Porto qui il saluto ed il sostegno di tutte le associazioni antiracket d’Italia riunite sotto la sigla FAI che ho l’onore di presiedere.
Ci spinge quell’entusiasmo e quella fede nei principi di libertà, dignità, legalità che da sempre ci hanno animato e che condividiamo con tutti gli associati..
La stragrande
maggioranza delle nostre associazioni è
al meridione d’Italia ed è dal profondo Sud che è partita questa rivolta e di questo siamo fieri.
È indubbio che noi rappresentiamo l’avamposto
di una truppa che ancora crede, forse un po’ ingenuamente, in un’economia
pulita e che contrasta sul territorio clan malavitosi ben più potenti e
organizzati, spesso legati a gruppi di potere politico-economico di cui gli
estortori non sono che l’estrema marginale frangia.
Abbiamo
cominciato, come è già stato ricordato, riunendoci nelle “catacombe”, nei
locali di terz’ordine, oggi siamo qui…, la nostra funzione è riconosciuta ed
apprezzata dalle più alte cariche dello Stato…, questo è un momento molto
importante, ma non possiamo abbassare la guardia!
Ora siamo ad
una svolta. Qualcosa è stato fatto,
molto rimane da fare!
Noi delle
associazioni abbiamo fatto e facciamo la nostra parte. Il Comitato presieduto
da Tano Grasso lavora a ritmo serrato. Molti imprenditori che hanno subito
danni sono stati rimessi nella condizione di riprendere ad operare in
brevissimo tempo.
È stata
promossa una massiccia campagna di informazione.
Ma ancora non
basta: le denunce sono aumentate, ma non in maniera apprezzabile ed in noi
sorgono pesanti dubbi.
Abbiamo di
fronte un nemico assai intelligente; in Sicilia non si spara più perché devono
arrivare i finanziamenti di “Agenda 2000”. La mafia ha abbassato i prezzi, non
pretende più molto si contenta di poco, non vuole fare rumore e questo è
grave perché a denunciare sono solo gli
imprenditori che hanno subito danni ingenti che sono allo stremo, tanti altri
pagano senza fiatare.
La cultura
della denuncia stenta a diffondersi anche perché lo scotto da pagare è ancora
troppo alto: la procedura processuale é lunga ed estenuante, spesso l’estortore
può essere rimesso in libertà per decorrenza dei termini, e non solo l’imputato
di estorsione. Ieri avete ascoltato la drammatica testimonianza di Rita Spartà,
uno degli assassini di suo padre e dei suoi fratelli è stato scarcerato per
decorrenza dei termini. Quando le ho consigliato di parlarne, mi ha risposto di non volere fare polemiche,
che confidava comunque nella Giustizia
e che era certa che prima o poi l’avrebbe ottenuta…, questo Stato ha dei
cittadini esemplari.
Ma torniamo ai
reati di estorsione e d’usura, alla trafila della vittima che decide di
denunciare. Quando viene chiamata a testimoniare, deve farlo in un ambiente
estremamente sfavorevole. Noi delle associazioni ci costituiamo parte civile e
partecipiamo ai processi: sono presenti
tanti amici e parenti degli imputati, compresi i bambini
piccoli; spesso veniamo insultati in aula e chi deve testimoniare non è nelle
migliori condizioni di serenità. Si respira un clima di intimidazione
intollerabile e non sempre si ha la garanzia che l’imputato condannato sconti per intero la sua pena.
Qualora sul territorio non operi un’associazione
antiracket, l’imprenditore che volesse costituirsi parte civile è costretto ad
andare incontro ad onerose spese legali
ed a quant’altro comporta un procedimento del genere.
Alla condanna
dell’imputato ed all’assegnazione di un eventuale provvisionale, la parte
civile, se vuole coltivare la speranza di recuperare il risarcimento,
dovrebbe imbarcarsi in un lunghissimo,
costosissimo, complesso processo civile, procedendo in prima persona ed
eroicamente contro i patrimoni di affiliati ai suddetti clan, con gli
inevitabili rischi che tutti possiamo immaginare.
Il Parlamento deve fare una seria riflessione. L’interesse
dell’imprenditore che resiste al “pizzo” per tutelare la propria dignità, per
non cedere ai ricatti è FUNZIONALE all’interesse della collettività.
Queste avanguardie vanno sorrette e garantite, l’eccezione
deve diventare quotidianità.
Dopo nove anni di battaglie è stata varata finalmente una
buona legge, ora bisogna tradurla in una pratica costante, normale, occorre
inventarsi strategie che rendano la denuncia quasi ovvia, conveniente.
I tribunali
dovrebbero avere dei canali preferenziali per i processi di estorsione e di
usura; bisognerebbe premiare le aspettative delle vittime che confidano in una
totale espiazione della pena da parte dei condannati; le parti civili
dovrebbero, come gli imputati, potere
accedere al gratuito patrocinio, ed i processi civili per il recupero di
eventuali provvisionali dovrebbero
essere scevri da tasse ed oneri fiscali o ancora meglio lo Stato potrebbe
rilevare il credito e sostituirsi alla parte lesa.
Le dichiarazioni rese in istruttoria potrebbero essere
acquisite come prova, in alternativa avere la possibilità di deporre tramite
l’incidente probatorio; bisogna cercare forme alternative che evitino di
esporre le vittime ed i testimoni in aula.
Ho appreso in questa sede che finalmente si sta pensando, a livello europeo, ad uno
Statuto della vittima e me ne compiaccio, infatti bisogna studiare per i
denuncianti eventuali misure compensative sia creditizie che fiscali. Sarebbe
importante escludere definitivamente dalla gare d’appalto pubbliche quelle
imprese che in varia misura colludano con le organizzazioni mafiose.
Infine mi si
consenta una provocazione. Perché non istituire per i condannati per usura
anche in primo grado una sorta di lista come quella dei protestati? Perché non
pensare a sanzioni accessorie, come per i falliti, interdizione dai pubblici
uffici, perdita del diritto di voto, impossibilità di svolgere attività
economiche e finanziarie compresa la gestione dei conti correnti bancari?
Ci rendiamo conto
che la via punitiva non è l’unica soluzione: occorre tracciare percorsi di
riabilitazione, perché l’isolamento e l’ostracismo economico non possono che
alimentare altra illegalità,
altro sommerso.
Riteniamo di
aver fornito materia di riflessione, pensiamo che l’applicazione di simili
norme può contribuire allo smantellamento dello strapotere malavitoso, che
costituisce uno dei maggiori freni all’inserimento del Sud nei circuiti
economici europei. Noi delle associazioni antiracket siamo disposti a collaborare in qualsivoglia maniera.
Dalle
Istituzioni attendiamo fiduciosi sollecito, autorevole, positivo riscontro.
Pia Giulia Nucci
Presidente FAI