo non sempre ce l’ha chi paga il pizzo alla mafia, ce
l’ha, se mai, chi non lo paga, chi resiste al condizionamento. Perché chi è
venuto a patti con i criminali o li ha subiti, gode paradossalmente di una
legittimazione ad operare sul mercato, negata a chi non ha voluto cedere.
Questo è più evidente in alcune aree della Sicilia, della Calabria, della
Campania, dove la mafia interviene pesantemente nella regolazione del mercato.
Alla fine in questa situazione acquista convenienza il non resistere alla
mafia. Se da un lato hai un danno immediato pagando il pizzo (tra l’altro di
dimensioni modeste) dall’altro hai il beneficio indiretto di essere legittimato
sul mercato dall’organizzazione criminale.
Servono
allora iniziative che intervengano nelle relazioni economiche per realizzare
una forma di “compensazione” tale da far recuperare a chi resiste lo svantaggio
imprenditoriale rispetto agli altri.
Non
si tratta di interventi di tipo premiale, ma di opportuni e necessari
interventi regolatori del mercato. Solo in questo modo si riesce, nella stessa
misura che con l’azione giudiziaria, a ridimensionare seriamente il potere mafioso.
Le
istituzioni non possono essere insensibili di fronte al problema di intervenire
per eliminare le distorsioni del mercato. Ma è soprattutto con il mondo delle imprese, e soprattutto
con quello della grande impresa che tale problema va affrontato. L’allarme del
Procuratore Nazionale Antimafia è un
ulteriore stimolo a procedere su questa strada, soprattutto in un momento in
cui “il settore degli appalti è quello maggiormente insidiato, attraverso
estorsioni, subappalti, spartizioni di aggiudicazioni, dalle
organizzazioni criminali”.
11.
Signor Presidente, non potevamo fare a meno, in un’occasione così solenne, di avere accanto persone che per noi in questi anni sono state assai importanti. Esse ci ricordano momenti di grande dolore. Oggi vogliamo ricordare, fra gli altri, Libero Grassi, Giovanni Panunzio, Gaetano Giordano, imprenditori uccisi a Palermo, a Foggia, a Gela; oggi vogliamo rendere omaggio allo straordinario coraggio di questa giovane donna siciliana, Rita Spartà, che con il sostegno della sua famiglia conduce una battaglia di giustizia per far condannare coloro i quali le uccisero il padre e 2 fratelli di 21 e 17 anni; oggi è qui con noi un ragazzo che si chiama Gianluca Gaddi, figlio di quella coppia di imprenditori che nell’agosto del ‘94 nella zona di Orvieto decise di porre termine alla propria vita perché vittima di usura.
Da
queste storie di dolore noi dobbiamo partire. Sono storie di solitudine e di
isolamento; le vogliamo sempre portare con noi, perché la solitudine e
l’isolamento sono i nostri più acerrimi nemici: la solitudine rende deboli,
l’isolamento vulnerabili.
Le
associazioni e le fondazioni antiusura hanno rappresentato una sicura sponda
alla sofferenza dei soggetti indebitati: a quanti soffrono questa condizione
vogliamo ripetere che non bisogna vergognarsi di chiedere aiuto.
Nel
confronto con queste storie si è venuto via via costruendo quello che oggi si è
rivelato un efficace modello per combattere la mafia: quello
dell’associazionismo antiracket.
Lo
ha detto Lei, Signor Presidente, poco più di un mese fa a Palermo in occasione
della conferenza dell’ONU: queste iniziative dimostrano come si sia diffusa la
normalità.
Care
amiche e cari amici,
in
conclusione sento il dovere di ringraziare tutte le donne e gli uomini delle
Forze dell’Ordine, i vertici locali e quelli nazionali: con loro si è venuta
costruendo una collaborazione straordinaria in questi anni; in loro si è
riusciti a trovare sempre ascolto, professionalità e soprattutto motivazione.
Debbo
infine chiedere scusa a coloro a cui non sempre la risposta delle istituzioni è
arrivata, ferma e tempestiva. Lo voglio fare con umiltà perché quando si è
impegnati a ricoprire un ruolo come quello di Commissario e si ha a che fare
con la sofferenza e la speranza, con la dura realtà e i sogni, non si può che
muoversi in punta di piedi.
Numerose
volte nel corso di questo mio intervento ho parlato di semplicità, di facilità,
di convenienza.
Ma
siamo ben consapevoli tutti che è una battaglia difficile quella che ci vede
impegnati, è una battaglia che appartiene all’intera nazione. Questi uomini e
queste donne coraggiosi che la combattono in prima persona sono un patrimonio
di tutti. Non sono eroi, sono persone normali. Sono persone, Signor Presidente,
che quando La sentono parlare di Patria provano emozioni. Perché quando si
parla di Patria si parla anche ai nostri cuori, alla nostra dignità di uomini
liberi. Per questo siamo qui oggi, per rinnovare il nostro impegno al servizio
del Paese.